Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
CON LA REGOLA DEI DUE MANDATI, DI MAIO SI GIOCA ORA LA CARTA… STANDO FERMO UN GIRO, DIBBA E’ PRONTO A SOSTITUIRLO SE DI MAIO RACCOGLIERA’ UN PUGNO DI MOSCHE
“In maniera molto leale e sincera sono qui per darvi una notizia: ho deciso di non
ricandidarmi in Parlamento alle prossime elezioni. È una scelta mia, non è legata al Movimento”.
Lo annuncia Alessandro Di Battista durante una diretta Facebook sulla sua pagina. “Ma — precisa — non lascio il Movimento, non succederà mai. E’ una mia seconda pelle. Lo sosterrò sempre ma al Di fuori dei palazzi istituzionali”.
La decisione di Di Battista era stata anticipata in due occasioni dai giornali: lui li aveva smentiti.
La scelta di non ricandidarsi in Parlamento non deriva da “nessun dissidio con Beppe e Luigi, farò la campagna elettorale da non candidato. Non ci sono divisioni, il Movimento è più unito che mai”, ha aggiunto Di Battista.
All’epoca — era la fine di settembre — si diceva che Di Battista pensava di non ricandidarsi per potersi così ripresentare senza violare la regola dei due mandati.
Così, lo sta dicendo ai suoi colleghi più vicini: “Penso di non ricandidarmi, potrei fare anche altre cose”. Per esempio altri libri, visto che il primo, A testa in su, ha venduto tantissimo. Una prospettiva che preoccupa già i vertici. E che apre scenari a medio termine. Perchè un Di Battista fermo a guardare sarebbe un’incognita. Anche e innanzitutto per il M5S, fermo alla regola dei due mandati.
Il secondo Di Maio se lo giocherà ora. E la scommessa è di quelle complicate.
A legislatura finita, magari anche in fretta se le elezioni non dessero un vero vincitore, il Di Battista rimasto ai box sarebbe pronto.
Un Coriolano che potrebbe riprendere “a fare il culo al sistema, andando in giro con una moto”, come si è autocelebrato ieri.
E a farlo lui, il discorso per Palazzo Chigi.
Ora intanto c’è un altro film, quello con Di Maio candidato: anche per mancati rivali.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
M5S SALE AL 28%, PD SCENDE AL 25,6%…. FORZA ITALIA IN ASCESA AL 14,2%, CONTINUA IL CALO DELLA LEGA AL 13,4… SCENDE FDI, STABILI GLI ALTRI
Il sondaggio settimanale di Emg per La7 vede rafforzarsi la tendenza delle ultime settimane.
Il M5S guadagna lo 0,3% e raggiunge quota 28%.
Nel centrosinistra continua la flessione del Pd che perde lo 0,4% e raggiunge la percentuale che aveva Bersani prima dell’avvento di Renzi, ovvero il 25,6%, mentre AP non si schioda dall’ 1,8% ‘Udc dallo 0,9%, il Psi dallo 0,8% e Pisapia dallo 0,7%.
A sinistra Mdp guadagna lo 0,1% e raggiunge il 3,4%, mentre è stabile all’ 1,9% Sinistra Italiana.
Nel centrodestra continua a salire Forza Italia (+0,2%) che arriva al 14,2% mentre continua a perdere consensi la Lega (-0,3%) che scende al 13,4% e perde lo 0,2% anche Fdi che si ferma al 5,2%.
Come coalizione il Centrodestra scende intorno al 34%, segue il centrosinistra intorno al 30%, chiude il M5S al 28%, mentre la Sinistra è poco sopra al 6%.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
22 POSTAZIONI SU 48, COI PARENTI ANCHE DI PIU’… GRAZIE AL REGOLAMENTO DEL M5S, A ROMA NON CAMBIA MAI NULLA
La Festa della Befana, per quest’anno e per i successivi nove, assegna direttamente alla
famiglia Tredicine 22 postazioni tra le 48 per le attività commerciali e artigianali, più 3 per le attività varie.
Ma non solo, perchè se si calcolano anche i parenti con un cognome diverso, i posteggi assegnati a nomi già noti sono molti di più.
Del resto, la graduatoria del bando emanato dal Campidoglio, pubblicata oggi, a parità di tutti i requisiti, assegnava all’anzianità il compito di fare la differenza, così come stabilito per la categoria delle Fiere, di cui, nonostante i tentativi di cambiamento, la Festa della Befana fa parte.
In tutto, le postazioni messe a bando per piazza Navona erano 28 per la vendita di prodotti natalizi, 20 per la vendita di prodotti artigianali e 8 per attività varie, tra cui la vendita di palloncini.
Nelle 28 postazioni dedicate al commercio su area pubblica, a farla da padrone sono Donatella, Mario, Dino, Elio, Alfiero, Stefano e Mario Tredicine.
Se si considerano i banchi per la vendita di alberi di Natale, addobbi natalizi e presepi, due banchi saranno gestiti da Donatella Tredicine e uno da Mario.
Sei i banchi Tredicine che venderanno giocattoli, mentre 13 sono quelle assegnate loro nella categoria dolciumi.
Tre, infine, quelle andate ai Tredicine per la vendita dei palloncini. Per quanto riguarda le attività artigianali, ne sono state assegnate soltanto nove sulle venti messe a bando.
Saltata per tre anni di seguito, la Festa della Befana è stata al centro di una querelle molto animata tra il I Municipio, che fino allo scorso anno aveva il compito di pubblicare il bando, e il Campidoglio targato Cinque stelle.
Poco dopo l’insediamento della Giunta pentastellata, la presidente della City, Sabrina Alfonsi, aveva scritto alla sindaca Raggi per chiedere che la Festa fosse tolta dalla categoria delle Fiere, in modo da aprire il bando anche agli altri operatori.
In più, il Municipio chiedeva al Campidoglio di farsi carico del bando, visto il carattere cittadino della manifestazione.
Tant’è, dopo mesi di sedute dedicate all’argomento, e sempre con tutti gli operatori presenti, la commissione Commercio non era riuscita a emanare l’avviso per il 2016. Poi, la delibera Coia ha stabilito definitivamente il carattere di Fiera della Festa, chiudendo dunque agli altri operatori e dando al criterio dell’anzianità un ruolo di primo piano.
La graduatoria di quest’anno, poi, sarà valida per 9 anni, così come stabilito dal bando: “La concessione dei posteggi- si legge- avrà la durata di anni 9 a decorrere dall’edizione della Festa della Befana 2017/2018”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
CLAN SPADA A PARTE, DIFFICILE CHE I VOTI DI CASAPOUND SIANO ARRIVATI ALLA CANDIDATA DELLA MELONI, NON SI POSSONO VEDERE
A Ostia il dato dal quale partire, per capire il travaso dei voti che ha portato la grillina Giuliana Di Pillo alla vittoria, è l’affluenza passata dal 36% del primo turno al 34% del ballottaggio: circa 5mila elettori in meno.
Di conseguenza la stragrande maggioranza degli elettori del primo turno, per quanto molto bassa sia l’affluenza, è tornata a esprimere la sua preferenza.
Poi nella sfida di domenica tutta al femminile c’è da considerare il distacco tra le due candidate e voti assoluti: quasi 20 punti percentuali.
M5s ha vinto con il 59,60% dei consensi (35.691 voti, al primo turno erano 19.777) mentre la candidata del centrodestra Monica Picca si è fermata al 40,40%, (24.196 voti, al primo turno erano 17.468).
I voti di differenza tra le due candidate sono 11.500. Il nodo della questione politica è capire dove sono andati i voti di sinistra e quelli di CasaPound.
La candidata di centrodestra dal primo momento ha provato a giustificare il risultato attaccando M5s: “All’idroscalo, dove ci sono i voti di CasaPound, noi abbiamo perso e loro hanno guadagnato 800 voti. Il cosiddetto ‘Movimento’ non ha vinto da solo ma con i voti della sinistra, di CasaPound e della lista De Donno”.
Risponde Marsella, candidato presidente di Casapound, che al primo turno ha preso 5900 voti: “Il M5S non ha vinto per i nostri voti, le schede bianche raddoppiate dimostrano che è stata seguita l’indicazione di non votare nè uno, nè l’altro”.
Oltrechè nelle schede bianche i 5900 voti andrebbero cercati eventualmente anche nei 5000 astenuti in più, ed è per questo che il dato dell’astensione diventa importante.
L’ex prete De Donno, sostenuto da Mdp e Insieme e che al primo turno ha preso 5640 preferenze, ha dato indicazione di votare M5s.
E i voti di Athos De luca, 8909 preferenze, dove sono andati? Il dem Stefano Esposito, che del Pd di Ostia è stato commissario, è convinto che “una quota, pari almeno al 40% abbia votato M5s, a questi si sommano i voti di De Donno.
“Ho dubbi — dice – sul travaso dei voti di CasaPound perchè aveva votato Virginia Raggi sindaco di Roma ed è rimasto deluso. Mi spiace ammettere che c’è una parte di Pd convinta che M5s sia una costola della sinistra quando invece non alcun valore di sinistra”.
L’altro candidato Bozzi, sostenuto da una lista civica ma considerato vicino al Pd e a Beatrice Lorenzin, con i suoi 3.625 voti del primo turno aveva lasciato libertà di coscienza.
Da considerare poi c’è il candidato presidente di Sinistra Unita, Eugenio Bellomo, che al primo turno ha preso 2.366 e difficilmente i suoi voti sono andati al centrodestra.
Stando così le cose, al netto della segretezza dell’urna, viene da sè che i voti di sinistra siano andati in soccorso al Movimento 5 Stelle. Lo stesso Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione, a ‘Un giorno da pecora’ dice che nel caso fosse costretto a scegliere tra Berlusconi e 5Stelle “sono meno peggio” i secondi.
Infine un altro dato da valutare nella vittoria grillina del X Municipio di Roma è proprio la percentuale che ha decretato l’elezione di Di Pillo.
Al primo turno aveva raccolto poco più del 30%, cioè 14 punti percentuali in meno rispetto al 44% di consensi raccolti da Virginia Raggi sul litorale romano poco più di un anno fa.
Anche rispetto al ballottaggio la flessione è evidente, con la Di Pillo che arriva al 59,6%, lontana dalle percentuali bulgare del 76% con cui la “sindaca” sconfisse Roberto Giachetti del Pd.
“L’effetto Raggi” di cui parla Di Maio viene smontato dal dem Stefano Pedica che lo invita “a fare meglio i conti”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
L’EMA NON CONDUCE DELLE RICERCHE INDIPENDENTI PER VALUTARE L’EFFICACIA DI UN FARMACO, MA SI FONDA SOLO SULLA “VERITA'” E GLI INTERESSI DELLE AZIENDE CHE LO PRODUCE
L’Agenzia Europea del Farmaco andrà ad Amsterdam, l’ha deciso un sorteggio, resta
l’amaro in bocca a tutto il sistema Italia che ha sostenuto la candidatura di Milano.
Da milanese oltre che da italiano non c’era motivo da parte mia per non sostenere la candidatura della mia città , certamente la presenza dell’Ema avrebbe potuto portare a Milano non solo un surplus di immagine, ma anche dei posti di lavoro nell’indotto dell’industria del farmaco.
Ma il mio sostegno è stato in queste settimane tiepido, privo di entusiasmo; il dibattito sulla collocazione geografica dell’Ema, così come si è svolto, è apparso monco e specchio di una logica che al centro poneva ancora una volta l’interesse del mondo industriale che ruota attorno alla fabbrica dei medicinali.
Si è infatti discusso del contenitore ma non del contenuto; oltre che a litigare sul nome della città che avrebbe dovuto ospitare la nuova sede sarebbe stato bene che i governi avessero discusso anche sul ruolo e sul modo di lavorare di tale Agenzia che, per la funzione che svolge, ha un ruolo fondamentale per la salute dei 500 milioni di cittadini europei, se non altro perchè decide quali farmaci possono entrare in commercio e per quali patologie.
Ad esempio, come è stato denunciato recentemente da un pool di scienziati di tutta Europa, l’Ema non conduce delle ricerche indipendenti per valutare l’efficacia di un farmaco, nè per analizzare gli effetti collaterali di un medicinale o di un vaccino segnalati dalle agenzie nazionali preposte al rilevamento di tali effetti (nei Paesi dove tali agenzie ci sono); i giudizi dell’Ema si fondano solo sulle ricerche presentate dalle aziende farmaceutiche produttrici del farmaco o del vaccino in discussione.
Non vi è alcuna possibilità che l’Agenzia europea possa svolgere una ricerca indipendente e confrontarne i risultati con quelli presentati da Big Pharma, per il semplice motivo che gli Stati europei non l’hanno dotata dei fondi necessari.
Sarebbe opportuno anche conoscere quali sono le garanzie sull’assenza di un conflitto d’interesse tra chi lavora per le agenzie internazionali nel campo della salute, come l’Ema, e chi lavora per le multinazionali del farmaco.
La vicenda della falsa influenza epidemica H1N1 è ancora troppo recente; nel 2009 gli Stati spesero centinaia di milioni per acquistare farmaci contro un’epidemia inesistente, salvo poi scoprire che nelle commissioni dell’Oms che avevano lanciato l’allarme siedevano i rappresentanti delle aziende farmaceutiche coinvolte
La vicinanza geografica a Milano tra la collocazione dell’Ema e il futuro progetto Human Technopole, affidato ai colossi di Big Pharma e alle grandi aziende multinazionali con interesse nei brevetti sul genoma, sarebbe stato elemento di grande preoccupazione e non certo motivo di entusiasmo, come lo era invece per Diana Bracco, rappresentante degli industriali nel comitato per portare Ema a Milano.
Non dimentichiamo che la prima mossa verso il nuovo insediamento è stato l’accordo con il quale il nostro governo ha garantito all’Ibm di fornirgli tutti i dati sanitari prima della popolazione lombarda e poi di tutta la popolazione italiana.
Grandi banche dati nelle mani dell’Ibm che, insieme con i colossi dei farmaci e delle sementi, potranno sviluppare ricerche sul genoma e temo che non siano lontani i tempi nei quali parti dell’essere umano verranno privatizzate come lo sono stati semi e piante che da secoli erano presenti nella natura.
Questi enormi progetti oltretutto si sviluppano fuori da qualunque controllo democratico; parlano di un futuro fondato su una medicina personalizzata ma personalizzata per chi? Futuro per chi? Quando la maggioranza della popolazione umana non può accedere alle terapie già disponibili oggi.
In campo farmaceutico oggi abbiamo necessità di una ricerca anche sovranazionale ma pubblica, indipendente, orientata verso le urgenze della salute pubblica; di regole aggiornate sulla sperimentazione clinica e sui criteri per l’approvazione dei nuovi farmaci; di Stati e di agenzie internazionali che abbiano il coraggio di denunciare le tremende conseguenze degli accordi sui brevetti, i TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) che garantiscono il monopolio ventennale della produzione di un farmaco all’azienda che per prima l’ha prodotto, permettendo quindi di arrivare alla follia di antitumorali che costano oltre 100.000 euro a ciclo.
Di tutto questo, durante il dibattito sulla nuova sede dell’Ema, nessuno ha discusso eppure questi sono i temi dai quali dipende la possibilità o meno di curarsi per i cittadini europei.
E sono gli argomenti sui quali la società civile organizzata che si occupa di salute insiste da anni scontrandosi con l’indifferenza dei governi, compreso quello italiano.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
DALLA FRUTTA SECCA DEL FRIULI AI LIMONI DI AMALFI: BOOM DI FURTI, 300 MILIONI L’ANNO DI DANNI
I predoni delle campagne colpiscono di notte, protetti dall’oscurità .
Per compiere razzie tra gli ulivi della Puglia lavorano in squadre: c’è chi guida il furgone, chi srotola le reti sotto le piante, chi percuote i rami con pesanti mazze di ferro e chi carica sul camioncino il risultato dell’ennesimo saccheggio.
In un paio di minuti riescono a portare via oltre 30 chili di olive. E in una notte possono mandare in fumo un interno anno di lavoro.
«È un flagello», dicono gli agricoltori.
Nelle campagne del Tarantino e del Barese succede addirittura che gli olivicoltori debbano avvisare la questura prima di far partire i camion diretti ai frantoi. «Le olive ormai sono come diamanti, dobbiamo sorvegliarle di notte e scortale di giorno durante i trasferimenti», racconta Gianni Cantele, presidente regionale di Coldiretti.
«La situazione è divenuta esplosiva. Chiediamo che il territorio sia presidiato, se necessario anche con l’intervento dell’esercito».
NON SOLO «LADRI DI POLLI»
Gli agricoltori italiani sono vittime di ogni genere di furto: dall’abigeato, alle razzie di frutta e verdura, fino alle ruberie di prodotti agricoli, attrezzature, trattori, carburante. Coldiretti stima che solo le incursioni dei banditi nei campi producano danni per 300 milioni di euro all’anno.
Il Rapporto Agromafie 2017 (elaborato da Eurispes e Osservatorio sulla criminalità ) fotografa l’escalation di fenomeni criminali nelle campagne che indeboliscono il settore aumentando l’insicurezza della vita e del lavoro. Nulla di nuovo, si dirà . Tuttavia, a ben guardare, qualcosa di nuovo c’è.
Innanzitutto l’intensità crescente dei saccheggi, che nel 2017 hanno assunto una cadenza quotidiana. «Da inizio anno le segnalazioni di furti sono raddoppiate», spiegano da Coldiretti. L’altro mutamento riguarda la caratura dei predoni dell’agricoltura: non più semplici «ladri di polli», bensì vere e proprie organizzazioni criminali.
«Depredando le aziende, le mafie riescono a condizionare in modo diretto l’attività agricola e a incidere sui prezzi del mercato agroalimentare», denunciano da Coldiretti.
I prodotti della terra fanno gola. La siccità prolungata e le recenti grandinate al Centro e al Sud hanno danneggiato pesantemente i campi, facendo salire i prezzi dei prodotti. Ma è l’intera agricoltura italiana a dover fare i conti con i furti.
Nell’Astigiano e nel Cuneese a finire nel mirino sono le nocciole. Un copione che si ripete quattrocento chilometri più a Est. Nicolò Panciera, imprenditore friulano che produce frutta secca, è esasperato: «Non ce la faccio più. Periodicamente mi rubano le noci. Se uno proprio non ha soldi per comprarle, basta che bussi alla porta e gliene regalo un sacco. Ma sono davvero stufo, così non posso andare avanti».
DA NORD A SUD
In Liguria, nell’Imperiese, c’è stata una razzia di mimose destinate poi al mercato nero. Nel Pavese i contadini denunciano ripetute depredazioni della pregiata cipolla rossa di Breme.
In Versilia i furti di prodotti agricoli e bestiame sono diventati una piaga. Nel Pistoiese a finire nel mirino sono i vivai. In Emilia Romagna è emblematico il caso di Luzzara, comune al confine con l’Oltrepò mantovano colpito da continue ruberie di carburante agricolo.
Nel Bolognese pochi mesi fa è stata smantellata un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti e alla ricettazione di macchinari per un valore di milioni di euro: dai trattori (solo nelle province di Bologna e Modena nel 2016 ne sono stati rubati più di uno a settimana), alle idropulitrici sino alle falciatrici.
Tra Parma, Reggio Emilia e Modena i ladrocini di forme di parmigiano sono un business che negli ultimi tre anni ha sforato i dieci milioni di euro: il formaggio rubato finisce sui mercati esteri o rientra nei circuiti della grande distribuzione attraverso commercianti compiacenti.
Nel Salernitano sono all’ordine del giorno razzie in rimesse e cantine con sottrazione di ingenti quantitativi di olio extravergine. Il preoccupante aumento di saccheggi in Costiera Amalfitana testimonia come i limoni siano ambiti non solo dall’industria dolciaria, ma anche dai ladri: Coldiretti stima che nel corso dello scorso anno circa cento quintali di Sfusato Igp siano finiti nelle maglie dei malviventi.
L’emergenza riguarda anche la Sicilia: nel Catanese gli agrumeti sono oggetto di un costante assalto, con la sottrazione di centinaia di migliaia di chili di arance. La settimana scorsa a Gela un agricoltore è stato ferito dai colpi di pistola esplosi dai ladri sorpresi a rubare nei campi. In Sardegna, soprattutto nell’Oristanese, i contadini denunciano furti di bestiame e di attrezzature agricole.
Gli agricoltori provano a reagire con i pochi mezzi a disposizione: da Nord a Sud organizzano ronde notturne e si affidano a istituti di vigilanza privati per tentare di arginare la piaga dei furti. Ma fermare i predoni delle campagne non è facile. In diverse aree della Puglia bande criminali senza scrupoli hanno compiuto stragi di ulivi: tagliavano alberi secolari per rivendere la legna al mercato nero.
(da “La Stampa”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
LIQUIDATA MDP: NON CI VEDREMO NEANCHE DOPO IL VOTO
«Bersani stia tranquillo, non ci si vede neanche dopo il voto». La reazione di un
dirigente del Partito democratico la dice lunga sul deterioramento del clima con gli ex compagni di Articolo1-Mdp.
Le parole dell’ex segretario dem in tv da Lucia Annunziata arrivano come un colpo di mannaia sulle speranze di un accordo di coalizione.
E chiudono probabilmente la partita, nonostante il tentativo in zona Cesarini di Romano Prodi, gli appelli a ciclo continuo di Giuliano Pisapia e gli altri padri nobili in esilio pronti a tornare a brandire la bandiera, ormai logora, dell’unità a tutti i costi. Ma i renziani sono soddisfatti: «Bersani e gli altri non stanno più dicendo no a Renzi. Dicono di no a Fassino, a Prodi, a Veltroni, all’Ulivo, al centrosinistra. E questo rende enormemente più facile la chiamata che faremo in campagna elettorale al voto utile». Con una prospettiva, nei calcoli di queste ore del segretario dem: «Con un arco di forze che parte da Beatrice Lorenzin passa per Pier Ferdinando Casini e arriva fino a Pisapia, arriveremo a superare il 30 per cento dei voti. E saremo ancora il primo gruppo parlamentare».
Secondo questi calcoli, tutti da verificare, Grillo non andrebbe oltre il 25 per cento: «E questo significherebbe che prenderebbe soltanto 10 collegi su 231».
La «linea D’Alema»
In verità , forse non ci sarebbe troppo da festeggiare in casa pd. E in effetti non tutti i dem, a parte la sinistra pd, sono entusiasti.
Perchè è concreto il rischio che la spaccatura elettorale produca un’emorragia di elettori e anche una minore competitività in molti collegi.
Il niet bersaniano non può essere visto, dunque, come un successo. Ma tra i fattori da considerare c’è anche molto altro.
C’è la soddisfazione, un po’ rancorosa, nel vedere confermata la misura incolmabile del crepaccio che divide i due campi. «Ha vinto la linea D’Alema», dicono i renziani, ricordando non tanto la «rottura sentimentale» evocata dal lider maximo in passato, quanto la più recente intervista al Corriere, nella quale parlava di «stupidità » a proposito dell’idea di introdurre le coalizioni nella legge elettorale e sentenziando, senza appello: «Mai alleati con il Pd».
Il voto utile
Tra i fattori c’è da considerare anche quella che viene giudicata una vittoria mediatica. Spiega Lorenzo Guerini: «Noi abbiamo fatto un’apertura vera e generosa. E loro rispondono chiudendosi in un recinto identitario che ha come unico obiettivo quello di porsi in alternativa al Pd. Spero che ci ripensino, anche perchè dobbiamo ricordarci che i nostri avversari veri, di tutti noi, sono i 5 Stelle».
Ma tutti in realtà , nel Pd a trazione renziana, escludono un ripensamento vero. E nessuno lo auspica, perchè un accordo ora sarebbe considerato un’intesa strumentale, politicista, elettoralistica.
A questo punto, a rottura fatta (anche se le liste si fanno a fine gennaio, il tempo per ripensarci ci sarebbe), molto meglio invocare il voto utile.
Anche perchè il Pd è convinto di essere riuscito a mettere in piedi, se non proprio una formidabile macchina da guerra (del resto il riferimento ad Achille Occhetto non porta granchè fortuna), almeno una serie di plotoni, divisioni e reggimenti in grado di combattere la battaglia delle urne. Fassino sta lavorando sul fianco sinistra, mentre Guerini è il messaggero per il centro.
I Radicali italiani
A sinistra c’è il Campo progressista di Giuliano Pisapia: si vedrà se insieme all’area laica, liberale e radicale di Riccardo Magi, Benedetto Della Vedova e Emma Bonino (che auspica una convergenza e una lista dal nome «Più Europa»).
Al centro c’è una serie di gruppi, a dir la verità non troppo omogenei, che potrebbe vedere uniti l’Ap di Angelino Alfano (il 24 novembre si deciderà la linea), i cattolici di Pier Ferdinando Casini, la Democrazia Solidale di Lorenzo Dellai, più i moderati di Giacomo Portas e qualche eletto dell’area della Comunità di Sant’Egidio.
Basterà ? Si vedrà , ma in ogni caso, spiegano i renziani, «non sarà quel tre o quattro per cento che raccatteranno Mdp e Sinistra a farci comodo dopo le elezioni. Anche perchè, se pure Bersani volesse tornare all’ovile, dovrebbe abbandonare al suo destino uno come Nicola Fratoianni, che si è scisso da Sel perchè era troppo poco di sinistra. Sarebbe l’ennesima scissione dell’atomo».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
CENTO EURO A TESTA DI RISARCIMENTO E LE REGIONI FISSANO REGOLE ANTI-RITARDI… VITTORIA STORICA PER 75.000 ABBONAMENTI E 65.000 TRATTE… TARIFFE GIU’ DEL 30% SUGLI INTERREGIONALI
Dopo anni di rincari del biglietto del treno, finalmente arriverà una sforbiciata sulle tratte sovraregionali, quelle cioè che collegano centri di regioni diverse.
Un’inversione di tendenza che fa parte di una più vasta mobilitazione contro raffiche di ritardi, disagi, disservizi, tratte a singhiozzo e costi ingiustamente sostenuti.
Il merito è di quei pendolari testardi che non hanno creduto ai calcoli dettati da un algoritmo, che definiva il prezzo dei biglietti penalizzando le tratte interregionali.
Ma questa è solo una delle tante battaglie intraprese da comitati e associazioni di consumatori per ottenere di viaggiare in treno in modo più decoroso ed efficiente.
E più in generale per avere voce in capitolo, entrando a gamba tesa nelle trattative tra le Regioni, da un lato, e gli operatori ferroviari, dall’altro.
I conteggi sbagliati
Un risveglio che negli ultimi anni ha prodotto una miriade di proteste e richieste che, quando necessario, sono arrivate fino in tribunale. Un lavoro spesso sotterraneo che recentemente ha iniziato a incassare dei risultati. La battaglia sull’algoritmo è stato uno di questi.
Dal primo ottobre è infatti cambiato il modo in cui sono calcolate le tariffe sovraregionali, cioè quei treni che attraversano diverse regioni (non Alta velocità ): una modifica che comporterà una riduzione dei prezzi degli abbonamenti per oltre il 90% dei passeggeri.
Siccome però, a causa dei tempi di adeguamento del sistema informativo di Trenitalia, la nuova tariffa sarà materialmente in vigore solo dall’aprile 2018, per quest’anno i titolari di abbonamento matureranno il diritto a un rimborso.
Ma come si è arrivati fino a qui?
Il problema nasceva dal fatto che l’algoritmo di calcolo delle tariffe abolito il primo ottobre faceva sì che gli utenti di tratte sovraregionali pagassero di più rispetto alle regionali, a parità di altre condizioni.
«Un pendolare Torino-Milano pagava una cifra spropositata rispetto a un altro pendolare torinese che faceva la stessa quantità di chilometri all’interno della sua regione. Dal 2012 in avanti questa distorsione ha prodotto importi superiori fino a 30 euro al mese per gli abbonati sovraregionali», spiega a La Stampa Furio Truzzi, presidente di Assoutenti.
Una «vittoria storica», che coinvolge oltre 75 mila abbonamenti e 65 mila tratte. E che è partita proprio dalle perplessità di un pendolare, Enrico Pallavicini, assiduo frequentatore della linea Genova-Milano.
Dopo aver accumulato, suo malgrado, una formidabile cultura ferroviaria, si è infatti accorto che quanto pagava per i suoi 150 chilometri era ben più caro di un’equivalente tratta regionale.
«Il problema era che l’algoritmo veniva applicato male, a causa delle tariffe decise dalle Regioni. Era il 2015 e da allora è iniziata una trafila di incontri con Trenitalia e gli enti locali», aggiunge Truzzi.
Finchè il Coordinamento delle Regioni non ha accolto la richieste delle associazioni di consumatori e pendolari.
Rimane un problema sul pregresso, cioè su quanto sborsato in più dagli abbonati fra il 2012 e il 2017. «Su questo le Regioni non ne vogliono sapere, e noi abbiamo chiesto a Trenitalia di avviare una procedura di reclamo e conciliazione: la trattativa è in corso», spiega Truzzi.
Già questo mese si dovrebbe sapere qualcosa, anche se Trenitalia non ha rilasciato commenti al riguardo. Su un altro fronte, sempre ad ottobre, diverse centinaia di abbonati lombardi hanno ricevuto una bella notizia: una mail che li avvisava di un assegno circolare di 100 euro da riscuotere.
Sono state definite, infatti, le modalità di pagamento scaturite dall’esito di una class action in cui Trenord, operatore del servizio ferroviario in Lombardia, è stata condannata a un risarcimento di 300 mila euro per i disagi subiti dai pendolari nel lontano dicembre 2012.
Due settimane di treni cancellati, ritardi, mancate comunicazioni e disservizi nati dal malfunzionamento di un software. Ai circa tremila aderenti alla class action spettano ora 100 euro a testa, oltre agli indennizzi automatici già versati.
«In materia di trasporto è la prima class action nel settore dei pendolari che arriva alla fine portando a casa un risultato utile per un numero elevato di consumatori», commenta Paolo Martinello, avvocato di Altroconsumo, l’associazione che ha promosso l’azione legale. Non senza difficoltà : l’ostacolo principale sta nella raccolta delle adesioni, in cui gli utenti devono farsi avanti e compilare dei moduli.
Ma quanto può costituire un precedente?
«Può valere nei casi in cui i disagi e le inefficienze superino una normale soglia di tollerabilità », sottolinea Martinello. «Occorre che ci siano fatti eccezionali, soprattutto se è già previsto da contratto un indennizzo automatico; inoltre devono essere situazioni non dettate da cause di forza maggiore, bensì dalla disorganizzazione dell’azienda».
Prima però di arrivare ai tribunali, l’ideale sarebbe avere standard più elevati di qualità nelle attuali condizioni contrattuali, in modo da prevedere più facilmente indennizzi automatici. Il problema è che oggi tali condizioni variano da regione a regione. «Col risultato che il consumatore avrà diritti diversi a seconda di dove viaggia», commenta Martinello.
Il rischio dunque è un’Italia ferroviaria a doppio binario: da una lato le aree più virtuose, soprattutto al Nord, e l’alta velocità ; dall’altro buona parte del Sud, e più in generale il trasporto regionale e interregionale.
C’è poi la questione che molti degli investimenti fatti negli ultimi tempi riguardano soprattutto il materiale rotabile, treni nuovi insomma, che sostituiranno vecchi convogli. Una partita tutt’altro che conclusa,
Da qui ai prossimi cinque anni, infatti, sono previsti circa 400 nuovi treni regionali, secondo dati del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Tuttavia, come notano le associazioni dei consumatori, i pendolari e gli ambientalisti, gran parte dei problemi stanno nella scarsa frequenza delle corse; nella lentezza dei viaggi; nella puntualità ; nella qualità del servizio, che comprende caratteristiche come la pulizia dei convogli, una corretta climatizzazione e lo spazio a sedere.
Investimenti e ridefinizione dei livelli delle prestazioni offerte alla clientela. I numeri parlano chiaro: dal 2009 al 2016 si è registrata una riduzione del 19% delle risorse statali dedicate al trasporto regionale, riferisce l’ultimo rapporto Pendolaria di Legambiente.
Al contrario, i passeggeri sono aumentati dell’8%. Nel contempo, le tariffe aumentavano, con punte del 47% in Piemonte, 41 in Liguria, 36 in Campania.
Spesso ciò avveniva «a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento», sostiene lo studio. «È vero che arriveranno nuovi treni, ma questi non si aggiungono a quelli di prima. E il problema è che ce ne sono meno anche rispetto al passato», afferma Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. «Stipulando un contratto di servizio con i gestori, come Trenitalia, in cui una parte delle risorse disponibili sono messe sul rinnovo del parco circolante, si rischia di non potenziare o migliorare il servizio».
Eppure, dove si investe nella qualità del trasporto ferroviario, i pendolari aumentano. Con riduzione del traffico automobilistico e dell’inquinamento. Per Legambiente, che riconosce al ministro dei Trasporti Del Rio di aver iniziato un cambio di rotta, la sfida è raddoppiare entro il 2030 il numero di persone che ogni giorno in Italia prendono treni regionali e metropolitane, portandoli da 5,5 a 10 milioni. Mentre si sogna in grande, però, i comitati locali si ritrovano a lottare con le unghie e con i denti per un paio di treni in più.
O per non perdere ulteriori, preziosi minuti su tratte che vanno già a rilento. Proprio nei giorni scorsi ad Acqui Terme si è svolto uno storico incontro tra i comitati pendolari e gli assessori ai trasporti di Piemonte e Liguria.
Quella tra Acqui e Genova è infatti una delle dieci peggiori linee ferroviarie italiane secondo Pendolaria: 46 km di binario unico su 63, velocità sui 60 km all’ora quando va bene, ritardi cronici, tagli alle corse, disagi.
E l’odiata sostituzione del trasporto su rotaia coi bus nei mesi estivi. «Non ci facciamo impressionare dai contratti coi treni nuovi perchè ci concentriamo soprattutto su qualità e velocità del servizio», puntualizza Manuela Delorenzi, membro del battagliero comitato pendolari Acqui Terme-Genova, 1600 iscritti su Facebook.
Lei, che vive ad Acqui e lavora nel capoluogo ligure, ogni giorno si fa tre ore di treno per fare avanti e indietro. «Spesso al freddo. I ritardi sono frequenti. Ci sono buchi negli orari delle corse. E i treni vanno piano, anche perchè è una linea vecchia».
Abbonati svantaggiati
Alcuni dei problemi sono infrastrutturali, ma i pendolari vorrebbero avere voce in capitolo almeno sui contratti con gli operatori, sui parametri di qualità del servizio, sui controlli e le penali. La capienza dei treni, il numero di posti, il fatto di non dover viaggiare in piedi è una delle lamentele ricorrenti. Tanto che il comitato pendolari bergamaschi si è sollevato per la recente reintroduzione della prima classe sui regionali Bergamo-Milano. «Che sulla nostra tratta non ha senso.
Così facendo i treni restano pienissimi, e le aree di prima vuote, dato che chi ha l’abbonamento non può usufruirne», avverte Stefano Lorenzi, membro attivo del comitato.
Cambiando area e tipo di battaglia, a fine ottobre, in Toscana, il comitato pendolari Valdarno Direttissima ha invece chiesto a gran voce il ritiro di una circolare interna di Rete Ferroviaria Italiana, secondo la quale regionali e Intercity sulla linea Firenze-Roma dovrebbero dare la precedenza ai treni dell’alta velocità qualora questi siano in ritardo di oltre cinque minuti.
«Tale pratica, che noi chiamiamo degli inchini, esiste da tempo. Ma quella circolare la ufficializza e porterà a ulteriori disagi per noi», osserva il portavoce del comitato, Maurizio Da Re. E poi, c’è pure chi si è fatto la sua applicazione per monitorare proprio i ritardi.
«Ci siamo sviluppati un software che scarica i dati certificati di Trenitalia, così facciamo i nostri controlli», evidenzia Pietro Fargnoli, presidente dell’associazione Roma-Cassino Express, che da anni chiede di agganciarsi alla linea dell’alta velocità .
(da “La Stampa”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
UN DELITTO PERFETTO PER UN PRESIDENTE DA CACCIARE
«Non mi sarei aspettato il cambio di idea della Lega Nazionale Dilettanti»: poche parole
pronunciate in conferenza stampa dall’ormai ex presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio Carlo Tavecchio spiegano i motivi delle dimissioni che sembravano impossibili fino a qualche giorno fa e che poi si sono improvvisamente concretizzate ieri e sono diventate ufficiali oggi.
L’ex presidente della FIGC non si è improvvisamente reso conto che la sua presenza in una posizione di vertice danneggiava la credibilità e l’onorabilità del calcio italiano e che l’eliminazione dai Mondiali di Russia era la ciliegina sulla torta di una gestione demenziale.
Carlo Tavecchio ha invece semplicemente perso la maggioranza che aveva fino al 15 novembre scorso, quando sperava di cavarsela con l’esonero di Gianpiero Ventura annunciato in pompa magna con tanto di comunicato stampa della FIGC.
Rivediamo il tutto alla moviola.
Mercoledì scorso il CONI tramite Malagò e il governo tramite il ministro dello Sport Lotti hanno più o meno elegantemente chiesto a Carlo Tavecchio di lasciare l’incarico. Cosa che lui non ha fatto nonostante anche Damiano Tommaso, presidente dell’AssoCalciatori, una delle componenti che elegge il presidente federale, glielo abbia rumorosamente chiesto.
Perchè Tavecchio voleva resistere, resistere, resistere come davanti a una nuova linea del Piave?
Bisogna ricordare che il presidente della Federcalcio viene eletto da società di Lega Serie A, Lega Serie B, Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti, di Associazione italiana calciatori, Associazione italiana allenatori e Associazione italiana arbitri, che votano secondo pesi ponderati.
Nel marzo scorso Tavecchio ha sconfitto Andrea Abodi ottenendo il 54,03% dei voti contro il 45,97% del rivale.
Questo perchè ha ricevuto l’appoggio totale della B, della Lega Pro, dei Dilettanti, degli arbitri e degli allenatori.
Dopo l’assemblea Ulivieri, rappresentante degli allenatori, aveva criticato Malagò per aver chiesto le dimissioni di Tavecchio e Cosimo Sibilia, rappresentante dei dilettanti, si era schierato con Tavecchio.
Ecco quindi cosa ha spinto Tavecchio alle dimissioni: il cambio di cavallo della Lega Dilettanti.
E non a caso l’ex presidente della FIGC ha parlato di “sciacallaggio politico” nei suoi confronti: da anni Tavecchio è infatti osteggiato dal governo — a ragione — a causa delle polemiche indecenti scatenate con le sue parole.
Il ministro dello Sport Luca Lotti ha chiesto quindi le dimissioni di Tavecchio dopo l’Apocalisse mondiale e il presidente del CONI, Giovanni Malagò, lo ha rumorosamente spalleggiato anche in tv da Fabio Fazio ieri.
Stamattina Sibilia arrivando in FIGC non aveva in alcun modo annunciato l’orientamento della Lega Nazionale Dilettanti, anzi aveva parlato di riflessione e decisioni da prendere, facendo però sapere che la LND era compatta nella sua decisione (senza annunciare quale).
Prima della riunione c’è però stato un breve faccia a faccia di Sibilia con Tavecchio, nel quale presumibilmente il presidente della LND gli ha annunciato la sua intenzione di votargli contro.
A quel punto un lancio ANSA informava che Tavecchio avrebbe chiesto le dimissioni dell’intero consiglio federale, e questo avrebbe portato al commissariamento della FIGC da parte del CONI.
Ovviamente Ulivieri ha subito stoppato l’ipotesi di dimissioni e la partita si è chiusa lì. Uscendo a parlare con i giornalisti Sibilia è stato chiarissimo: “Tavecchio ha parlato di sciacallaggio politico? Non so a cosa si riferisse”; “il presidente si è dimesso, il resto non conta. Quando siamo arrivati aveva già deciso. Posso solo dire che quando noi abbiamo partecipato al tavolo con le componenti abbiamo detto con chiarezza che serviva una maggioranza ampia per poter fare le riforme. Se questa maggioranza non c’è non possiamo andare avanti“.
Incalzato dalle domande dei giornalisti, Tavecchio ha poi ammesso che “ci sono state delle pressioni inimmaginabili sulla Lega dilettanti”.
Andrea Montemurro, presidente del calcio a 5, componente della Lega Dilettanti, si è intestato il successo dell’addio di Tavecchio: “Ribadisco la stima umana per il presidente, ma con trasparenza e lealtà ho sempre anteposto l’interesse del futsal e di tutto il movimento del calcio alle logiche di parte”.
I colpi di scena non sono però mica finiti qui. Perchè il presidente del CONI Malagò dopo l’annuncio delle dimissioni di Tavecchio ha annunciato un consiglio straordinario per mercoledì sostenendo che “c’è la volontà di commissariare la FIGC, lo dice lo Statuto”.
Chissà se è lo stesso Malagò che il 14 novembre scorso invece diceva: “Per essere concreti il Presidente del Coni può e deve commissariare una Federazione in tre casi: solo se non funziona la giustizia sportiva, la regolarità dei campionati o per gravi irregolarità amministrative. A oggi questi tre fatti non ci sono, non ci sono gli strumenti formali e procedurali per un commissariamento”.
Lo stesso Ulivieri uscendo dalla riunione ha detto di non volersi dimettere “perchè altrimenti arriva il commissario”.
E Tavecchio ha detto che il commissariamento da parte del CONI “sarebbe molto grave, ci sono leggi e regolamenti”.
Ma nel frattempo Malagò ha cambiato idea: “Siamo obbligati a fare la Giunta straordinaria mercoledì alle 16,30 perchè lo statuto recita che abbiamo 48 ore dal momento della convocazione. Può succedere da statuto che si deve procedere a un commissariamento”. Il motivo del commissariamento risiederebbe nella mancanza di governance, visto che anche la Lega A e la Lega B sono attualmente senza vertice.
Cosa succederà adesso? Intanto bisogna capire se davvero il CONI procederà a commissariare la Federazione come è successo in due occasioni: per la mancata qualificazione al mondiale del 1958 e all’epoca di Calciopoli.
L’addio di Tavecchio è stato favorito da Lotti mentre Sibilia sembrava essere il suo erede designato (entrambi provengono dalla LND).
Ma il commissariamento potrebbe rimettere tutto in gioco e di elezioni si tornerebbe a parlare tra sei mesi o un anno.
Intanto a chi assiste da spettatore non può non far piacere il delitto perfetto che si è consumato nei confronti di Tavecchio. Un presidente inadeguato che soltanto una tragedia sportiva ha potuto però cacciare.
E questo la dice lunga sulle debolezze congenite del calcio italiano.
(da “NextQuotidiano”)
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