DAI SOLDI AI BOSS ALLE MINACCE DI STRAGI: TRA SILVIO E MARCELLO 40 ANNI DI MISTERI
SANCITI DA UNA SENTENZA I COSPICUI PAGAMENTI PER PROTEGGERE IL CAVALIERE DA COSA NOSTRA
Da 39 anni, sono inseparabili. Silvio Berlusconi ama raccontare che l’amico Marcello Dell’Utri ha sempre avuto una buona idea da proporgli, al momento giusto.
La prima, del 1973, è rimasta memorabile: l’arrivo di un esperto fattore da Palermo per prendersi cura dei terreni e dei cavalli della nuova grande residenza di Berlusconi, la villa di Arcore.
Ma quel fattore, Vittorio Mangano, era anche un mafioso di rango.
E così, quell’amicizia nata sui banchi dell’università di Milano, negli anni Sessanta, ha finito per incuriosire anche la magistratura.
Berlusconi non si è mai scomposto, non ha mai avuto un dubbio sull’amico siciliano. Anzi, l’ha sempre difeso a spada tratta.
«Non riuscivo davvero a trovare un fattore fidato – spiegò il 26 giugno 1987, alla Procura di Milano – chiesi a Dell’Utri e lui si ricordò di una persona conosciuta sui campi di calcio della squadra Bacigalupo di Palermo».
Altro che mafia, altro che misteri.
Solo una storia di amicizia, secondo Berlusconi.
Ma è un’altra la storia che racconta la sentenza della Corte di Cassazione che nel marzo scorso ha condannato definitivamente Dell’Utri per le sue frequentazioni mafiose fra il 1973 e il 1978.
Per i giudici della suprema corte non ci sono più dubbi sulle «cospicue somme» che negli anni Settanta Berlusconi pagò alla mafia, attraverso il «mediatore» Dell’Utri, «per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari».
Erano gli anni dei sequestri a Milano.
È stata dunque la Cassazione, prima ancora della Procura di Palermo, a parlare di un’estorsione subita da Berlusconi.
Scrivono i giudici: «Dei versamenti di somme da parte di Berlusconi in favore di Cosa nostra, per la protezione, hanno parlato almeno quattro collaboratori: Francesco Di Carlo, Antonino Galliano, Salvatore Cucuzza e Francesco Scrima».
E il primo ha anche raccontato di un incontro in particolare organizzato nel 1974 da
Dell’Utri, fra all’allora giovane imprenditore Berlusconi e il capomafia palermitano Stefano Bontate.
Anche questo è un capitolo già certificato dalla Cassazione. E se Dell’Utri non è ancora finito in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa è solo perchè i giudici della Cassazione hanno disposto un nuovo processo d’appello, per approfondire le sue frequentazioni mafiose fra il 1978 e il 1982.
Berlusconi, naturalmente, ha continuato a difendere a spada tratta il suo vecchio amico di università , intanto diventato compagno di tante altre imprese, da Publitalia a Forza Italia.
Ma la storia dei due inseparabili amici continua ad essere oggetto di indagini giudiziarie a Palermo.
Questa volta, di scena, non ci sono più gli anni Ottanta, ma i recenti anni Novanta, quando Berlusconi ricoprì la carica di presidente del Consiglio.
E Dell’Utri è adesso il principale indagato per il processo sulla trattativa mafia-Stato, perchè nel 1994 avrebbe recapitato un altro messaggio dei boss a Berlusconi:
Cosa nostra minacciava nuove stragi se non fosse arrivato un ulteriore alleggerimento del carcere duro.
Questo ha detto il pentito Giovanni Brusca.
E i pm di Palermo si chiedono adesso se quei milioni di euro offerti in dono da Berlusconi siano stati davvero solo per Dell’Utri.
Salvo Palazzolo
(da “la Repubblica“)
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