Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
PRONTI A SFANCULARE “GIUSEPPI” SAREBBERO IN QUINDICI: L PEZZO PREGIATO DELL’OPERAZIONE È DAVIDE CRIPPA
Un pezzo di Movimento è tentato dalla scissione bis. Se Giuseppe Conte si consegnerà all’ala ortodossa, che soffia da mesi sul fuoco della crisi, una pattuglia parlamentare è pronta a sganciarsi. Quasi tutti sono pronti a bussare alle porte di Luigi Di Maio. Altri guardano al gruppo misto o sognano l’entrata in extremis in un partito già strutturato, sognando la ricandidatura nel 2023.
I contatti sottotraccia, via chat e in Transatlantico, sono frenetici. Con Vincenzo Spadafora, il coordinatore politico di Insieme per il Futuro. O con Iolanda Di Stasio e Primo Di Nicola, i capigruppo di Camera e Senato della formazione post-grillina.
Dentro Ipf circola una cifra: 15 verso l’uscita. Nel Movimento temono il doppio, visto come è andata a giugno, con il ministro degli Esteri che ha soffiato a Conte in una notte 60 parlamentari.
Il pezzo pregiato
Il pezzo pregiato dell’operazione è Davide Crippa. Il capogruppo del Movimento alla Camera non è mai stato in buoni rapporti con Conte. È mal sopportato dai deputati più vicini al leader. Alcuni negli ultimi giorni ne hanno addirittura chiesto la testa: “Dobbiamo trovare un modo di defenestrarlo”, si sfogava l’altro ieri nel cortile di Montecitorio una deputata. La colpa di Crippa? Avere mal gestito la scissione, troppi esodi. E non essere in sintonia con il leader sul possibile strappo. Il capogruppo per ora resiste.
Ma ha fatto capire, anche nell’ultima, chiassosa, assemblea dei parlamentari 5 Stelle, che lasciare il governo ora sarebbe un errore. La tendenza governista lo rende appetibile per la creatura dimaiana, dove sono convinti che Conte, “questione di giorni”, si risolverà per la crisi. Uscisse Crippa, si porterebbe dietro almeno una decina di parlamentari. I più irrequieti, nei confronti dell’ala barricadera del Movimento, e dunque tentati dall’uscita, vanno cercati alla Camera. Francesco Berti, Maurizio Cattoi, Elisabetta Barbuto. Dovrebbero restare nel M5S invece, nonostante i mal di pancia, gli ex ministri Riccardo Fraccaro, Alfonso Bonafede e Giulia Grillo. Per ora.
Un capitolo a parte, anche nei ragionamenti che fanno dentro Ipf, è quello di Fabiana Dadone. La ministra delle Politiche giovanili appare tormentata. Dieci giorni fa se l’è presa con Alessandro Di Battista, che dalla Russia consigliava a Conte di sbrigarsi a mollare Draghi: “Gli uomini della provvidenza che ci vogliono fuori dal governo dovrebbero restare in vacanza”, ha risposto su Facebook. Tutto lo staff di Dadone è in pressing da settimane: passa con Di Maio, le dicono, alla svelta.
Lei invoca prudenza: “Dobbiamo resistere”. Dentro Ipf però mettono in chiaro che sarebbe difficile, per Dadone, conservare l’incarico.
La truppa dimaiana già esprime il ministro degli Esteri, il vice-ministro dell’Economia, Laura Castelli, sottosegretari di peso come Pierpaolo Sileri alla Salute e Manlio Di Stefano alla Farnesina. La poltrona ministeriale, per Dadone, sarebbe tutt’altro che blindata.
In attesa che i nuovi transfughi si materializzino, Di Maio continua a picconare Conte. “Chi oggi minaccia di staccare lo spina lo fa solo per un motivo: perché scende nei sondaggi”, ha detto ieri, collegato da Bali, ai parlamentari di Insieme per il Futuro radunati in call.
Negli ultimi sondaggi del resto i 5 Stelle sono scivolati al 10%. Altre rilevazioni la settimana scorsa li davano poco sotto al 7. Il capo della Farnesina un po’ gongola, un po’ si mostra preoccupato: “Aprire una crisi di governo significa prestare il fianco alla propaganda di Putin, che a sua volta otterrebbe l’obiettivo di sgretolare il nostro governo”. Dunque attenzione, predica Di Maio, “a riproporre il Papeete. A luglio come a settembre”.
(da La Repubblica)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
SERVONO, AD OGGI ,750 MILIARDI DI DOLLARI, I BENI SEQUESTRATI AGLI OLIGARCHI AMMONTANO A 500 MILIARDI, MA SERVE UNA COPERTURA NORMATIVA
Le idee sono chiare. “Per ricostruire il Paese serviranno 750 miliardi di
dollari, una somma che useremo per finanziare 850 progetti che ridaranno un volto vivibile al Paese”, ha dichiarato il premier ucraino Denys Shmyhal alla “Ukraine Recovery Conference 2022”, una due giorni tenutasi a Lugano, in Svizzera, lo scorso 4-5 luglio.
Nelle intenzioni di Kyiv la maggior parte dei finanziamenti dovranno avere una sola provenienza, “cioè dalla Federazione russa e dai suoi oligarchi, i cui beni in Europa sono stimati tra i 300 e i 500 miliardi di dollari”, ha dichiarato il premier ucraino aggiungendo poi che la parte restante proverrà “dai prestiti agevolati delle organizzazioni finanziarie internazionali e dei Paesi amici, dagli investimenti del settore privato e dal bilancio interno ucraini”. Un progetto ambizioso che però non sembra semplice da realizzare, visti gli ostacoli politici e normativi.
La difficoltà a far pagare Mosca
I propositi ucraini hanno infatti trovato ostacoli sin da subito. “Certo, possiamo violare una legge fondamentale come il diritto di proprietà. Ma dobbiamo creare la base giuridica”, ha dichiarato il presidente della Confederazione elvetica Ignazio Cassis in una conferenza stampa congiunta proprio con Shmyhal.
Se la contrarietà di Berna ad agire con decisione sui beni di provenienza russa è nota, si stima che le ricchezze degli oligarchi nella Confederazione arrivino a 190 miliardi di euro, non altrettanto scontate sono invece le perplessità provenienti da Europa e Stati Uniti. Janet Yellen segretaria del Tesoro degli Stati Uniti, ha affermato che “l’accaparramento delle riserve di Mosca non è qualcosa da considerare alla leggera” e lo stesso ha fatto anche Simon Hinrichsen, professore presso la London School of Economics, in un’intervista al Financial Times.
“Sarebbe essenzialmente un’azione che elimina il sistema di economia politica internazionale che abbiamo istituito nei decenni”. Un vero e proprio Rubicone politico il cui passaggio causerebbe effetti imprevedibili. Come racconta Mark Lattimer, direttore della ONG Ceasefire Centre, in un articolo del Guardian “l’obbligo legale di pagare le riparazioni ricade maggiormente sulla Russia, ma evidentemente non pagherà di propria iniziativa. Inoltre, né la Corte internazionale di giustizia, la Corte penale internazionale o la Corte europea dei diritti umani sono in grado di concedere riparazioni della portata richieste dal conflitto in Ucraina”.
I casi storici
Per questo rischia di essere vana la conferenza in programma il prossimo 14 luglio a L’Aja, nei Paesi Bassi, tra Unione europea e Corte internazionale di Giustizia a proposito dei crimini russi in Ucraina. Oltre agli ostacoli giuridici manca proprio una struttura in grado di poter trasferire il valore dei beni sequestrati ai russi dai Paesi occidentali all’Ucraina, non dimenticando che in Europa ogni Paese ha le sue regole in materia di beni sequestrati, possibili spesso solo in occasione di un’azione penale. Per questo l’Unione è già al lavoro da maggio su un pacchetto di norme che renderebbe l’evasione delle sanzioni un reato europeo, fornendo così ai diversi Stati Ue la base giuridica di cui hanno bisogno per confiscare i beni in questione. Un processo che però rischia di essere lungo: per questo si guarda a casi simili, che hanno funzionato con alterne fortune. Quello certamente più di successo è la Commissione di compensazione delle Nazioni Unite, istituita nel 1991 per far sì che l’Iraq di Saddam Hussein pagasse per i danni causati al Kuwait durante la Prima Guerra del Golfo. Soltanto a inizio 2022 i 52 miliardi di dollari che Baghdad doveva al piccolo emirato sono stati pagati, grazie soprattutto alle vendite del petrolio. Non è andata bene invece alle vittime di Hissène Habré, l’ex presidente del Ciad, condannato nel 2017 da un tribunale speciale per i crimini di guerra a pagare più di 145 milioni di dollari ma che è morto nel 2021 senza sganciare un solo centesimo.
Come risolvere
C’è perciò un modo perché la Russia paghi per i danni causati in Ucraina? Sequestrare i beni degli oligarchi potrebbe essere un procedimento lungo e non privo di ostacoli, così come quello delle ricchezze della Banca centrale russa, che nel Continente europeo detiene circa 296 miliardi di euro e il cui sequestro creerebbe un precedente. Potrebbe avere più fortuna il tentativo ucraino di imputare alla Russia i danni ambientali causati dal suo attacco.
A giugno il sito Politico Europe ha raccontato come la task force di 100 persone creata da Kiev stia raccogliendo le prove dei crimini ambientali di Mosca che, secondo le prime stime, varrebbero circa 6,6 miliardi di euro, ma che non sono facilmente imputabili. “Per essere etichettato come reato, il danno ambientale deve essere grave, diffuso, a lungo termine e intenzionale, il che è veramente difficile da provare nei tribunali internazionali”, ha dichiarato Anna Ackermann, co-fondatrice dell’ONG Ecoaction Ukraine. Un rebus per il momento ancora senza soluzione.
(da il Fatto Quotidiano)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
IL CHURCHILL DEI PARIOLI LO GELA: “IL FRITTO MISTO NON SERVE”… DIECI SIGLE PER CONTENDERSI UN 10%
Al gran ballo dei centristi si presenta l’ennesima debuttante. È Italia al Centro, il nuovo soggetto politico – il terzo in meno di tre anni – fondato dal presidente della Liguria Giovanni Toti dopo la scissione da Coraggio Italia (che aveva lanciato poco più di un anno fa insieme al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro) e presentato sabato mattina con una convention a Roma.
Una federazione che dovrebbe tenere insieme i seguenti soggetti: Cambiamo!, il partitino fondato da Toti nel 2019 (che non si vede, ma esiste ancora); Identità e Azione (IdeA) di Gaetano Quagliariello; la sub-componente del Misto al Senato chiamata “Europeisti” (ciò che rimane del vecchio gruppo Europeisti-Maie-Centro Democratico); e Noi di Centro, micro-partito di Clemente Mastella e della moglie Sandra Lonardo.
Tutto questo arsenale messo insieme dovrà lottare per dividersi un bacino potenziale del 10% di voti – il massimo raggiungibile, secondo i sondaggi, dal mitologico “centro” – con almeno altre sei forze: Coraggio Italia, Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, la federazione +Europa/Azione, Italia Viva, il Centro democratico di Bruno Tabacci e il neonato “Insieme per il futuro” di Luigi Di Maio. Senza contare il vagheggiato “partito dei sindaci” di Beppe Sala e quella fronda di Forza Italia che guarda a sua volta al centro, formata dai ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna.
A lanciare l’allarme sui possibili effetti indesiderati di un tale sovraffollamento ci ha pensato il leader di Azione Carlo Calenda, intervenendo per primo alla kermesse.
L’ex ministro dello Sviluppo economico si è detto scettico dall’inizio sulla scissione di Di Maio, e ha ribadito più volte di voler correre in autonomia. “Il nostro è un cantiere aperto, e il 24 settembre, data del congresso, chiunque può venire, anzi deve venire. Ma sarò franco: Toti è un bravo amministratore, così come il sindaco Bucci (il primo cittadino di Genova, anche lui presente, ndr) perché fa avvenire i fatti. Se volete venire con noi dovete essere netti, e dire che non si può stare un po’ qua e un po’ là. Se dite che è aperto a tutti finirete annacquati in un centro che non serve a nessuno. Un laico ha il dovere della verità e della coerenza. Presentandoci da soli dobbiamo costringerli a un governo di persone competenti, europeisti e riformiste. Il fritto misto non serve, serve ai nostri avversari per criticarci”, avverte. “Quello che salva l’Italia non è il centro in cui si sta un po’ a destra e un pò a sinistra, ma una potente iniziativa di liberazione delle forze. Il centro liberale è il luogo delle scelte nette e delle persone capaci”. E punzecchia: “Toti, ti voglio bene. Ma la prossima volta che ti sento dire che Di Maio è bravo mi arrabbio parecchio, perché non se po’ senti’…”
Toti, però, da quell’orecchio sembra non sentirci: “A Calenda dico che noi saremo nettissimi: essere moderati non vuole dire essere ondivaghi o incerti. Abbiamo delle convinzioni solidissime. Ma queste convinzioni solidissime non ci impediscono di dialogare. Se noi chiudiamo al confronto, chiudiamo la possibilità di costruire un programma comune e poterlo realizzare. Grande nettezza di idee ma anche grande capacità di dialogo”, afferma. “Il dialogo parte dai fatti e dai progetti, non dal gioco delle coppie, che piace ai giornalisti ma non è compreso dai cittadini. Io dico agli amici di Azione e di Italia Viva: mettiamo le cose una dietro l’altra, partiamo dai contenuti e poi vediamo”. E replica anche al suo ex mentore, Silvio Berlusconi, che aveva avuto parole sprezzanti sul progetto di Italia al Centro (“Il centro siamo noi, è Forza Italia”): “C’è chi dice “Il centro sono io”. Ma il centro è di tutti“. Alla convention, tra gli altri, anche Ettore Rosato, Mariastella Gelmini (“Non sono qui per inseguire collocazioni politiche”), Clemente Mastella e l’ex candidato sindaco di Torino Paolo Damilano.
Presentato anche un sondaggio di Antonio Noto secondo cui “un’area potenziale di elettori che va dal 14% al 18% si definisce di centro e chiede politiche in grado di superare le emergenze e di garantire stabilità”, prontamente rilanciato dal governatore ligure sui social.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
“INDENNITA’ MAI ARRIVATA, FERIE A RISCHIO E DIMISSIONI RECORD”
Il Covid è tornato a colpire ad alta intensità l’Italia e per gli infermieri negli
ospedali la situazione è al limite: l’indennità promessa ancora non si è vista, le ferie sono a rischio, si fanno straordinari in continuazione per coprire i buchi, c’è chi è ancora a casa perché non vaccinato mentre chi è in corsia continua a contagiarsi.
E i prossimi mesi preoccupano molto.
“La situazione sta via via peggiorando – spiega Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato Nursind, intervistato da Fanpage.it – anche se attualmente le terapie intensive reggono di più, non hanno ancora una pressione tale da far fermare le attività di sala operatoria”. Ma attenzione: “Siamo in una fase in cui stanno riaprendo gli ospedali Covid, occupando il personale nell’ampliamento dei posti di quei reparti – avvisa – È il segnale il virus che sta ripartendo e sta ripartendo troppo presto”.
“Siamo in una situazione estiva che è particolare, perché veniamo da due anni in cui al personale è stato chiesto di non fare le ferie – spiega ancora il segretario di Nursind – Ma dobbiamo consentire al personale di riposarsi. Inoltre se si parla di sindrome post Covid sappiamo anche che la maggior parte dei sanitari è stata colpita dal virus”.
A tutto questo “si somma il fatto che ci sono ancora lavoratori sospesi e, banalmente, i positivi”, perché “come aumentano i casi tra la popolazione aumentano anche tra gli infermieri”. L’allarme di Bottega è chiaro: “Questa situazione peggiora di settimana in settimana, mettendo a rischio la tenuta del sistema – continua – Se ci sono ferie programmate e chi lavora si contagia come si fa? Si può anche decidere di far saltare i giorni di riposo e aumentare gli straordinari, ma di questo passo la situazione sarà comunque presto insostenibile. E se il virus dovesse continuare a dilagare a questi ritmi, neppure le ferie rischiano di essere garantite”.
“Le strade sono due – continua Bottega – o si riduce l’attività tagliando i servizi ai cittadini, accorpando i reparti e rimandando gli interventi, o non si garantiscono le ferie al personale”. Solitamente “è più facile che l’estate si verifichi la prima opzione, dal momento che in genere cala la domanda di assistenza sanitaria”. Il problema è che “questa sarà un’estate diversa e, di conseguenza, la domanda di assistenza sanitaria anziché calare è destinata a crescere”. Quella che racconta il sindacalista degli infermieri è una situazione difficilissima: “La carenza di personale è drammatica perché abbiamo colleghi sospesi, colleghi assunti dal Servizio sanitario nazionale e spostati dagli ospedali alle Rsa. In più ci sono infermieri che, nonostante abbiano completato il ciclo vaccinale, si contagiano per la seconda volta. Di conseguenza chi rimane in servizio è inevitabilmente costretto a doppi e tripli turni, mentre coloro che hanno già programmato le ferie temono che possano saltare. Di fronte a tutti questi disagi la categoria non ha visto neppure un euro”.
“In tutta la pandemia la valorizzazione di questo personale è pari a zero – spiega Bottega – Senza contare che siamo l’unica categoria delle professioni sanitarie che viene spostata da un reparto all’altro. Viviamo da due anni in una totale incertezza, in uno stato di estrema precarietà”.
In tutto ciò c’è un fenomeno nuovo, quello delle dimissioni: “La metà del personale che cessa il rapporto di lavoro non è per pensionamento, ma si dimettono. Altro che posto pubblico – racconta il sindacalista – Un mio collega si è licenziato quindici giorni fa per fare il serramentista, per migliore qualità di vita e maggiore stipendio”. Gli iscritti al sindacato “ci telefonano spesso per chiedere i tempi di preavviso per licenziarsi”.
Questo tema riguarda anche e soprattutto i giovani: “Il primo problema è economico, il secondo è il disagio che comporta questa professione, lavorare sabato e domenica, notte e giorno, per le nuove generazioni è un peso e cercano opportunità di lavoro differenti – spiega Bottega – il terzo è l’assenza di una possibilità di carriera”.
Ma “agli studi non corrispondono stipendi più alti e mansioni diverse”. Oggi non c’è differenza tra “chi ha la laurea triennale e chi ha la specialistica e magari un paio di master – racconta ancora il segretario di Nursind – Abbiamo delle risorse e delle potenzialità che non vengono valorizzate”.
E infine c’è la questione dell’indennità – di cui spesso abbiamo parlato in passato – che è esemplare dell’insoddisfazione degli infermieri: “Non abbiamo ricevuto alcun riconoscimento, ora forse qualcosa con il contratto a fine anno, ma parliamo dei soldi che aveva stanziato il governo Conte due anni fa e che i medici hanno ricevuto subito – racconta Bottega – A noi niente, neanche per dire grazie per quello che abbiamo fatto finora”.
Nel frattempo i posti messi a bando dalle università non vengono riempiti tutti: “Il sistema sta per crollare – avvisa in conclusione il sindacalista – Se gli atenei continuano a sfornare più medici che infermieri, tra cinque o dieci anni chi garantirà l’assistenza ai pazienti qualora si verificasse un’altra pandemia?”.
(da Fanpage)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’UCRAINA FA LARGO USO DI DRONI CIVILI, QUELLI CHE SI POSSONO ACQUISTARE IN NEGOZIO
Non solo lancio di missili e colpi di artiglieri a lunga gittata per tenere il nemico sempre sotto rito e dargli la sensazione di non essere mai al sicuro, in Ucraina in questi giorni la guerra si combatte anche con tecnologie che all’apparenza hanno poco di militare ma che fin dall’invasione russa invece si sono rivelate fondamentali per operare dietro le linee nemiche: i droni.
Si tratta di una guerra che fa poca notizia ma in cui gli ucraini si sono specializzati alla perfezione riuscendo a contrastare un nemico ben più forte durante l’invasione dalla Bielorussia e che, visti i successi a nord di Kiev, hanno deciso di replicare anche nel Donbass.
Non stiamo parlando dei droni prettamente militari, più grandi e giù utilizzati in altre guerre anche se non su questa scala. Certo anche quelli son stati largamente usati come il famoso Bayraktar di fabbricazione turca che si è rivelato avere un rapporto costi benefici ottimale.
L’Ucraina però ha fatto larghissimo uso di droni civili, quelli che si possono acquistare in negozio, sia usandoli come velivoli spia per individuare i nemici da segnalare all’artiglieria sia per colpire singoli obiettivi come carri armati appostati o postazioni di artiglieria nemica.
Un successo forse inatteso ma che ha spinto le forze armate ucraine a creare vere e proprie squadre di esperti, tutti volontari e con un passato nella tecnologia e nell’informatica. Si tratta di piccoli raggruppamenti di massimo dieci persone che si spostano di continuo lungo tutto il fronte.
“Abbiamo distrutto un carro armato, tre o quattro cannoni di artiglieria, due postazioni di mortaio e cinque o sei depositi di munizioni. Buoni risultati per sole 10 persone” ha raccontato alla Bbc uno dei comandanti di queste squadre che, dopo aver combattuto a Rubizhne e Severodonetsk, ora si stanno preparando a difendere Slovyansk.
Nulla di improvvisato, i droni vengono preparati con cura e modificati con stampante 3d e così anche gli ordigni mortali che portano da sganciare sul nemico. Sforzi necessari visto che i russi dopo l’iniziale sorpresa hanno avviato una massiccia opera di disturbo delle frequenze.
Difficoltà che gli ucraini stanno cercando di superare grazie anche alla tecnologia occidentale comprese le fornitura di migliaia di sistemi di comunicazione satellitare Starlink di Space X forniti da Elon Musk.
(da Fanpage)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEGLI ESTERI CINESE E IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO HANNO CONCORDATO UN MIGLIORAMENTO DELLE RELAZIONI TRA LE DUE SUPERPOTENZE
Tentativi di distensione: il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il
segretario di Stato americano Antony Blinken hanno concordato su un miglioramento delle relazioni tra le due super potenze. Lo ha riferito Pechino alla luce dell’incontro dei due capi delle diplomazie a margine del vertice G20 a Bali.
Usa e Cina «sulla base di reciprocità e mutuo beneficio, hanno reagito un’intesa per promuovere la consultazione del gruppo di lavoro congiunto sino-americano per raggiungere migliori risultati», ha commentato il ministero di Pechino in una nota
Risolvere le questioni in sospeso
La Cina sollecita gli Stati Uniti a gestire le divergenze tra le due potenze e a uno sforzo per risolvere i problemi in sospeso tra Pechino e Washington. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, nell’incontro con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, a margine della riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi del G20 a Bali, in Indonesia. Cina e Stati Uniti dovrebbero «seguire lo spirito del rispetto reciproco della convivenza pacifica ed evitare il confronto», ha detto Wang, citato in una nota del ministro degli Esteri cinese, e «discutere una linea guida per le azioni di entrambe le parti». Inoltre, ha aggiunto, «è necessario gestire correttamente i conflitti e le differenze e sforzarsi di risolvere i problemi in sospeso».
Pressing Usa sula Cina: “Condannate Mosca”
Sulla guerra in Ucraina non si può più essere neutrali. È il momento che la Cina prenda una posizione e condanni «l’aggressione» di Mosca. L’esortazione di Washington a Pechino è arrivata alla fine della due giorni del G20 di Bali, una riunione in cui il gruppo allargato dei ministri degli Esteri, sotto l’egida indonesiana, non è riuscito a trovare una posizione comune, ma che è comunque servita a riprendere le fila del dialogo Usa-Cina dopo le tensioni e gli scambi di accuse degli ultimi mesi.
Il segretario di Stato americano, Antony Blinken e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si sono intrattenuti in un colloquio lungo, ai margini del vertice, durato circa cinque ore. Un faccia a faccia «costruttivo, ha detto il segretario di Stato, volto soprattutto a impedire che le tensioni bilaterali sfuggano al controllo in un momento storico troppo delicato. Si trattava della prima volta che i due si incontravano da ottobre: un occasione che fa presupporre alcuni che presto anche i presidenti Xi Jinping e Joe Biden potrebbero parlare tra loro, almeno virtualmente.
«Nonostante la complessità del nostro rapporto, posso affermare con una certa sicurezza che le nostre delegazioni hanno trovato le discussioni di oggi utili, schiette e costruttive», ha affermato Blinken. «Il rapporto tra Stati Uniti e Cina è altamente consequenziale per i nostri paesi ma anche per il mondo. Ci impegniamo a gestire questo rapporto, questa competizione, in modo responsabile», ha affermato, promettendo di mantenere aperti i canali della diplomazia con Pechino. «Questo è davvero un momento in cui tutti dobbiamo alzarci in piedi, come abbiamo sentito fare paese dopo paese nel G20, per condannare l’aggressione, per chiedere tra le altre cose che la Russia consenta l’accesso al cibo bloccato in Ucraina», ha detto Blinken. Sul tavolo, oltre al tacito consenso di Pechino all’invasione russa dell’Ucraina, anche il nodo di Taiwan. «Ho espresso profonde preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alla retorica e all’attività sempre più provocatoria di Pechino nei confronti di Taiwan e all’importanza vitale di mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan», ha affermato Blinken.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
STORIE INEDITE NEL FORMIDABILE LIBRO DI UGO INTINI… EPISODI SCONOSCIUTI RACCONTATI DA CHI C’ERA
I nostalgici del secondo Novecento stanno già venendo allo scoperto e d’altra parte è fatale che sia così: l’impatto durissimo della guerra in Ucraina sta richiamando – sempre più spesso e per contrasto – il ricordo di quella straordinaria stagione di progresso e di pace che è stato il secondo cinquantennio del ventesimo secolo. E proprio ad alcuni dei principali personaggi (soprattutto italiani) di quella stagione è dedicato l’ultimo libro di Ugo Intini “Testimoni di un secolo. 48 protagonisti e centinaia di comprimari del secolo breve”.
Negli anni del “nuovo corso” socialista, Ugo Intini è stato direttore dell’ ”Avanti!” e portavoce del Psi di Craxi e proprio quella sua duplice natura – politica e giornalistica – è il “reagente” che ha prodotto un saggio con un tratto di notevole originalità.
In pochissimi libri usciti negli ultimi anni in Italia sono contenuti così tanti episodi inediti, uniti tutti dallo stesso filo: essere stati raccolti direttamente dalla viva voce dei protagonisti. Una miniera per gli storici e per i “malati” di politica.
Non si tratta di aneddoti fini a sé stessi, quelli che servono a arricchire il campionario dello “strano ma vero”, ma invece testimonianze collocate in un contesto storico. Come quella del generale Angelo Cerica sulla natura dell’accordo tra Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini nel celebre incontro di Villa Ada nel luglio 1943. O come le pressioni americane sul governo italiano perché non si insistesse a ricercare le responsabilità sovietiche per l’attentato di Alì Agca a Papa Wojtyla. O come tante altre.
La carrellata comprende, oltre alle principali personalità della storia socialista, personaggi come Andreotti, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Pajetta; gli artefici della Milano progressista e umanitaria del secondo dopoguerra; giornalisti come Montanelli, Tobagi e Bettiza, grandi oppositori del comunismo (Sacharov e Pelikan) ma anche leader del socialismo reale, a cominciare dal generale Jaruzelski.
La prima testimonianza controtendenza riguarda la versione «comunemente accettata sulla fine del fascismo»: Mussolini messo in minoranza e fatto arrestare dal Re dopo l’incontro a Villa Ada.
Il generale Cerica, che comandava i Carabinieri al momento dell’arresto, a Sandro Pertini che sospettava una messa in scena, confiderà: «La penso esattamente come lei…». Una “contro-lettura” che si dipana così: Mussolini – temendo di essere accusato di viltà dai suoi – si sarebbe consegnato al Re, sperando di esserne difeso davanti agli Alleati, dopo che casa Savoia aveva condiviso quasi tutto nel ventennio fascista.
Intini indica qualche indizio successivo: una lettera di Mussolini a Badoglio «senza nessuna recriminazione o rimprovero» e successivamente il serio disappunto del Duce, quando fu prelevato e “liberato” dai tedeschi sul Gran Sasso.
E se Intini non sposa questa versione dei fatti ma la affida ad ulteriori approfondimenti storici, inequivocabile è la testimonianza dell’ex portavoce di Craxi, sul disappunto del governo americano negli anni Ottanta per l’attenzione politica (dei socialisti) e giudiziaria sulla responsabilità sovietiche in merito all’attentato a Giovanni Paolo II. Scrive Intini: «Ci fu fatto filtrare dal Dipartimento di Stato: supponiamo che si dimostri in modo inoppugnabile che il Cremlino ha tentato di uccidere il Papa? E allora? E poi? Che si fa, la guerra?».
Rivela ulteriormente Intini: «Una volta terminato il processo, sono andato a trovare il povero giudice istruttore Ilario Martella, che aveva visto la verità ed era stato lasciato sostanzialmente solo: mi disse che l’intera famiglia aveva ricevuto minacce terribili, dalla Germania».
Una storia che racconta il cinismo della convivenza pacifica Usa-Urss e che richiama un’altra storia: la gelida indifferenza delle socialdemocrazie europee e dei comunisti italiani per dissidenti dell’Est europeo. Dopo la Primavera di Praga, l’ex direttore della Radio Jiri Pelikan lasciò il suo Paese «con altri duecentomila connazionali», non trovò ascolto tra i socialdemocratici tedeschi e scrisse «una lunga lettera personale» ad Enrico Berlinguer, che però non ebbe risposta. Ebbe aiuto soltanto da due giovani socialisti, Carlo Ripa di Meana e Bettino Craxi, che riuscì a far pubblicare in Italia “Literarny ListY”, la rivista della Primavera cecoslovacca. Scrive Intini: come direttore responsabile «pensammo ad una firma del giornalismo italiano», «si trattava soltanto di prestare il nome, anche per un gesto simbolico di solidarietà». Ma con una scusa o con l’altra, «tutti gli interpellati si sfilarono», compresa una grande firma del “Giorno” di cultura azionista, «perché nel 1970 era ancora sconsigliabile sfidare l’egemonia culturale comunista e la potenza sovietica».
Il tema del garantismo e della magistratura politicizzata è trattato non con le consuete argomentazioni ma con le parole spiazzanti e preveggenti di Pietro Nenni e Riccardo Lombardi, assieme a Pertini, i tre personaggi «più popolari» del socialismo italiano. Nel lontano 1964 Pietro Nenni scriveva parole profetiche: «L’ indipendenza della magistratura va assumendo forme che fanno di quest’ultima il solo vero potere, un potere insindacabile, incontrollabile e, a volte irresponsabile». Anni dopo, sempre Nenni, usò termini che sembrano pensati ieri mattina: «La magistratura l’abbiamo voluta indipendente ma per di più è divisa in gruppi e gruppetti peggio dei partiti». Anno, 1974: quarantotto anni fa.
Racconta ancora Intini: «Un giorno un giornalista dell’“Avanti!” mi disse che un giudice istruttore che indagava sui neofascisti voleva parlarmi molto riservatamente. Ci vedemmo in modo carbonaro in una stazione veneta, mi raccontò delle difficoltà dell’inchiesta, incaricandomi di parlarne a Lombardi, “sa, sono lombardiano…”». Intini: «Andai da Lombardi, che mi gelò: “Faccio finta di non aver sentito, perché altrimenti questo magistrato dovrei denunciarlo per violazione del segreto istruttorio. Digli di fare il suo mestiere e non politica». Conclusione di Intini: «Magistrati come questo, non trovando risposta dai socialisti, andarono del Partito comunista e, per dirla con Manzoni, “lo sciagurato rispose”».
Tantissimi episodi inediti o poco conosciuti. Campagna elettorale del 1968: «Nenni chiamò Craxi e gli disse: “Ti devi tirar dietro Fortuna e Scalfari, riversando su di loro le tue preferenze”», Intini, che ai tempi faceva il galoppino, ha un ricordo nitido: «Stampammo i santini: Nenni, Craxi, Fortuna, Scalfari». Per le sue inchieste sul Sifar, Eugenio Scalfari rischiava il carcere, aveva bisogno della immunità parlamentare e la ottenne grazie ai “santini” stampati da Craxi. Poi creò uno dei più straordinari giornali del Novecento e avversò Craxi, ma quella è un’altra storia.
Tra i testimoni del Novecento, grande spazio (con episodi davvero belli) agli artefici della rinascita economica, culturale e civile della Milano del dopoguerra, dai “cumenda” venuti su dal nulla, come Angelo Rizzoli, ai grandi intellettuali come Paolo Grassi e Giorgio Strehler, sino ad un personaggio più appartato come Giulio Seniga.
Operaio all’Alfa, Seniga, detto Nino, divenne un capo militare della Resistenza, dove mostrò un coraggio fuori dal comune, come quella volta che la Wermacht a Domodossola aveva ripreso il controllo di un prezioso carico di mercurio, l’ “argento vivo”. Nino «saltò sul treno del mercurio, puntò la pistola alla testa di un macchinista e gli ordinò di partire a tutto vapore verso la Svizzera». I tedeschi con le moto sidecar inseguirono, sparando all’impazzata, Seniga rispondeva al fuoco e al termine di una scena da western, Nino mise il salvo il prezioso carico.
Nel Pci del secondo dopoguerra Seniga – braccio destro di Pietro Secchia – era diventato il capo della “polizia interna” del partito, mentre sua moglie Anita Galliussi fu promossa addirittura segretaria di Palmiro Togliatti. Scrive Intini: «Nino e Anita erano giovani, belli, entusiasti, volevano fare la rivoluzione ma quando si accorsero che nella loro doppiezza, i capi pensavano alla tranquilla gestione del potere, si ribellarono». Seniga se ne andò con i soldi segreti del Pci e, pensando già alla sua pelle, portò via documenti che dimostravano traffici indicibili. I comunisti tentarono di ucciderlo ma quelle carte, affidate ad un notaio in Svizzera, lo salvarono.
Dai soldi del Pci, Seniga attinse una cifra che equivaleva allo stipendio mensile di un operaio e tuttavia «lo addolorava l’accusa di essersi arricchito».
Scrive Intini: «Lo ricordo sempre con la stessa giacca grigia spigata, con un cappotto dai larghi risvolti, lungo sino a terra», «abitava in una casa di ringhiera, tipicamente operaia, dove si entrava dal balcone direttamente nella grande cucina». Per i comunisti restò un traditore, non assurse mai allo status di personaggio che seppe vedere in anticipo, fino a quando un “evento” sbalorditivo ne illuminò il ricordo.
In un libro di memorie, Edgard Morin, uno dei più grandi filosofi contemporanei, di punto in bianco scrisse: «Seniga è uno degli uomini più coraggiosi, calunniati e denigrati che abbia mai conosciuto, è un caso estremo di una presa di coscienza, che lo ha portato ad una decisione incredibile. Mi dona coraggio e fiducia nel genio sotterraneo che lavora nelle profondità cerebrali, qualcosa che risveglia e rivoluziona le menti, proprio quando si pensa che tutto sia chiuso, congelato, pietrificato».
“Testimoni di un secolo” (Baldini e Castoldi, 25 euro, 684 pagine) è dunque un libro ricchissimo di episodi, raccontati senza autocompiacimenti (del tipo: avevamo ragione noi socialisti) e con un understatement, due approcci sanamente anacronistici.
Così come poco contemporaneo è il rispetto verso gli avversari, politicamente combattuti per anni e anni. Esemplare il capitolo su Giancarlo Pajetta, dirigente storico del Pci, che una sera degli anni Ottanta incrociò le lame dialettiche proprio con Intini. Erano gli anni nei quali i socialisti avevano scoperto il velo sugli orrori del comunismo, i due erano stati protagonisti di un serrato dibattito sull’Urss a una festa dell’Unità a Roma sul Tevere e al termine, «intorno ad una pizza e a troppo vino bianco, facemmo notte».
Racconta Intini: «Al momento dei ricordi gli occhi di Pajetta diventarono lucidi e mentre ce ne andavamo, con improvvisa dolcezza, mi prese sottobraccio e mi disse: “Tu non puoi capire. Quando ci sentivamo soli, scoraggiati e randagi, nella Roma fascista, noi giovani andavamo davanti all’ambasciata sovietica, guardavamo sventolare la bandiera rossa con la falce e il martello e gli occhi si riempivano di lacrime».
A coronamento di questo struggente ricordo, Intini conclude così il capitolo su Pajetta: «Prima di scrivere queste righe ho cercato e ritrovato tra gli scaffali di casa il suo libro più famoso, “Il ragazzo rosso”. Non sapevo che c’era la sua dedica: “Al compagno Intini, anche ricordando la serata sul Tevere”».
(da Huffingtonpost)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
LA COALIZIONE AVREBBE 55 ELETTI IN PIÙ DEL CENTROSINISTRA I GRILLINI PERDEREBBERO 257 PARLAMENTARI, FORZA ITALIA 104. PESANO INDECISI E ASTENUTI AL 40%
Partiti e candidati cominciano a sentirsi in odore di elezione. Sicuramente
l’assaggio delle amministrative di giugno ha dato molti spunti di riflessione soprattutto sulla percentuale deludente della partecipazione al voto.
Ad ogni tornata elettorale, infatti, ci si interroga sempre sul tentativo di come accrescere l’affluenza alle urne per catturare nuovo consenso, cercando di convincere il target di «indecisi» e «astenuti» che in tutti i sondaggi rappresenta oggi una quota tra il 35% e il 40%.
La dimensione dinamica del voto porta con sé anche il dibattito sulla legge elettorale e i suoi curiosi esperimenti dai risultati a volte inaspettati. Tanto per cominciare, sembrerà incredibile, ma ogni cambio del sistema negli ultimi 28 anni, per un motivo o per un altro, non ha mai giovato ai suoi promotori. Nell’era della politica guidata dai dati dobbiamo riconoscere che l’elettore non è mai troppo informato sui fatti politici e tende a essere maggiormente influenzato nella sua scelta dalle sue percezioni – più superficiali e facili – aderendo alle proposte che massimizzano il suo interesse personale.
Oggi il 61,3% degli italiani è pessimista rispetto alle proprie condizioni economiche in previsione dell’autunno. Tra gli elettori più preoccupati, oltre al 65,5% degli astenuti, troviamo quelli di Fratelli d’Italia (68%), del Movimento 5 Stelle (66,2%), della Lega (60,6%) e del Pd (58%). L’aumento dei prezzi, soprattutto per quanto riguarda la spesa alimentare e il costo delle bollette come luce e gas, tormenta i cittadini senza distinzioni. Il vero timore nasce nella paventata situazione che gli aumenti possano crescere a tal punto da rendere il saldo tra le proprie capacità economiche e il costo della vita fortemente negativo.
Su questa linea gli elettori impostano le loro indicazioni di voto. Riconosciute le fragilità dei cittadini rispetto alle principali componenti motivazionali che attualmente guidano le scelte del voto, abbiamo realizzato alcune esercitazioni matematiche per comprendere come potrebbe cambiare il panorama politico in virtù di due esempi di leggi elettorali messe a confronto, tenendo conto del nuovo assetto delle Camere dopo l’approvazione del taglio dei deputati.
Se oggi si votasse per il rinnovo del Parlamento con l’attuale legge elettorale – che prevede uno sbarramento al 3% e un contributo alla coalizione per i partiti che riescano a superare l’1% -, anche a causa dell’ultima scissione del Movimento 5 Stelle, la maggioranza dei seggi andrebbe al centrodestra compatto tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia con la raccolta di 206 onorevoli alla Camera e 103 al Senato.
Il centrosinistra con un all’alleanza tra Pd, M5S e alcuni partiti della sinistra italiana raccoglierebbe 170 seggi alla Camera e 84 al Senato.
Azione con +Europa si aggiudicherebbe 22 seggi alla Camera e 11 al Senato, mentre 4 seggi andrebbero alle minoranze linguistiche.
In questo quadro è interessante osservare che nonostante il taglio del parlamentari il partito di Giorgia Meloni si avvantaggerebbe di 69 deputati e 33 senatori e, mentre tutte le altre formazioni registrerebbero una perdita, il partito di Carlo Calenda farebbe la sua importante presenza con 33 deputati.
In questa analisi è stato calcolato il contributo di Articolo1-Mdp per il centrosinistra, mentre, non avendo ancora definito una loro ubicazione, è stato escluso il possibile contributo di alcuni partiti come ad esempio Italia Viva di Matteo Renzi, Italia al centro – movimento fondato da Giovanni Toti – e la nuova formazione di Luigi Di Maio Insieme per il Futuro.
In questa esemplificazione viene bene evidenziata l’emorragia del Movimento 5 Stelle che in prima battuta perderebbe ben 257 deputati rispetto alle elezioni del 2018 e quella di Forza Italia che lascerebbe a casa 104 rappresentanti.
Premesso che la situazione da oggi al giorno del voto, previsto per la primavera del 2023, sarà molto differente per tutta una serie di motivi legati agli avvenimenti che ci coinvolgeranno, alle risposte del governo Draghi, alla nuova manovra finanziaria, ai nuovi riassetti del panorama politico nazionale e anche grazie alla comparsa di – sicure – nuove formazioni, ci siamo esercitati su un’altra prova con una legge elettorale proporzionale con sbarramento al 4% senza premio di maggioranza.
In questo caso, al netto delle rappresentanze linguistiche, passerebbero solo 6 partiti e il centrodestra in somma raggiungerebbe 218 deputati alla Camera e 109 al Senato. In questo caso il partito di Giorgia Meloni correndo in solitaria si avvantaggerebbe di 162 seggi: esattamente 112 in più rispetto al 2018.
Il risultato di questo esercizio è fondato sulla compattezza delle coalizioni che alla prova dei fatti sembra essere messa in discussione ogni giorno da diverse prove di forza di ogni parte politica per manifestare e far emergere le proprie identità.
Chissà che non possa essere proprio questa forma tecnica e fredda di rappresentazione ad avvicinarci maggiormente ad una forma più partecipata di politica che metta al centro l’individuo e le sue esigenze.
Secondo le intenzioni di voto il primo partito è Fratelli d’Italia, con il 22,3%, seguito dal Partito Democratico al 21,4%. Per la Lega il 14,5% dei voti e si ferma all’11,3% il Movimento 5 Stelle, con Forza Italia all’8,3%
Alessandra Ghisleri
(da La Stampa)
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Luglio 9th, 2022 Riccardo Fucile
IL COMUNE LANCIA L’ALLARME: “SITUAZIONE DRAMMATICA. RESTATE A CASA CON LE FINESTRE CHIUSE”
Non si placa l’emergenza roghi a Roma. Nel pomeriggio di sabato 9 luglio un enorme incendio è scoppiato nella zona del parco di Centocelle, coinvolgendo gli autodemolitori della Togliatti e provocando una grossa nube di fumo nero che ha oscurato il cielo ed è rapidamente diventata visibile praticamente in tutta Roma.
Decine le segnalazioni da parte dei cittadini che hanno notato la gigantesca nube nera da numerose zone della città: scioccanti immagini stanno arrivando anche dal centro, dal Colosseo e anche dal Circo Massimo, area molto affollata già da sabato mattina in vista del concerto dei Maneskin.
Il presidente del VII Municipio: “Cittadini restino in casa con le finestre chiuse”
ul luogo dell’incendio poco prima delle 19 stavano operando 8 squadre dei vigili del fuoco con tutti i mezzi a disposizione. Non risultano feriti, ma la combinazione di fumo e calore sta causando pesanti disagi: “Un incendio sta interessando l’area degli autodemolitori su viale Palmiro Togliatti, che al momento è interedetta alla circolazione tra via Filomusi Guelfi e via Casilina – ha detto il presidende del VII Municipio, Francesco Laddaga – Vigili del Fuoco, Protezione Civile e Forze dell’Ordine sono al lavoro. Consigliamo ai residenti delle zone Cinecittà Est, Torre Spaccata, Cinecittà e Quadraro di restare in casa e chiudere le finestre. Per chi è in strada indossare la mascherina”.
Moltissime persone sono infatti scese in strada spaventate a causa del denso fumo che ha avvolto i palazzi e anche dalle esplosioni che si sono sentite in zona, dovute con tutta probabilità alle fiamme che hanno raggiunto i mezzi. Gli stessi soccorritori hanno molta difficoltà a intervenire a causa della nube provocata dall’incendio, che riduce la visbilità e rende l’aria irrespirabile. Stando alle prime ricostruzioni, l’incendio sarebbe partito da alcune sterpaglie all’interno del parco e le fiamme, alimentate dal forte vento, si sono propagate con estrema rapidità.
Le fiamme nella zona degli autodemolitori, strade chiuse e bus deviati
Sul posto oltre ai vigili del fuoco anche la protezione civile, la polizia locale di Roma Capitale, la polizia e i carabinieri, e sono stati allertati i mezzi aerei a supporto delle risorse che stanno lavorando da terra.
La polizia Locale ha chiuso in via precauzionale via Palmiro Togliatti nel tratto minacciato dalle fiamme, quello tra l’intersezione con via Papiria e via Casilina, e il traffico è rallentato anche in viale dei Romanisti e nelle vie limitrofe. Atac nel frattempo ha deviato il tragitto della linea 451. Poco dopo le 18 le fiamme si erano estese anche al pratone di Torre Spaccata: moltissime persone residenti in zona si stanno allontanando e stanno lasciando le loro abitazioni a causa dell’aria irrespirabile.
Un altro violento incendio si è sviluppato, sempre nel pomeriggio di sabato 9 luglio, sulla Pontina all’altezza di Castel Romano, in direzione Pomezia.
Le fiamme hanno lambito la carreggiata e il fumo ha invaso la strada, bloccando il traffico tra l’uscita di Pomezia Nord e l’incrocio con Castel Romano/Trigoria.
(da agenzie)
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