“IL VERTICE SULL’UCRAINA ALLA CASA BIANCA È UN REFERENDUM SULL’ORDINE EUROPEO”: L’AMBASCIATORE ETTORE SEQUI SPIEGA QUAL È LA POSTA IN GIOCO NELL’INCONTRO DI OGGI TRA TRUMP, ZELENKY E LA DELEGAZIONE EUROPEA
“PER PRIMO OCCORRE IMPEDIRE CHE IL FUTURO DELL’UCRAINA SIA DECISO SOLO DA WASHINGTON E MOSCA, RIDUCENDO L’EUROPA A SPETTATORE DI UNA NUOVA YALTA. SECONDO: VINCOLARE TRUMP A GARANZIE DI SICUREZZA PER KIEV. TERZO: RIAFFERMARE CHE SOVRANITÀ E CONFINI INTANGIBILI NON SONO NEGOZIABILI CON PUTIN
Il vertice di oggi sull’Ucraina alla Casa Bianca è un referendum sull’ordine europeo. Non riguarda solo Kiev, ma il principio che i confini non si cambiano con la forza e che la sovranità non è merce di scambio.
La posta è triplice. Primo: impedire che il futuro dell’Ucraina sia deciso solo da Washington e Mosca, riducendo l’Europa a spettatore di una nuova Yalta.
Secondo: vincolare Trump a garanzie di sicurezza per Kiev che diano continuità alla difesa europea. Terzo: riaffermare che sovranità e confini intangibili non sono negoziabili con Putin.
Gli europei arrivano a Washington non come semplici accompagnatori di Zelensky, ma come potenziale contrappeso a due rischi concreti: il bullismo negoziale di Trump e la sua tentazione di piegarsi alla logica di Mosca. L’Ucraina è solo una parte — e forse non la più importante — del più generale rapporto tra Mosca e Washington.
La presenza europea serve a tentare di blindare il presidente ucraino e probabilmente torna utile anche a Trump, come carta da spendere con l’opinione pubblica interna: dimostrare che non
agisce in solitaria, ma dentro un quadro condiviso. In questo senso, la compattezza dei “Volenterosi” è decisiva, pur con differenze interne: Francia e Regno Unito spingono per un approccio più muscolare, mentre Italia e Germania restano più caute.
I nodi critici sono due: aspetti territoriali e garanzie di sicurezza all’Ucraina. Ad Anchorage Putin ha preteso che Kiev si ritiri da Donetsk e Lugansk, offrendo in cambio un congelamento del fronte e qualche lembo di territorio a Sumy e Kharkiv.
Una formula che darebbe a Mosca profondità tattica, basi di fuoco e nodi logistici, accorciando le distanze da Kharkiv e dal Dnipro: un vantaggio operativo permanente mascherato da compromesso.
Accettare amputazioni significative equivarrebbe a piegarsi alla logica della forza, legittimando un precedente che andrebbe oltre l’Ucraina. Una pace che legalizza la forza è un manuale per la prossima guerra.
Proprio perché rischia amputazioni territoriali, per Kiev il tema delle garanzie diventa decisivo. Se l’Ucraina fosse costretta a gravi sacrifici, adeguate garanzie sarebbero la condizione politica per rendere accettabili le rinunce mentre lo strumento militare sarebbe cruciale per evitare nuove aggressioni.
Trump ha rilanciato il messaggio russo senza chiarire se lo facesse proprio, aggiungendo però la preferenza per un accordo immediato, senza la fase intermedia del cessate il fuoco. È il riflesso di un approccio transazionale: chiudere il dossier come fosse un affare, senza costruire una cornice di sicurezza
collettiva.
Se gli americani chiedessero a Zelensky rinunce territoriali, il vero banco di prova sarebbero le garanzie. Sono state evocate formule “tipo-Nato”: non l’ingresso formale, ma impegni di difesa che replichino, per quanto possibile, la logica dell’Articolo 5 dell’Organizzazione. Ciò eviterebbe la presenza stabile di truppe Nato in territorio ucraino, ma attiverebbe una assistenza militare immediata in caso di nuova aggressione russa.
Occorrerebbe però chiarire chi eroga tali garanzie, quali limiti hanno e fino a che punto implichino un sostegno militare diretto; soprattutto, quali sono i termini e i limiti del “cappello” americano alle forze europee. Senza questa chiarezza, ogni promessa rischia di restare retorica.
Le opzioni tradizionali hanno comunque limiti intrinseci: il peacekeeping classico è impotente su 1.200 chilometri di fronte (mandati limitati, armamento leggero, regole d’ingaggio di mera autodifesa); la deterrenza esercitata già dalla Nato nei Paesi baltici ha valore soprattutto simbolico e non impedirebbe una conquista rapida; una forza di deterrenza vera e propria, con 100–150 mila uomini, è oggi politicamente ed economicamente impraticabile.
Il vertice di oggi, dunque, non riguarda solo Kiev: è il test della capacità dell’Occidente di difendere la propria coerenza strategica.
È questa la vera posta in gioco a Washington: decidere se l’Ucraina resterà uno Stato sovrano e difendibile, o se diventerà il laboratorio di un nuovo ordine fondato sulla forza e sul ricatto.
(da agenzie)
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