Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
SOTTOLINEO “SEDICENTE”: I “FASCISTI” NON MANDANO MESSAGGI MAFIOSI, LA MAFIA LA COMBATTONO COME BORSELLINO… CONTRO GLI INFAMI DI QUALSIASI COLORE, ANCHE QUELLI CHE A OSTIA CERCAVANO I VOTI DEI CLAN
La pastiglia deve avere fatto effetto.
Il prode Vittorio Di Battista, qualche ora fa aveva scritto un post su Facebook nel quale minacciava il presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non meglio precisate prese della Bastiglia all’indirizzo del Quirinale da parte del “popolo incazzato”: “Ecco, il Quirinale è più di una Bastiglia, ha quadri, arazzi, tappeti e statue. Se il popolo incazzato dovesse assaltarlo, altro che mattoni. Arricchirebbe di democrazia questo povero paese e ridarebbe fiato alle finanze stremate”, scriveva, chiudendo poi così: “Forza, mister Allegria (Mattarella, ndr), fai il tuo dovere e non avrai seccature”.
Una volta letto ad alcuni è venuto in mente che forse più di presa della Bastiglia ci si dovesse preoccupare della necessaria presa di una pastiglia.
Ma siccome un poeta molto apprezzato dalla destra diceva che “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”, Vittorio Di Battista ha cancellato il post.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
TRE ANNI FA VOLEVA DISTRUGGERE SALVINI, ORA IL SEDICENTE FASCISTA DA AVANSPETTACOLO E’ DIVENTATO IL LECCACULO DELLA LEGA
Le colpe dei padri non dovrebbero mai ricadere sui figli. Quindi non è colpa del figlio di Alessandro Di
Battista se papà tre anni fa voleva distruggere Salvini e oggi – per interposto Di Maio – ci fa il governo insieme.
Per usare le parole di Roberto Saviano, non è che paraculus pater, paraculus filius.
A maggior ragione, se quel sedicente “vecchio fascistone” del padre di Alessandro, Vittorio, scrive su Facebook che gli italiani dovrebbero assaltare il Quirinale (“Se il popolo dovesse assaltarlo, altro che mattoni”), minaccia Mattarella con consigli da rapinatore di banche (“Fai il tuo dovere ed eviterai seccature”), vede una lobby ebraica dietro le notizie sul cv di Giuseppe Conte (le “fianate”), caccia palle sulla legge elettorale (con questi voti, nessuna legge elettorale anche decente avrebbe decretato un vincitore, tolto l’orrendo Italicum), dà del poveretto all’uomo che sta cercando di tenere la barra dritta in questo indicibile caos… tutto questo non è colpa di Alessandro Di Battista.
Che però dovrebbe almeno togliere al babbo le credenziali di accesso.
Resta un dato: sui social, fior di sostenitori grillini hanno condiviso esultando il post/pizzino.
Dibba da sempre sostiene di aver votato a sinistra e di essere un sincero democratico: ecco, qualche domanda su cosa avete seminato, me la farei.
A patto, forse, che risponda il Di Battista di tre anni fa.
Figlio, mi raccomando.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
NEL CONTRATTO CANCELLATE TUTTE LE BATTAGLIE DEL M5S, SPAZIO ALLE OPERE INUTILI CHE PIACCIONO ALLA LEGA… SI CONTINUA CON LA ULTRADECENNALE PORCHERIA ORGANICA AL CARROCCIO DI SPOLPARE LE CASSE DELLO STATO
Cinquanta giorni fa avevamo avanzato il timore che il “parliamo di programmi e solo dopo di persone” nascondesse un rischio: belle parole generiche avrebbero assunto con i nomi dei ministri una concretezza tutta da scoprire.
L’esempio scelto era quello del ministero delle Infrastrutture: ci andrà un pentastellato rigorosamente schierato contro le grandi opere inutili o un leghista amico del cemento? La domanda era mal posta.
Se nascerà il governo pentaleghista non ci sarà bisogno di attendere il nome del ministro.
Basta leggere il “Contratto per il governo del cambiamento” sottoscritto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini: il partito del cemento ha già trionfato.
Il capitolo 27 (“Trasporti, infrastrutture e telecomunicazioni”) è dedicato per metà ai mezzi di trasporto privato e alla promozione di auto ibride e elettriche, car sharing e piste ciclabili. Ottimo.
Ma non si parla di grandi opere, quelle contro cui il M5S ha combattuto per anni le sue battaglie.
Non si parla della rendita delle concessionarie autostradali, anzi la parola autostrada non compare mai. L’unica opera nominata è il Tav Torino-Lione.
Dopo anni di opposizione dura, il M5S consegna alla storia questo grido di battaglia: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”.
C’è da sperare che chi ha prodotto la formula sappia esattamente quali spazi di ridiscussione integrale consenta l’accordo tra Italia e Francia.
Colpisce comunque che un programma di governo che propugna la “ridiscussione dei Trattati dell’Ue” consideri intoccabile l’accordo bilaterale per un’opera inutile.
Il sospetto che gli interessi cementizi abbiano trovato ospitalità nel “contratto” si fa più forte leggendo le poche ambigue righe dedicate, senza nominarlo, al Terzo valico, la ferrovia che dovrebbe collegare il porto di Genova alla città di Voghera.
Costo previsto per i contribuenti: 6,2 miliardi di euro per 56 chilometri.
Il contratto Di Maio-Salvini contiene un inno alla più inutile delle opere inutili, come il M5S l’ha sempre definita.
Promemoria: parliamo di un’opera talmente inutile che per 20 (venti) anni Intesa Sanpaolo non ha avuto il coraggio di finanziarla.
Appena il capo della banca Corrado Passera è diventato ministro ha mollato il conto da pagare allo Stato: è stata la prima decisione del governo Monti, addirittura precedente alla legge Fornero.
Uno scandalo che il governo pentaleghista perdonerà .
Il curriculum del Terzo valico non è brillante. Il direttore dei lavori Stefano Perotti è stato arrestato nel 2015, ha preso il suo posto Giandomenico Monorchio che è stato arrestato nel 2016 insieme a Michele Longo, uomo Salini Impregilo e presidente del consorzio costruttore Cociv.
Saranno tutti innocenti, per carità , ma è difficile credere che in quei cantieri miliardari regni la trasparenza.
A tutto questo il “contratto” dà la sua risposta a pagina 49: “Senza un’adeguata rete di trasporto ad alta capacità non potremmo mai vedere riconosciuto il nostro naturale ruolo di leader della logistica in Europa e nel Mediterraneo. È necessario inoltre favorire lo switch intermodale da gomma a ferro nel trasporto merci investendo nel collegamento ferroviario dei porti italiani”.
Sembra la propaganda del Berlusconi con la lavagna da Bruno Vespa.
È esattamente la retorica del ferro con cui da decenni il partito del cemento assalta e spolpa le casse dello Stato.
Una pluridecennale porcheria alla quale la Lega ha partecipato organicamente mentre il M5S protestava.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
DI BATTISTA E DI MAIO SONO DUE CONSUMATI CARATTERISTI DEI PALCOSCENICI DI PROVINCIA … PRENDERE PER I FONDELLI IL PUBBLICO E’ IL LORO MESTIERE
La gestione della comunicazione nel Movimento 5 Stelle non è mai lasciata al caso e molte delle
fortune elettorali di questo partito sono legate proprio alle eccellenti doti di organizzazione dei messaggi che piovono sui vari media.
In questo, vi piacciano a no, Casaleggio, Casalino e la loro squadra si sono dimostrati negli anni i più abili costruttori di narrazione in circolazione (il caso Salvini è infatti piuttosto diverso).
Per questo sono sinceramente affascinato da una “trappola” in cui caschiamo regolarmente tutti.
La trappola più vecchia del mondo e che, per semplicità , chiamerò “poliziotto buono e poliziotto cattivo”.
Un po’ come succede negli interrogatori dei film americani, di fronte al criminale che viene torchiato, i due agenti interpretano un ruolo a tavolino: uno fa il violento aggressivo e intimorisce il sospettato. L’altro cerca di essergli amico, di difenderlo dal collega, di carpirne la simpatia per ottenere la confessione che cerca.
Se togli il poliziotto buono, la strategia di quello cattivo si rivela inutile. E viceversa.
Ecco, negli ultimi tempi il Movimento 5 Stelle ha applicato una strategia simile nei confronti del suo elettorato.
I due poliziotti sono Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, il “criminale” è ovviamente l’elettore e, ancora di più, la base. Ora, definire tra Di Maio e Dibba quale sia il buono e il cattivo è un po’ una questione di punti di vista.
In ogni caso, ogni volta che il Movimento si sta un po’ impaludando in “lungaggini” politiche o dibattiti non troppo graditi alla base più ruspante, e quando i commenti sui social ricominciano a farsi aggressivi, interviene il poliziotto Alessandro Di Battista. Lo fa ad esempio ricordando che Silvio Berlusconi è il male assoluto (poco conta che sia il suo editore) o, notizia dell’ultima ora, per esortare Mattarella a “non difendere cause perse” e convocare al Quirinale Giuseppe Conte.
Un messaggio, rilasciato chiaramente su Facebook, piuttosto aggressivo e irrituale (ma, come ho spiegato ieri, i riti e le cortesie istituzionali sono una delle cose che meno interessano, anzi) con l’unico intento di tranquillizzare a base, fare vedere agli elettori che i 5 Stelle sono sempre gli stessi del primo giorno.
Una frase che però viene fatta dire sempre al poliziotto “cattivo” Dibba mentre al poliziotto “buono” Di Maio o ai suoi più stretti collaboratori si chiede di fare l’altro, quello istituzionale e tranquillo.
Ad esempio la capogruppo 5 Stelle Giulia Grillo, che insieme a Toninelli è la spalla di Di Maio, appena ieri sera aveva detto: «È normale e fisiologico che il capo dello Stato decida i suoi tempi: sono tutte cose che già conosciamo».
Il risultato di “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, ce lo insegnano i film americani, è sempre lo stesso: il sospettato (in questo caso l’elettore) ci casca sempre e finisce per cantare e fare quello che vogliono i due “sbirri”.
La strategia per tenere insieme la base senza “compromettere” con dichiarazioni eccessive le figure istituzionali funziona alla perfezione.
Basta cascarci
(da “L’Espresso”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
“UN CONTO SONO LE PROMESSE, ALTRA COSA LA REALTA’, I NUMERI DI M5S E LEGA SONO SBALLATI, ALTRO CHE 5 MILIARDI”
La riforma dei requisiti pensionistici che hanno in mente Lega e Movimento 5 Stelle rischia di costare molto più caro di quanto immaginato.
È l’avvertimento che lancia il presidente dell’Inps Tito Boeri.
Per andare in pensione con quota 100 tra età e contributi o 41 anni di contributi a qualsiasi età così come previsto dal contratto di governo tra Lega e M5s – secondo Boeri – si avrebbe “un costo immediato di 15 miliardi all’anno” per salire poi a regime a 20 miliardi.
Il debito implicito sarebbe di 120 miliardi di euro.
Sul contratto di governo – ha spiegato Boeri a proposito della quota 100 per l’accesso alla pensione – c’è una cifra diversa, 5 miliardi. Per arrivare a questa cifra ci sarebbe bisogno di inserire finestre che impongano un ritardo di 15 mesi”.
Di fatto quindi con questa quota superiore a 101 si potrebbero “ridurre i costi a 7 miliardi per il primo anno e a 13 miliardi a regime”.
Si potrebbe poi, ha spiegato Boeri, inserire una previsione secondo la quale potrebbero non essere considerati per il calcolo degli anni dei contributi quelli figurativi o i riscatti.
“Bisognerebbe essere – ha avvertito parlando ad un convegno sui ‘dati amministrativi per le analisi socio-economiche e la valutazione delle politiche pubbliche’ – molto espliciti, avere l’onestà intellettuale di dire cosa vogliono fare e che cosa c’è e cosa non c’è esattamente in quota 100”.
Discorso analogo per il reddito cosiddetto di cittadinanza.
I costi sono “nettamente superiori a quelli stimati”, ha detto Boeri parlando a un convegno sull’utilizzo dei dati amministrativi per la valutazione delle politiche pubbliche spiegando che in questi casi l’indagine campionaria non basta per dare un quadro completo sulla situazione di coloro che potrebbero accedere al beneficio. Questo è proprio uno di quei casi in cui andrebbero utilizzati i dati amministrativi per la valutazione delle politiche da mettere in atto.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO CHE TAGLIARLE, ALLA FINE CHI PRENDE DI PENSIONE 5.000 EURO AL MESE CI GUADAGNA 1.674 EURO AL MESE: QUESTI SONO I “TAGLI” DEI DUE CIALTRONI
La Lega e il MoVimento 5 Stelle hanno annunciato di voler tagliare le cosiddette pensioni d’oro, ovvero
quelle sopra i 5 mila euro netti al mese, non giustificate dai contributi versati, e quindi pagate col sistema retributivo. Sono 30 mila.
Il contratto vuole eliminare la parte di pensione non corrispondente al valore dei contributi.
Repubblica, in un articolo a firma di Marco Ruffolo basato su dati di Tabula-Futuro e previdenza, spiega che il contratto giallo-verde, dopo aver sventolato la bandiera dell’equità sociale, finisce non per ridurre ma addirittura per aumentare le pensioni nette di quei privilegiati.
E non di poco.
A conti fatti, i pensionati più ricchi si metteranno in tasca circa il 30 % in più.
A spiegare questa clamorosa eterogenesi dei fini interviene un’altra misura chiave del contratto: la flat tax. Già , perchè i risparmi che otterranno i pensionati d’oro attraverso la tassa piatta (fatta in realtà da due aliquote molto basse), saranno di gran lunga più cospicui dei tagli che subiranno le loro pensioni.
Questo perchè più alte sono le pensioni, più si riduce lo squilibrio tra contributi pagati e pensione percepita, e così alla fine il taglio previsto non sarà così forte da annullare i vantaggi della tassa piatta.
Prendiamo ad esempio un pensionato che prende 10 mila euro lordi al mese, 5.837 netti.
Con il taglio del 5%, il suo assegno si riduce a 9.500 euro lordi, che con l’attuale tassazione equivalgono a 5.553 euro netti: dunque 284 euro in meno.
Ma con la flat tax quell’assegno netto risale di 1.958 euro.
Guadagno finale: 1.674 euro in più al mese nelle sue tasche, con un aumento della pensione del 29%.
Facciamo un esempio limite: il fortunato che ha una pensione di 40 mila euro al mese, da una parte avrà un taglio di 2 mila euro, dall’altra un risparmio fiscale di oltre 8 mila: 6 mila euro in più al mese.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
LA CONSULENZA DEL 14 MAGGIO INDIRIZZATA AL PREMIER CHE ORA SAREBBE LUI STESSO
Un parere pro veritate firmato il 14 maggio, quando i 5 Stelle lo avevano già indicato al presidente della Repubblica come loro papabile premier. Nulla di illegittimo, al massimo una questione di inopportunità .
Che Giuseppe Conte non ha giudicato tale, nonostante quella consulenza indichi al governo una condotta potenzialmente punibile dall’esecutivo che lo stesso avvocato — già all’epoca — sapeva di potersi trovare a guidare.
La storia — ricostruita da La Repubblica — riguarda l’incarico ricevuto da Conte da parte del finanziere Raffaele Mincione, che si sta battendo per il controllo della società Retelit, azienda che gestisce cavi in fibra ottica che collegano 9 grandi città italiane. Beni strategici, sui quali il governo può esercitare la “golden power”. Mincione attraverso Fiber 4.0 è azionista di minoranza con l’8,97%, ma contro di lui c’è un patto parasociale firmato da tre società Bousval, Axxion e SVM che controllano il 24,36% delle azioni e vogliono presentarsi all’assemblea del 27 aprile con una lista di maggioranza.
Così una settimana prima, il 20, Mincione segnala al governo quella che a suo avviso è un’omissione importante: la mancata comunicazione all’esecutivo di avere il controllo della società , grazie al patto parasociale.
Oltretutto, osserva Mincione, Bousval è una società libica, controllata dalla Lybian Post Telecommunications information Technology Company. Una delle società del patto parasociale, la SVM, in assemblea spiega che il cda ha già chiesto pareri a diversi legali sulla necessità di comunicare all’esecutivo il “controllo”.
Ma la Fiber di Mincione sollecita un parere pro veritate: spetta a Conte, che lo consegna il 14 maggio.
In quella data, il giurista, che è già papabile premier, scrive che l’obbligo di notifica a Palazzo Chigi c’era, a causa della libica Bousval: “In casi eccezionali di rischio (…) — sottolinea — il governo può opporsi, sulla base della stessa procedura, all’acquisto” di Retelit.
Lo stesso governo che in quella data Conte sa che potrebbe guidare di lì a qualche settimana.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
NON SOLO ABBELLIMENTI MA CURIOSE DIMENTICANZE: PERCHE’ NON HA SCRITTO CHE SIEDE NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DI LA PENINSULARE ASSICURAZIONI E GHMS SPA NEL CAMPO ENERGETICO?
Non solo abbellimenti ma anche curiose omissioni. 
Nel curriculum di Giuseppe Conte, racconta oggi Franco Bechis sul Tempo (giornalista apprezzato e ascoltato dai grillini), insieme a qualche onore smentito dalle università citate, c’è anche qualcosa che manca.
Il professor Conte di Volturara Appula siede infatti anche in due consigli di amministrazione.
Ovvero è consigliere di sorveglianza de La Peninsulare compagnia generale di assicurazione ed è consigliere di amministrazione ancora in carica (fino alla approvazione del bilancio al 31 dicembre 2017) della GHMS Venezia SPA, una delle società operative del gruppo Marseglia, attivo nelle energie alternative.
Il Tempo racconta che la carica in La Peninsulare è stata ottenuta il 20 dicembre 2016, quando la compagnia assicurativa era in liquidazione coatta amministrativa sotto gli occhi dell’organo di controllo — l’Isvass- presieduto dal direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi.
Più complicata la vicenda della GHMS Venezia SPA:
I Marseglia sono una delle più grandi famiglie di imprenditori pugliesi che oltre al core business energetico-turistico si erano ritagliati una piccola fetta del mercato della produzione delle olive e dell’olio. In quel settore sono pure incappati nel 2015 in una vicenda giudiziaria che inizialmente aveva coinvolto sei loro aziende, finite in mezzo a una inchiesta sul trasporto fuori zona di rami di ulivo infettati dalla xylella e sulla commercializzazione di olio di oliva tarocco (venivano spacciate per produzione locale olive in realtà prodotte in paesi del nord Africa).
Dalla vicenda il gruppo uscì dimostrando di avere comprato sì quei rami di ulivo infetti in violazione della legge, ma senza saperlo.
Quanto all’olio tarocco veniva prodotto da altri su terreni dei Marseglia affittati a terzi.
Curiosamente lo stesso gruppo Marseglia in cui è consigliere di amministrazione il professore Conte è più volte entrato nel mirino del Movimento 5 stelle in Puglia, che contestava la decisione del governatore Michele Emiliano di concedere a Monopoli il raddoppio del loro stabilimento per la produzione di biodiesel.
Salvatore Dama, che su Libero riporta la stessa notizia, sostiene che secondo le regole del contratto di governo il prof è in conflitto di interessi e potrebbe non essere idoneo a ricoprire l’incarico di premier.
Però a Di Maio ha già assicurato che, entrato a Palazzo Chigi, lascerà gli incarichi che possano stridere con l’ufficio pubblico.
Tutt’altro significato ha invece il giallo della casa ipotecata sollevato dall’Espresso, se non altro perchè la ricostruzione e la spiegazione fornita dal commercialista del presidente del Consiglio in pectore non spiega tutto: nel 2009 Conte ha ricevuto un’ipoteca di Equitalia per oltre 52 mila euro per un “importo capitale ”di26 mila di cui ad ora non si conoscono le origini.
Emiliano Fittipaldi ha sentito il commercialista di Conte, Gerardo Cimmino: “Il professore nel 2009 ha avuto una richiesta di documentazione inerente le sue dichiarazioni dei redditi. L’agenzia ha mandato le comunicazioni via posta, ma il portiere non c’è. La cartolina è stata smarrita. Quando il contribuente non si presenta, e non porta i giustificativi della dichiarazione, iscrive al ruolo tutto l’Irpef sulla dichiarazione non presentata. Quando il professore se ne è accorto, ha saldato tutto.
Non si sono aperte procedure penali, solo una questione fiscale”.
Ma perchè Conte, se aveva ragione, non ha fatto ricorso?
(da “NextQuotidiano“)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
BOCCIA SPRONA LA POLITICA A NON METTERE IN DISCUSSIONE LE RIFORME E LA PERMANENZA IN EUROPA
Va bene cambiare, ma senza distruggere. E’ il monito che Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, lancia alla platea di industriali, politici, sindati riuniti all’annuale assise dell’organizzazione imprenditoriale.
Un monito che più che alla platea degli invitati è diretta a chi oggi ha in mano le carte per formare il nuovo governo a cui chiede retoricamente se ha una politica industriale, mettendo anche in guardia: “Non è affatto chiaro dove si recuperano le risorse per realizzare i tanti obiettivi e promesse elettorali”.
Parole che i due leader che hanno in mano le carte non ascoltano. Sia Di Maio che Salvini non sono tra i presenti in sala.
Boccia sprona il mondo politico e istituzionale. “La politica – ha detto – deve riappropriarsi del suo ruolo, recuperando la sua vocazione alla sintesi, che matura attraverso il dialogo, il confronto e il sapiente bilanciamento degli interessi”.
E sbaglia, sottolinea il leader degli industriali, chi pensa che l’industria e i suoi temi siano superati. “Non ci può essere una politica forte senza un’economia forte” sottolinea, “se la politica pensa di essere forte creando le condizioni per indebolire l’economia lavora contro se stessa”.
Non può passare l’idea, e il messaggio è ai nuovi leader politici entrati sulla scena ma non solo, che “a ogni cambio di maggioranza politica si torna indietro su scelte strategiche”.
E’ il mondo dell’industria, delle sue difficoltà , del lavoro che cambia, il nucleo centrale del discorso del numero uno di viale dell’Astronomia, che non rinnega il ruolo del sindacato, anzi è con lui che vuole andare avanti e mette in guardia da qualunque ipotesi di un’uscita dall’euro.
Ma per arrivarci la politica deve avere uno sguardo lungo, non può accontentarsi di insguire i risultati elettorali, come fosse sempre in campagna elettorale. “L’industria e i suoi temi – è l’accusa, tutt’altro che velata – è uscita dall’agenda politica”. Un azzardo per una Paese che è comunque la seconda manifattura europea.
“Il contesto che viviamo inizia a preoccuparci – afferma Boccia – e ci chiede di intervenire con saggezza, buon senso e consapevolezza delle nostre responsabilità . Del senso del limite. Bisogna avere senso di comunità e consapevolezza del momento delicato della vita del Paese – aggiunge – Inquadrare nella cornice giusta e non avere una visione limitata di quanto sta accadendo, sapendo ben distinguere la questione italiana, ciò che dipende da noi, dalla questione europea, senza usare quest’ultima come alibi per non affrontare la prima”.
Troppa politica dal respiro breve, dunque, mentre le recenti elezioni “confermano che bisogna riprendere in mano il cantiere delle riforme istituzionali per garantire la governabilità “, osserva il presidente di Confindustria, che incalza “non possiamo continuare a navigare a vista anche perchè i nodi da sciogliere “sono ancora davanti a noi” e rischiamo di rimanere continuamente impigliati “nella sottocultura dei veti e dei blocchi anche di matrice territoriale”.
Deciso Boccia anche sulle grandi opere: nessun dietrofront sulle grandi opere: Tav, Tap e sul Terzo Valico.
(da agenzie)
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