Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
5000 EURO DI CONSULENZA PAGATI DALLA FONDAZIONE DEL LIBRO PRIMA DELLA LIQUIDAZIONE APRONO UN PROBLEMA “POLITICO” NELLA MAGGIORANZA CINQUESTELLE A TORINO, VISTO CHE NON SONO STATI PAGATI NEANCHE I DIPENDENTI E I FORNITORI
Dopo il Richelieu Paolo Giordana, potrebbe essere il portavoce Luca Pasquaretta a finire nei guai. E
per una consulenza da cinquemila euro.
Chiara Appendino si sta dimostrando sfortunata come Virginia Raggi nella scelta dei collaboratori, per lo meno per la maggioranza a 5 Stelle che regna a Torino.
Il portavoce della sindaca è finito nella bufera per una consulenza da 5mila euro pagata subito dalla Fondazione per il Libro, che negli ultimi mesi, dopo essere stata messa in liquidazione, non solo non ha pagato i fornitori, ma non è riuscita a garantire gli stipendi nemmeno ai dipendenti: «Il problema non è solo sulla correttezza formale, ma anche sull’opportunità politica di chi ha scelto di farsi pagare quando uno stipendio già ce l’ha», dicono in Comune a Torino.
Pasquaretta è indagato nella vicenda di un evento collegato a Piazza San Carlo, che sta diventando ormai l’evento pubblico attorno al quale ruotano i destini dell’intera giunta grillina.
I pm hanno scoperto che quello di Parco Dora è stato un evento “fantasma”, messo in piedi senza chiedere nemmeno l’occupazione del suolo pubblico e a quanto risulta non ci fu neppure il sopralluogo della Commissione di vigilanza della prefettura, a differenza di quanto avvenne per piazza San Carlo, sebbene la proiezione sotto la tettoia dello strippaggio di Parco Dora fosse inserita nei comunicati ufficiali del Comune.
In questa vicenda non ci sono indagini ma problemi di opportunità . Spiega oggi Repubblica Torino:
Oggi è stata convocata una riunione di maggioranza, dove la sindaca avrebbe dovuto fare “solo” il punto sul rilancio dell’attività di giunta — comprese le ipotesi del rimpasto. L’affaire Pasquaretta però sposterà la discussione anche sulla figura del portavoce, già indagato per la vicenda della proiezione della finale di Champions League al Parco Dora e inviso a diversi assessori della giunta e consiglieri della Sala Rossa.
La sindaca Appendino ha chiesto gli uffici una relazione sulla vicenda e domani riferirà in Sala Rossa sugli aspetti tecnici, ma prima dovrà affrontare il tema con i suoi consiglieri che vogliono chiarimenti su chi abbia dato il consenso politico al suo affiancamento al presidente della fondazione, Massimo Bray: «L’anno scorso c’era un’urgenza per salvare il Salone — ammette un altro consigliere — Credo sia stato questo a giustificare la scelta, ma sicuramente non è il massimo questa vicenda. Bisognerà capire perchè non potesse occuparsene nessun altro oltre a lui».
Non solo. Altri dipendenti del Comune hanno lavorato per la Fondazione lo scorso anno, ma erano in distacco, senza una retribuzione aggiuntiva da parte della Fondazione per il Libro.
Anche per Pasquaretta non si poteva scegliere la stessa formula? Oppure era necessario incrementare lo stipendio preso a Palazzo Civico, emolumento pari a circa 43 mila euro lordi all’anno.
E adesso la maggioranza di Chiara potrebbe chiedere la sua testa. L’ennesima.
(da “NexQuotidiano”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
POTREBBE SPIAZZARE TUTTI CON UNA DONNA DI SPESSORE DELLA SOCIETA’ CIVILE NOTA A LIVELLO INTERNAZIONALE COME PREMIER…UN IMPRENDITORE DEL NORDEST ALLO SVILUPPO ECONOMICO, UN PERSONAGGIO MOLTO POPOLARE AI BENI CULTURALI E CANTONE ALLA GIUSTIZIA
Al Quirinale hanno mentalmente annotato le ultime novità (informalissime) provenienti dai leader, ma non per questo hanno interrotto lo scouting (informalissimo) in atto da qualche giorno.
Alla ricerca di ministri e di un primo ministro per quel governo «neutrale» che dovesse «imporsi» davanti all’incapacità dei partiti di trovare una maggioranza condivisa.
E sebbene dal Quirinale non trapelino dettagli, tanti segnali lasciano capire che – in caso di precipitare degli eventi – il presidente Mattarella abbia già predisposto una rete di salvataggio: una squadra quasi completa di ministri, anche se al momento sembrerebbe mancare la casella più importante. Quella del presidente del Consiglio.
Figura per 72 anni declinata al maschile: una sequenza che nelle intenzioni del Capo dello Stato potrebbe interrompersi.
Non è un imperativo categorico, ma un tentativo serio: per la guida del governo il presidente Mattarella sta sondando anche la possibilità di individuare la figura di una donna, una donna di spessore, capace di rappresentare una novità sociale e di costume e al tempo stesso dotata di quelle doti di carisma e di «tenuta» richieste dall’incarico.
Ricerca non semplice proprio per il ritardo italiano nel valorizzare e sperimentare le donne più capaci. Sembra siano stati esaminati i profili di personalità di forte spessore. Come Fabiola Gianotti, cinquantottenne fisica direttrice generale del Cern di Ginevra: la rivista «Time» l’ha collocata in quinta posizione nella graduatoria di Persona dell’anno 2012, mentre «Forbes» l’ha inserita nella lista delle 100 donne più potenti al mondo. Come Lucrezia Reichlin, 63 anni, docente alla London Business School: il suo nome venne ventilato per il ruolo di vice-governatore alla Banca d’Inghilterra.
Come Marta Cartabia, 55 anni, la più giovane vice-presidente della Corte Costituzionale nella storia della Repubblica.
Come Paola Severino, già Guardasigilli nel governo Monti e autrice della legge che, tra l’altro, ha messo fuori gioco Berlusconi alle ultime elezioni. Una «firma» che non la aiuta.
Al profilo individuato dal Quirinale rispondono personaggi come Anna Maria Tarantola, già presidente della Rai, una vita in Banca d’Italia e come l’economista Fiorella Kostoris Padoa Schioppa. In corsa resta la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati.
E l’esecutivo del Presidente non è una passeggiata.
Il Capo dello Stato sa che un conto è richiamare i partiti alla propria responsabilità , altro conto è sfidarli e non è sua intenzione superare i confini istituzionali. Ecco perchè la qualità oggettiva della «sua» squadra può fare la differenza per «conquistare» una maggioranza.
Dunque niente ministri tecnocrati, funzionari, grand commis, ma tanta società civile.
Per il ministero dello Sviluppo il profilo «giusto» sarebbe quello di un imprenditore del Nord-Est, mentre un personaggio come Raffaele Cantone potrebbe avere i requisiti per ministeri di prima fascia come Giustizia e Interno.
Per Economia, Esteri e Difesa la competenza è considerata fattore dirimente. Mentre per il ministero come i Beni Culturali potrebbe arrivare una sorpresa, con la scelta di un personaggio di grande popolarità .
(da “La Stampa”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO DIETROFRONT PATETICO, L’AZIENDA M5S HA PAURA DI RIMANERE FUORI DAL TAGLIO DELLA TORTA
C’è stato un momento preciso in cui Luigi Di Maio ha mandato un segnale a Matteo Salvini. E senza
che nessuno se ne accorgesse, loro si sono capiti. Anzi, Salvini ha capito: «Di Maio sta dicendo che è pronto a un passo indietro».
Il segnale è stato a Porta a Porta quando alla domanda sul perchè Di Maio non avesse mai ceduto sulla premiership, il capo politico del M5S ha risposto: «Salvini non mi ha mai proposto un nome che non fosse del centrodestra… Voleva che io non facessi il premier e avere Berlusconi nel governo…».
È stata la prima volta in cui, dopo due mesi, Di Maio non è stato granitico su se stesso a Palazzo Chigi.
Un passaggio appena percettibile che ora però acquista nuova luce. Perchè Di Maio davvero sta pensando all’estremo sacrificio personale, per realizzare il governo con la Lega, l’unico che da sempre ha inseguito con determinazione.
A una condizione, però, ed è sempre la stessa: che Salvini si liberi di Berlusconi. Il grillino lo ha proposto qualche giorno fa in una telefonata, prima a Giancarlo Giorgetti, poi al leader del Carroccio. «Guarda che se il problema sono solo io, un modo lo troviamo…».
Un messaggio arrivato pure al Colle, dove confermano i contatti. Servirà un terzo nome che piace a entrambi, ma non è escluso che possa essere anche Salvini a ricoprire il ruolo da premier se Di Maio avrà la garanzia di un ministero per realizzare il reddito di cittadinanza.
Lo schema era stato già proposto dal leader del Carroccio, nelle mai interrotte interlocuzioni di questi mesi, una possibilità però che è sempre evaporata per l’indisponibilità di Di Maio.
Ora però le condizioni sono cambiate. Il M5S non è più il perno di qualsiasi manovra esplorativa concessa dal Quirinale, e Di Maio ha indebolito la sua forza contrattuale. Sul fronte interno, l’apertura al Pd gli è costata cara.
La prospettiva di sedersi allo stesso tavolo di Matteo Renzi ha messo di cattivo umore Alessandro Di Battista e ha scatenato Beppe Grillo e la sua ritrovata foga anti-europeista.
Di Maio, poi, avrà anche capito di essersi spinto troppo in là nell’insistere su Palazzo Chigi.
Lo ha capito dai titoli dei tg, dai sondaggi, dai messaggi dei colleghi, dalla poca voglia di tornare al voto dei parlamentari, da chi non tratteneva più i mugugni convinto che il M5S sia nato per realizzare un programma, senza impiccare i sogni alle ambizioni personali.
Diceva «al voto al voto», ancora ieri, e continuerà a dirlo se Salvini non si separerà da Berlusconi.
Come? Ci sono due modi, ed entrambi sono stati affrontati nei colloqui tra M5S e Lega.
Il primo è più lineare, ma anche più difficile: Berlusconi dà l’appoggio esterno e si parte (era la proposta di Di Maio, già respinta).
Il secondo è più contorto ma è quello che preferirebbero i leghisti, e anche i grillini: Berlusconi dice sì al governo di tregua del Capo dello Stato, offrendo a Salvini l’occasione per rompere con lui.
Il leader della Lega sentirebbe di avere le mani libere e non potrebbe essere accusato di «tradimento» dall’ex Cavaliere per aver rotto il patto di centrodestra.
Anzi, sarà lui, a quel punto, a dire che Berlusconi, sposando un esecutivo di tecnocrati, ha rotto il patto con gli elettori.
Alla fine, l’incognita resta sempre il leader di Forza Italia.
Ecco perchè Salvini continua a insistere con la sua proposta ai grillini: un governo politico che comincia a tempo determinato e poi si vede: «Faccio da garante io per tutto il centrodestra, voi parlerete solo con me, Berlusconi resterà in disparte».
Ma il M5S non si fida più. Troppe volte, dicono, «ci ha promesso che si sarebbe liberato facilmente di Berlusconi».
Ma un’apertura c’è, anche se condizionata e prudente. Non a caso il senatore Vito Crimi ieri è andato a Sky a dire che «la proposta del leader della Lega è da valutare ma è arrivata in ritardo».
E che la settimana che si apre potrebbe portare «al 50% a un incontro tra Salvini e Di Maio e al 50% alle urne anticipate».
(da “La Stampa”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
AVEVA 89 ANNI, LAVORO’ CON PETRI, ZEFFIRELLI E BLASETTI… GRANDE DOPPIATORE, FU LA VOCE DI HUMPHREY BOGART
È morto a Roma Paolo Ferrari, grande attore di teatro, per anni in ditta con Valeria Valeri, ma anche del grande schermo. Ha lavorato con registi come Blasetti, Zeffirelli e Petri. È stato anche un famoso doppiatore. E un’icona della tv.
Nato a Bruxelles il 26 febbraio 1929, è morto a 89 anni. Con lui finisce un’era, quella di una bella Italia che non esiste più.
Una vita vissuta giocando a recitare, attore di un Paese a cavallo tra due guerre, vissuta tra povertà e rinascita in quel bel Paese che Paolo Ferrari ha rappresentato partendo dai microfoni della radio, arrivando alla tv in bianco e nero, prove tecniche di trasmissione, oltre il colore.
Fino a oggi, tra le mani telecomandi e telefonini, computer. Davanti, schermi giganteschi, molto rumore.
La sua carriera comincia da bambino, a 9 anni. Alla radio Eiar con un programma in cui interpretava il balilla Paolo. Aveva debuttato nel film Ettore Fieramosca, regia di Alessandro Blasetti, col nome di ‘Tao’ Ferrari. Un bambino prodigio in calzoni corti di feltro dei primi anni Quaranta, un ragzzino fortunato, piccolo in mezzo a grandi attori dai quali imparava tutto.
Poi un fine primo tempo di guerra e subito dopo, di nuovo, il ritorno a quello che voleva e sapeva fare, l’attore. Radio, televisione.
Con lui, gli indimenticabili.
Nel varietà radiofonico Rosso e nero n° 2, recita con Nino Manfredi e Gianni Bonagura. Impara tutto, adora quello che fa con tutto se stesso. Quasi 40 film. Con Steno, Corbucci, Zeffirelli, Malasomma, Festa Campanile, Veronesi, Petri, Canevari. Dalla fine degli anni Quaranta è la voce di David Niven in Scala al paradiso (1948), Franco Citti in Accattone di Pier Paolo Pasolini e quella di Jean-Louis Trintignant nel Sorpasso di Dino Risi. Negli anni Settanta ridoppia Humphrey Bogart in Il mistero del falco, Il grande sonno, Agguato ai tropici.
Ma è anche il Bond di Roger Moore in Gold, è Tomà¡s Milià¡n in Dove vai tutta nuda?, Richard Burton in La quinta offensiva, Dean Martin in 10.000 camere da letto, o Clive Francis in Arancia meccanica.
Nel 2008 Paolo Ferrari è tornato ad essere testimonial pubblicitario e protagonista dello spot televisivo Dash, insieme all’attore Fabio De Luigi come “suo angelo custode
Girano intorno al suo mondo Vittorio Gassman, Marina Bonfigli, che sposa, la Rai è la televisione più bella del mondo. Paolo Ferrari poteva raccontarne ogni angolo, ogni luce, nel 1960 presenta anche il Festival della canzone italiana di Sanremo, insieme a Enza Sampò.
Negli anni Sessanta diventa popolarissimo. È la pubblicità televisiva del Dash a fare entrare il suo naso, i capelli brizzolati, le mani, nelle case degli italiani.
Una serie di spot che restano nella storia, un ottimismo nuovo, sorrisi che ricordano un mondo Oltreoceano aperti a ogni possibilità . Il bianco più bianco, quando il detersivo era in polvere e nei fustini. “No, non scambio il bianco di Dash! Si riprenda i due fustini signor Ferrari!”, diceva una signora in una delle pubblicità .
La televisione non lo abbandona mai. Dal 1969 al 1971 partecipa alla serie dedicata a Nero Wolfe, nel ruolo di Archie Goodwin al fianco di Tino Buazzelli. Poi Accadde a Lisbona, al fianco di Paolo Stoppa.
Negli anni Ferrari è stato uno dei protagonisti della serie tv Orgoglio, in cui appare in tutte e tre le stagioni come il marchese Giuseppe Obrofari, uno dei personaggi principali e capostipite della famiglia protagonista.
Nella soap opera Rai Incantesimo (9 e 10) ha il ruolo di Luciano Mauri. È il “pensionato” del serial televisivo di Rai 2 Disokkupati del 1997. E nel 2006 vince il Premio Gassman alla carriera.
Dopo il primo matrimonio con Marina Bonfigli con la quale ha avuto due figli, Fabio (il maggiore, anche lui attore, famoso protagonista dei Ragazzi della III C) e Daniele, ha poi sposato Laura Tavanti, madre del suo terzo figlio, Stefano.
Entrambe sono state sue compagne anche sulla scena. Ferrari era ricoverato nell’ospedale di Monterotondo, malato da tempo.
Lo assisteva la moglie insieme ai figli.
Da poco aveva detto in un’intervista: “Alla meditazione io dedico ogni giorno qualche ora. Lasciar passare i pensieri, lasciarli andare senza trattenerli”.
(da “La Repubblica”)
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