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C’E’ UN LEGHISTA CHE HA CAPITO QUALCOSA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO (DOPO ESSERNE STATO COLPITO)

Agosto 25th, 2025 Riccardo Fucile

IL POPRIETARIO DEL PAPEETE: “LA DEVASTAZIONE DEL MIO STABILIMENTO BALNEARE CAUSATO DAL CAMBIAMENTO CLIMATICO”… BRAVO, INFORMA SALVINI ALLORA

Il cambiamento climatico esiste davvero. A dirlo è Massimo Casanova, ex europarlamentare della Lega e amico storico di Matteo Salvini. Oltre che titolare del Papeete.
Ieri Casanova ha pubblicato una serie di foto dello stabilimento devastato da una tempesta che ha colpito tutta la fascia tra gli stabilimenti balneari e l’interno. Danni «non esagerati», dice lui stesso al Corriere della Sera: «Ma i gazebo sono stati quasi tutti accartocciati. Ombrelloni e tende rotte, anche tutti i lettini sono volati via. Alcuni li abbiamo recuperati a 500 metri di distanza».
Il disastro del Papeete
Casanova dice che già ieri mattina ha riaperto lo stabilimento: «Un’altra tromba d’aria del genere c’era stata nel 2022, sempre nella stessa zona». Ed è partito il fuggi fuggi: «Molti a causa dei forti disagi sono andati via, ma penso che entro pochi giorni tutto tornerà alla normalità. I romagnoli puoi colpirli, ma si rialzano in
un secondo». Lui ha parlato del caro lettini: «Ho detto che ora vorrei sentire quelli che rompono per il caro lettini, che non esiste. È facile protestare, ma quando ci sono problemi come questo sono solo i gestori a risolverli e leccarsi le ferite”
Il cambio climatico
Ma Casanova crede al cambiamento climatico: «Altroché. Questo invece è un problema serio. Il famoso anticiclone delle Azzorre ormai non esiste più… è cambiato tutto. In passato eventi estremi c’erano ogni 20 anni. Ora sono sempre più ravvicinati. E poi le ondate di caldo anomalo. Fenomeni che sono sicuramente conseguenza del cambiamento climatico».
(da agenzie)

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DOPO LA IMPROBABILE TREGUA TRA UCRAINA E RUSSIA, IL GOVERNO MELONI DISPOSTA A MANDARE GLI SMINATORI ITALIANI

Agosto 25th, 2025 Riccardo Fucile

DALLA FRANCIA: “SALVINI? E’ LA CARICATURA DI MARINE LE PEN, QUINTA COLONNA DI PUTIN”

L’Italia si prepara comunque a contribuire alla pace in Ucraina. Con uomini delle proprie forze armate. Ma senza militari sul campo. In attesa di una tregua tra Mosca e Kiev che per ora sembra allontanarsi. Il governo Meloni ha comunicato a Francia e Gran Bretagna la propria disponibilità a schierare marina ed esercito per le operazioni di sminamento delle acque e dei territori ucraini. Una disponibilità teorica perché per adesso la tregua non è sul tavolo. Ma, fa sapere Repubblica, Giorgia Meloni ne ha parlato durante le riunioni tra i partner occidentali riservati ai consiglieri per la sicurezza nazionali. Intanto il
giornalista Jean-Marie Colombani dice che Matteo Salvini in Francia è visto come una caricatura di Marine Le Pen che esprime «il catechismo putiniano».
I militari in Ucraina
A parlare dello sminamento è stato anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Noi non siamo per inviare truppe, ma potremmo dare un contributo importante con la grande esperienza che abbiamo nello sminamento marittimo e terrestre. Si sono fatti passi in avanti, anche dal punto di vista del coordinamento, su questa ipotesi». L’Italia possiede navi caccia-mine e fregate di supporto. E ha esperti in grado di lavorare sui territori minati. Nel giugno 2022 Mario Draghi aveva offerto la disponibilità italiana a sminare le rotte per i cargo di grano lungo il Mar Nero. Ora l’operazione è più ampia, visto che in tre anni l’Ucraina è stata sommersa di ordigni: il 30% del territorio del paese deve essere bonificato. E quindi serviranno cinquemila uomini e un impegno che durerà decenni. Roma è anche pronta ad aiutare nelle operazioni di controllo dello spazio aereo.
Air policing
L’attività di air policing è fondamentale visto lo squilibrio tra Kiev e Mosca. Intanto ieri si parlava anche di una telefonata tra Emmanuel Macron e Meloni dopo la polemica con Salvini. Ieri intanto il quotidiano Le Monde ha messo nel mirino le simpatie filo-russe del vicepremier leghista, «conosciuto per la sua vicinanza a Mosca. Nel panorama politico italiano, il capo della Lega (estrema destra) si distingue come il principale responsabile politico ad aver mantenuto legami più stretti con il Cremlino», scrive il quotidiano corredando l’articolo con la foto
di Salvini con la maglietta di Vladimir Putin. E Jean-Marie Colombani in un’intervista rilasciata a Cesare Martinetti per La Stampa dice che il Capitano «è l’alleato più fedele di Marine Le Pen che in tutti questi anni ha cercato di dimostrarsi cambiata rispetto al “diabolico” passato, ma che proprio nel rapporto con Salvini, dimostra di essere rimasta la stessa».
Il bilaterale
Colombani dice che dopo il bilaterale Macron-Meloni tra Italia e Francia «apparentemente ci sono alti e bassi. Quello che è certo che c’è un grande rapporto con il presidente Mattarella. Meloni non fa parte del gruppo dei Volenterosi, ma ha partecipato insieme a loro all’incontro con Trump e Zelensky. Questo è importante. Ha molto cambiato le sue posizioni rispetto al passato e questo grazie all’influenza di Mario Draghi». Ed è stata celebrata da giornali francesi molto diversi, dal magazine del Figaro a Le Monde: «Perché non è Salvini. Per me, come diciamo noi francesi, è stata una divine surprise».
L’invio di soldati in Ucraina, aggiunge, «al momento è una discussione teorica. Secondo me la vera questione di fondo, invece, è se c’è la stessa consapevolezza sulla necessità della solidarietà europea per una difesa comune. Dal primo mandato di Donald Trump, Angela Merkel aveva usato un’espressione molto forte nei confronti della nuova posizione americana: è un tradimento. Siamo tutti consapevoli di questo o lo sono solo Francia, Germania e Gran Bretagna? Io non so dire fin dove arriva Meloni in questa consapevolezza».
A favore di Mosca
In Francia le battute di Salvini sono state giudicate «come un’uscita a favore di Mosca. Salvini è un uomo che recita il catechismo putiniano a memoria. Non un post fascista ma un pre fascista. Marine Le Pen è la stessa cosa, l’amicizia fra i due lo dimostra».
Macron sull’Ucraina «è stato coerente con quello che ha sempre detto e cioè la necessità di un’autonomia strategica europea. E d’altra parte è una posizione che oggi ci viene imposta dalla politica di Trump finora sempre favorevole a Putin, suo alleato nella lotta contro l’Unione Europea. Io credo che gli altri presidenti francesi avrebbero avuto la stessa linea, sicuramente Hollande. È uno dei rari momenti in cui Macron si è trovato d’accordo con Dominique de Villepin (il ministro degli Esteri di Chirac, poi premier che disse no alla guerra in Iraq, ndr). La presenza degli europei al tavolo di Washington non è stata trascurabile, soprattutto dopo il discorso a Monaco del vice presidente Vance. Ma io credo che Trump non prenderà mai posizione contro Putin».
L’errore di Biden
Sull’Ucraina, dice Colombani, l’errore iniziale lo ha commesso Joe Biden «limitandosi a dare all’Ucraina le difese, non i mezzi per liberarsi della manovra russa dal suo territorio. Bisognava essere meno timorosi delle possibili rappresaglie di Putin. Andava fermato allora, sapendo che il suo obbiettivo era ricostruire l’area di influenza del passato sovietico e che l’Ucraina sarebbe stata la prima tappa». Per i francesi l’invio di truppe potrebbe diventare positivo: «Adesso no, non è d’attualità. Però io credo che se fosse deciso nel quadro di un accordo internazionale per il mantenimento della pace, tipo
caschi blu in Libano, alla fine sarebbero d’accordo. Il problema è che siamo ancora molto lontani».
(da Open)

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APARTHEID E PULIZIA ETNICA: NETANYAHU NON HA PIU’ VERGOGNA

Agosto 25th, 2025 Riccardo Fucile

QUESTA E’ UNA GUERRA A OLTRANZA RIVENDICATA DA UN GOVERNO RAZZISTA

Non è solo il termine “genocidio” ad essere contestato sia dal governo israeliano sia da molta parte del mondo ebraico della diaspora a proposito di quanto accade in Israele e in Palestina. Ce ne sono altri, ugualmente contestati e accusati da Netanyahu di antisemitismo. Uno è “apartheid”, l’altro “pulizia etnica”. Le ultime notizie da Israele, con i progetti dichiarati dal governo su Gaza e Cisgiordania, li riportano all’attenzione del mondo.
Apartheid, è noto, è un termine nato per definire la situazione del Sudafrica tra il 1948 e il 1994 e indicare un regime di
segregazione razziale basato sulla supremazia dei bianchi sui neri. Era un regime di segregazione molto netta, in cui tutto, scuole, trasporti, ospedali, era separato al punto che un nero in pericolo di vita non poteva essere curato in un ospedale destinato ai bianchi. Anche la segregazione razziale negli Stati Uniti del Sud, abolita nel 1964, aveva caratteristiche molto simili.
Ricordiamo le foto dei primi bambini neri ammessi in una scuola per bianchi, e dei primi neri che salivano su un autobus per bianchi, protetti dalla polizia. Il termine ha cominciato ad essere usato in Israele all’inizio di questo secolo con la costruzione del muro che separa Israele dalla Cisgiordania. «Ecco la nostra apartheid», dicevano gli israeliani contrari a questa costruzione mostrandolo.
È evidente che non è questa la situazione dei palestinesi cittadini di Israele entro i confini dello Stato. E quando ci si oppone all’uso di questa parola sottolineando che gli arabi israeliani possono essere eletti al Parlamento e laurearsi nelle università israeliane, in realtà si finge di non sapere che con il termine apartheid ci si riferisce non a Israele ma ai territori occupati. Qui la situazione è diversa e sempre più lo sta diventando.
E con il progetto di costruire insediamenti che taglino in due la Cisgiordania non solo si pianta, come ha detto il ministro della Difesa Katz, chiodi nella bara di un futuro Stato palestinese, ma si incrementa l’apartheid, si aumenta il numero delle strade, già numerose, destinate alla circolazione delle macchine israeliane. E si moltiplicano i check point, dove i soldati fanno passare rapidamente le vetture israeliane e, in nome della sicurezza, possono bloccare per ore quella di un palestinese che porta i
bambini a scuola. Due gradini importanti nella scala della discriminazione, verso una segregazione sempre maggiore. Per ora la distinzione maggiore è fra cittadino di Israele e palestinese dei territori occupati, ma quella tra ebreo e palestinese è sempre più visibile.
Il termine pulizia etnica, che l’opposizione al governo israeliano usa per definire il previsto trasferimento dei palestinesi di Gaza City in seguito all’inasprimento delle operazioni militari a Gaza e che ha usato finora sia a proposito delle continue evacuazioni dei palestinesi a Gaza sia a proposito della distruzione di tanti villaggi in Cisgiordania, ha un’altra origine, che nulla c’entra con la Shoah, anche se i sostenitori di Netanyahu sembrano non saperlo: essa indica gli spostamenti forzati di una minoranza per determinare una situazione di omogeneità etnica in un determinato territorio.
Esso è entrato nell’uso negli anni Novanta del Novecento durante la guerra di Bosnia. Solo retrospettivamente è stato applicato a episodi simili di omogeneizzazione etnica, quale ad esempio, per restare in Israele, la Naqba, cioè l’espulsione nel 1948 di oltre 700.000 palestinesi dal nuovo Stato di Israele. I progetti di espulsione dei palestinesi da Gaza, con le trattative in corso con molti Paesi – attualmente con Paesi africani – per trovare loro uno spazio, insieme con quello che succede in Cisgiordania, dove gli attacchi dei coloni ai villaggi palestinesi e la distruzione sistematica delle loro case, scuole, oliveti da parte dell’esercito si accompagna alla loro espulsione per far posto ai nuovi insediamenti ebraici, mi sembra ben possa ricadere entro questa definizione.
Annunciando una guerra ad oltranza a Gaza e ai palestinesi che ancora vi vivono e, al tempo stesso, programmando nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania che taglino in due il territorio in cui avrebbe dovuto nascere lo Stato palestinese, mi sembra che nei giorni scorsi il governo razzista di Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir abbia rivendicato a sé senza vergogna progetti di apartheid e di pulizia etnica. Sarà difficile da ora in poi dire che di altro si tratta.
(da La Stampa)

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MELONI, LA SOLITA DOPPIA FACCIA

Agosto 25th, 2025 Riccardo Fucile

LE CAZZATE DI SALVINI POSSONO SOPPORTARLE IN ITALIA, MA ALL’ESTERO GIUSTAMENTE SI CHIEDONO COME E’ POSSIBILE CHE UN SOGGETTO DEL GENERE SIA MINISTRO… SE NE DEDUCE CHE MELONI E’ POLITICAMENTE RICATTABILE

Diventa sempre più difficile derubricare la politica estera parallela di Matteo Salvini a una questione di toni e battute infelici, perché un conto sono certe provocazioni a uso interno, altro l’attacco al presidente di un Paese fondatore dell’Europa come Emmanuel Macron, in questo momento figura di punta nelle scelte dell’Unione sull’Ucraina e bersaglio prioritario di Mosca. Il quotidiano francese Le Monde va dritto al punto. Le parole di Salvini vanno contestualizzate, è vero.
Ma non come fanno i suoi alleati italiani, collegandole al carattere guascone e al gusto dell’eccesso del capo della Lega. Piuttosto bisogna leggerle nel quadro dei suoi «stretti rapporti col Cremlino» e personalmente con Vladimir Putin, che definì «uno dei migliori uomini di governo che ci siano sulla faccia della Terra». La frase è del 2019, qualche anno dopo l’invasione e annessione della Crimea, ma se ne potrebbero citare decine di più recenti ed esagerate, compresa la difesa del regime di Mosca dopo l’assassinio di Aleksej Navalny.
L’ardua fatica compiuta da Meloni per accreditarsi in ogni Cancelleria del Continente ha avuto come punto di forza tre elementi: la sobrietà dei comportamenti economici, l’unità e la durata della coalizione e la netta scelta a fianco dell’Ucraina in ogni passaggio di rilievo, compresi quelli maldigeriti come la
formazione dell’asse dei Volenterosi. La posizione pro-Kiev è lo snodo che ha consentito di riallacciare i rapporti con Germania e Francia, è l’asse intorno a cui ruota il nuovo feeling con capi di Stato e di governo che nel 2022 non erano felici della vittoria delle destre, e in questa fase sembra contare di più persino rispetto alla vecchia ossessione dell’Unione per gli equilibri di bilancio.
Lo status conquistato dall’Italia può reggere se Salvini limita le sue incursioni polemiche al dibattito politico interno, ma se ne fa una esibizione sulla scena internazionale, se chiama in causa capi di Stato alleati irridendone le scelte, se riporta d’attualità la sua biografia filo-putiniana, il rischio è grande.
Nessun Paese in questo momento può permettersi dubbi di doppiezza, e figuriamoci l’Italia con la sua storica fama di ambiguità.
È probabile che Giorgia Meloni taccia sperando che la questione di sgonfi da sé e che il sospetto di una sorta di «quinta colonna» filorussa nel governo possa essere stroncato per via diplomatica e contatti personali, dimostrando l’irrilevanza di Salvini nelle decisioni sulla scena internazionale più che accapigliandosi pubblicamente con lui. E tuttavia la politica estera parallela della Lega è un fatto e sta diventando un problema di prima grandezza. Poco importa che sia dettata dalle vecchie ossessioni anti-francesi del Capitano, da motivi di propaganda elettorale o dalla persistenza di interessi indicibili. Quel che conta è come ci vedono gli altri: non tutti sono disponibili ad addentrarsi nei giochetti dei nostri equilibri politici.
Qualcuno fa un paragone a proposito della frase «incriminata» di
Salvini: è come se un ministro di alto livello francese, parlando dell’Italia che non vuole mandare truppe in Ucraina, avesse detto a Mattarella «metta fiori nei fucili e faccia l’hippy». Immaginare le conseguenze. Chiedersi se sarebbe sufficiente difendersi dicendo, come più o meno è stato detto, che abbiamo un vicepremier che apre bocca e le da’ fiato.
(da La Stampa)

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