Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
TUTTI A FAVORE DEL GOVERNO LEGA-M5S (CHE PERO’ NON ABBASSA IL PREZZO DELLA BENZINA)… ANCHE ALEMANNO E MENIA SONO PASSATI ALL’ANTI-INFORTUNISTICA, MA IL TRAM NON E’ ANCORA PASSATO
«Se anche voi pensate sia arrivato il momento dei fatti e non delle promesse aderite al
Coordinamento Nazionale Gilet Gialli». A scriverlo sulla sua pagina Facebook è l’ex deputato del MoVimento 5 Stelle Ivan Della Valle, uno di quelli travolti dallo scandalo rimborsopoli che prima di lasciare il M5S ha ammesso di non aver corrisposto correttamente — come promesso — i rimborsi per il fondo per il microcredito.
E così scopriamo che Della Valle — dopo essersi trattenuto la bellezza di 270mila euro — ora è tra i capi della versione italiana dei gilets jaunes transalpini. Che a loro volta sono la versione francese del movimento dei forconi.
Per ora, fanno sapere dal Coordinamento, non è prevista alcuna forma di mobilitazione ma una richiesta di dialogo con i “fratelli francesi”.
Dal Coordinamento sono però pronti a partire con la protesta «sempre in forma civile e legale» contro l’Europa, l’austerità , il caro-benzina e il caro-pedaggi a fianco di milioni di famiglie italiane costrette a subire il ricatto degli speculatori.
Del coordinamento oltre a Della Valle fa parte anche Giancarlo Nardozzi, Presidente del Goia (Gruppo Organizzato Indipendente Ambulanti).
Non sarà però un gruppo o un movimento, quello dei gilet gialli italiani, contro il Governo.
E questa sostanzialmente è l’unica differenza con il movimento dei forconi (a sua volta reincarnazione del popolo delle quote latte) che anni fa utilizzò le stesse tattiche dei blocchi stradali (sulle rotonde, agli incroci, fuori dai caselli autostradali) dei gilets jaunes nel vano e velleitario tentativo di innescare una rivoluzione di popolo contro il governo (precedente) che portasse alla liberazione dell’Italia.
Ma oggi anche i forconi stanno con il governo Lega-M5S.
I “nemici” dei Gilet Gialli italiani sono le organizzazioni sindacali (tranne quelle degli ambulanti), l’Europa, il PD, Forza Italia.
Non l’attuale esecutivo che invece godrà dell’appoggio del Coordinamento che ha intenzione «di aiutarlo a far sì che i programmi compresi nel contratto di governo vadano a realizzarsi».
È ancora da capire come, al di là dei proclami, questo potrà essere possibile.
L’attuale governo infatti con il Decreto Sicurezza voluto dal Ministro Salvini ha reintrodotto il reato di blocco stradale (che era stato depenalizzato nel 1999) con pene che vanno dai due a dodici anni di carcere se il reato è commesso da più persone. Chissà , magari troveranno un nuovo motivo di protesta.
Se in Francia protestano contro il governo in Italia invece la protesta sarà contro l’Europa e la sua politica dell’austerity (che di fatto non esiste al momento).
Ma cosa vogliono quelli del Coordinamento Gilet Gialli Italia?
Lo spiega Ivan Della Valle che in un post di ieri ha elencato le battaglie fondamentali come «l’uscita degli ambulanti e balneari dalla Bolkestein, riduzione della pressione fiscale, diminuzione del costo delle accise sulla benzina e dei pedaggi autostradali». Peccato che la diminuzione del costo delle accise sulla benzina non dipenda dall’Unione Europea ma dal Governo.
Fu infatti Matteo Salvini a promettere — come anche Renzi prima di lui di tagliare le accise.
Non potendo protestare contro l’ex presidente del Consiglio e contro l’attuale ministro dell’Interno non resta che prendersela con l’Europa perchè vuole introdurre un principio fondamentale — quello della concorrenza e dell’equità dei canoni di affitto — anche per quanto riguarda un settore come quello delle concessioni balneari.
Al tempo stesso però i Gilet Gialli chiedono di abbassare i pedaggi autostradali o di revocare le concessioni ad Autostrade Spa. Evidentemente certe concessioni, che insistono su terreno demaniale e sono state ottenute in modo assai meno chiaro di quelle per le autostrade, non possono essere toccate nemmeno in presenza di una Direttiva europea. Su altre invece il governo deve e può intervenire in nome del Popolo dei Gilet.
Segue poi una lista di richieste che va dall’introduzione della Flat Tax alla pace fiscale mentre nei commenti c’è chi propone soluzioni più drastiche come l’uscita dall’Europa o il divieto di geoingegneria.
Sono però tutte richieste che andrebbero rivolte all’attuale governo e non all’Unione Europea. Ma a quanto pare nel Coordiamento c’è chi ritiene che se l’esecutivo non mantiene le promesse non è perchè quelle promesse erano irrealizzabili in un paese come l’Italia ma perchè è l’Europa che non vuole.
Ma non c’è solo il Coordinamento a sfruttare l’idea dei gilet gialli.
Ieri durante il meeting «Cantiere Italia», la nuova idea politica di Gianni Alemanno, i relatori hanno indossato il gilet catarifrangente simbolo della protesta francese. La politica insomma sta già cercando di appropriarsi del movimento, proprio come è accaduto in Francia dove la destra ha cercato di cavalcare le proteste per mettere in difficoltà il governo.
Qui in Italia le cose sono confuse perchè la destra è al governo e i Gilet Gialli, anche quelli di Alemanno, non hanno alcuna intenzione di manifestare contro il governo Conte.
In un’intervista a Libero Alemanno spiega: «Vanno bene i convegni, vanno bene gli stati generali, ma è necessario anche il movimentismo. Scenderemo in piazza per esprimere il nostro sostegno al governo nella battaglia contro l’Unione europea».
Li vedremo tutti in piazza a Roma l’8 dicembre?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
ASSENTI MOLTI PENTASTELLATI, LEGHISTI SCHIERATI PER LA FOTO RICORDO, COSI’ QUANDO IL TESTO VERRA’ DICHIARATO INCOSTITUZIONALE LA CORTE DEI CONTI SAPRA’ A CHI CHIEDERE I DANNI
La discussione a tratti diventa paradossale.
Ecco cosa si sente esclamare in Aula: “Manteniamo delle perplessità sul decreto Sicurezza. Il dibattito sull’immigrazione è preoccupante. Tocca alla Consulta garantire un equilibrio”.
Non sono parole che arrivano dai banchi dell’opposizione bensì da quelli del Movimento 5 Stelle. O almeno, da quella fronda grillina che si appresta a votare la fiducia ma che conserva la speranza-certezza che il provvedimento targato Matteo Salvini venga bocciato dalla Corte Costituzionale.
Ci si trova dunque davanti a un ribaltamento totale della logica politica.
A prendere la parola è Valentina Corneli, avvocato con un dottorato di ricerca in diritto costituzionale, tra i 18 dissidenti M5s che firmarono una lettera indirizzata al capogruppo Francesco d’Uva per chiedergli modifiche al decreto Sicurezza poichè non vi era stato confronto interno.
La deputata è tra i firmatari dei cinque emendamenti M5s poi ritirati sull’altare dell’approvazione del disegno di legge anticorruzione.
“Siamo riusciti ad intervenire in Senato attraverso delle modifiche, a mio avviso molto importanti. Io personalmente avrei, però, voluto discutere anche in questo ramo del Parlamento ulteriori proposte emendative”, dice lamentando la mancanza di tempo adeguato.
E poi va ad elencare tutti i punti critici. Non si affronta in maniera rilevante il problema dell’integrazione, il combinato disposto dell’articolo 1 e 12 del provvedimento potrebbe determinare il peggioramento della situazione della sicurezza e della presenza di immigrati sul territorio”.
Al di là della fronda più critica, in generale i 5Stelle non sprizzano di felicità .
Lo raccontano le tante assenza all’inizio della seduta e le sedie vuote nei banchi del governo. La Lega invece è al gran completo. Ministri, viceministri e sottosegretari sono tutti schierati con tanto di staff che li ha accompagnati.
Dei grillini si fanno vedere solo Riccardo Fraccaro, per ovvie ragioni, essendo il ministro dei Rapporti con il Parlamento è lui che ha metà pomeriggio ha posto a questione di fiducia e il sottosegretario agli Interni, ministero di riferimento del decreto, Carlo Sibilia.
I segnali di grande freddezza ci sono tutti. Fino ad evocare l’immagine forte dei tetti. Paola Nugnes, senatrice dissidente, si chiede: “Cosa avremmo detto e fatto noi ieri di fronte ad un provvedimento tecnicamente sbagliato, umanamente devastante, pregiudizialmente anti costituzionale? Cosa avremmo fatto o detto noi ieri? Su quali tetti saremmo a denunciare? Dovremmo davvero tutti rimetterci alla pronuncia della Corte Costituzionale?”.
I dubbi di una parte dei 5Stelle non servono a far cambiare idea, così come non sono le associazioni, i movimenti e i sindacati scesi in piazza a dissuadere Salvini. “Chiediamo al Parlamento e al governo di fermarsi e rivedere il decreto Sicurezza – spiegano gli organizzatori – aprendosi al confronto e al dibattito”. E poi un cartello: “Salvare vite non è un reato”.
Nonostante tutto il ministro Fraccaro pone la questione di fiducia sul decreto. Lega e M5s applaudono, ma subito dopo prendere la parola Delrio e lancia un avvertimento ai grillini: “Dopo il ritiro degli emendamenti in commissione da parte nostra, dopo la dimostrata inesistenza di rischi di dilatazione dei tempi per il voto finale, la necessità di chiudere la bocca alle considerazioni dei deputati 5Stelle che in questi giorni hanno manifestato le loro critiche al provvedimento resta l’unico motivo per cui è stato bloccato il confronto in Aula”.
Per chiarire insomma che il voto di fiducia non è stato chiesto per paura dell’ostruzionismo delle opposizioni, bensì di quello della maggioranza poichè la parole di Corneli sarebbero state solo un assaggio.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
PROVATA LA TRUFFA AI DANNI DELLO STATO, PER QUESTO VANNO RESTITUITI I RIMBORSI PUBBLICI, IN QUANTO OTTENUTI SU BILANCI TAROCCATI… E LI HANNO INCASSATI MARONI E SALVINI
La Corte d’appello di Genova ha condannato Umberto Bossi ad 1 anno e 10 mesi, mentre
per Francesco Belsito condanna a 3 anni e 9 mesi nell’ambito del processo per la maxi truffa ai danni dello Stato da 49 milioni.
Per i tre revisori contabili: Stefano Aldovisi 4 mesi, Antinio Turci 8 mesi, Diego Sanavio 8 mesi.
E poi la parte del verdetto più attesa: i giudici d’appello hanno confermato la la confisca dei 49 milioni di euro, la somma cioè dei rimborsi elettorali incassati irregolarmente dalla Lega. Una sentenza che creerà qualche imbarazzo agli alleati di governo della Lega. Di Maio e i grillini non potranno più fare finta di niente. E non potranno più dire è roba del passato.
Dopo la doppia conferma in Cassazione, dunque, sulla legittimità del sequestro della cifra milionaria, arriva la sentenza nel merito della vicenda.
Un secondo grado che conferma in pieno quanto stabilito dal tribunale di Genova più di un anno fa. Si andrà avanti, perciò, con la raetizzazione della somma da restituire allo Stato.
Certo, Umberto Bossi e Francesco Belsito potranno ricorrere ancora alla suprema corte. Ma intanto è Matteo Salvini che dovrà rendere conto sul piano politico di questa decisione. Così come Roberto Maroni, anche lui beneficiario di parte dei rimborsi ottenuti con i bilanci irregolari presentati da Belsito.
Prima Maroni e poi Salvini da segretari hanno percepito le due tranche di rimborsi elettorali del biennio incriminato.
Sul sito dell’Espresso avevamo pubblicato i documenti che smentivano quanto ha sempre sostenuto il ministro dell’Interno: «Non ho mai visto un euro di quella somma». Eppure le carte in nostro possesso raccontano una storia diversa.
E cioè che quando Matteo Salvini è alla guida della Lega ha percepito quasi un milione di euro dei rimborsi ottenuti con la rendicontazione sballata dell’ex tesoriere Francesco Belsito. Maroni, invece, ne ha incassati poco più di 12 milioni.
«Se qualcuno ha sottratto ai fondi della Lega, 500 mila euro o 800 mila, come fai a contestarmi un finanziamento di 49 milioni, basato sul numero di voti presi?». La tesi leghista non ha retto davanti ai giudici.
Ma riassume bene la posizione della Lega sulla vicenda dei quasi 50 milioni messi sotto sequestro dalla magistratura. Le stesse argomentazioni sono state ripetute dal tesoriere Giulio Centemero e dal vice premier Salvini. Da qui l’ipotesi «ci attaccano perchè diamo fastidio» e le accuse ai magistrati di aver confezionato «una sentenza politica».
In realtà le cose sono molto più semplici.
Per capirle basta leggere la sentenza di condanna per truffa ai danni dello Stato comminata in primo grado dal tribunale di Genova lo scorso luglio contro Bossi e Belsito.
E la memoria di 60 pagine depositata dall’avvocatura dello Stato in difesa di Camera e Senato, costituitesi parti civili nel processo per truffa. Per questo motivo la coppia Bossi-Belsito è stata ritenuta colpevole anche in appello.
I giudici hanno stabilito di confiscare i rimborsi elettorali percepiti negli anni 2008-2009-2010 poichè i bilanci presentati dal partito in quei tre anni erano stati falsificati.
«La liquidazione», si legge infatti nella sentenza, «è subordinata all’accertamento della regolarità del rendiconto». Lo prevede la legge, la numero 2 del 1997.
L’erogazione dei rimborsi era vincolata alla presentazione di un bilancio regolare. Il problema è che in quei tre anni, come dimostrato al processo, i conti del Carroccio erano stati truccati.
Attraverso «artifici e raggiri», si legge nella sentenza, sono state «riportate nel rendiconto false informazioni circa la destinazione delle spese sostenute, in assenza di documenti giustificativi di spesa ed in presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito politico».
Proprio in relazione a quest’ultima frase, quella sulle spese estranee alla Lega, i giudici spiegano che «si è proceduto separatamente nei confronti di Francesco Belsito, Umberto Bossi e Renzo Bossi».
Questo è il punto su cui si rischia di fare confusione, per lo meno stando alle dichiarazioni di Calderoli.
Perchè il fatto che Bossi e colleghi abbiano speso soldi per fini personali – le lauree in Albania, ad esempio – non coincide con la truffa nei confronti dello Stato.
Quella si chiama appropriazione indebita, reato per il quale il vecchio leader, l’allora tesoriere Belsito e il “Trota” sono stati condannati dal tribunale di Milano.
In altre parole, i soldi che Salvini si dice disposto a mettere di tasca propria non hanno nulla a che fare con i 49 milioni messi sotto sequestro. Quelli, hanno deciso i giudici, la Lega li deve restituire perchè percepiti illegalmente.
Spiegato ciò, tuttavia, restano ancora parecchie ombre sul dopo Bossi e Belsito.
Per esempio, che fine hanno fatto i milioni di euro pubblici frutto della truffa sui rimborsi elettorali firmata da Umberto Bossi?
Che ruolo ha l’associazione “Più voci”?
E perchè il partito ha investito in prodotti finanziari (obbligazioni societarie e derivati) vietati per un partito politico?
Sono le domande da cui siamo partiti in questi mesi per ricostruire i flussi finanziari della galassia leghista post Bossi e Maroni, per capire dove sono finiti quasi 50 milioni messi sotto sequestro dai magistrati (che però ne hanno trovati solo 3) dopo gli scandali orchestrati dal vecchio tesoriere Belsito.
Matteo Salvini non perde occasione per sottolineare come le casse della Lega siano vuote. La stessa cosa si legge sui bilanci ufficiali del partito.
E allora come sopravvive la Lega? Come paga le sue campagne elettorali? Interrogativi che vanno oltre la sentenza sulla truffa, che travalicano la mera questione giudiziaria e diventano questione politica.
Chissà la conferma in appello scuoterà gli alleati di governo di Matteo Salvini, o se continueranno a ritenere la vicenda come un’eredità del passato bossiano.
Chissà se inizieranno a porsi anche loro delle domande sulle menzogne del ministro e del suo tesoriere Giulio Centemero, indagato a Roma per sospetto finanziamento illecito all’associazione Più voci da parte del costruttore Luca Parnasi.
Una storia, quella della Più voci e del suo donatore segreto, sulla quale molte cose non tornano.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
NE GUADAGNERA’ IN PRESTIGIO E NOI ITALIANI TIREREMO UN SOSPIRO DI SOLLIEVO
Tra le regole monastiche più preziose c’è sicuramente quella del silenzio.
E’ un grande riparo anche per chi ha altre incombenze da affrontare.
Prendiamo il caso di Luigi Di Maio. Ha soltanto 32 anni e già deve tener testa ad altissime responsabilità .
Facendo il politico ha immaginato che la parola fosse tutto, e perciò ingenuamente ha calcolato che quante più parole avesse liberato la sua bocca, e quante più idee e promesse avesse immaginato di proporre, tanto più il suo status si sarebbe elevato. Non ha purtroppo conosciuto un monaco che gli spiegasse la regola aurea del silenzio. L’avesse incontrato sulla sua strada avrebbe evitato un sacco di guai.
Da ultimo, per esempio, non avrebbe ricordato le virtù legalitarie del suo papà imprenditore per poi scoprire in lui il vizietto del lavoro nero.
Fosse stato aiutato dal silenzio, non avrebbe urlato le peggiori cose contro l’Unione europea, trovandosi adesso nella difficile condizione di riparare alle urla con qualche scusa.
Silenziando la sua favella avrebbe sicuramente rinunciato a promettere l’eliminazione della povertà , così come a immaginare che in tre mesi avrebbe fatto scintillare i centri per l’impiego e in sei mesi avrebbe dato un lavoro ai migliaia che lo aspettano. Avrebbe, nel silenzio, valutato meglio — al tempo della formazione di questo governo — l’azzardo di chiedere l’impeachment del presidente della Repubblica, e scelto con più cura i suoi collaboratori, come anche i ministri e i sottosegretari.
Nel silenzio avrebbe indagato le virtù della competenza che impongono di spiegare agli altri la soluzione di un problema solo quando si è sicuri di conoscere il problema.
Col silenzio avrebbe sicuramente evitato epiteti nei confronti dei giornalisti, perchè il tribalismo dell’eloquio non fa rima con gli obblighi dell’ufficio.
Nel silenzio avrebbe infine difeso meglio la sua reputazione, messa così a dura prova dalla sfrontatezza del suo ingegno, e custodito per tempi migliori la prova che lui è effettivamente migliore degli altri. S
i chiuda ora nella sua stanza, rinunci alle televisioni per una settimana almeno, e anche a Facebook e a tutti i consigli di Casalino.
Imponga alla sua ugola una vacanza, un periodo di requie.
Lui ne godrà in prestigio, e noi italiani tireremo un sospiro di sollievo, benchè breve.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL C’E’ ANCHE QUALCUNO INDIGNATO PERCHE’ DI MAIO AVREBBE “RINNEGATO” IL PADRE… MA SUGLI ABUSI EDILIZI IL VICEPREMIER CONTINUA A GLISSARE
Il giorno dopo il servizio delle Iene su Salvatore Pizzo, il dipendente della ditta del padre
del ministro del Lavoro Luigi Di Maio assunto in nero tra il 2009 e il 2010 in un cantiere della Ardima costruzioni, è quello delle polemiche, delle recriminazioni e delle prese di distanza.
Il racconto di Pizzo è stato confermato a Repubblica da Giovanni Passaro, da più di un anno segretario generale della Fillea Cgil per l’area metropolitana di Napoli.
Quello che è certo è che le responsabilità morali e le eventuali responsabilità penali riguardano solo la persona di Antonio Di Maio.
Il vicepremier ha preso le distanze spiegando che in quel periodo non era nè socio dell’azienda (lo sarebbe diventato nel 2012) nè si è mai occupato delle questioni del padre (la cui integrità morale difendeva a spada tratta quando si trattava della vicenda degli abusi edilizi commessi prima che nascesse): «mio padre ha fatto degli errori nella sua vita, e da questo comportamento prendo le distanze, ma resta sempre mio padre» ribadendo anche di aver «avuto un rapporto difficile».
Ad ogni modo le colpe dei padri non ricadono sui figli, nè penalmente nè politicamente.
Eppure in questi ultimi anni proprio Di Maio e il M5S hanno sfruttato due vicende che riguardavano due genitori illustri per fare propaganda.
I casi in questione sono ovviamente quelli di Tiziano Renzi e di Pier Luigi Boschi; rispettivamente padre dell’ex premier e dell’ex ministra delle Riforme.
Mesi di attacchi personali su vicende giudiziarie che non riguardavano direttamente nè Matteo Renzi nè Maria Elena Boschi ma che il M5S e Di Maio hanno spesso utilizzato per dimostrare l’inadeguatezza della classe dirigente e l’esistenza di presunti conflitti d’interesse.
Il tutto ovviamente senza alcun accenno di garantismo, quello è dovuto solo ai pentastellati. E così oggi il ministro del Lavoro deve affrontare la spinosa questione del padre che assumeva in nero e invitava a non denunciare gli infortuni all’Inail.
Decine di post in cui Di Maio batte sul tasto delle indagini a carico di Renzi senior e di Boschi senior.
Accuse a Renzi di «aver mentito sugli affari di famiglia» quando in realtà erano solo di Tiziano Renzi, richieste di dimissioni nei confronti della Boschi perchè per un periodo aveva posseduto alcune azioni di Banca Etruria (il cui valore peraltro si era azzerato con l’inchiesta) e così via.
Ora è vero che sul padre di Di Maio non c’è nemmeno un’inchiesta aperta e che i reati contestati sono diversissimi ma la situazione è la stessa.
Ed in questa situazione ci sono due possibilità : comportarsi come fecero Di Maio e il MoVimento 5 Stelle e mettere in moto la macchina del fango per screditare l’operato di un avversario politico.
Oppure riconoscere che Luigi Di Maio è una persona diversa da Antonio Di Maio. Questo anche se il ministro del Lavoro fino al momento dell’elezione alla Camera nel 2013 risulta abbia sempre vissuto nella stessa abitazione del padre e che per giunta ha “preso in mano” il 50% delle quote dell’azienda di famiglia diventata nel 2012 Ardima srl.
Certo, è strano che Di Maio sapesse così tante cose sui padri di Renzi e della Boschi ma quasi nulla sul suo o sulla casa dove ha abitato per trent’anni.
Veniamo alle reazioni degli altri due interessati.
Maria Elena Boschi in un video si augura che il padre Di Maio non debba patire la stessa sorte del suo. Ovvero che la vicenda non venga strumentalizzata per attaccare il figlio. Ma è una cosa che dipende in buona parte anche dai vertici del Partito Democratico che dovranno decidere come sfruttare la vicenda.
La Boschi non parte benissimo visto che non perde l’occasione di definire Luigi Di Maio «ministro del lavoro nero». Segno evidente del fatto che nonostante i buoni propositi la vicenda è già stata strumentalizzata a fini politici.
Matteo Renzi invece fa tutto un interessantissimo discorso sul concetto di onesta nel MoVimento 5 Stelle (anche se non risulta che il signor Di Maio sia iscritto al M5S e tanto meno è stato candidato) per arrivare alla questione che gli sta più a cuore, quella delle scuse pubbliche.
L’ex premier scrive: «prima di fare post contriti su Facebook chiedano almeno perdono alla mia famiglia per tutta la violenza verbale di questi anni. Se Di Maio vuole essere credibile nelle sue spiegazioni prima di tutto si scusi con mio padre e con le persone che ha contribuito a rovinare. Troverà il coraggio di farlo?».
Renzi spiega che «non dobbiamo ripagarli con la stessa moneta». Ed infatti poco fa Matteo Renzi News, la pagina ufficiale del renzismo più becero che fa?
Pubblica un post in cui viene ricordato di quando Di Maio chiedeva a Renzi di “confessare” riguardo alle accuse del padre e invita gli utenti a fare altrettanto ovvero a fare le famose cinque domande a Di Maio suo padre.
Eppure Renzi aveva scritto ieri sera che «Di Maio figlio sia il capo del partito che è il principale responsabile dello sdoganamento dell’odio» e che i pentastellati «hanno ucciso la civiltà del confronto. Hanno insegnato a odiare».
Molti oggi sono indignati anche per il fatto che Luigi Di Maio abbia “rinnegato” il padre prendendo le distanze da quello che ha fatto.
Non c’è nulla di sbagliato in quello che ha detto Di Maio, non solo perchè non ha rinnegato il papà (anzi ha detto che rimane pur sempre suo padre) ma perchè è la stessa cosa che ha fatto Renzi quando si è trovato al suo posto.
L’ex premier quando venne il momento di farlo prese le distanze dall’operato del padre dicendo che se fosse stato colpevole avrebbe meritato una pena doppia (e in una famosa intercettazione pubblicata dal Fatto addirittura lo rimproverò).
A stupire deve essere invece che Di Maio prende le distanze dalla vicenda rivelata dalle Iene — addirittura sottolineando la sua disponibilità al confronto con la trasmissione — mentre per quanto riguarda quella rivelata da Repubblica relativa agli abusi edilizi commessi dal padre e poi condonato Di Maio diceva che il quotidiano si era inventato tutto e che erano fake news.
Eppure in quel caso c’erano delle carte che dimostravano la fondatezza della notizia, in questo “solo” la testimonianza di un ex dipendente.
Forse l’elettorato pentastellato è più disposto a perdonare il lavoro nero dell’abusivismo?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
LA MANOVRA DEL POPOLO FINIRA’ NEL BIDONE DELL’UMIDO
La strategia della vaselina messa in opera dalla Ue sta dispiegando tutti i suoi potenti effetti sul somarismo di lotta e di sgoverno.
Dopo la cena a base di cavoli amari propinati da Juncker & Co a Conte e Tria in quel di Bruxelles, i ragli baldanzosi dei due vice-disastri si sono tramutati in tenere fusa di micioni addomesticati ai piedi degli eurocrati.
La parola d’ordine fatta diffondere dagli zerbini mediatici di Palazzo Chigi per giorni è stata “dialogo”, che per le sinapsi del pubblico telelobotomizzato suona comunque meglio di “vaselina”. Ma la sostanza non cambia.
Da diversi giorni persino Savona, il senile Pasionario del ritorno alla minkio-lira, aveva mestamente compreso che la tattica suicida di sfidare tutti i paesi europei, la Commissione UE, la Bce, nonchè il sistema finanziario mondiale avrebbe portato il governo ad un epilogo stile Ceausescu.
E quindi abbassate le penne spelacchie aveva smesso il giubbotto da kamikaze de noantri per indossare la divisa da pompiere istituzionale.
Suscita un certo divertimento da pochade francese la parabola dell’ex boiardo che in tarda età aveva scoperto l’ebbrezza della rivolta, scatenata dal Viagra della cadrega ministeriale dopo lunghi anni in cui le chiappe flaccide erano state costrette all’astinenza.
Poi, però, finito l’effetto afrodisiaco, la lucidità da vecchia volpe della Prima Repubblica — riciclatasi nella Terza grazie ai miracolati ragazzotti pelandroni — aveva ripreso il sopravvento.
Tra lo sconcerto dei somari legati e stellati, aveva preso ad implorare di abbandonare la pugna con l’Europa per rassegnarsi a mettere velocemente la coda tra le gambe e la Manovra del Popolo nel bidone dell’umido in attesa di tempi migliori.
Comprensibilmente nella stalla sovranista a quel punto si era diffuso il panico. Se persino il nume tutelare degli scemari economici invocava il dietro front incurante dell’ignominia, il resto del Governo del Cambiamento (di rotta) aveva di che rimanere atterrito.
Ma era imprescindibile intortare di nuovo gli elettori. Per quanto semianalfabeti avrebbero capito di essere stati imbrogliati se la pensione anticipata e il reddito di parassitismo non avessero mai raggiunto le tasche fameliche.
L’Arlecchino designato a servire due padroni come al solito era stato individuato nella persona di Tria.
Il malcapitato veniva pertanto spedito a nord delle Alpi per imbastire una pantomima da Asilo Santa Derelitta nei seguenti termini. Se la UE non avesse bastonato selvaggiamente il bilancio del governo italiano, i somaristi si impegnavano a far slittare i provvedimenti più costosi di diversi mesi e di fottere in qualche altro modo i loro elettori se ciò non fosse bastato.
Ovviamente il povero Tria venne sottoposto all’equivalente diplomatico di una frustata in pubblico e la cosa defunse ingloriosamente. Poi tentarono con una proposta ancora più incredibilmente trucida: un piano di privatizzazioni da 18 miliardi di euro in un anno.
Cosa mai realizzatasi nemmeno in America o nell’UK della Thatcher. E per di più promessa da un governo che aveva solennemente deciso di rinazionalizzare Alitalia, MPS e all’occorrenza tutto il settore bancario.
Questa volta Tria si tenne prudentemente alla larga dai palazzi di Bruxelles, per non essere buttato in un barile di catrame.
Così arriviamo alla cronaca del week end appena trascorso: ingurgitati i cavoli, Conte si è calato i braghettoni di fronte a Juncker e ha invocato la misericordia di Padre Pio. Tornato a Roma ha mostrato a Salvini il sedere piagato dai colpi di sferza.
Il Capitone, capito il messaggio, si è affrettato a dichiarare: “Non ci attacchiamo al 2,4%”. Non è problema di decimali”.
Risultato? In pochi minuti la Borsa si impenna del 3%, con le banche in ribalzo del 10%, spread tornato a 285.
Insomma la vaselina ha effetti portentosi quando applicata da mani sapienti. Certo, rimangono ancora gli ultimi samurai della Manovra del Popolo, i babbei che festeggiavano sotto Palzzo Chigi l’Abolizione della Povertà .
Sentite cosa dettano alle stampa in condizione di anonimato (come è tipico dei lazzaroni falliti): “L’esecutivo non vuole cambiare i fondamentali della manovra ma non si appende ai decimali: se dagli studi e dagli approfondimenti in corso dal governo emerge la possibilità di ritoccare qualche decimale non sarà un problema”. Tsipras, che in queste faccende si è dimostrato un gigante, non avrebbe saputo dirlo meglio.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO TRE ANNI DI CORSI E TIROCINI, IL 24 ENNE NIGERIANO VIVE NEL LIMBO
Okije Kennedy non può vivere in Italia perchè la sua richiesta di asilo è stata rifiutata per
ben tre volte.
Ma non può nemmeno tornare in Nigeria, il suo paese d’origine, perchè – gli hanno spiegato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’ente che si occupa dei rimpatri volontari – i fondi per i viaggi assistiti di ritorno in patria sono finiti.
“Ci hanno detto che se ne riparlerà nell’anno prossimo”, spiegano Samuele Gullino e Marco Pieri di Piam Onlus, l’associazione che gestisce Villa Quaglina, comunità che accoglie i migranti ad Asti.
La burocrazia ha preso in ostaggio il futuro di Okije, che oggi ha 24 anni. E in questa eterna attesa anche lui ha messo in pausa tutta la sua vita: ha smesso di frequentare i tirocini e ha dimenticato di colpo l’italiano che era riuscito a imparare.
Parla poco, e quel poco lo dice in inglese. Non ride più, quasi non mangia.
“Succede spesso con questi ragazzi che hanno rischiato tanto per venire qui e si sono impegnati per frequentare corsi di formazione e tirocini cercando di costruirsi un futuro – dice Gullino – Di fronte ai dinieghi, però, è come se si spegnessero. A Okije è successo così”.
Il giovane nigeriano è arrivato in Italia nel 2015 con poco più di una licenza elementare in tasca. “Con noi ha frequentato molti corsi e fatto tante attività . È arrivato con una voglia di fare incredibile”, assicurano gli educatori.
Ma poi ha aspettato per più di un anno il verdetto della commissione che doveva giudicare la sua richiesta di asilo. Non si è arreso al primo diniego e ora la sua storia è finita in corte d’Appello, ma è probabile che dal tribunale arriverà un altro no. “Cosi alla fine ha detto che avrebbe preferito tornare a casa”.
Meglio in Nigeria che clandestino in Italia, insomma. Anche perchè il decreto Salvini ha cacellato anche l’ipotesi che a Okije venga concesso un permesso per motivi umanitari – percorso diverso dalla classica richiesta di asilo – che il suddetto decreto riduce ormai a pochissime categorie.
“Ci siamo attivati per la procedura di rimpatrio assistito ma, a Roma, l’Oim ci ha detto che non ci sono fondi. Se ne riparla non prima di febbraio”.
A Okije, per ora, non resta che aspettare ancora, come un fantasma in un paese che non lo accoglie e non può rimandarlo a casa.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
E QUELLE CHE DOPO DUE ANNI NON SONO MAI ARRIVATE
Le casette per i terremotati crollano o non sono nemmeno arrivate.
È quanto accade in alcuni comuni del Centro Italia colpiti delle terribili scosse del 2016, quelle che rasero al suolo Amatrice, e documentato da un’inchiesta pubblicata oggi dal quotidiano Repubblica (a firma di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci).
Tra i residenti qualcuno è dovuto tornare nelle roulotte mentre altri aspettano ancora.
A Valle Castellana, nel Teramano, pochi giorni fa gli ispettori dell’Autorità nazionale anticorruzione, l’Anac guidata da Raffaele Cantone, si sono presentati nel cantiere delle casette, le Soluzioni abitative d’emergenza, ma non le hanno trovate.
«Non ci sono ancora…», avrebbero risposto imbarazzati gli operai. Eppure i governi Renzi e Gentiloni avevano promesso consegne nel giro di poco tempo.
Nemmeno negli ultimi mesi con il governo Conte è cambiato qualcosa. I terremotati si trovano in roulotte o negli alberghi sulla costa.
L’altra beffa riguarda chi la casetta l’ha realmente ricevuta ed è poi stato costretto ad abbandonarla per il loro pessimo stato.
Alcuni degli alloggi d’emergenza sono letteralmente marciti: i tetti si sono spaccati, sono cadute a pezzi le pareti di cartongesso, è spuntata umidità nei pavimenti, sono comparsi funghi nelle stanze.
Repubblica spiega che diverse procure stanno indagando ora sulla gestione dell’emergenza e della ricostruzione.
A Macerata è stata aperta un’inchiesta per verificare se estono gli estremi per il reato di frode in forniture pubbliche in capo al consorzio toscano Arcale, che ha vinto l’appalto Consip.
La Dda di Ancona intanto ha raccolto diverse segnalazioni di ditte impegnate nei cantieri sospettate di avere legami con le cosche o prive di certificato antimafia. L’Anac nel 2015 affidò l’appalto per 6mila casette Sai ai Consorzi Cns e Arcale in lotti da 40, 60 e 80 metri quadrati per un costo di poco superiore ai mille euro al metro quadrato, che arrivava poi a circa 3mila con i sottoservizi.
A Valle Castellana ne erano state ordinate 40, non ne è arrivata nessuna, dice il sindaco.
Complessivamente le Sae ordinate dai sindaci delle aree colpite dal terremoto sono oltre 3.800 ma un centinaio non sono state ancora consegnate.
Sono ancora più di 47mila gli sfollati ospitati in modo provvisorio perchè la loro casa non è agibile.
(da agenzie)
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Novembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI PAOLO MIELI SUL “CORRIERE”
Paolo Mieli sul Corriere della Sera pronostica oggi uno scenario inedito per la politica
italiana che prende le mosse dalla possibile caduta del governo e arriva alle elezioni anticipate in inverno.
L’ex direttore del Corriere parte nel suo ragionamento dallo scontro con l’Europa sulla Manovra del Popolo, per dire che anche se arrivasse un accordo in extremis questo cambierebbe poco nella situazione:
Ora un accordo con l’Unione Europea lo si potrà anche trovare e – va detto – è ammirevole la prudenza con la quale alcuni rappresentanti della Ue trattano il caso italiano. Ma è improbabile che, una volta rotto l’accordo tra le forze di governo, i mercati tornino a fidarsi delle prospettive del nostro Paese. È ormai chiaro che stiamo vivendo una fase di passaggio e che solo la vittoria nelle urne di una coalizione il cui programma sia stato votato dagli elettori potrà offrire stabili prospettive.
Allo stato attuale i corpi elettorali dei due partiti hanno votato due programmi diversi e solo la fusione di questi elettorati in un’unica entità avrebbe potuto offrire l’energia per un governo in grado di durare. Ciò che le ultime settimane ci hanno dimostrato non essere avvenuto. E adesso non è più sufficiente a sorreggere la legislatura l’occasionale cautela di qualche leader più responsabile o l’indisponibilità dei parlamentari a mettere a repentaglio i seggi conquistati appena sette mesi fa. E troppo tardi.
Mieli esclude anche che nasca un nuovo governo “responsabile” sotto l’egida del capo dello Stato, visto che nè Lega nè M5S potrebbero appoggiarlo mai:
Nè è davvero praticabile l’ipotesi di un governo quale quello che il Capo dello Stato ipotizzò prima dell’estate per Carlo Cottarelli. Mario Monti nel 2011 ce la fece ma potè contare sulla disponibilità di deputati e senatori di Forza Italia e del Pd, i due maggiori partiti dell’epoca. Anche oggi, forse i parlamentari berlusconiani e piddini si metterebbero a disposizione per una «soluzione tecnica», ma nel frattempo i partiti più consistenti sono diventati altri (Cinque Stelle e, in prospettiva, Lega) per i quali sarebbe suicida, dopo aver lasciato cadere il proprio governo, farsi portatori d’acqua di un gabinetto a loro estraneo.
Ragion per cui un Monti redivivo avrebbe minori probabilità di successo persino di Conte. Quanto all’ipotesi di un governo di centrodestra che nascesse con l’«acquisto» di parlamentari grillini o della sinistra (all’attenzione di magistrati che già in passato si sono occupati di eventi della stessa natura), essa appare davvero poco realistica.
Per questo che, a meno di miracolose riconversioni alla concordia, il tema delle elezioni anticipate tornerà presto d’attualità :
E magari – anche in virtù di una ricollocazione del partito di Grillo e Casaleggio – diverrà nuovamente attuale anche la classica divisione del campo elettorale in destra e sinistra. Con robuste innervature d’Europa, di culto delle compatibilità economiche, di osservanza delle più elementari norme democratiche in entrambi gli schieramenti.
Capaci questi schieramenti di darsi il cambio alla guida della cosa pubblica passando per il voto in regolari elezioni che si terranno alla scadenza naturale.
Dopodichè resterebbero sul terreno molti degli attuali problemi.
Ma la memoria di una stagione, non solo italiana, di demagogica guerra all’Europa, di prolungato caos e di idee pazze sperimentate a dispetto di ogni più elementare evidenza, resterebbe solo un brutto ricordo.
(da NextQuotidiano”)
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