Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
“IN GIUSEPPE E MARIA VEDIAMO LE ORME DI MILIONI DI PERSONE CHE NON SCELGONO DI ANDARSENE MA CHE SONO OBBLIGATE A SEPARARSI DAI LORO CARI, SONO ESPULSI DALLA LORO TERRA”… UN MONITO AI TANTI POLITICI INFAMI CHE SI SPACCIANO PER CRISTIANI
“La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente e ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto”.
Con queste parole Papa Francesco ha rinnovato il suo appello alla solidarietà sociale e in particolare all’accoglienza dei migranti nella messa della Notte di Natale da lui presieduta nella basilica di San Pietro gremita di fedeli.
“Nei passi di Giuseppe e Maria – ha sottolineato Francesco – si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra”.
“Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole”.
“La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente e ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto”. Con queste parole Papa Francesco ha rinnovato il suo appello alla solidarietà sociale e in particolare all’accoglienza dei migranti nella messa della Notte di Natale da lui presieduta in San Pietro.
“Nei passi di Giuseppe e Maria – ha sottolineato Francesco – si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra”.
Papa Francesco ha poi citato l’omelia della messa d’inaugurazione del Pontificato di San Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”, ha ripetuto con forza.
“Natale – ha affermato – è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità , in forza per una nuova immaginazione della carità . La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi ‘casa del pane’, terra di ospitalità “.
(da agenzie)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
IL POST TERREMOTO: 1800 ABITAZIONI ANCORA DA CONSEGNARE, LA DESOLAZIONE DEI NEGOZI E UNA RICOSTRUZIONE CHE SEMBRA UN MIRAGGIO
C’è la neve sui tetti e c’è il ghiaccio lungo le strade.
Nelle zone terremotate è arrivato il secondo Natale dal sisma e tuttavia gli abitanti si sentono come precipitati in un villaggio estivo. Di quelli con casette leggere.
Qui invece siamo a meno 8 gradi e in certe contrade si arriverà nei prossimi giorni a meno 15.
“Hanno costruito le casette per il mare”, dice Federica, della frazione di Sommati, a due passi da Amatrice. In questa parte d’Italia niente è rimasto in piedi: “A farci compagnia ci sono solo i topi, che mangiano i tubi delle caldaie. Quelli che non si sono congelati a causa del freddo”.
Nei paesi del centro Italia, distrutti dai terremoti del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, le feste giungono in uno stato di emergenza che sembra non avere fine.
La metà della casette, circa 1800, deve ancora essere consegnata e così ci sono famiglie costrette a vivere in container o in albergo.
“Gli altri anni desideravo tanto il Natale, quest’anno no”, e la signora Pierina Paolini, 88 anni, nella sua fragile casetta di Accumuli, dove il riscaldamento spesso si blocca, scoppia in un pianto.
Da Amatrice passa un camion, Federica inizia a sbracciare, il conducente si ferma, lei lo saluta: “Doveva chiamarti la signora Anna, ti ha chiamato? Le si è bloccato il boiler, lo scaldabagno”.
Un sospiro e poi racconta: “È il manutentore, ormai siamo diventati amici. Lo chiamiamo un giorno sì e l’altro pure. Qui ce n’è sempre una”.
Risata amara mentre fuma una sigaretta in pausa pranzo. Lavora in banca, che poi è un container montato a duecento metri dalla zona rossa, dal cuore antico del borgo che ormai non esiste più.
“Noi siamo dipendenti e abbiamo ricominciato a lavorare, i negozi e i ristoranti sono stati riaperti nel triangolo commerciale. Se il commercio esistesse ancora. Qui non viene nessuno, di inverno poi non ne parliamo”, dice un’altra signora, che preferisce non rivelare nome e cognome: “Se parliamo si arrabbiano, ormai abbiamo il sindaco Pirozzi in campagna elettorale…”.
Nel borgo di Amatrice ci sono un paio di squadre di operai che lavorano nella zona rossa, il corso è stato riaperto tra cumuli di macerie da dove è spuntato fuori un alberello con palline rosse rimaste intatte nonostante le ripetute scosse: “Fa un po’ Natale”, dice un operaio.
“Non è un simbolo di speranza, ma è il simbolo della nostra resistenza”, aggiunge una signora che cammina sotto la neve.
Militari e vigili del Fuoco pranzano nell’area dei ristoranti, di fronte c’è la scuola e poco più in là un campo di casette. L’impressione è che tutto ciò sia una simulazione di vita in mezzo alle macerie circostanti.
Si consumano caffè al bar Risorgimento e per riscaldarsi a volte basta una genziana e quattro chiacchiere per fingere normalità in un contesto da dopoguerra, dove nessuno crede nella ricostruzione di Amatrice, quello che era uno dei borghi più belli d’Italia, come recita un cartello stoicamente rimasto in piedi.
Basta fare qualche passo per vedere che il disastro è immane, le macerie sono ancora quasi tutte qui, una data precisa in cui ricomincerà la resurrezione non c’è.
Le frazioni attorno sono un deserto gelato, una foresta pietrificata anzitutto nelle speranze.
“Qui siamo entrati dritti, e da queste casette usciremo a piedi pari. Morti”, si duole Giulio Del Re, un anziano che ha perso il quel 24 agosto il suo bestiame. I turisti non ci sono più, tante persone sono andate via. Chi resta combatte con le casette.
In pratica le temperature sotto lo zero gelano il tubo che trasporta l’acqua calda, quindi il riscaldamento si blocca e l’acqua scorre fredda.
Questo perchè lo scaldabagno è stato collocato sul tetto e viene alimentato dai pannelli solari, “ma qui il sole non lo vediamo, neanche a ferragosto riusciamo ad alimentare una caldaia con i pannelli solari”, è l’amara ironia di Maria Luisa Fiori, seduta al tavolo nel suo simil-salottino di Arquata del Tronto, con il riscaldamento che va e non va e le pareti che potevano essere dipinte meglio.
E così, “a forza di litigare con tutti, con la Regione, con le istituzioni”, gli operai sono al lavoro per isolare i tubi e staccare il pannello solare dalla caldaia.
“Volete un caffè?”, chiede Maria Luisa al ragazzo sul tetto: “Ormai qui viviamo noi e loro”. Molte delle piccole dimore consegnate, 1871 su 3666 richieste sparse nel Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche, sono da sistemare.
Nonostante i collaudi ci sono pavimenti da riattaccare e porte da tagliare, più di ogni altra cosa ci sono tubi e cabine elettriche da isolare perchè queste ultime all’interno sono piene di acqua: anche in questo caso non sono stati fatti i conti con la neve e l’umidità .
La signora Alice lì in fondo al campo di Arquata ha i termosifoni spenti e la ditta arriverà soltanto il 27 dicembre.
“Ormai siamo sotto le feste. Degli altri”, si sente dire nonostante alle porte e alle finestre ci sia qualche simbolo che ricorda il Natale, come un alberello, qualche lucina o un piccolo presepe: “Ce li hanno regalati i volontari, una volta a settimana vengono anche a portarci il pane. Le istituzioni all’inizio venivano, ora non si vede nessuno”.
Difficoltà quotidiane sono la norma, come le piscine che si creano davanti ad alcune case quando piove poichè non è stata calcolata bene la pendenza.
Ma c’è chi sta ancora peggio.
Nella frazione di Cossito c’è un campo su una collinetta, che si intravede appena, tre container per sei persone, uno spazio comune e cani che abbaiano quando sentono i cinghiali arrivare. “Se spegniamo la stufetta per cinque minuti moriamo congelati. La notte di Natale? Andiamo a dormire, qui è una notte come un’altra”, dice Giovanni Nibbi in giacca a vento e cappello di lana in testa.
Si è in attesa della casetta, che arriverà a marzo: “Ma non potevano iniziarli prima questi lavori?”.
Così come i lavori sulle strade ancora interrotte.
La galleria che collega le Marche con l’Abruzzo, per i commercianti, è il dramma di questo Natale.
Quindi basta spostarsi a Norcia per sentirsi dire da Stefano Felici, titolare di un negozio che vende salumi e formaggi dentro le mura del borgo, che “se non ripristinano i collegamenti, non sistemano le strade e non riaprono gli alberghi, per noi è davvero la fine. Almeno adesso lavoriamo un po’ con i pacchi di Natale da spedire, ma dal 26 dicembre che facciamo?”.
C’è un’incertezza profonda, quattro norcinerie aperte senza clienti e tantissimi cartelli intorno con su scritto: “Ci siamo trasferiti…”.
Pochi giorni fa è stato inaugurato lo stabilimento della Tod’s, allestito dai fratelli Della Valle ad Arquata del Tronto. Ha dato lavoro a una cinquantina di persone della zona, tra 21 e i 45 anni.
Il sindaco Aleandro Petrucci da una parte gioisce ma dall’altra soffre: “Il lavoro prima di tutto, ma con le casette non sappiamo cosa fare. Non sono da buttare via, è vero, ma sono state costruite in modo frettoloso e non hanno considerato che da noi la temperatura sprofonda a livelli quasi siberiani. Siamo in fase di riparazione. Qui da noi a Natale si faceva il focolare domestico ma questo non è più possibile. E ormai lo spaesamento è la nostra condizione di vita”.
Il rischio è che diventi eterna.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
UN FAVORE PER OTTENERE UN RUOLO PIU’ FORTE NELLA RIFORMA DELLA SICUREZZA EUROPEA
Il presidente francese Emmanuel Macron trascorre la vigilia di Natale in Niger, insieme a centinaia di militari francesi impegnati in un’operazione contro gli jihadisti nel Sahel.
Accolto a Niamey dal presidente nigerino Mahamadou Issoufou, Macron ha poi raggiunto la base di Barkhane, dove sono di stanza 500 uomini, caccia Mirage 2000, aerei da trasporto e droni.
La Francia ha attualmente in Africa circa 4.000 militari tra Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania.
Fra un anno, potrebbe toccare al presidente Mattarella o al futuro presidente del Consiglio italiano passare la vigilia di Natale in Niger.
Perchè c’è un accordo tra Italia e Francia per l’invio laggiù d’una missione militare con compiti d’addestramento delle forze anti-terrorismo congiunte del G5 Sahel.
L’Italia sta approfittando dell’arretramento del sedicente Stato islamico per alleggerire l’impegno in Iraq, recuperando lì circa 470 uomini da mandare in Africa.
Smentita per mesi dal ministero della Difesa, la missione ‘Deserto rosso’, o altro nome in codice, dunque si farà .
Prima dell’estate, la Difesa negava “ipotesi operative al riguardo”: “Simulazione e pianificazione di azioni del genere rientrano nella normale attività addestrativa degli Stati Maggiori e riguardano le principali aree di crisi”.
Ma, a margine del Vertice del G5 Sahel di La Celle-Saint-Cloud, vicino a Parigi, Paolo Gentiloni faceva, il 13 dicembre, un annuncio un po’ sibillino: l’impegno italiano in Sahel “sarà collegato all’andamento di diverse campagne militari internazionali”, come quella in Iraq, dove ci sono “circa 1000 militari italiani” e dove “una parte di queste forze potrebbero non essere più indispensabili”.
Tra l’impegno preso con il presidente Macron — Francia e Italia avevano reciprocamente qualcosa da farsi perdonare — e il suo rispetto, c’è di mezzo un voto del Parlamento, che deve approvare e soprattutto finanziare le missioni militari all’estero.
Giustificando l’operazione in Niger, Gentiloni ne sottolineava “l’interesse specifico anche per quanto riguarda i flussi migratori dalla Libia”: un interesse riconosciuto dall’Unione europea, che ha da poco concluso un accordo con Niamey.
Il Niger, che il ministro degli Esteri Angelino Alfano considera “nostro alleato strategico”, non è un Paese tranquillo.
Il 20 ottobre, almeno 13 militari nigerini sono rimasti uccisi in un attacco lanciato da un gruppo armato non identificato ad Ayorou, vicino al confine con il Mali.
Il 10 ottobre, 5 soldati statunitensi erano caduti nell’agguato d’un commando di jihadisti, sempre al confine con il Mali — negli Usa, ci furono polemiche perchè pochi sapevano dell’impegno militare e perchè emersero lacune nell’intelligence.
Il Niger è terreno d’azione di gruppi affiliati ad al Qaeda e di formazioni che si richiamano all’Isis.
Secondo Jean-Pierre Darnis, responsabile del programma di ricerca Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali, la decisione d’impegnarsi in Niger conta “per la presenza dell’Italia al tavolo della riforma e del rilancio della politica europea di difesa e sicurezza”. Francia e Germania sono molto attive su quel fronte e l’Italia vuole stare nel nocciolo duro della riforma appena avviata lanciando una cooperazione rinforzata fra 25 Paesi Ue.
L’Italia, in Africa, aveva da tempo una posizione di forte divergenza strategica con la Francia: dall’intervento francese in Libia nel 2011 al mancato sostegno italiano all’azione francese in Mali nel 2013, c’era freddezza, se non ostilità , fra Parigi e Roma, sul fronte nord-africano-sahariano. Dopo l’attentato al Bataclan del 2015, Parigi aveva chiesto aiuto ai Paesi Ue per potere richiamare soldati dalle missioni in Africa e rinforzare il dispositivo anti-terrorismo sul territorio nazionale.
L’Italia aveva risposto picche perchè già impegnata in Iraq. In estate, Macron aveva convocato i leader libici rivali Haftar e al-Serraj, suscitando l’irritazione dell’Italia, che si sentiva ‘titolare’ del dossier Libia.
Per Darnis, “la missione in Niger” può saldare “l’interesse nazionale essenzialmente rivolto alla Libia” e “la visione francese, tedesca e americana di stabilizzazione dell’intera zona saheliana, legando lotta al terrorismo, stabilità delle frontiere, contrasto all’emigrazione clandestina e sviluppo locale”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
LE AZIENDE SONO CARICHE DI LIQUIDITA’ MA SE I DEBITI SONO CRESCIUTI GLI INVESTIMENTI PRODUTTIVI SONO RIMASTI AL PALO
Il varo della riforma fiscale americana, con il drastico taglio delle tasse sulle imprese, ha
prevedibilmente stimolato l’ansia da imitazione, anche al di qua dell’Atlantico. Sgravare i profitti, assicurano gli autori della riforma Usa, favorirà gli investimenti, l’occupazione, i salari.
Un toccasana, in un momento in cui la ripresa – non solo dove è debole, come in Italia, ma anche dove è più robusta – riesce a manifestarsi solo in forma asfittica e precaria, se confrontata con i recuperi dalle crisi dei decenni passati.
Ma il toccasana è assolutamente immaginario: l’esperienza storica degli ultimi 30 anni dimostra che tagliare le tasse alle imprese – anzi, più in generale mettere più soldi nelle loro tasche – non garantisce affatto un rilancio degli investimenti.
Infatti, non avevano bisogno di un salvagente fiscale.
Dall’inizio degli anni 2000, i soldi rimasti nelle casse delle aziende Usa, anche dopo aver pagato le tasse, sono raddoppiati: dal 5 al 10 per cento del Pil. Non male, per imprese che sarebbero strangolate dal fisco.
E gli investimenti? Non si è mossa una foglia: la quota degli investimenti complessivi rispetto al totale dell’economia è rimasta invariata e, anzi, osserva l’Ocse – l’organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati – il tasso di investimenti netti, ovvero quelli in più, rispetto al semplice rimpiazzo dei macchinari già esistenti, fra il 2007 e il 2016 si è ridotto ad un terzo.
Anche più immediato il messaggio che viene dalla Gran Bretagna: l’aliquota inglese per le tasse sulle imprese è scesa in questi anni dal 30 al 19 per cento. Ma il tasso di investimenti netti, rileva il Financial Times si è dimezzato.
Eppure, gli investimenti sono la chiave del futuro sviluppo. Ma rimangono ancora sotto i livelli pre 2008 e le proiezioni al 2019 che fa l’Ocse indicano un modesto adeguamento.
Le imprese dell’Occidente investono meno, anche se gli sviluppi della tecnologia deprezzano più rapidamente il capitale.
Il risultato è che, negli ultimi anni, anche la Germania ha dimezzato il tasso di investimenti netti.
Per l’Italia, è un crollo: fra mancati investimenti in assoluto e mancati adeguamenti, il tasso di investimenti netti è sotto zero, il peggior risultato del G7, e il tasso rimarrà sotto zero anche nel 2019.
Non è un problema di soldi. Anche dove non ci sono state riforme fiscali, le imprese hanno goduto, in questi anni, in America come in Europa, di liquidità abbondante, grazie ai tassi di interesse stracciati.
E, infatti, si sono indebitate alla grande.
Rispetto al 1995, il debito delle imprese Usa è più che triplicato, quello delle aziende europee (finanza esclusa) è più che raddoppiato. Ma lo stock di capitale produttivo, nello stesso periodo, è aumentato assai meno.
Questo gap fra debiti e investimenti preoccupa l’Ocse: “Alti livelli di debito compromettono la capacità delle aziende di ottenere nuovo credito per finanziare investimenti produttivi”.
Non solo: “imprese superindebitate tendono a perdere dinamismo, spesso non riescono neanche a investire il minimo per restare competitive e finiscono per diventare imprese-zombie”.
Fenomeno che l’Italia conosce benissimo, anche se, invece che zombie, noi le definiamo “decotte”.
Ma perchè le imprese hanno scelto di correre questi rischi? Cosa hanno fatto dei soldi presi a prestito? La risposta che si danno gli economisti dell’Ocse la dice lunga sulle scelte finanziarie delle imprese delle economie avanzate.
“Potrebbero finanziare gli investimenti anche senza indebitarsi, ma non lo fanno” diceva già un rapporto del 2016. Le imprese d’Occidente spendono infatti il 60 per cento dei soldi disponibili per gli investimenti distribuendo dividendi e riacquistando azioni proprie. In buona sostanza, subito nelle tasche degli azionisti, piuttosto che reinvestito nell’azienda. Ci sono buone probabilità che finiscano così anche i risparmi di un taglio delle tasse.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
MA NON ERANO SOLO LE FAMIGLIE ISLAMICHE A COERCIRE LE FIGLIE? ORA COME LA METTIAMO?
Due uomini, padre e figlio, sono stati arrestati per sequestro di persona nei confronti di una donna di 25 anni, rispettivamente figlia e sorella.
Gli agenti della volante del Commissariato Comasina sono intervenuti, a seguito di segnalazioni giunte al 113 da via Pantaleo a Milano, quando i due uomini, di 59 anni e 28 anni, hanno tentato di caricare con la forza sulla propria auto la ragazza, per condurla nel paese d’origine, in provincia di Avellino. Il fatto è successo il 22 dicembre scorso.
I due familiari, contrari alla volontà della ragazza di diventare suora, l’hanno prima stordita in casa somministrandole del sonnifero con l’aiuto della madre, una donna italiana di 52 anni, anche lei indagata.
Hanno quindi cercato insieme di bloccarla e trascinarla sino alla macchina, ma qui la giovane è riuscita a liberarsi, divincolandosi, ed è riuscita ad attirare l’attenzione dei passanti urlando e chiedendo aiuto.
I poliziotti del Commissariato Comasina della Questura di Milano, coordinati dal pm della Procura di Milano David Monti hanno quindi proceduto all’arresto, convalidato nella mattinata di ieri.
(da agenzie)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
IL COLPO A SEGNO NELLA NOTTE: “ATTO IGNOBILE”… GRANDE GARA DI SOLIDARIETA’ IN CITTA’: IN TANTI PORTANO REGALI
“Un atto ignobile come lo sono tutti i furti, ancora di più in un luogo dove la gente soffre,
con l’aggravante di aver colpito la serenità dei bambini”: con queste parole il direttore generale della Asl Marco Damonte Prioli commenta il furto, avvenuto nella nottata dei regali di Natale destinati ai piccoli pazienti del reparto di Pediatria dell’ospedale di Sanremo.
Un brutto episodio, sul quale l’Asl sta indagando, attivandosi anche per capire se le telecamere di sorveglianza che si trovano al “Borea” abbiano ripreso qualche movimento sospetto che possa risultare utile agli inquirenti.
Sono stati portati via i doni dei genitori di ex pazienti e di privati ma è stata anche smontata la cucina componibile giocattolo che una nota azienda che si occupa di prodotti per puericultura aveva donato alla Pediatria in settimana.
Si pensa che chi ha messo a segno il furto dei giocattoli conoscesse bene i meccanismi di funzionamento del reparto e sia entrato in azione in un momento in cui sapeva di non essere notato da nessuno.
Gli inquirenti ritengono anche che ci sia stata premeditazione perchè per poter portare via tutta la refurtiva i malviventi dovevano essere più di uno e organizzati con dei borsoni per il trasporto
Quando la notizia del furto in Pediatria si è diffusa in città è scattata una corsa di solidarietà a favore dei bambini derubati.
Il negozio che aveva donato la cucina ne ha fatto avere immediatamente un’altra e altri privati cittadini hanno inviato e portato dei regali per aumentare la dotazione dell’«area giochi» che si trova nel corridoio del reparto, a disposizione dei bambini che, purtroppo, anche a Natale dovranno rimanere in corsia.
Ai piccoli pazienti si è cercato di non far capire cosa fosse successo e proprio la rapidità del «rimpiazzo» dei regali natalizi rubati pare sia stata determinante.
(da agenzie)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
FUORI DAL MONDO: COME SE ESODI DA GUERRE E FAME DIPENDESSERO DAGLI SCAFISTI E NON DALLA DISPERAZIONE SENZA SPERANZA
Paolo Gentiloni, parlando a bordo della nave Etna che opera nell’ambito di Eunavfor Med Operazione Sophia oggi è stato divertente nel suo involontario umorismo: «Proporrò al Parlamento di inviare i nostri militari in Niger – ha detto – per sconfiggere il traffico di esseri umani e il terrorismo. L’Italia ha l’obiettivo di costruire dialogo, amicizia e pace nel Mediterraneo e nel mondo».
Ma dove vive Gentiloni? Nel mondo delle balle di Minniti?
L’ex dirigente del Movimento Studentesco di Capanna imborghesitosi pensa che migliaia di disperati che fuggono da persecuzioni, massacri etnici, carestie e fame abbiano bisogno dei trafficanti per incamminarsi verso esodi storici?
E poi che facciamo?
Combattiamo i presunti trafficanti di uomini in Niger e finanziamo contemporaneamente il governo libico colluso coi trafficanti?
E ancora: respingiamo migliaia di persone dopo aver fatto la guerra alle Ong esponendoli ad affogamenti in mare e poi facciamo finta di essere “umani” accogliendone 150 una tantum con uno spot in Tv?
Gentiloni mandi i militari a gestire e controllare i campi di accoglienza in Libia, dove vengono perpetrati reati contro l’umanità e violenze quotidiane, invece che finanziare i carnefici.
Questo può farlo anche senza parlare dalla nave Etna con i Tg collegati.
Almeno a Natale eviti di prenderci per il culo.
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
AVVENIRE: “FINE INGLORIOSA DEL PARLAMENTO”… TRADITI I DIRITTI DI 800.000 ITALIANI PER INTERESSI DI POLTRONA
Il 23 dicembre il voto sullo ius soli era stato affossato definitivamente in Senato: su 319
senatori, erano presenti solo in 116.
Nemmeno uno sui banchi del M5s, quasi il deserto su quelli dei centristi.
Ovvio il blocco da parte del becerume di Lega e Forza Italia che hanno tentato di affossare la legge sin dalla sua presentazione.
Assenti 29 dem (2/3 del gruppo: i presenti erano 69), Mdp quasi al completo (13 su 16) e alcuni parlamentari del Gruppo misto.
La loro presenza, comunque, non sarebbe stata sufficiente per raggiungere il quorum.
La presidente della Camera Laura Boldrini parla di “promessa mancata, Avvenire accusa i politici di essere “ignavi e in fuga”. Per il sottoosegretario allo Sviluppo economico Ivan Scalfarotto “la mancata approvazione fa male”.
“Ma – precisa, rispondendo anche alle critiche da sinistra di chi come Enrico Rossi di Mdp dà la colpa ai dem – il Pd da solo in Senato non ha i numeri per far nulla, nemmeno garantire il numero legale. Con o senza i nostri 29 senatori il numero legale non ci sarebbe stato”. Sulla stessa linea il deputato dem Gianfranco Librandi, che espreime il suo “rammarico” e definisce lo Ius soli “una priorità per il futuro”.
Poi c’è tutta la “tristezza” di don Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele, secondo cui “quella che si è verificata in Senato è un’inqualificabile diserzione dalla responsabilità “. “La politica – ha aggiunto il sacerdote – non può essere un gioco di potere sulle speranze delle persone, un’umiliazione dei loro diritti e delle loro aspirazioni”.
Promessa mancata e occasione persa per rendere più coesa nostra società : 800.000 ragazze e ragazzi, che di fatto già lo sono, attendevano con fiducia di diventare cittadini italiani. Assenti in Senato e chi ha fatto mancare sostegno si sono assunti grave responsabilità iussoli”. Lo scrive su twitter la presidente della Camera, Laura Boldrini. Sulla mancanza del numero legale a Palazzo Madama è intervenuto anche Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, il quotidiano della Cei.
AVVENIRE: “POLITICI IGNAVI E IN FUGA”
“Far mancare il numero legale è scelta da politica in fuga”, si legge nell’editoriale di prima pagina di Avvenire, il quotidiano dei vescovi.
“Fuga dall’ultima responsabilità di legislatura. Una mossa da ignavi e, al tempo stesso, rivelatrice. Rivelatrice di una ostinata mancanza di comprensione della posta in gioco con la nuova legge sulla cittadinanza in un Paese che invecchia, non sostiene come merita la famiglia e allontana tanti suoi figli. E di una ostinata mancanza di rispetto per i giovani italiani con genitori stranieri che alcuni politici e opinionisti, pronti ad aizzare sentimenti e risentimenti, vogliono risospingere ai margini della comunità nazionale e raccontano come alieni. Che tristezza. Temevamo una ‘fine ingloriosa’ di questo Parlamento che, nel bene e nel male, molto ha fatto. La registriamo ora”.
(da agenzie)
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Dicembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
LA ILLUSIONE DI RECUPERARE CON ALCUNE CANDIDATURE VIP
Non sarà un Natale gioioso per il Partito Democratico, infilato tra i risultati dei sondaggi che certificano un calo nelle intenzioni di voto pari a quasi sette punti percentuali e alle prese con le candidature nei collegi uninominali tra vip da convincere a presentarsi e pronostici molto negativi anche nelle regioni rosse.
Attualmente, racconta oggi Maria Teresa Meli sul Corriere, tutti i sondaggi danno i 5 Stelle in testa.
Sia quelli commissionati a Swg dal Pd, sia l’ultimo, elaborato da Ixè per l’Huffington post, danno il partito di Renzi sotto il 23 e i grillini al 29.
“Il segretario è sicuro, e lo dice spesso ai suoi collaboratori, che i pentastellati siano «sovrastimati». Ma un fondo di preoccupazione c’è. Soprattutto per il dopo elezioni”, racconta il quotidiano.
Di certo l’andamento è preoccupante: la serie storica di IPSOS segnala che un anno fa, nel dicembre 2016, subito dopo aver perso il referendum il Partito Democratico era al 30%; oggi è al 23,4% ed è difficile non notare che la china è diventata pericolosa a marzo, quando, dopo aver toccato il massimo in un anno, il PD ha perso sette punti percentuali in sette mesi. Uno al mese.
Una situazione che non fa ben sperare in vista di marzo, quando si apriranno le urne con il Rosatellum voluto e firmato proprio dal Partito Democratico.
Perchè il particolare meccanismo della legge, che prevede di eleggere un terzo dei parlamentari con il meccanismo della sfida nei collegi uninominali, renderà in qualche modo più dolce o più amaro il risultato in base alla scelta dei candidati che dovranno corrervi.
Per questo oggi si parla molto dei possibili vip da schierare nella gara, con il PD pronto a portare volti della società civile a supporto del partito. Si fanno i nomi di Samantha Cristoforetti, Roberto Burioni, Mauro Berruto, Antonio De Felice.
Ma non solo loro, specifica oggi Tommaso Ciriaco su Repubblica:
Si vedrà , anche perchè l’elenco dei “migliori” che ha in mano Renzi sconta inevitabilmente la fisiologica contrazione imposta da sondaggi per ora allarmanti.
Le proiezioni parlano di poco più di duecento seggi tra Camera e Senato. Una miseria, rispetto ai quattrocento uscenti.
Tra i nuovi “papabili” c’è anche Annalisa Chirico. Scrive sul “Foglio” ed è l’autrice di “Siamo tutti puttane — Contro la dittatura del politicamente corretto”.
Due sogni, invece, sono quasi certamente destinati a restare nel cassetto del segretario Pd e dei suoi centurioni.
Il primo è quello di Bebe Vio, la campionessa paralimpica e mondiale in carica di fioretto. Una personalità che Renzi adora.
Un’altra sorpresa che difficilmente diventerà realtà risponde al nome di Damiano Tommasi. Luca Lotti lo stima davvero. Ma il capo dell’associazone nazionale calciatori, per adesso, pensa ad altro. Sta preparando una delicatissima scalata alla Presidenza della Federazione italiana gioco calcio.
Il problema è che però i sogni di gloria per le candidature si vanno a scontrare con pronostici non proprio incoraggianti nei collegi.
Secondo uno studio di Ixè, che La Stampa ha potuto esaminare, tra Toscana ed Emilia Romagna sono solo 6 i collegi considerati «blindati» per il Pd (dove il vantaggio sul secondo partito/coalizione è superiore al 10%): si tratta di Firenze Nord, Scandicci, Empoli, Sesto Fiorentino, Modena e Casalecchio di Reno.
Gli altri 25 seggi uninominali della Camera in queste due Regioni non sono più sicuri: neppure quelli di Bologna, dove ai tempi dell’Ulivo Romano Prodi sfiorava il 70% e dove venivano spediti i leader dei cespugli alleati con la certezza di portarli in Parlamento.
Ora anche il capoluogo emiliano si trova in quella terra di mezzo dove il Pd ha un vantaggio inferiore al 10%, talvolta anche di pochi punti percentuali.
Collegi «probabili» e addirittura «incerti» spuntano come funghi là dove una volta era tutto rosso.
Colpa del tripolarismo, ma anche di un Pd che, compresi i piccoli alleati, «oscilla tra il 25 e il 26% a livello nazionale», spiega il presidente di Ixè Roberto Weber.
Nella migliore delle ipotesi, cioè la conquista anche dei seggi incerti, i dem otterrebbero 10 seggi in Toscana, 13 in Emilia e 1 in Umbria. «Si tratta di un ribaltamento anche rispetto al 2013», spiega Weber.
E c’è di più. In tutto il Nord e in tutto il Meridione, secondo i pronostici di Ixè, i Dem non vincerebbero oggi in nessuno dei collegi.
Lasciando la rappresentanza rispettivamente al centrodestra e al MoVimento 5 Stelle, pronti a fare incetta di posti nelle due zone del paese.
E lasciando il PD il ruolo di una Lega di Centro nelle regioni un tempo tradizionalmente rosse e oggi difficili da definire tali.
(da “NextQuotidiano”)
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