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CHI C’E’ DIETRO LA GUERRA TRA MILIZIE DI SABRATHA, CON CHI STA L’ITALIA

NELLA CAPITALE LIBICA DEI TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI LA STRATEGIA ITALIANA DEL DOPPIO FORNO… LE MONDE: “L’ITALIA HA PAGATO 10 MILIONI DI EURO AI TRAFFICANTI”

La resa dei conti a Sabratha, “capitale” libica dei trafficanti di esseri umani, 70 chilometri ad ovest di Tripoli. Le nuove rotte che partono dalla Tunisia e, ultima entrata, l’Algeria. Mar mosso, il Mediterraneo, dove la lotta agli scafisti s’intreccia sempre più a quella all’Isis. Le rotte si diversificano ma tutte convergono su un’unica destinazione: l’Italia.
Non appena Roma tura una falla ecco che subito se ne apre un’altra.
Un accordo non fa tempo a dare i suoi frutti che, tempo qualche mese, viene rimesso in discussione a colpi di mitra.
E’ ciò che sta avvenendo a Sabratha. Il “modello Sabratha” è così sintetizzabile: l’Italia ha capito che per frenare il flusso di migranti non può contare solo e tanto sul fragile governo libico guidato dal premier Fajez al-Serraj; occorre rivolgersi a quelli che il territorio lo controllano per davvero: è in Libia questo significa trovare un accordo con milizie e tribù, non tutte — sarebbe impossibile visto che tra le une e le altre sono più di 240 — ma almeno con quelle più radicate nelle aree cruciali, quelle da cui partono i gommoni.
Sabratha è una di queste. Roma ha provato a districarsi nel caos libico, impresa alquanto ardua. Non è problema di soldi, o almeno non è solo questo, il fatto è che in Libia esistono almeno due governi, due parlamenti, oltre che una miriade di milizie e tribù in armi che danno vita ad alleanze variabili e volubili.
L’Italia continua a sostenere il suo uomo a Tripoli, Serraj, ma ha la nostra diplomazia, e gli 007 sul campo, hanno dovuto prendere atto che senza una qualche intesa con l’uomo-forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto, Francia e Russia, i barconi non si fermano e la Libia non si stabilizza,
C’è una data-chiave nella ripresa della guerra di Sabratha e nei barconi che ripartono.
Il ventisei settembre Haftar, è atteso a Roma per incontrare il ministro della Difesa Roberta Pinotti, e alcuni alti ufficiali dello Stato maggiore.
“Denunciamo l’invito giunto specie perchè la Corte penale internazionale ha chiesto ripetutamente l’arresto degli affiliati (del generale) colpevoli di aver commesso crimini di guerra”, tuona in una nota il Consiglio militare di Sabratha.
Questa la reazione ufficiale di Sabratha. Era il 16 settembre. Cinque giorni prima il nuovo ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, era stato inviato nella città  della Tripolitania per incontrare il sindaco, altro uomo legato ai Dabbashi..
Negli stessi giorni il Mediterraneo centrale si affollava di gommoni come non accadeva da tempo: 15 interventi di salvataggio in poche ore, cui si devono aggiungere alcuni del giorno precedente e altri di ieri: circa 1800 persone salvate nel fine settimana, con l’aiuto delle navi militari e di quelle delle poche Ong rimaste davanti al mare della Libia e il coordinamento della Guardia costiera italiana.
Sei ottobre: sono ”più di seimila i migranti illegali trovati in varie località  segrete di Sabratha”, la città  libica liberata oggi dalla presenza del sedicente Stato Islamico (Is) da parte delle forze fedeli al generale Khalifa Haftar.
Ad annunciarlo, ad Aki – Adnkronos International, è Basem Gharabli, responsabile a Sabratha del contrasto alle migrazioni illegali.
”Erano stati riuniti per farli partire illegalmente dalle coste libiche fino all’Italia”, spiega Gharabli, affermando che ”questi migranti sono stati riuniti nella sede della sala operativa per la lotta all’organizzazione dello Stato islamico”.
”Avevamo messo a punto un piano scientifico e ben studiato per contrastare l’immigrazione, ma gli scontri (in corso dal 17 settembre a Sabratha, ndr) ci hanno impedito di attuarlo”, ha aggiunto il responsabile.
Gharabli ha poi rivolto un appello ”al governo di concordia nazionale libico e alla comunità  internazionale” affinchè siano il loro ”appoggio per ospitare questi immigrati. Noi non abbiamo la possibilità , nè i mezzi per accudirli”.
La presa di Sabratha è una vittoria strategica per Haftar e i suoi sponsor internazionali. Un problema in più per l’Italia.
La ragione è che ad essere sconfitta è la milizia su cui l’Italia aveva puntato (c’è chi dice finanziato) su indicazione, peraltro, del governo Serraj: la milizia dei Dabbashi, una delle più potenti della città .
Una vecchia conoscenza dell’Italia, visto che dal 2015 si occupava della sicurezza dell’importante impianto petrolifero dell’Eni nel vicino paese di Melita, ed .
I Dabbashi hanno però compreso che l’affare più redditizio era diventato quello del traffico di esseri umani. Ecco allora la doppia giravolta: prima il clan Dabbashi si mette in affari con i jihadisti locali per gestire il nuovo traffico salvo poi ergersi, a pagamento, come i gendarmi della rotta mediterranea, imponendo un uomo di fiducia a capo della Guardia costiera locale.
L’investitura italiana non è piaciuta alle altre milizie e, soprattutto, al generale Haftar. Diplomazia, guerra e (sporchi) affari s’intrecciano indissolubilmente nella Libia post-Gheddafi.
L’Italia ha fatto le sue scelte, puntando su Serraj e sulle milizie a lui fin qui fedeli: ma l’investimento politico non ha dato i frutti sperati e ora rischiamo di pagarne le conseguenze.
Gli uomini di al-Dabbashi avrebbero provato a lanciare una controffensiva, con il supporto di un’altra brigata, quella di Mohamed al-Kilani da Zawia, poi costretti alla ritirata.
I clan di Sabratha fanno riferimento a una serie di persone tra cui Ahmed Al Dabbashi, detto Al Amnu (lo zio), a cui sono legate la Brigata Anas Al Dabbashi (nome di martire di famiglia) che fa capo al ministero della Difesa, e la Brigata 48 che fa capo agli Interni. Ahmed Dabbashi è stato denunciato come scafista e boss del traffico dei migranti.
Ne hanno parlato diverse fonti stampa, tra cui Reuters, Associated Press, Times, Washington Post.
Un boss che si è riconvertito da “principe degli scafisti a collaboratore con l’Italia per fermare il flusso dei migranti” e che per questo, secondo l’intelligence libica, avrebbe ricevuto “almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità  nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Serraj”. Roma ha decisamente smentito questo finanziamento. E lo stesso ha fatto il premier libico che, intervistato nei giorni scorsi da “Le Monde”, ha smentito l’esistenza di un presunto “accordo segreto” tra l’Italia e i trafficanti per fermare gli sbarchi. Alla domanda su un ipotetico patto segreto tra il governo italiano e una milizia di trafficanti a Sabratha per fermare flussi di migranti verso l’Europa, Serraj risponde: “C’è un accordo con l’Italia per aiutare le municipalità  libiche del nord e del sud a sviluppare l’economia e creare occupazione. Ma non c’è un accordo del tipo di quello di cui parlate, vale a dire sostenere un gruppo armato”.
Fu proprio il quotidiano francese, il 14 settembre scorso, a mettere in grande evidenza, con un titolo di prima pagina, le accuse secondo cui il ministro dell’Interno, Marco Minniti, avrebbe trattato con i trafficanti libici per bloccare i flussi di migranti.
Quanto a Sabratha, nella battaglia che è infuriata per giorni, un missile ha colpito l’ospedale di Sabratha, causando diverse vittime, tra cui un bambino. Un crimine commesso forse non casualmente: il nosocomio aveva infatti beneficiato di una prima tranche di aiuti dall’Italia per un valore di circa 5 milioni di euro. Beni e fondi che le bande si contendono.
I giornalisti dell’agenzia di stampa Reuters Aidan Lewis e Steve Scherer hanno raccontato con fonti locali che “un gruppo armato sta impedendo che le imbarcazioni che trasportano migranti salpino da Sabratha, città  a ovest di Tripoli che è stata finora un trampolino per i trafficanti di esseri umani, e nell’ultimo mese ha provocato un drastico calo delle partenze, come riferiscono alcune fonti locali”.
I capi delle milizie sono due fratelli che provengono dal clan che fino a pochi giorni fa controllava la città , per l’appunto quello dei Dabbashi. Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza).
Il gruppo “lavora sulla spiaggia per impedire che i migranti si imbarchino verso l’Italia”, dice un attivista della società  civile che preferisce restare anonimo. Il gruppo è composto da centinaia di “civili, poliziotti, esponenti militari” dice la fonte. E sta conducendo “una campagna molto forte” lanciata da “un ex boss della mafia”, spiega una seconda fonte da Sabratha che segue da vicino le attività  dei trafficanti. Una terza fonte citata dalla Reuters con contatti in Libia dice che il gruppo di Sabratha “sta facendo uno sforzo significativo per pattugliare l’area” ma che, avvisano i miliziani, potrebbe interrompersi se non vi sarà  il sostegno finanziario del governo di Tripoli.
Un sostegno che passa per l’Italia. E che fa gola alle milizie pro-Haftar. “L’accordo raggiunto dal governo italiano con alcune milizie libiche per contenere i flussi migratori attraverso il Mediterraneo centrale hanno contribuito ad innescare la battaglia in corso da una settimana nella città  costiera libica di Sabratha, costata la vita a decine di persone.
A scriverlo è il “New York Times”, secondo cui opposte fazioni armate libiche si stanno contendendo il controllo della città  – principale porto di partenza dei gommoni carichi di migranti – per ottenere il ruolo di interlocutori con l’Ue, e le risorse economiche stanziate da quest’ultima per contrastare il traffico di esseri umani.
Nel corso degli ultimi giorni, scrive il quotidiano Usa, il conflitto a Sabratha si è esteso con la discesa in campo del generale Khalifa Haftar ,Ma gli scafisti guardano anche oltre Sabratha e la Libia. Alla vicina Tunisia, ad esempio, trovando su questo un interesse comune alla filiera nordafricana dello Stato islamico.
“Non da oggi siamo entrati nel mirino dell’Isis: perchè il ‘modello tunisino’ è agli antipodi dell’idea del ‘califfato’ e della dittatura della sharia che l’Isis vorrebbe imporre. Per questo ci attaccano, cercando, attraverso sanguinosi attentati, di mettere in ginocchio una delle attività  più importanti per la Tunisia: il turismo. L’Isis vuole utilizzare le coste tunisine come base per il traffico di esseri umani, oltre che come avamposto terroristico per minacciare l’Europa”.
E’ il grido d’allarme che aveva lanciato pochi giorni fa, nell’intervista esclusiva concessa all’Huffington Post, Houcine Abassi, già  Segretario generale dell’Ugtt (l’Union gènèlae tunisienne du travail), Premio Nobel per la Pace nel 2015 come membro del Quartetto per il dialogo (la Ligue tunisienne pour la dèfense des droits de l’homme, l’Union gènèrale tunisienne du travail, l’Ordre national des avocats de Tunisie e l’Union tunisienne de l’industrie, du commerce et de l’artisanat).
Un patto d’azione tra la costola nordafricana dell’Isis e i trafficanti di esseri umani: è ciò che Abassi aveva denunciato e che la cronaca ha tragicamente confermato. “Sembra che i trafficanti libici si siano spostati al confine con la Tunisia – spiega una operatrice di Borderline Sicilia Onlus – da lì fanno partire piccole imbarcazioni o pescherecci con poche persone a bordo, a volte li lasciano anche al largo e arrivano a nuoto”. E aggiunge: “Sono ancora relativamente pochi perchè non si è ancora sparsa la voce, la riorganizzazione è recente, ma siamo certi che ne arriveranno…”. Anche perchè così vuole il patto tra scafisti e jihadisti, destinato ad estendersi anche all’Algeria.

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on lunedì, Ottobre 9th, 2017 at 20:47 and is filed under denuncia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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