LA LEZIONE EUROPEA DI DRAGHI UNO SCHIAFFO ALL’UE E A MELONI
“SERVE PIU’ EUROPA, NON MENO”
Mario Draghi è salito sul palco del Meeting di Rimini accolto da un lungo scroscio di applausi. Poi, con il suo consueto tono serafico, ha sputato fuoco contro l’attuale Unione europea e le scelte dei suoi leader, a partire dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
L’incipit è stato dritto e fulminante: «Per anni l’Unione europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata».
Poi ha snocciolato gli esempi a riprova dello sgretolarsi della leadership europea e ognuno è stato una pugnalata all’azione politica degli attuali vertici: «Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi americani» e all’aumento delle spese militari della Nato, «in forme e modi che probabilmente non riflettono l’interesse dell’Europa», inoltre l’Ue ha avuto «finora un ruolo abbastanza marginale nei negoziati per la pace in Ucraina, nonostante abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra.
È rimasta «spettatrice» quando «il massacro di Gaza si intensificava», ha detto, interrotto da un lungo applauso. La sintesi è stata altrettanto brutale: la dimensione economica da sola non assicura più alcun potere geopolitico.
Nel passato il modello politico di difesa collettiva della pace e il mercato unico europeo sono stati le grandi innovazioni dell’Ue ed è «insostenibile argomentare che staremmo meglio senza». Ma «quel mondo è finito e molte delle sue caratteristiche sono state cancellate». Che fare allora? La risposta di Draghi è univoca: l’organizzazione politica deve «cambiare» e «adattarsi alle nuove esigenze».
Con due dimensioni fondamentali: quella del mercato interno, di cui vanno «ridotte le barriere interne» in modo che la produttività del lavoro in Ue possa essere del 7 per cento più alta; quella tecnologica, ovvero quella dei semiconduttori e dei chip, da cui nessun paese può permettersi di essere escluso.
Il tono di Draghi è molto duro nei confronti del presente e in alcune considerazioni potrebbe sembrare che risuonino le posizioni degli euroscettici di Lega e Fratelli d’Italia. In realtà, pur evidenziando le stesse criticità, la soluzione dell’ex premier è opposta: serve più Europa, non meno, ma deve essere in grado di riformarsi.
«È insostenibile dire che staremmo meglio senza l’Ue» e la sfida ora è «discontinuità negli obiettivi, nei modi e nei tempi di lavoro», uscendo dalle macchinose liturgie europee e rimuovendo le barriere non necessarie, ritrovando unità d’azione. Un esempio: la presenza di cinque leader europei (tra cui anche Giorgia Meloni) alla Casa Bianca nel bilaterale per l’Ucraina come «manifestazione di unità che vale più di tante riunioni a Bruxelles»
Lo sprone di Draghi è rivolto alla politica e alla sua organizzazione ormai inadeguata al presente: il settore privato si
è adattato al nuovo, «il settore pubblico è rimasto indietro» e il cambiamento «va fatto ora che abbiamo ancora il potere di disegnare il nostro futuro», trasformando l’Ue da «comprimaria ad attore protagonista». Con uno slogan lanciato al pubblico di Rimini: «Trasformate il vostro scetticismo in azione».
L’intervento di Draghi deve essere risuonato forte e fastidioso come il trillo di una sveglia nelle orecchie dei vertici dell’Unione, ma è stato anche una chiara presa di distanza dalle posizioni antieuropeiste delle destre europee. Le criticità dell’Ue esistono e sono molte ma vanno risolte ricostruendo la casa comune, è la lettura pragmatica dell’ex premier, così da scongiurare il rischio di venire travolti da un mondo in cui rischia di prevalere la legge del più forte.
Ora l’attesa è per le reazioni della politica, di cui ogni anno il Meeting di Rimini è termometro in vista dell’ultimo quadrimestre dell’anno. I centristi di Italia viva e gli europeisti di Forza Italia hanno subito accolto le sollecitazioni di Draghi, che invece rischiano di essere indigeste per la premier Giorgia Meloni, a suo agio nell’ottica di un’Ue subalterna agli Stati Uniti di Donald Trump, e per il vicepremier Matteo Salvini che preferisce il sovranismo all’integrazione europea.
(da La Stampa)
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