INGROIA: “IL QUIRINALE COLPISCE LE ISTITUZIONI E CON QUESTA SENTENZA BIZZARRA LA POLITICA HA PREVALSO SUL DIRITTO”
“SE FOSSI STATO IN ITALIA ME NE SAREI ANDATO”
«Sono profondamente amareggiato – dice Antonio Ingroia, al telefono dal Guatemala – le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto. La sentenza della Corte costituzionale rappresenta un brusco arretramento rispetto al principio di uguaglianza e all’equilibrio fra i poteri dello Stato. Definirei bizzarra questa decisione. E sono convinto della bontà della mia scelta di lasciare l’Italia. Se fossi stato ancora a Palermo, me ne sarei andato proprio oggi».
Rifarebbe dunque tutto?
«Senza alcun dubbio. I magistrati della Procura di Palermo hanno sempre rispettato la legge, ma abbiamo avuto un trattamento che non meritavamo ».
A chi si riferisce?
«Fino ad oggi ho taciuto sul conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale, per rispetto alla Corte costituzionale. Ma adesso, voglio parlare chiaramente: la scelta del presidente della Repubblica di sollevare il conflitto di attribuzioni è stata dannosa per l’immagine delle istituzioni italiane nel suo complesso. Lo sa cosa dicono di me in Guatemela? Ecco il magistrato che è stato coinvolto in un conflitto di attribuzioni con il capo dello Stato. Ma io non voglio essere visto come un pm sovversivo. Io e i miei colleghi della Procura di Palermo vogliamo essere ricordati come quelli che hanno tenuto la schiena dritta per accertare la verità sulla stagione delle stragi».
Ma anche in questi ultimi mesi il presidente della Repubblica non ha mai smesso di sostenere il lavoro della magistratura, per la ricerca della verità .
«Quando lessi su Repubblica Gustavo Zagrebelsky non volevo crederci. Nel suo editoriale si diceva sostanzialmente come la Procura di Palermo non avesse avuto scelta sulla base della normativa vigente e che il capo dello Stato aveva fatto una scelta sostanzialmente inopportuna perchè la Corte costituzionale non avrebbe potuto far altro che dargli ragione in barba ai principi del diritto. Non volevo crederci perchè pensavo che decisioni della Corte costituzionale non potessero essere condizionate dal clima che si avvertiva nel paese».
E adesso ritiene che la Consulta si sia lasciata influenzare da spinte esterne? Non se le sembra un’accusa pesante?
«E’ vero che la Corte costituzionale è un organo sui generis rispetto alla magistratura ordinaria, che non può non tenere conto degli aspetti politico- istituzionali presenti dietro ogni vicenda che affronta. Ma mi sembra che in questo caso tutto ciò sia avvenuto in maniera eccessiva. Ecco perchè dico che oggi le ragioni del diritto sono state mortificate».
La decisione della Consulta mette comunque un punto certo su una vicenda che ha visto confrontarsi l’avvocatura dello Stato e i vostri avvocati, tutti illustri giuristi. Non pensa che si possa ripartire da questa decisione per discutere in modo nuovo di questa vicenda?
«Io pensavo che decenni di evoluzione della giurisprudenza penale ordinaria e costituzionale fossero serviti ad acquisire una totale autonomia di giudizio nelle decisioni, che devono avvenire in base alle regole di diritto, e non in base alle possibili ripercussioni politiche. Devo dire che mi sbagliavo».
Ha una posizione molto netta.
«Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte costituzionale, aveva previsto tutto. E valutato bene anche le conseguenze che sarebbero derivate. C’era bisogno di dare totalmente ragione al capo dello Stato e del tutto torto alla Procura di Palermo ».
Dalle motivazioni della decisione potrebbero arrivare ulteriori spunti di riflessione. Potrebbe ricredersi su qualche valutazione?
«Leggerò le valutazioni della Corte col massimo dell’umilità , ma le norme sono davvero chiare. E la Procura di Palermo le ha rispettate tutte».
Perchè ha definito bizzarra la decisione della Consulta?
«Se avessimo fatto come suggerisce oggi la Corte, le intercettazioni del capo dello Stato sarebbero in piazza. Invece, la Procura di Palermo ha usato tutti gli strumenti possibili e immaginabili per preservare la intangibilità delle conversazioni del presidente. E non è uscita una riga di quei dialoghi. Mi sembra che la Corte non abbia altrettanto a cuore la segretezza di quei dialoghi: dice che ci saremmo dovuti rivolgere subito al gip. Ma il gip, sulla base della normativa vigente, avrebbe potuto opporsi alla distruzione e depositare le intercettazioni alle parti».
Per quanto ancora resterà in Guatemala?
«Per adesso proseguo il mio incarico per conto dell’Onu. In Italia, sono sicuro, inizieranno presto gli attacchi alla Procura di Palermo, proprio per questa decisione della Consulta ».
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica“)
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