Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
ERA STATO PROTAGONISTA ALLE MANIFESTAZIONI CONTRO IL CENTRO DI ACCOGLIENZA DELLA CROCE ROSSA A SETTEMBRE CON FORZA NUOVA E CASAPOUND
Insieme a Forza Nuova e CasaPound guidava la protesta al centro di accoglienza di via
del Frantoio, al Tiburtino III, a Roma.
Stanotte Yari Dall’Ara, romano di 38 anni, è stato arrestato dai carabinieri di San Pietro dopo dopo aver rubati i soldi nella cassa di una gelateria, in via Cola di Rienzo.
Dall’Ara era entrato in azione insieme a due complici: avevano infranto una vetrina, rubato il fondo cassa e avevano provato a nascondersi. Una volta scoperti, sono stati bloccati per furto aggravato in concorso.
Le indagini dei carabinieri proseguono perchè nell’area si erano verificati altri furti con le stesse modalità . Dall’Ara è attualmente ai domiciliari con il braccialetto elettronico.
Come scrive FanPage.it Dall’Ara ha diversi precedenti e nei mesi scorsi era diventato uno dei volti pubblici della protesta nel suo quartiere, Tiburtino III, contro la presenza del centro per migranti gestito dalla croce rossa, partecipando soprattutto alle mobilitazioni di Casa Pound e Forza Nuova.
Il 38enne romano, ricorda FanPage.it, aveva partecipato a “passeggiate” per la sicurezza organizzate da Forza Nuova e a manifestazioni in altri quartieri.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA NON SFONDA, IL PD PERDE CONSENSI E ORA IL TIMORE DI SILVIO E’ QUELLO DI UN INCARICO ESPLORATIVO A DI MAIO CON POSSIBILE INCIUCIO CON LA LEGA O CON IL PD SENZA RENZI
C’è uno spettro che ha iniziato a turbare i pensieri berlusconiani: è lo spettro di un incarico “esplorativo” a Luigi Di Maio, in quanto leader del partito più votato.
E poi, si sa, non tutto nella politica è prevedibile, nel senso che è spesso accaduto che i fallimenti annunciati diventino successi inattesi.
Lo spettro poggia sugli ultimi dati analizzati ad Arcore, che hanno mutato, e non poco, il clima di ottimismo di questo strampalato inizio di campagna elettorale.
Perchè, racconta chi ha raccolto qualche confidenza del Cavaliere, “non c’è niente da fare, siamo bloccati a quota 270”.
Nel senso di 270 parlamentari che eleggerebbe la coalizione di centrodestra.
La sensazione, e questo spiega molto della campagna elettorale da separati in casa, è che si sia raggiunto il “pieno” come coalizione e che le oscillazioni sono tutte interne: quel che guadagna Forza Italia lo perde la Lega e Forza Italia fa assai fatica a superare il 16 per cento, anche con una presenza mediatica di Berlusconi, segno che il marchio non è più quello di una volta.
Percentuali comunque ragguardevoli, impensabili fino a qualche settimana fa, che fanno dire, a mo’ di battuta, che per la prima volta “ci sono più posti che persone”.
Eppure, il confine tra l’euforia per la risurrezione e il peggiore degli incubi è assai labile. E non tanto perchè si allontana la prospettiva del governo con Salvini, anzi questo è un sollievo. Quanto perchè si allontanano le larghe intese.
In un modo in cui tutti parlano con tutti, alle orecchie del Cavaliere è arrivata una voce particolarmente inquietante. E cioè che parecchie agenzie di rating e fondi di investimento stranieri hanno chiesto alle più affidabili società di sondaggi quanto è concreta l’ipotesi di un governo Cinque Stelle-Lega.
Ecco il punto. Gianni Letta, nelle scorse settimane, ha rassicurato più di un ambasciatore dell’attuale premier sul fatto che la best option di Berlusconi restano le larghe intese.
Non è un caso che sulla Fornero si sia smarcato platealmente da Salvini e che ha mandato qualche segnale dal salotto di Vespa sull’intesa col Pd “purchè accetti il nostro programma”.
L’opzione però presuppone una tenuta del Pd che, secondo le antenne berlusconiane, non sembra esserci.
L’altro giorno Paolo Romani, altro grande fautore del Nazareno, confidava a un suo collega del Pd: “Sono preoccupato dal boom dei Cinque stelle al Sud”. In parecchie Regioni pare che siano a quota trenta, rendendo incerto il grosso dei collegi del Pd che, al momento, se dovesse prendere il 25 per cento raccoglierebbe non più di 160 parlamentari tra proporzionale e maggioritario.
Numeri che rendono assai stretta la base parlamentare delle larghe intese. Sommando Pd e Forza Italia, anche in questo caso, si raggiunge più o meno “quota 270”.
Poggia su questa quota la preoccupazione che, più volte, il Cavaliere ha condiviso con Gianni Letta e con l’avvocato Ghedini.
Perchè danno per scontato che, se così fosse, il primo incarico “esplorativo”, il capo dello Stato non può non darlo a Di Maio, leader del primo partito.
Fallito il primo giro si consumerebbe il tentativo col centrodestra, per poi arrivare a Gentiloni. Ma il primo passaggio è pieno di insidie.
Perchè, “chi lo ha detto che non è in grado di mettere su un rassemblement capace di calamitare consensi in Parlamento”?
È presto per stabilirne i confini, in questa fase di riflessioni e scenari, ma non ci sono le preoccupazioni di agenzie di rating e fondi.
Anche il Cavaliere è convinto che il grosso della Lega possa quantomeno “andare e a vedere”, ma soprattutto teme che la leadership di Renzi possa essere travolta dalla sconfitta, spingendo la nuova gestione sulla prospettiva di un accordo con i pentastellati. Pare che gli siano arrivate voci di ragionamenti dalemiani che avrebbero come punto di caduta un accordo tra “Cinque stelle, Liberi e Uguali, e un Pd de-renzizzato”.
E allo spettro, che si aggira per Arcore, sono spuntati anche i baffi.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
RICHESTO UN CURATORE PER LA PRIMA ASSOCIAZIONE ANCHE PER SIMBOLO E NOME PERCHE’ GRILLO CON LA TERZA ASSOCIAZIONE E’ IN CONFLITTO DI INTERESSI NEL DIFENDERE I DIRITTI DEI PRIMI ASSOCIATI
Il Comitato per la difesa dei diritti dell’associazione M5S, guidato dall’avvocato Lorenzo
Borrè, dichiara una nuova battaglia a Beppe Grillo e lo trascina in tribunale, a Genova, dove tre giorni fa ha chiesto la nomina di un curatore che rappresenti la prima associazione M5S, del 2009, per curarne gli interessi. Il presupposto è che Grillo avallando la costituzione della terza associazione M5S a dicembre, concedendogli anche il simbolo, sia in “conflitto di interesse” nel difendere i diritti dei primi associati.
Insomma Beppe Grillo in quanto tale non potrebbe rappresentare gli interessi dei primi associati, quelli che restano e che non intendono trasmigrare nella terza nuova associazione creata lo scorso 20 dicembre.
Per questo, sostengono i componenti dell’associazione, serve un curatore che agisca in nome e per conto della prima associazione e che ne tuteli i diritti dei componenti rispetto alla seconda e terza che sono state, a loro giudizio “irregolarmente”, costituite.
La richiesta di tutela vale, ovviamente, anche per il nome e il simbolo del Movimento. Non solo.
Il conflitto di interesse riguarderebbe anche diversi ruoli di Grillo nelle tre diverse associazioni costituite nel tempo: nel 2009, nel 2012 e nel 2017.
Nella prima Grillo figurava come capo politico, nella seconda come Presidente del Consiglio Direttivo e nella terza come Garante.
Le intenzioni del Comitato Di.Di.A M5S per la difesa dei diritti dell’Associazione MoVimento 5 Stelle costituita nel 2009 saranno inoltre annunciate domani in occasione di una conferenza stampa che si terrà a Roma anche con gli avvocati ricorrenti Lorenzo Borrè e Alessandro Gazzolo.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
PALLE INFUOCATE CHE GETTANO DISCREDITO E FANNO PERDERE CONSENSI
Il vero slogan della campagna elettorale M5s potrebbe essere il seguente: “Delocalizzare”. Ovvero evitare che gli insuccessi o le difficoltà di governo nelle città , Roma e Torino in particolare, diminuiscano le chance di vittoria nazionale del partito di Luigi Di Maio.
E infatti il capo politico grillino rimane immobile mentre tutti bersagliano i punti deboli di cui il candidato premier, almeno in pubblico, prova a parlare il meno possibile. È questa la strategia pensata e messa in atto per evitare che problemi come i rifiuti nella Capitale o l’addio dei revisori dei conti a Torino possano rovinare la grande partita delle elezioni politiche che in questo momento è la priorità .
Roma è una palla infuocata che nessuno vuole toccare e maneggiare.
Il governo oggi ha attaccato in modo durissimo, forse come mai successo prima, l’amministrazione capitolina. Il palcoscenico dell’offensiva è l’iniziativa “Una Costituente per Roma” promossa da Roberto Giachetti.
“Roma non è una città che si può governare cercando semplicemente di gestire le emergenze che si presentano giorno per giorno, settimana per settimana. E peraltro non sempre ci si riesce, com’è abbastanza evidente…”, ha detto il premier Paolo Gentiloni. Un attacco incrociato perchè accanto al presidente del Consiglio c’era il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: “Il centro di Roma è in una condizione indecorosa. Nessuno processa le infrazioni e ovviamente tutti fanno le infrazioni. Anche la sindaca collabori per dare forza a una proposta che restituisca una prospettiva ai romani”.
In Campidoglio i consiglieri M5s si sono subito riuniti per capire come rispondere e qualche ora dopo ecco la replica: “Siamo in campagna elettorale, quindi ricomincia a valere il principio secondo il quale ‘vince’ chi urla, offende e attacca l’avversario con buona pace dei programmi. Oggi è il turno di Gentiloni contro Raggi”, dice la stessa sindaca di Roma che passa al contrattacco dando la colpa al governo che non l’ha nominata commissario per il debito.
Per salvaguardare il partito la strategia è sempre la stessa: evocare complotti e far cadere le colpe sul passato. Di Maio preferisce far parlare i due colonnelli, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, coloro che negli ultimi mesi, anche se con sempre più distacco, hanno seguito dall’interno le vicende capitoline: “Un atteggiamento quello di Paolo Gentiloni grave — dice il primo – che dimostra come il Pd non tenga all’interesse degli italiani ma solo ai propri calcoli elettorali. Il partito di Renzi e Gentiloni è quello che ha consegnato la Capitale a Buzzi e Carminati, abbiano pertanto la decenza di tacere”.
Discorso diverso per Torino dove questa mattina era presente Luigi Di Maio e non si può dire che per lui sia stata riservata una bella accoglienza.
Prima la consigliera Deborah Montalbano è costretta a sospendersi perchè ha utilizzato l’auto blu per accompagnare la figlia a scuola e in questo caso Di Maio ha parlato di “fatto gravissimo” e ha chiesto un passo indietro.
Poi i revisori dei conti del Comune si sono dimessi spiegando di aver ricevuto “pressioni” da parte dell’amministrazione. Il sindaco Chiara Appendino, attaccata dai dem, si è difesa: “Siamo sorpresi delle dichiarazioni dei revisori dei conti. La giunta e l’ente che rappresento hanno sempre offerto la massima collaborazione”.
Ma con Di Maio, secondo quanto si apprende, non c’è stato alcun incontro nonostante il capo politico grillino fosse a Torino nè il big 5Stelle si è speso a favore della sindaca. Il candidato premier ormai guarda solo al voto del 4 marzo.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
“SPARITI TANTI CLIENTI. SALVINI E CALDEROLI? TANTE PAROLE MA NON SONO MAI VENUTI”
«In quei giorni persino una mia cognata americana chiamò al telefono per dirmi di
essersi sentita offesa dal cartello. Dagli Stati Uniti, capisce? La storia era arrivata fin lì. E più di qualcuno mi tolse il saluto e non si fece più vedere nel ristorante. Il ciclone ha pesato, credo, e non poco. Eppure rifarei tutto, perchè non sono mai stato un razzista».
Giorgio Nardin quella scritta dev’essersela sognata più di una volta dalla scorsa estate, quando scoppiò la bufera.
«Personale 100 % italiano», tricolore d’ordinanza, una sorta di manifesto programmatico affisso sulla vetrina della trattoria-pizzeria «Ai Veneziani», in pieno centro città .
Ora il cartello non c’è più, e fra poco non ci sarà nemmeno lui, ai fornelli o ai tavoli. Stanchezza dopo tanti anni di lavoro, ma anche la crisi. Forse amplificata da quelle parole.
Nardin ha messo in vendita il locale: un luogo rimbalzato nel giugno dell’anno scorso su tutti i media nazionali e non.
Perchè nel momento in cui diventava bollente il tema politico sullo Ius Soli, quelle parole sembravano dire in modo inequivocabile: «Si assumono esclusivamente italiani». Niente di più sbagliato, secondo il 65enne ristoratore, che dice di aver semplicemente difeso il Made in Italy in cucina. Ma la tempesta era innescata: dall’amministrazione comunale a un nutrito gruppo di cittadini, a salire fino a esponenti di centrosinistra in tutta la penisola, arrivarono attacchi, critiche, ed inviti a togliere il cartello.
Pure qualche telefonata anonima di minacce. «Certo, non nego sia arrivata anche molta solidarietà , inizialmente — racconta – tanti moglianesi mi dicevano: vai avanti». Pacche sulle spalle di un certo peso dal Carroccio: nei giorni caldi della polemica Matteo Salvini e Roberto Calderoli non mancarono di difenderlo e di promettere un passaggio in trattoria.
Calderoli e Salvini? Mai visti
«Invece — ricorda — a parte le telefonate, nulla. Mi sarei aspettato almeno un bicchiere di vino insieme».
E quando il clamore è sceso, sono giunti i problemi. «Gente che mi toglieva il saluto, alcuni clienti spariti. Vendo perchè dopo 50 anni di ristorazione c’è voglia di fermarsi, ma certo la crisi si è sentita. La ripresa? Io non l’ho vista».
Eppure a fargli più male è stata l’accusa di razzismo. «Proprio io, per due volte premiato come pizzaiolo più buono d’Italia per iniziative di solidarietà , come la raccolta fondi per i bambini in Etiopia, Burkina Faso e Cambogia. Volevo solo ribadire l’importanza della conoscenza della tradizione culinaria non solo nei prodotti, ma anche in chi il cibo doveva cucinarlo e servirlo».
Paradosso finale, in questi giorni a pulire il locale c’è una dipendente romena. «Ma ho avuto pure pizzaioli stranieri. Per questo ho tolto il cartello, non avrebbe avuto senso».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
PETIZIONI E CORTEI A RIPABOTTONI, NEL MOLISE, A FAVORE DEL CENTRO DI ACCOGLIENZA
C’è chi ha fatto fuoco e fiamme ( a volte nel vero senso della parola) per non averli dintorno e c’è che invece sceglie il percorso contrario, protestando perchè li mandano via. La vicenda che arriva da Ripabottoni, sperduto comune del molisano, 544 abitanti appena, racconta un’Italia diversa da quella delle ultime narrazioni: una comunità si ribella perchè mandano via i migranti.
Trentadue per la precisione, ospitati dal centro Xenia, come racconta il giornale locale Primonumero, troppi secondo la Prefettura che ha deciso di chiudere la struttura.
Il corteo e la petizione
La differenza rispetto a vicende simili è che questa volta gli abitanti del piccolo paesino non hanno gradito la decisione: prima scendendo in piazza con un corteo improvvisato, poi inviando una petizione al prefetto con 152 firme , un numero considerevole se si considera l’esigua popolazione di Ripabottoni.
Ma niente da fare: il provvedimento è stato portato a termine e i 32 sono stati mandati via. Dietro le quinte, si racconta di beghe tra il sindaco del borgo e il responsabile della struttura, con il primo che avrebbe fatto pressioni per chiudere il centro.
Il rapporto con la comunità
Fatto sta, però, che, nessuna protesta in senso contrario era stata registrata da parte della cittadinanza, con richieste di allontanamento dei migranti, anzi i 32 si sarebbero integrati con la comunità : «I nostri concittadini — racconta il parroco di Ripabottoni don Gabriele Tamilia – hanno iniziato a interagire con questi ragazzi stabilendo ottimi rapporti con loro. Le nostre due comunità cristiane, cattolica e protestante, li hanno inseriti nelle rispettive attività . Tante persone si sono attivate in diverse forme di aiuto».
Una risorsa più che un peso, parrebbe, considerando anche che queste zone sono soggette a progressivo spopolamento ormai da decenni.
Forse perchè la migrazione qui è un fatto noto, viste le migliaia di molisani partiti per andare a lavorare ai quattro angoli del mondo.
Viviana, è la madrina della piccola Maria, nata 8 mesi fa da una ragazza africana. Il suo ricordo su facebook è accompagnato da una splendida fotografia: “Mi tocca dire addio a chi in questo anno è diventato parte della mia vita, un fratello maggiore, un fratello minore, un confidente. Mi tocca dire addio a ragazzi brillanti con un cuore immenso, devo dire addio a chi voglio bene e alla mia figlioccia, quella bimba che con i suoi occhioni ha fatto innamorare quasi tutti. È stata l’esperienza più significativa della mia vita, ciao tesori miei, ci rivedremo presto”.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
SONDAGGIO INDEX: M5S 28%, PD 24%, FORZA ITALIA 15%, LEGA 13,7% , FDI 5,4%
Non solo il Pd che perde pezzi settimana dopo settimana. 
Non solo Silvio Berlusconi che spinge Forza Italia a guidare la coalizione di centrodestra. Ma ora potrebbe succedere quello che non sembrava possibile: il sorpasso dei berlusconiani sui democratici.
E’ la sintesi di un sondaggio di Tecnè per il TgCom24 che assegna al Partito Democratico il 20,7 per cento, valore più basso mai stimato, frutto di un calo di quasi 3 punti in un mese.
Forza Italia, invece, secondo Tecnè è al 18 per cento, con un aumento da metà dicembre ad oggi di un punto percentuale.
In questo quadro la tendenza migliore ce l’ha sicuramente il Movimento Cinque Stelle che in un mese guadagna due punti e supera il 28 per cento, un dato al quale lo inchiodano tutti i principali istituti di sondaggio.
A perdere di più — un po’ per la buona salute del M5s e un po’ per il ritorno di Berlusconi in prima linea — è la Lega Nord che nell’ultimo mese secondo Tecnè ha perso oltre 2 punti e si “riabbassa” a valori più familiari, al 12 per cento.
Il centrodestra secondo questa rilevazione si avvicina alla “soglia implicita” del 40 per cento, anche grazie al 2,6 per cento di Noi con l’Italia che vede la soglia di sbarramento.
In caduta, invece, Liberi e Uguali che dall’8 per cento di un mese fa è già planato sul 6,7.
Dati meno “rivoluzionari” quelli di Index Research per PiazzaPulita.
Le tendenze sono settimanali e non mensili e quindi non sono necessariamente in contraddizione con Tecnè.
In questo caso infatti il Pd aumenta dello 0,3 e si riassesta al 24 e insieme alle altre forze alleate mette insieme il 28 per cento per l’intero centrosinistra.
In questo campo, peraltro, nessuna lista a parte il Pd è vicina alla soglia di sbarramento del 3 per cento:
Insieme (Verdi e socialisti) arriva all’1,7, PiùEuropa non va oltre l’1,5, Civica Popolare non prende nemmeno l’1.
Confermato anche in questo caso il calo sensibile di Liberi e Uguali che per Index non va oltre il 6,2.
Non c’è gara tra coalizioni, anche per l’istituto diretto da Natascia Turato: il centrodestra è al 36,7 per cento formato dal 15 di Forza Italia, dal 13,7 della Lega e dal 5,4 dei Fratelli d’Italia. In questo caso i sondaggi sorridono un po’ meno alla cosiddetta “quarta gamba” del centrodestra, cioè Noi con l’Italia, che non andrebbe oltre l’1,6.
A questo però va aggiunto l’1 per cento di una serie di listarelle che non si capisce come si presenteranno: dalla lista animalista di Michela Vittoria Brambilla alle Energie per l’Italia di Stefano Parisi.
Ultimo solo perchè non coalizzato, ma primo partito in assoluto resta il Movimento Cinque Stelle che anche secondo Index Research è al 28 per cento.
Un altro dato che viene confermato da più istituti riguarda quello degli indecisi, tra il 15 e il 16 per cento, mentre l’astensionismo per Index potrebbe raggiungere perfino il 36 per cento, con un’affluenza potenziale del 63, una cifra inedita.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
MA NESSUNO PARLA DELLA DENUNCIA DELLA CORTE DEI CONTI: NEL 2016 GLI ACCERTAMENTI FISCALI IN CALO DEL 52% SUL 2015 E DEL 92% RISPETTO AL 2012…EVVIVA GLI EVASORI E’ IL MOTTO DI TUTTI I PARTITI
Spesometro e studi di settore sono già aboliti per legge, mentre il redditometro è stato archiviato da un pezzo.
Scrive l’agenzia di stampa TMNews che la proposta del M5S per cancellare gli strumenti che il Fisco si è inventato negli anni per combattere l’evasione fiscale è quindi tecnicamente superata.
Dal 2019 non esisteranno più senza necessità di ricorrere a una nuova legge che li cancelli per la seconda volta.
Per eliminare, invece, lo split payment, come promesso ancora dai pentastellati, servirebbero 10 miliardi di euro.
In pratica, gli studi di settore sono già stati mandati in soffitta.
Dal 2019 verranno sostituiti dagli Isa (Indicatori sintetiti di affidabilità fiscale), i nuovi indicatori di compliance chiamati a sostituire gli studi per oltre un milione di partite Iva. Il via libera ai primi 70 indicatori è già arrivato e con la legge di Bilancio l’operazione è stata rinviata di un anno (dal 2018 al 2019) perchè sarebbe troppo complicato gestire contemporaneamente le nuove 70 pagelle fiscali e i restanti studi di settore per gli altri 2-2,5 milioni di imprese, artigiani, commercianti e professionisti.
Per quanto riguarda lo spesometro, il debutto della fatturazione elettronica ne prevede in sostanza il superamento, come chiesto insistentemente da commercialisti e contribuenti dopo il caos suscitato dai problemi per l`invio dei dati relativi alle fatture emesse e ricevute del primo semestre 2018.
Già con il decreto legge fiscale collegato alla manovra è arrivato un completo restyling di questo adempimento fiscale.
Anche il redditometro è praticamente in disuso da tempo. E i numeri lo testimoniano. Doveva essere una sorta di arma definitiva per stanare chi nasconde all’Erario molti più redditi ed è finito, invece, per assumere un carattere sempre più marginale nella strategia di contrasto dell`evasione fiscale.
La Corte dei Conti nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato ha certificato, infatti, che nel 2016 gli accertamenti sono stati appena 2.812 su 41 milioni di contribuenti e 5 milioni di partite Iva, con un calo del 52% sul 2015 e addirittura di oltre il 92% sul 2012.
Infine, lo split payment. L’ultimo bollettino sulle entrate fiscali, ricorda TMNews, rileva che lo split payment (allargato a tutte le società pubbliche con la manovra correttiva di aprile) a novembre ha fatto crescere l’Iva di circa 10 miliardi.
Tutte le imprese, piccole e grandi, ne chiedono la cancellazione perchè rappresenta un’anticipazione di cassa e crea problemi di liquidità .
Il governo ha, invece, preferito garantire tempi rapidi nei rimborsi piuttosto che abolirlo. In ogni caso l’eliminazione, costerebbe comunque 10 miliardi.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile
VIAGGIO NEL LUOGO DELLA TRAGEDIA
Un uomo con i pantaloni da soldato arriva ogni mattina davanti alle macerie. Cammina
lungo la zona rossa, risalendo due curve fra gli alberi sradicati. Guarda passare i piccoli camion che iniziano le operazioni di sgombero: una lunga fila di sedie, travi, tegole, un vaso di cemento, un pezzo di ringhiera ricurvo.
«La valigia di Marinella è ancora lì in mezzo», dice quell’uomo a bassa voce. Da quando hanno aperto la strada che porta al cancello dell’Hotel Rigopiano, non passa giorno senza che lui venga a pregare qui davanti. Il suo nome è Nicola Colangeli, ha 71 anni, è un padre.
«La sera del 17 gennaio, un anno fa, nevicava tantissimo», dice adesso. «Erano già caduti più di settanta centimetri. Pulivano le strade con il vomero, che sollevava grandi cumuli ai bordi della carreggiata. Ma i cumuli crollavano sotto il peso della neve che continuava a cadere. Quel giorno, c’erano state tre scosse di terremoto. Il proprietario dell’albergo era molto preoccupato. Gli era già capitato nel 2015 di restare bloccato con i clienti. Aveva avvertito la Provincia e la Regione. Gli avevano detto di stare tranquillo: garantivano la massima sicurezza. Sarebbero venuti a sgomberare. Alle nove di mattina del 18 gennaio, erano già tutti pronti a partire: le auto erano incolonnate. Aspettavano la turbina, l’unico mezzo in grado di aprire un varco nella neve. Aspettavano e aspettavano. Aspettavano ancora. Mi hanno raccontato che mia figlia stava facendo una camomilla dietro al bancone del bar, per un cliente che si sentiva poco bene. Anche se lei lavorava alla Spa, fin dal primo giorno. Era entusiasta del lavoro. Aveva preso sette diplomi e… Marinella quel giorno aveva scritto a sua sorella. Era appena crollato un supermercato a Penne. Aveva commentato: “Per fortuna era chiuso”.
Poi, sullo schermo del telefono era comparso il messaggio: “Sta scrivendo…”. Ma non arrivavano mai le sue parole. Io non riuscivo a mettermi in contatto con lei. Ero angosciato. I telefoni funzionavano malissimo. Allora sono andato da Massimiliano Giancaterino, il fratello di uno dei dipendenti dell’hotel, e lui mi ha detto di provare a scrivere dal suo cellulare. “Noi stiamo bene”, le ho scritto. “E tu?”. Non ho mai avuto il coraggio di chiedere a Massimiliano se ha ricevuto la risposta…».
Il signor Colangeli cerca di trattenere le lacrime. «È un dolore troppo grande», dice per scusarsi. «Si potevano salvare tutti. È troppo dura per me. Alle 3 di notte mi sveglio e ho finito di dormire. Penso sempre a quanto può aver sofferto Marinella. L’ultima che hanno ritrovato è stata proprio mia figlia».
Poche altre tragedie italiane, come la valanga che si è abbattuta alle 16,48 del 18 gennaio 2017 sull’Hotel Rigopiano, hanno il potere di svelare la concatenazione indecifrabile di scelte e casualità , di errori e manchevolezze, di fortuna e accidenti che finiscono per causare una sciagura e determinare i destini individuali sulla scena.
È passato un anno. Gli undici sopravvissuti cercano di andare avanti. I coniugi Parete, Giampiero e Adriana, stanno per dare alle stampe con Mondadori un libro dal titolo «Il peso della neve».
La frase scelta per il lancio è questa: “Mamma, perchè non vengono a prenderci?”. “Non lo so”. “Ma ci avevano trovati…”. “Non lo so”. “Dici che non ci hanno sentito?”. “Ma sì che ci hanno sentito. Magari adesso sono un po’ stanchi…”.
Una squadra di sceneggiatori è al lavoro sulla preparazione della fiction opzionata a tempo di record dal produttore Pietro Valsecchi.
Ecco perchè Gianluca Tanda, presidente del comitato dei parenti delle vittime dell’Hotel Rigopiano, dice: «Siamo rimasti stupiti. Giampiero Parete non ci ha mai detto del libro. Magari annuncerà che i soldi ricavati andranno in qualche opera di bene. Ce lo auguriamo. Noi condanniamo categoricamente tutti i tentativi di speculare sul marchio della nostra tragedia. Ci sentiamo soli, e siamo profondamente amareggiati».
Restano 29 morti, 23 indagati. Tre orfani. E tutte le domande di un anno fa. Solo con più rabbia, adesso.
Il 18 gennaio a Farindola e Penne verrà celebrata una messa di commemorazione, poi ci sarà una manifestazione organizzata dai parenti delle vittime. «Lo Stato ci ha abbandonato», dice Nicola Colangeli.
«Siamo distrutti. Moralmente e fisicamente. Nessuno ci aiuta. Troviamo tutte le porte chiuse. Mia moglie ha fatto domanda per la pensione anticipata di un anno. Gli è stata respinta, anche se ha l’invalidità all’90 per cento e non ce la fa più ad andare avanti con le gocce dei tranquillanti. In che mondo viviamo? Il Presidente della Repubblica non è mai venuto qui. Se fossero morte 29 bestie, 29 lupi, sarebbero arrivati da tutte le parti. Ma qui sono morte 29 persone, di cui 11 sul lavoro, e addirittura l’Inail non ci riconosce niente. Nemmeno il funerale abbiamo ripreso. Dopo questa maledetta valanga».
Nel Comune di Farindola, 1.400 abitanti, il più vicino all’hotel, convivono indagati e parenti della vittime. In alcuni casi portano lo stesso cognome.
Anche il signor Colangeli abita lì: «È indagato il mio medico curante. È indagato il sindaco, che conosco bene. È indagato il tecnico comunale, un mio parente. Ma io non sono arrabbiato con loro. Io ce l’ho con la Provincia. Loro hanno la colpa maggiore. Quando vedo un cantoniere, io provo rabbia. Perchè erano loro i responsabili della viabilità ». Le indagini non sono ancora chiuse. La procura di Pescara ipotizza reati che vanno dall’omicidio alle lesioni colpose plurime, dal falso all’abuso edilizio.
L’albergo è stato costruito e ampliato dove non doveva essere: esattamente al fondo di un canalone. Il sindaco di Farindola non ha chiuso la strada. Nessuno l’ha liberata.
L’ex prefetto Provolo avrebbe tardato ad attivare il centro di coordinamento dei soccorsi. I carabinieri lo accusano anche di «evidenti contraddizioni nella ricostruzione dei fatti». E poi, tutto il resto è quello che si scopre ancora una volta in mezzo al disastro. Le sottovalutazioni e le battute al telefono, un’ora prima della valanga, fra il dipendente dell’Anas Carmine Ricca e il responsabile del settore viabilità della provincia Paolo D’Incecco: «E insomma, mica deve arrivare a Rigopiano? Perchè se dobbiamo liberare la Spa, al limite ci andiamo a fare pure il bagno».
L’unica turbina in grado di liberare la strada era rotta in un garage di Pescara, e l’altra era al lavoro per accontentare qualcuno. «Siamo andati a pulire la strada del presidente che era incustodita» dice il geometra d’Incecco in quelle ore. Anche il governatore D’Alfonso chiama: «Vorrei un passaggio della turbina di nuovo a Lettomanoppello. E poi, se possibile, anzichè salire per Passolanciano, c’è un piccolo tratto che ostruisce sopra a Pretoro. Vedi di poterlo fare».
Davanti alle rovine adesso si fermano i curiosi. Arriva un signore intimorito, si chiama Pomponio Acentino, portava le lenzuola pulite all’hotel: «Sono venuto a vedere con i miei occhi perchè dalla televisione non riconoscevo l’albergo. L’ingresso era qui sopra, infatti. Prima».
Le operazioni di sgombero sono appena incominciate. Oggi a Rigopiano ci sono 14 gradi. Fra le macerie, una bottiglia intatta di prosecco. Un coltello da cucina. Dell’olio.
«Portano via anche i ricordi di mia figlia» dice quel signore con i pantaloni da soldato. Quel padre. Prima di inginocchiarsi. E rimettersi a pregare.
(da “La Stampa”)
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