FONTI DEL CREMLINO: “PUTIN NON LASCERA’ LE ZONE CHE CONSIDERA RUSSE”
“PROPONE UN RITIRO DA AREE MINIME IN CAMBIO DI TUTTE LE CONDIZIONI”…IL POLITOLOGO GALEOTTI: “TRUMP DEVE SAPER DIRE DIRE DI NON ALLE RICHIESTE MASSIMALISTE DELLO ZAR”
Vladimir Putin potrebbe accettare un ritiro delle sue forze armate da alcune minime aree che hanno occupato in Ucraina, in cambio dell’ok alle condizioni russe in un accordo di pace che preveda il cessate il fuoco. Lo riferisce a Fanpage.it una persona al corrente delle posizioni del Cremlino. Non basta per un accordo ma potrebbe essere uno spiraglio: il primo passo per un confronto decente su una soluzione politica del conflitto. Ammesso che Trump, dopo il loro incontro in Alaska, riesca a limitare le ambizioni del presidente russo.
L’osceno baratto
“Non consideriamo i lembi di territorio che controlliamo nelle oblast di Sumi, Dnepropetrovsk e Kharkiv come parti della Russia”, ha detto la fonte. “È credibile che la nostra leadership rinunci a queste piccole sacche a fronte del completo ritiro ucraino dal Donbass”.
Il nostro interlocutore non ha ancora ricevuto un briefing ufficiale sul summit di Anchorage ma conosce già l’orientamento del suo governo. Gli garantiamo l’anonimato per evitargli eventuali problemi, vista la delicatezza della questione. Le sue parole confermano da Mosca quanto battuto l’agenzia Reuters, che cita fonti occidentali.
Se l’occupazione russa di Dachnoye e Maliivka nel Dnipropetrovsk è contestata da Kiev, è certa quella di circa 440 chilometri quadrati nelle regioni di Sumy e Kharkiv.
In cambio del ritiro degli invasori, gli ucraini dovrebbero ritirarsi da 6.600 chilometri quadrati che ancora controllano nelle oblast di Donetsk e Luhansk.
Il 70 per cento della prima e il 99 per cento della seconda sono già sotto i russi. Il quadro del “territory swap” comprende il
congelamento delle attuali linee del fronte nelle regioni di Zaporizhzhia e di Kherson, anch’esse occupate per circa il 70 per cento dalle truppe di Putin ma già annesse e inserite nella Costituzione come “territori della Federazione Russa” insieme a Donetsk e Luhansk.
Il baratto — secondo Reuters— prevede anche il riconoscimento dell’annessione della Crimea, avvenuta nel 2014. Non si capisce se solo da parte degli Stati Uniti o anche di Paesi europei e Ucraina. Nessuna conferma né ufficiale né confidenziale da Mosca. La comunità internazionale, sulla base della Carta dell’Onu e di altre norme giuridiche, considera illegali le cinque annessioni.
“Garanzie stile Art. 5? Non ci contate”
“La Russia non si ritirerà mai da alcuna terra che considera russa”, chiarisce la nostra fonte moscovita. Secondo cui le questioni territoriali sono tutt’altro che marginali, per il Cremlino. Ma non sono la priorità. Che resta quella di un accordo di pace prima del cessate il fuoco. Col riconoscimento delle condizioni massimaliste più volte elencate: demilitarizzazione, neutralità e ingerenza russa nella legislazione ucraina. Il tutto, nell’ambito di un sistema di sicurezza che garantisca Mosca, più che Kiev.
Il negoziatore americano Steve Witkoff ha detto alla Cnn che sulla sicurezza si è trovato un accordo: “Stati Uniti e altri Paesi europei potrebbero offrire garanzie con formule simili a quelle dell’Articolo 5 del trattato Nato”. La persona al corrente delle posizioni del Cremlino, però, smorza subito gli entusiasmi: “Si tratta di speculazioni poco credibili”, commenta al telefono dalla capitale russa. Secondo Witkoff, “la Russia ha dichiarato che si
impegnerà a livello legislativo a non rivendicare ulteriori territori in Ucraina”. Il vecchio amico del presidente ha poi spiegato che Trump non insiste più su un cessate il fuoco immediato. Motivo: “Sono stati raggiunti molti progressi, i russi hanno iniziato a mostrare una certa moderazione e sono state trattate quasi tutte le questioni necessarie”. Nessun particolare in merito. Evidentemente, Trump si è convinto che un accordo generale sia la prima cosa da fare. Proprio come hanno sempre voluto i russi.
Uno spiraglio, forse
“Non è stata raggiunta alcuna intesa accettabile”, afferma Mark Galeotti, tra i principali esperti internazionali di politica russa e sicurezza. “La demilitarizzazione dell’Ucraina è semplicemente impossibile, e minimi arretramenti russi sul fronte non sono sufficienti per arrivare a un accordo. Ma possono essere il prologo di discussioni oneste e realistiche”.
Prima di ogni altra mossa, “al Cremlino aspettano di vedere che succede nell’incontro di Trump con Zelensky e i leader Europei nello Studio Ovale” in programma per oggi, spiega a Fanpage.it Galeotti.
Alla vigilia del vertice di Washington, l’Europa ha già messo in guardia la Casa Bianca sullo scambio di territori, considerato un osceno regalo a Putin. Zelensky “non vorrà né potrà ordinare ai suoi soldati di ritirarsi dalla parte del Donbass rimasta ancora ucraina”, nota Galeotti. Il “territory swap” con una ritirata solo minima delle forze russe “non addolcirebbe in alcun modo l’abbandono di territori così vasti da parte di Kiev”.
Le difese ucraine si sono dimostrate finora insuperabili, in punti chiave delle linee in Donbass. A costo di gravi perdite. Ma quelle della lenta avanzata russa sono addirittura immani. La nuova guerra, la guerra dei droni, dà un vantaggio fisiologico ai difensori. Che sono stremati e hanno sempre maggiori problemi nel mobilitare nuovi combattenti. Però non sono sconfitti.
“La pace non si svende”
Se gli accordi si faranno sulla loro pelle, con l’accoglimento di tutte le richieste di Putin, Kiev potrà gridare al tradimento da parte di America ed Europa — che si dimostrerebbe così incapace di difendere nei fatti le posizioni sempre ribadite a parole. E l’eventuale fine del conflitto così come lo conosciamo coinciderebbe probabilmente con l’inizio della guerriglia contro gli invasori.
Se invece Trump riuscisse a convincere Putin ad accettare vere garanzie di sicurezza degli Usa all’Ucraina, stile articolo 5, “allora sarebbe un passo verso la pace”, sostiene Mark Galeotti. “Ma i russi non offriranno alcuna concessione finché non saranno certi di doverlo proprio fare”, aggiunge.
Non significa che sia necessario l’avvio di nuove sanzioni. Anche dazi al 500 per cento per i Paesi che comprano gli idrocarburi russi — minaccia che Putin è riuscito abilmente ad allontanare proprio offendo il summit in Alaska — avrebbero un’efficacia dubbia: le motivazioni dello zar sono più “alte” rispetto a ogni futuro guaio finanziario ed economico per il Paese.
Lo scontro con l’Occidente liberale e il ripristino di glorie passate vere o presunte hanno la precedenza. L’ideologia e il desiderio di passare alla Storia come l’uomo che fece di nuovo grande la Russia ormai prevalgono su quello che un tempo era il proverbiale pragmatismo del capo del Cremlino.
“Ogni ulteriore pressione sarebbe inutile”, conclude Galeotti. “Piuttosto, serve dimostrare chiaramente la volontà di resistere a richieste eccessive”. Trump deve imparare a dire di no, quando parla con Putin.
(da Fanpage)
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