L’IPOCRISIA DI CHI PROMETTE DI TAGLIARE GLI STIPENDI DEI POLITICI
IL PAUPERISMO IN CASA ALTRUI… LA POLITICA COSI’ TORNA AD ESSERE AFFARE ESCLUSIVO DI CHI HA RISORSE PROPRIE O DI CHI E’ RICATTABILE
Il vocabolo “pauperismo” ha due significati: in economia descrive l’impoverimento di quote di popolazione o di aree di un paese (è sinonimo di “depauperamento”); per gli storici identifica i movimenti spirituali e, in parte, sociali che nel Medio Evo e poi nel ventesimo secolo fanno della povertà una scelta di vita da contrapporre agli stili immorali di chi conta su enormi fortune, come gli ecclesiastici cattolici nel Duecento e nel Trecento e, più recentemente, i grandi capitalisti dell’Occidente.
In questa seconda accezione, si sottintende generalmente che il povero non ha vizi mentre il ricco ne è una sentina.
Da qualche tempo in Italia il pauperismo è tornato di moda in una versione creativa e ridotta: molti cittadini si scoprono neo-pauperisti non perchè improntano la propria condotta secondo le regole di San Francesco d’Assisi o San Domenico di Guzman, ma in quanto pretendono che chi amministra la cosa pubblica non si sostenga con i proventi del proprio incarico.
Secondo questi elettori, i politici e anche i funzionari dello Stato “prendono tanti soldi per non fare nulla”, le istituzioni “costano troppo”, le tasse servono solo a “ingrassare ministri e parlamentari”.
Il pauperismo da praticare in casa altrui viene giustificato dai frequenti scandali con relative ruberie e dalla diffusa sensazione che la qualità dei servizi stia progressivamente scadendo.
A corroborare le critiche populiste intervengono i sondaggi che confermano la scarsissima popolarità della quale godono sia gli eletti a ogni livello, sia quanti al loro mondo fanno riferimento (i giornalisti, i sindacalisti, i professionisti dell’amministrazione pubblica eccetera).
La politica e quel che la circonda sono ormai considerati attività senza pregio, che attirano falliti e cialtroni, parolai inconcludenti che per di più pretendono di essere ben pagati.
Non è nemmeno raro che siano gli stessi leader politici, dimostrando scarsa intelligenza e preveggenza, a bollare in questi termini gli avversari.
Il fenomeno ha conseguenze evidenti. Il clima di sfiducia nei confronti della politica trattiene i giovani migliori dall’impegno nella società e nei partiti: in assenza di riconoscimento sociale, perchè dovrebbero entrare in contatto con le problematiche dei loro comuni e ambire ad avere, un giorno, ruoli di governo?
Nemmeno i più testardi tra loro sanno dove e come imparare qualcosa, visto che i partiti hanno chiuso le scuole quadri.
Nel deserto, quando viene il tempo di compilare le liste elettorali ci si affida alla salvifica quanto fantomatica “società civile”.
In alcuni casi, come con il Movimento 5 Stelle, la selezione del personale politico privilegia addirittura chi non ha alcuna esperienza rispetto a chi ha fatto qualcosa (che è il solo modo noto per compiere errori), con conseguenze devastanti come quelli che amareggiano la quotidianità dei cittadini romani.
C’è da chiedersi se ci sia ancora qualcuno di qualità disposto a assumersi responsabilità pubbliche quando i neo-pauperisti teorizzano la minima retribuzione per chi mette a disposizione il proprio tempo e la propria esperienza per un incarico elettivo.
L’ipocrisia del taglio degli stipendi degli eletti va denunciata.
Il rischio è che così la politica torni ad essere affare esclusivo di chi ha risorse proprie e fini eterogenei rispetto a quelli del bene della comunità , come fu con Silvio Berlusconi, che non aveva davvero bisogno di ritirare lo stipendio da parlamentare.
L’indipendenza e l’autonomia economiche garantite dalla retribuzione del proprio lavoro quotidiano sono invece presupposti della incorruttibilità .
Chi è nel bisogno corre il pericolo di essere ricattabile, di fare favori a pagamento, di svendere i propri ideali pur di tirare la fine del mese.
Dev’essere di monito il caso dei deputati e dei senatori M5S che s’inventano trucchi contabili pur di non versare una parte rilevante del proprio stipendio come ordina il partito.
È umiliante vedere decine di eletti costretti a fare bonifici fittizi e poi mostrare online le ricevute false: senza soldi in tasca, non avrebbero di che pagare le bollette, rinnovare le polizze, assicurare gli alimenti alle ex mogli.
Hanno detto bugie e agito con scarsa moralità , eppure vanno capiti. Analogamente, si deve diffidare di quanti promettano di autotagliarsi gli stipendi da eletti e di tagliare quelli dei colleghi.
A loro, parafrasando l’abusato “No Taxation without Representation”, si dovrebbe opporre un “No Representation without Compensation”.
(da “Huffingtonpost”)
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