ARIDATECE SANGIULIANO: ALESSANDRO GIULI CITA HEGEL (SBAGLIANDO) E LASCIA LA SALA ATTONITA SULLE INDECIFRABILI LINEE GUIDA DEL SUO MINISTERO DELLA CULTURA
SI INERPICA IN UNA SUPERCAZZOLA SENZA SENSO, RICOLMA DI TERMINI ALTI PER FAR VEDERE QUANTO È COLTO. PECCATO CHE NON SI CAPISCA NIENTE: “DI FRONTE A QUESTO CAMBIAMENTO DI PARADIGMA, LA QUARTA RIVOLUZIONE EPOCALE DELLA STORIA DELINEANTE UN’ONTOLOGIA INTONATA ALLA RIVOLUZIONE PERMANENTE DELL’INFOSFERA GLOBALE, IL RISCHIO CHE SI CORRE È DUPLICE E SPECULARE”
Ci hanno messo un po’ i parlamentari per capire cosa stesse leggendo Alessandro Giuli. Convocato in audizione, alla Camera, per esporre le linee guida del suo dicastero a deputati e senatori riuniti, il ministro della Cultura ha esordito con l’esposizione di quello che è sembrato un trattato di inizio ‘900.
Giuli aveva anticipato che l’introduzione sarebbe stata «un po’ teoretica». Di certo, almeno stando alle facce di chi lo circondava, è apparsa oscura.
Ecco, infatti, qual è stato il debutto di Giuli: «La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni. Il movimento delle cose è così vorticoso e improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone, non solo delle ultime generazioni, ha cominciato a mutare con esso». La frase iniziale è in realtà una citazione sbagliata o forse volutamente parafrasata (ma il senso non è lo stesso) di Hegel: «La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero».
Giuli, senza alzare lo sguardo dal suo saggio, ha continuato: «Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare». Deputati e senatori sono rimasti attoniti.
«L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia». Poi Giuli ha domandato: «Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?». «No», ha risposto più a se stesso che all’uditorio, il quale non sembra essere riuscito a decifrare un granché dell’altissimo discorso di Giuli.
E ha proseguito: «Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo, ricordare la lezione di umanismo integrale che la civiltà del rinascimento ha reso universale. Non l’algoritmo, ma l’umano, la sua coscienza, la sua intelligenza e cultura immagina, plasma e informa il mondo. In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra le culture scientifiche e umanistiche. Come in una disputa tra un fronte culturale progressista e uno conservatore. Dialettica errata. Si tratta di pensare: Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi, e al di là della declamazione dei grandi nomi della cultura umanistica e scientifica italiana, è necessario rifarsi a questa concezione circolare e integrale del pensiero e della vita che costruisce lo specifico della cultura».
(da agenzie)
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