DALLA TELENOVELA SULLE CONCESSIONI BALNEARI AI CANONI, PERCHE’ LE SPIAGGE LIBERE IN ITALIA SONO MENO DEL RESTO D’EUROPA
IN ALCUNE LOCALITA’ TURISTICHE IN EMILIA ROMAGNA, LIGURIA E CAMPANIA, PIU’ DEL 90% DEL LITORALE E’ OCCUPATO DA STABILIMENTI… LEGAMBIENTE E MARE LIBERO: “SERVE UNA LEGGE NAZIONALE”
Nell’estate in cui infuria il dibattito sul caro vacanze e i gestori degli stabilimenti balneari lamentano un calo delle presenze sotto l’ombrellone, c’è un’anomalia tutta italiana che da tempo è sotto gli occhi di tutti e contribuisce ad aggravare la situazione: in molte località, l’accesso libero e gratuito al mare non esiste (o quasi). A Rimini, per esempio, oltre il 90% dell’arenile è in concessione a privati, mentre le spiagge libere – che si fermano all’8% del totale – capita che si trovino in prossimità di scarichi fognari o in aree dove vige il divieto di balneazione. «Le spiagge libere sono un ammortizzatore sociale, un calmiere. Più ce ne sono, più persone hanno la possibilità di andare al mare, anche chi – per scelta o per necessità – non usufruisce di uno stabilimento», spiega a Open l’avvocato Roberto Biagini, presidente dell’associazione Mare Libero, che da anni si batte per «liberare il mare e le spiagge e restituirli alla collettività».
Pochi tratti liberi e tante concessioni
Secondo uno studio di Unioncamere, a fine 2023 erano 7.244 gli
stabilimenti balneari registrati alle Camere di Commercio. Al primo posto tra le regioni c’è l’Emilia-Romagna con 1.052, ossia il 14,5% del totale nazionale. A completare il podio ci pensano la Toscana (917 stabilimenti balneari) e la Liguria (797). «Grazie ai nostri associati abbiamo il monitoraggio di varie zone turistiche in tutta Italia», spiega Biagini. La Liguria, per esempio, ha l’85-90% delle proprie spiagge in modalità concessoria, ossia non libera, e lo stesso avviene anche per i lidi Ostiensi, nel Lazio, e per il Cilento, in Campania. «In Puglia esiste una regolamentazione diversa, lì esiste un’alternativa vera. Nell’arco di 200-300 metri i cittadini hanno la possibilità di scegliere tra una spiaggia attrezzata e una libera», precisa il presidente di Mare Libero.
La doppia anomalia delle spiagge italiane
Il fatto che l’Italia abbia così pochi tratti di spiagge libere rappresenta un’anomalia innanzitutto giuridica. «L’articolo 36 del codice della navigazione dice che è possibile usare il demanio marittimo per finalità imprenditoriali. Ma quella dovrebbe essere l’eccezione, non la regola. Invece, in Italia si è ribaltata la situazione. Distogliere parte dell’arenile dall’uso pubblico è diventata la normalità», fa notare l’avvocato Biagini. Per quanto riguarda la distribuzione dei poteri, è lo Stato ad avere la competenza sull’uso del demanio marittimo. Ad oggi, però, sono le regioni a occuparsi della pianificazione e, in alcuni casi, a fissare percentuali minime di spiagge libere.
In Puglia, per esempio, si impone ai Comuni di salvaguardare il 60% di spiagge libere e dare il restante 40% in concessione. «Lo stesso – spiega ancora il presidente di Mare Libero – avviene
anche nel Lazio, mentre in Sardegna è al 50%. In Emilia-Romagna, poi, c’è una delibera che fissa un obiettivo di spiagge libere del 20% ma a livello regionale, non comunale. Questo significa che, volendo, un Comune come Rimini potrebbe continuare ad avere il 90% di spiagge date in concessione». Il problema è che tutti questi provvedimenti regionali fissano un’indicazione, niente di più. E il risultato, fa notare Biagini, è che spesso quelle stesse indicazioni vengono disattese dai Comuni.
Il confronto con gli altri Paesi europei
La scarsità di spiagge libere è un problema tutto italiano. Se si va a guardare cosa accade negli altri Paesi europei, ci si accorge che la situazione è radicalmente diversa. In Francia, per esempio, l’80% delle spiagge è libero e ad accesso gratuito, mentre il 20% è dato in concessione a privati. In Spagna e Portogallo, altri due Paesi europei con lunghi tratti di costa, le concessioni non esistono affatto. Ai gestori degli stabilimenti balneari viene data una mera autorizzazione per l’uso di spazi demaniali, della durata di cinque o dieci anni, con l’obbligo di rimozione alla fine di ogni stagione.
(da agenzie)
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