Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA CHIEDE IL RECUPERO DELLE AGEVOLAZIONI IRREGOLARI… L’ATTUALE GOVERNATORE DEL VENETO TOLSE AD EQUITALIA LA RISCOSSIONE DEL DOVUTO PER FAVORIRE CHI AVEVA TAROCCATO I CONTI
L’Italia ha agito violando le regole comunitarie concedendo la rateizzazione dei pagamenti delle multe sulle quote latte, generando aiuti di Stato incompatibili con il diritto dell’Ue che significano rischio procedura di infrazione.
La Corte di giustizia europea chiede il recupero delle agevolazioni irregolari, e questo vuol dire che se l’Italia non dovesse rispondere allora la Commissione si troverebbe costretta ad avviare l’iter la cui conclusione è quella di possibili multe.
Le autorità nazionali devono esigere dai produttori di latte il versamento di interessi non versati dal 2003 a oggi, il cui calcolo spetterà all’esecutivo comunitario.
La decisione presa a Lussemburgo si aggiunge a quella già presa a luglio sempre contro politiche nazionali a sostegno del settore, bocciando quindo l’intero operato nazionale nella gestione della questione.
Rateizzazione unilaterale, rischio infrazioni
Ci sono due cause aperte contro l’Italia per la questione delle quote latte. La decisione della Corte di giustizia europea si riferisce alla decisione presa dall’Italia tra il 2010 e il 2011 (governo Berlusconi, con Giancarlo Galan ministro delle Politiche agricole all’epoca dei fatti), quando con decreto e successiva legge di conversione ha concesso ai produttori di latte un differimento di sei mesi, dal 31 dicembre 2010 al 30 giugno 2011, i pagamenti delle penalità per l’eccesso di produzione tra il 1995 e il 2002.
In base alle regole allora in vigore, ogni Stato membro aveva un tetto massimo (quote, per l’appunto) di produzione del prodotto, oltre il quale si incorreva in penalità da pagare al governo nazionale, che poi avrebbe versato la somma all’Ue. Commissione e Consiglio Ue avevano concesso il recupero delle somme a interessi zero fino al 31 dicembre 2010, ma l’Italia ha concesso unilateralmente la proroga.
È proprio questa misura adottata senza confronto in sede comunitaria il motivo del contenzioso portato dall’esecutivo comunitario di fronte alla Corte, che oggi riconosce le ragioni di Bruxelles.
Agendo unilateralmente, l’Italia ha generato aiuti di Stato illegali, e dovrà ora recuperare gli importi economici.
Impresa non facile, dato che nel frattempo alcune imprese non operano più sul mercato.
Non solo: considerato che nel frattempo parte delle penalità sono state pagate, andrà calcolato quanto l’Italia dovrà versare.
La Commissione Ue, nella decisione che ha generato la causa con l’Italia, rileva che «il costo della proroga è imputato su una dotazione globale di 5 milioni di Euro destinata a molteplici fini». E’ sulla base di questa cifra che dovranno essere fatti i calcoli.
Dopodichè se l’Italia non recupererà tutto quello che le verrà richiesta, si rischierà l’apertura di una procedura di infrazione che può significare nuove cause in Corte di giustizia e rischio multe.
Sull’Italia pende anche la «causa Zaia», qui si rischiano multe
Multe l’Italia rischia di doverle pagare per l’altra causa aperta sempre la questione delle quote latte.
Si riferisce a un’altra decisione del governo Berlusconi, ma quando alle Politiche agricole c’era Luza Zaia, oggi governatore della Regione Veneto.
Anche qui il problema è sempre relativo allo «sforamento» dei tetti massimi di produzione.
La causa su cui la Corte di Lussemburgo deve pronunciarsi a breve si riferisce agli eccessi registrati tra il 1995 e il 2009.
L’Italia ha sempre prodotto più di quanto avrebbe dovuto, e avrebbe dovuto esigere ogni anno il pagamento della penale da parte dei produttori.
Non è successo, perchè all’epoca Zaia evitò agli «splafonatori» di non mettere mani al portafogli, togliendo a Equitalia il potere di riscossione e permettendo pagamenti rateali alle aziende.
La Commissione stima che su un totale di 2,3 miliardi di euro, 1,7 miliardi non siano ancora stati rimborsati.
Parte di questo importo sembra considerato perso o rientra in un piano a tappe di 14 anni, ma la Commissione stima di questi 1,7 miliardi.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
IMPOSSIBILI ANCHE LE LARGHE INTESE
Se si votasse oggi con il Rosatellum, nessun partito e nessuna coalizione si avvicinerebbe
neanche lontanamente alla maggioranza assoluta dei seggi.
L’aula del Senato ha approvato le cinque fiducie poste su altrettanti articoli della legge elettorale e il percorso del provvedimento è ormai chiuso, mancando solo il voto finale. Ma una simulazione molto dettagliata di Youtrend condotta per l’agenzia Agi mostra come, se si andasse a votare oggi, non ci sarebbe alcuna chance per una maggioranza di governo.
Come riporta l’Agi, a differenza delle altre elaborazioni statistiche uscite in questi giorni, quella di YouTrend tiene conto della distribuzione territoriale del voto in diversi scenari applicandola agli effettivi collegi uninominali ritagliati per il Senato dalla legge Mattarella e che, salvo variazioni, saranno utilizzate per la Camera dei Deputati secondo quanto previsto dal nuovo Rosatellum.
Si tratta quindi di una simulazione che tiene conto non solo del voto proporzionale ma anche di quello maggioritario attraverso i collegi uninominali previsti dal Rosatellum. L’ipotesi da cui Youtrend parte è che con il Rosatellum si fronteggino le seguenti coalizioni: Centrodestra (FI, Lega, FdI, che nei sondaggi oggi hanno complessivamente il 32,9%); Centrosinistra (Pd e AP, che vantano 29,5%); M5s con il 27,6%; Sinistra (Mdp e Si) oggi stimati al 5,2%.
Ebbene, non tenendo conto dei 12 seggi assegnati in base al voto degli italiani all’estero, la coalizione di centrodestra porterebbe a casa 221 seggi alla Camera, un centinaio in meno rispetto a quanto servirebbe per governare.
Ancora più lontano M5s che non andrebbe oltre i 189 seggi, mentre la coalizione di centrosinistra, pur giovandosi dell’eventuale appoggio dei 4 seggi dei partiti autonomisti Svp e Union Valdotaine, arriverebbe a quota 186.
Ma a far prevedere scenari di estrema incertezza all’indomani del voto è il fatto che anche l’ipotesi di una grande coalizione avrebbe numeri insufficienti.
Pd, FI, Ap e i partiti autonomisti si fermerebbero ad appena 242 seggi. Per arrivare a quota 320, bisognerebbe che la quasi totalità dei candidati di centrodestra vincenti nei collegi uninominali (78 su 85) appartenessero a FI.
Scenario, questo, alquanto improbabile dal momento che, con ogni probabilità , sarà la Lega a fare incetta di collegi nel nord Italia.
YouTrend tiene comunque a sottolineare che i sondaggi non sono strumenti di previsione: ci dicono, tutt’al più, come stanno le cose oggi, ma difficilmente possono essere usati per dire con certezza quale sarà il risultato di un’elezione che si terrà diversi mesi dopo.
Per questo motivo, non si può escludere del tutto che un partito o una coalizione vinca le prossime elezioni con ampio margine sugli avversari.
In quest’ultimo se le prossime elezioni dovessero regalare gli stessi risultati delle Europee 2014, avremmo un ‘effetto valanga’ a favore dei dem e dei suoi alleati minori, con la conquista della quasi totalità dei seggi, mentre gli avversari dovrebbero accontentarsi di pochissimi seggi.
In tal caso, si verificherebbe, insomma, quella che in inglese si definisce una vera e propria ‘landslide.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
QUELLO CHE VUOLE ARRESTARE I PARLAMENTARI PRANZA BEATO IN MEZZO AI LADRI
Sì, vabbeh la rivoluzione, ma io ho fame.
Il generale Antonio Pappalardo, leader del Movimento Liberazione Italia, è stato fotografato dal senatore Stefano Esposito mentre pranzava in Senato a Palazzo Madama con un commensale.
L’agenzia DIRE scrive che il generale ha potuto apprezzare tra le altre cose pasta broccoli e alici, trippa alla romana, zuppa di ceci, girello di vitella ripieno, porchettato.
Oltre ovviamente ad antipasti, contorni e creme gelato, il tutto a 10 euro, con formula all you can eat.
“Quello che vuole arrestare parlamentari, destituire Governo oggi pranza beato, in mezzo ai ladri, al ristorante del Senato”, ha scritto Esposito su Twitter.
Pappalardo ha titolo per frequentare il ristorante del Senato, essendo stato parlamentare eletto come indipendente nelle liste del Psdi.
Solo un paio di settimane fa Pappalardo lanciava l’ultimissimo ultimatum mentre i suoi celebravano l’arresto dell’onorevole Ettore Esposito.
Poi qualcuno era stato espulso dal suo MLI in quanto considerato traditore della patria. Adesso il pranzo. Gnam.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
SEDUTO E AFFATICATO, NAPOLITANO CRITICA LA FORZATURA SUL ROSATELLUM E FA I CONTI CON UNA SCONFITTA CHE IN FONDO E’ ANCHE SUA
Alle 12,15 il presidente Grasso annuncia: “La parola al senatore Giorgio Napolitano. È
autorizzato a parlare da seduto”.
Il presidente emerito, 93 anni, è al suo scranno. La fatica, stavolta, impedisce di stare in piedi.
Sul banco è stata montata una luce da tavolo, per favorire meglio la lettura delle sette cartelle.
Tono pacato, sobrio, a tratti pedagogico, nell’analizzare un’esigenza giusta, la legge elettorale, oggetto di appelli sollecitazioni, stimoli al Parlamento non colti negli anni del suo doppio mandato, portata ora avanti in modo sbagliato, con una “compressione” del ruolo del Parlamento: “Quali forzature – dice entrando subito nel tema – può produrre il ricorso a una fiducia che sancisca la totale inemendabilità di una proposta di legge estremamente delicata?”.
L’Aula, che ormai non ha più la solennità di un tempo, per una volta è avvolta da un silenzio denso.
È l’immagine di un uomo dello Stato, di un combattente per cui la politica, come scrisse il suo maestro Giorgio Amendola, è scelta di vita e grande passione laica.
La politica come storia in atto, come iniziativa razionale nella situazione che ogni volta si determina, non come testimonianza, celebrazione o autocelebrazione, alla ricerca dell’effetto, della popolarità , del facile consenso. Fino all’ultimo.
C’è tutto il senso dei tempi nell’immagine: l’ex capo dello Stato, vecchio comunista cresciuto in duri anni brechtiani che, cartella dopo cartella, si aiuta anche con una lente di ingrandimento nella lettura, ma non rinuncia a sottolineare le incongruenze di una legge pasticciata; i banchi della destra berlusconiana, che già si sente establishment di governo, e poco importa se con Salvini o con Renzi, deserti; il Pd che ascolta, senza mai – mai – applaudire, ma senza neanche tanto imbarazzo di fronte a critiche severe, sul metodo su una legge imposta con la fiducia e discutibile su molti punti.
Con una certa malizia, Napolitano prende a paragone il Mattarellum, la legge scritta dal suo taciturno successore al Colle, per sottolineare come sarebbe stata “coerente” la scelta del voto disgiunto, ovvero la “netta distinzione tra candidature nei collegi e quelle nelle liste dei partiti”
In fondo, nel discorso, nel fare i conti con la situazione concreta di una legge elettorale approvata in questo modo, alla fine di una legislatura che iniziò con l’inedito del suo secondo mandato – ricordate quel “fate le riforme o ne trarrò le conseguenze” – c’è tutto il fallimento di questa fase e una sconfitta storica da cui l’ex capo dello Stato non si tira fuori.
Ma di cui, al tempo stesso, individua il principale responsabile. Si capisce quando parla dell’attuale governo come di una vittima di pressioni extraparlamentari, da parte del segretario del suo partito: “Il presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire a quella richiesta, e me ne rammarico…”.
Parole accompagnante da uno scatto delle braccia, che si allargano in avanti, unica volta nei diciassette minuti di intervento.
Il non detto è che tra la fiducia e un dibattito eterno ci sono parecchie alternative e sfumature: si poteva mettere la fiducia su alcuni punti, selezionare ambiti di discussione consentendo un minimo di discussione.
Le forzature, invece, recano con sè uno strascico di veleni e di macerie, col governo più debole e più debole, al tempo stesso, quell’idea di centrosinistra largo auspicato da Napolitano, Prodi, Letta.
Ma soprattutto macerie nelle istituzioni.
Perchè l’accordone di Sistema tra Pd, Lega Forza Italia e centristi è una manovra, in qualche misura, extra-istituzionale, in cui i leader salvano se stessi e tirano su un meccanismo perfetto per far fuori gli altri.
Una pressione sulle istituzioni e non delle istituzioni, in nome di un disegno generale, che è poi il tratto fondamentale della presidenza di Napolitano, ultimo paladino delle istituzioni, proprio come insegnava il vecchio Pci.
C’è un segno di coerenze nelle sue critiche all’attuale legge elettorale e alla forzatura della fiducia, perchè certo la sua presidenza fu caratterizzata da pressioni, moniti, moral suasion, e da una interpretazione interventista e assai poco notarile del mandato, ma sempre nel solco di una impostazione che parte dalla difesa delle istituzioni, e dunque dalla necessità di una loro riforma.
E non è un caso che, al netto del rammarico, alla fine come si dice in gergo il titolo è su Gentiloni: “Ho compreso la difficoltà del presidente del Consiglio che ho stimato e stimo per il modo in cui ha guidato e guida il paese”.
L’Europa, l’importanza della stabilità , la tenuta del paese. Napolitano prova ad aiutare il premier, nell’immediato su Bankitalia, e a tenere aperta la prospettiva di un discorso a sinistra, dopo le elezioni siciliane.
Ed è evidente che, alla fine, ha annunciato che avrebbe votato la fiducia, perchè il contrario avrebbe indebolito il governo, già abbastanza ammaccato dalla clava renziana.
Forse è poco, forse dal punto di vista del presidente emerito è il possibile nelle condizioni date, in un’epoca che legge con pessimismo, come un’epoca di decadenza e di crisi, di “faziosità “, “scontri di potere”, “personalismi dilaganti come mai” in cui sembra che la stessa democrazia stia “perdendo la ragione”: “È il momento di sollevare lo sguardo dallo scontro quotidiano, dalle sue angustie e dalle sue nevrosi di fine legislatura”.
Alle 12,32 un applauso composto, rispettoso, distante. E torna il consueto brusio dell’Aula di questi tempi.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
OGGI SCOPRIAMO CHE ROMA ADERIRA’ AL PATTO DEI SINDACI: PECCATO LO ABBIA GIA’ FATTO NEL 2009
Virginia Raggi ha annunciato su Facebook che grazie all’opera della sua amministrazione “Roma è sempre più ad emissioni zero, una città più sostenibile e resiliente”.
Finalmente, scrive la Sindaca, sarà avviato un percorso virtuoso “per rendere Roma più sostenibile e per migliorare concretamente la qualità della vita di noi cittadini”.
Peccato però che quel percorso sia già stato avviato anni fa e che al solito la Raggi si prenda i meriti delle precedenti amministrazioni (e non è la prima volta).
La Raggi ha infatti scritto che a breve verrà presentata in Assemblea Capitolina la proposta di adesione della città di Roma al “Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia” (PAESC).
Si tratta di un’iniziativa promossa dalla Commissione Europea per coinvolgere attivamente le città nel percorso verso la sostenibilità energetica e ambientale. Il problema è che Roma ha aderito al Patto dei Sindaci già nel 2009, per la precisione il 18 giugno di quell’anno quando il sindaco era Gianni Alemanno.
Non è poi così difficile verificare l’inesattezza delle informazioni fornite dalla Raggi. È sufficiente andare sul sito del PAESC e cercare Roma tra le città che hanno già aderito. Ne emerge che anche il Piano d’Azione è già stato presentato, contrariamente a quanto sostiene la Raggi che spiega che la sua amministrazione sta “realizzando” il Piano d’Azione che verrà approvato entro il 2019.
Risulta infatti che la Capitale ha presentato e approvato nel 2013 un Piano d’Azione con la quale si impegna a ridurre le emissioni di CO2 sul proprio territorio del 20% entro il 2020.
Ora la Raggi sostiene che l’Amministrazione pentastellata si impegnerà a ridurre le emissioni di CO2 del 40% ma entro il 2030.
Esattamente come previsto e chiesto nel 2015 su proposta del Commissario Miguel Arias Caà±ete. Due anni fa la Commissione europea e il Patto dei Sindaci hanno avviato infatti un processo di consultazione sul futuro del Patto dei Sindaci per una sua eventuale revisione.
Si legge sul sito del PAESC che la risposta «è stata unanime: il 97% ha chiesto di andare oltre gli obiettivi stabiliti per il 2020 e l’80% ha sostenuto una prospettiva di più lungo termine. La maggior parte delle autorità ha inoltre approvato gli obiettivi di riduzione minima del 40% delle emissioni di CO2 e di gas climalteranti entro il 2030».
Estella Marino, ex Assessore all’Ambiente della giunta Marino, ricorda che Roma aderì nel 2015 al “Covenant of Mayors” una versione aggiornata e su scala globale del Patto dei Sindaci aderendo agli impegni del nuovo Patto.
L’adesione e gli impegni presi però — anche a causa della caduta di Ignazio Marino — sono rimasti lettera morta.
E a guardare il sito del Global Covenant of Mayors for Climate and Energy non sembra che qualcuno si sia preso la briga di far aggiornare le informazioni riguardo Roma.
Dal momento che a partire da ottobre 2015 i firmatari del Patto si impegnano ad adottare un approccio integrato per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, si legge nel sito del PAESC che “essi devono sviluppare Piani d’azione per l’energia sostenibile e il clima con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 almeno del 40% entro il 2030 e ad aumentare la resistenza ai cambiamenti climatici entro due anni dall’adesione“.
Questo significa che Roma avrebbe avendo aderito nel 2015 avrebbe dovuto presentare il nuovo Piano d’Azione aggiornato agli obiettivi del 2030 entro il 2017. Per la Raggi invece è un successo riuscire a farlo nel 2019, perchè secondo la Raggi Roma aderirà “a breve” a qualcosa cui ha già aderito.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
“PRONTO A RIFARE L’UDEUR”
“Rosatellum bis? Mi piace. Sono pronto a rimettere in piedi l’Udeur, l’ho detto da prima
che venisse approvata questa legge elettorale”.
Lo afferma ai microfoni di Ecg Regione (Radio Cusano Campus) il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, che aggiunge: “Lo devo un po’ a tutti quelli che sono stati scarificati per colpa mia e che erano con me dopo le mie vicende giudiziarie. Ci hanno tatuato ed effigiato come se fossimo i malfattori della vita pubblica italiana. E’ un fatto di orgoglio, poi arriveremo allo 0,1 % , però non conta solo il dato politico. In ogni caso, questa formula della nuova legge elettorale va bene per chi è insediato in una serie di territori, soprattutto nell’Italia Meridionale. Anche forze come la mia possono diventare determinanti”.
Poi l’attacco al deputato M5s, Luigi Di Maio: “Mi critica perchè voglio rifondare l’Udeur? Ci sono anche stewart come lui senza arte nè parte che fanno politica, perchè non potrei farla io o miei amici dell’Udeur? Lui minaccia e fa tutta questa cagnara, ritenendo che la legge elettorale sia una cosa che gli crea problemi e poi io non posso fare politica. Che democrazia è questa? Vuole una democrazia in cui comanda solo lui? Allora si faccia una legge speciale, dicendo che il giovane fighetto Di Maio è quello che deve fare il premier per l’Italia”.
“Fanno casino per ragioni democratiche” — continua — “e poi se arriva un piccolo partito come il mio si preoccupano? Di Maio pensi ai cavoli suoi, tanto il premier, spero, non lo farà mai. Meglio un Paese schiavo dei piccoli partiti che un Paese schiavo e prigioniero politico di Di Maio, tanto per essere chiari”.
Nel finale, Mastella racconta il suo celebre selfie estivo con il cantautore statunitense
Lenny Kravitz
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
IN 28 ANNI DI SERVIZIO A SAN VITTORE SI PRODIGO’ PRER MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI VITA DEI RECLUSI E CONSENTIRE LORO DI SVOLGERE UN LAVORO
Il 20 aprile 1978 il vicecomandante del carcere di San Vittore, Francesco Di Cataldo, classe 1926, sposato con due figli, venne ucciso da due terroristi delle Brigate Rosse mentre camminava verso la fermata del filobus per andare a lavorare.
Nei suoi 28 anni di servizio nel penitenziario milanese, Di Cataldo si prodigò per migliorare le condizioni sanitarie dei detenuti e, soprattutto, per dare loro la possibilità di svolgere un lavoro.
Da mercoledì (cerimonia alle 11) il carcere di San Vittore sarà intitolato a Di Cataldo. Pubblichiamo la lettera con cui lo ricorda il figlio Alberto, che all’epoca aveva 19 anni
Caro papà
quella sera entrasti in casa con un grosso interruttore elettrico. Lo passavi da una mano all’altra e lo guardavi felice come un bambino. Perchè quell’euforia? Cominciai a capirlo mesi dopo. E precisamente da quando, alle 7 e 10 del 20 aprile 1978 mi affacciai al balcone e ti vidi disteso per terra, supino. Scesi le scale appena in tempo per vedere i tuoi occhi verde azzurro sgranati. Un lenzuolo bianco scese sul tuo corpo e noi due non potemmo più parlarci.
Tutta colpa di quell’interruttore. E delle prime lavorazioni manuali che dall’esterno si introducevano in carcere. Nelle mani impazienti dei detenuti di San Vittore, il carcere di cui eri vicecomandante e punto di riferimento per molti, l’assemblaggio manuale rafforzava la tua convinzione di sempre: il lavoro.
Il lavoro è la principale attività per la rieducazione dei condannati. Molti tuoi colleghi condividevano, qualcuno diffidava ma tu andasti avanti. Caparbio come solo tu sapevi essere e come ben dissimulavi, metodico, col tuo atteggiamento gentile e disponibile verso tutti: detenuti e agenti, magistrati, avvocati e operatori del carcere. Potevi tu in quei giorni, con quell’interruttore in mano e con Aldo Moro «in prigione», duellare con chi aveva aperto la campagna contro le carceri? Con chi, misero e fanatico, ti spacciava torturatore di detenuti come scrissero nel volantino di rivendicazione le Brigate rosse?
Che smarrimento e che disperazione nei mesi successivi. In casa nostra come a San Vittore. Noi figli con la mamma barcollammo parecchio e alcuni agenti non ressero il trauma e si congedarono.
Pareva tutto perduto. Poi iniziammo a ricostruire, perchè poco sapevamo visto quanto eri riservato, i tuoi 28 anni ininterrotti a San Vittore. Dal viaggio di studio penitenziario in Inghilterra, Portogallo e Spagna nel maggio del 1953 alla paziente realizzazione di migliori condizioni sanitarie dentro il carcere.
Sei stato maresciallo e hai anche diretto la farmacia, hai preso il diploma di infermiere e pure il brevetto di tecnico radiologo. E poi il lavoro in carcere: gli apparati elettrici, le biro e le altre lavorazioni.
Un’attività incessante, con cui tu, insieme a molti tuoi colleghi del tempo, hai gettato le basi solide per il dopo. È stato un crescendo, papà . A fianco di San Vittore è nato il carcere di Opera e poi quello di Bollate.
Dentro le carceri milanesi ci sono panettieri, florovivaisti e liutai. Meccanici, muratori e falegnami. E cuochi, naturalmente. Con tanto di ristorante dentro il carcere di Bollate. Addirittura, e sicuramente sorrideresti divertito, le detenute di San Vittore cuciono le toghe per i magistrati.
Non è stato facile e moltissimo resta ancora da fare. Ma avevi ragione tu. Il lavoro ai detenuti abbatte la recidiva da oltre il 70% a meno del 19%. In alcuni casi al 12%. A Milano. Lavoro vuol dire meno detenuti in carcere. Minor spesa pubblica e più sicurezza. Che onore al concittadino Cesare Beccaria, ai suoi delitti e alla sua concezione delle pene.
Milano… la tua amata Milano. E dove potevi sbarcare se non qui, nel 1950, appena 24enne provenendo da Barletta?
§Da quella città pugliese dove ogni estate abbiamo trascorso vacanze di indimenticabile allegria ma sempre dominate dal solito imperativo: il lavoro! Noi, da milanesi in vacanza, ci scappava di fermarci a rimirare il mare o il magnifico Castello Svevo. Subito zii e cugini ci riprendevano stupiti: uagliò, embè, che stai a fare?
Bisognava cimentarsi comunque in qualcosa: lavorare in campagna, aiutare lo zio in negozio o fare la spesa. Per forza. Quella forza originaria fatta di intelligenza e di tanta perseveranza che hai portato dentro San Vittore.
Un lavoro tenacissimo e silenzioso, lontano da quei gesti eclatanti e momentanei, spacciati come risolutivi di cui tanto diffidavi. Il lavoro di lunga durata, l’unico che lascia tracce che altri, dopo di noi, non possono cancellare. Per me, dirigente pubblico, è tuttora l’insegnamento più potente che mi hai lasciato.
Oggi Milano è un esempio, non solo nazionale, del tentativo permanente di rieducare i detenuti. Vi partecipano le carceri, gli altri enti pubblici e un numero impensabile di associazioni, cooperative e singoli volontari.
Dentro questo immenso, faticoso e necessariamente incompleto lavoro trovo sempre una traccia di te. Passando da Piazza Filangieri 2, un simbolo di Milano come il Carcere di San Vittore si chiamerà , da oggi, San Vittore-Francesco Di Cataldo. Credo che tu te lo sia meritato. Sei stato sicuramente un bravo funzionario dello Stato. E sei stato un buon padre. Assente da quarant’anni, ma sempre presente. Fino a togliere il respiro.
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
ESPLODE LA POLEMICA SU UN LIBRO DI TESTO CHE VUOL FAR CREDERE CHE GLI IMMIGRATI SIANO UNA MINACCIA
Profughi come clandestini? E quell’integrazione, difficile, che vede i residenti considerare
gli “immigrati” una “minaccia”.
Un sussidiario usato in una scuola primaria pubblica di Monza — e in altri istituti in tutta Italia — fa scoppiare la polemica sui social e la trasferisce al mondo politico.
Nelle due schede oggetto della contesa si parla prima di “cervelli in fuga” italiani e poi di “clandestini”.
“È aumentata la presenza di stranieri provenienti soprattutto dai paesi asiatici e dal Nordafrica”, si legge nel testo destinato alla scuola primaria.
“Molti vengono accolti nei centri di assistenza per i profughi e sono clandestini, cioè la loro permanenza in Italia non è autorizzata dalla legge” ( e qui l’ignoranza o il tarocco è evidente)
La foto della pagina viene postata da una mamma e rilanciata dal Baobab, realtà che dal 2015 si occupa di migranti transitanti a Roma.
“Qualcuno deve risponderne”, scrivono i volontari. “Nelle nostre città gli immigrati vivono spesso in condizioni precarie: non trovano un lavoro, seppure umile e pesante, nè case dignitose”, si legge ancora nel libro.
“Perciò la loro integrazione è difficile: per motivi economici e sociali, i residenti talvolta li considerano una minaccia per il proprio benessere e manifestano intolleranza nei loro confronti”.
“È inaccettabile, non solo per un genitore”, dice Sara, la mamma che ha pubblicato la foto del libro. “Giuridicamente un profugo non è un clandestino. Perchè farlo credere ai bambini?”.
Nel paragrafo precedente si legge, parlando di italiani: “Molti giovani laureati non riescono a trovare un lavoro qualificato. Perciò tanti si trasferiscono all’estero, dove sperano di trovare un’occupazione adeguata al loro livello di studio e al loro talento: è la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’. Questo fenomeno è un danno per il nostro paese, perchè perde persone capaci e preparate, che potrebbero contribuire allo sviluppo dell’Italia”. “Perchè far credere loro che gli italiani all’estero sono ‘fuga di cervelli’ e gli immigrati un peso sociale e un pericolo?”, si chiede ancora Sara. “Quando la smetteremo di far pensare alla gente che gli immigrati sono brutti e cattivi? Ecco, vedere l’ennesimo tentativo, ma rivolto a bambini, è davvero inaccettabile”.
“Questi libri sono stati adottati per formare i cittadini di domani all’intolleranza. Chi ha scelto questo testo?”, si chiede l’ex sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini.
Viene criticata anche la copertina del libro dal titolo “Diventa protagonista”, scritto da Berardi, Giorgi e Rubaudo per Il capitello: da un lato un bimbo con casco da cantiere impegnato a studiare un progetto da ingegnere o architetto. Accanto a lui una ragazzina con abito ancellare che trasporta un vaso in testa.
La casa editrice torinese interviene: “In caso di eventuali inesattezze c’e’ totale disponibilità a cambiare. Se abbiamo scritto qualcosa di sbagliato chiederemo a tutti di darci dei suggerimenti per una correzione idonea che possa dare spiegazioni con termini semplici, visto che ci rivolgiamo a bambini delle elementari”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
E ORA IL MALESSERE CAMBIA OBIETTIVO: “IL COMUNE DEVE DARCI I SETTE MILIONI PROMESSI”
Due piazze: un corteo con le fiaccole e un presidio con le bandiere rosse poco lontano. Però l’elemento in comune c’è, cioè la scarsa partecipazione a un rito sembrato stanco, sia di qui che di là .
Come se la vicenda di Multedo fosse ormai arrivata al capolinea, dopo settimane di passione.
Il corteo degli anti-migranti (circa 200, un terzo rispetto all’ultima volta), gli irriducibili contrari all’arrivo anche di un solo rifugiato, è passato per Sestri Ponente tra l’indifferenza generale e al massimo il fastidio degli automobilisti in coda all’ora di cena.
Segno che la battaglia “nimby”, cioè “non nel mio cortile”, ha fatto breccia solo tra chi quel cortile lo abita
In apertura c’era uno striscione con una frase di papa Giovanni Paolo II, “la fiducia non si acquista non la forza”. Un modo quasi a rivendicare la natura cattolica e moderata degli abitanti coinvolti nella protesta, ma una natura di osservanza più conservatrice e identitaria rispetto alla versione sociale di Francesco.
“Non siamo contro i migranti ma rivogliamo solo l’asilo”, è il mantra a uso e consumo delle telecamere e dei taccuini.
Nessun cartellone truculento come quelli visti nei giorni scorsi, minacce comprese a Don Giacomo Martino, nessuna partecipazione di Casapound al corteo, nonostante fosse stata annunciata venerdì scorso: una protesta “ripulita” insomma.
Nella consapevolezza che i toni si erano evidentemente alzati troppo, oscurando le ragioni del comitato
Rimarranno quindi i 12 ospiti sgraditi nella struttura dell’ex asilo, ma ora – promettono da Multedo – il fiato sul collo lo faranno sentire al Comune, il quale nei giorni scorsi ha promesso sette milioni di euro a mo’ di indennizzo per il quartiere. “Siamo pronti a sfilare sotto Palazzo Tursi, se necessario”, promette una delle portavoce e organizzatrice, Simona Granara
Fin qui il primo raduno, terminato in piazza Baracca (con anche lì il volantinaggio contrapposto dell’Anpi).
E l’altro? La divisione fisica tra le due ali è su via Reggio, all’altezza del casello autostradale di Genova Pegli.
Al di là del passaggio pedonale, teatro dei tanti blocchi stradali delle ultime settimane, ecco una quarantina di persone con il simbolo della falce e il martello sui drappelli. “Noi non ce l’abbiamo con i manifestanti che stanno qui ma chi si infiltra e sinora ha buttato benzina sul fuoco”, spiega Maurizio Natale, segretario genovese di Rifondazione Comunista. “Basti pensare all’assessore Stefano Garassino e ai calci nel sedere che ha promesso a chi chiede l’elemosina”.
Per i manifestanti di Rifondazione, supportati dai centri sociali Zapata e Tdn e dal Partito Comunista dei lavoratori, chi abita a Multedo ha il diritto di manifestare la situazione di disagio ma non certo per i migranti. “Vorremmo che gli abitanti del quartiere si concentrassero con problemi ambientali di Multedo, come i depositi chimici in mezzo alla case, il porto e l’autostrada”, aggiunge Natale.
“È invece strano che un quartiere operaio e storicamente accogliente ora si arrabbi con gli ultimi degli ultimi”.
Nel presidio, anche Stefano Kovac, presidente genovese di Arci. “L’accoglienza verso le persone ci sembra il minimo sindacale”, spiega.
“Le persone in fiaccolata sono spaventate, e la paura è un sentimento rispettabile. Ma nemmeno sanno cosa significa essere un rifugiato”. I problemi sono altri, insomma, e “i dodici immigrati non sono la causa di tutto”, recitava un volantino.
Nel frattempo nell’asilo “incriminato” di via delle Ripe una signora del quartiere è andata a bussare: aveva con sè una torta di benvenuto per i richiedenti asilo.
Una delle prime reali e concrete manifestazioni di umanità nei confronti di persone in carne e ossa.
(da “La Repubblica”)
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