RITRATTO DI OSAMA ALMASRI, IL TORTURATORE LIBICO INCARCERATO E POI LIBERATO DALL’ITALIA, RAS DEI LAGER PER MIGRANTI
CRESCIUTO SOTTO L’ALA DI KARA, CAPO DELLA MILIZIA CHE CONTROLLA L’AEROPORTO E LE PRIGIONI DI TRIPOLI, HA COMBATTUTO CONTRO GHEDDAFI, ISIS E HAFTAR… ALL’ITALIA SERVE PER IL CONTROLLO DEI FLUSSI DEI MIGRANTI: SONO LE MILIZIE A OFFRIRSI (NON GRATIS) COME GARANTI DELLA SICUREZZA
Ci sono due momenti della storia libica post-Gheddafi che aiutano a inquadrare il personaggio Osama Almasri Najeem, il suo peso in Libia, e anche per l’Italia. La prima è la battaglia di Sirte nel 2016, quando le milizie fedeli al Governo di unità nazionale, che controllava allora come oggi la parte occidentale del Paese, espugnano la capitale dell’Isis sul Mediterraneo, a 500 chilometri dalle coste italiane.
Tra quelle milizie, sorte nella guerra civile del 2011 contro il Colonnello, c’è anche la “Rada”, cioè “risposta”, nel senso di Forza di risposta rapida.
È una delle più potenti in Tripolitania, controlla l’unico aeroporto funzionante nella capitale, Mitiga. Ed è guidato da uno dei signori della guerra più spietati, Abdel Raouf Kara, padrone del quartiere Souk al-Jouma e protagonista dell’insurrezione contro il dittatore.
Lo stesso Kara che ieri è andato ad accogliere al suo ritorno Almasri, suo fedelissimo, tra il giubilo della folla.
È nell’estate del 2016 che si forgia il rapporto privilegiato tra Roma e la Rada, oltre che con altre milizie che controllano le coste da Misurata, a Est di Tripoli, fino a Zawija, a Ovest.
L’esercito italiano costruisce un ospedale militare nella stessa Misurata e si ritaglia uno spazio strategico in Tripolitania, mentre la Cirenaica scivola nelle mani di egiziani, emiratini e russi. La spaccatura diventa guerra aperta nel 2019.
Secondo episodio decisivo.
All’inizio di aprile il generale Khalifa Haftar, con mercenari sudanesi, droni dagli Emirati e consiglieri russi, lancia l’assalto a Tripoli, arriva alla periferia sud-orientale. Le milizie, in testa la Rada, mobilitano tutte le loro forze, ricevono blindati turchi, resistono. E anche questa volta l’Italia sta con il Governo di unità nazionale, allora guidato da Fayez al-Serraj.
La Libia è devastata, con due esecutivi, tre parlamenti, cento gruppi armati. La Cirenaica è controllata dalle milizie, una per ogni città costiera. I problemi di sicurezza sono enormi.
Su due fronti. Il controllo delle cellule dell’Isis, e delle centinaia di terroristi catturati a Sirte.
E i flussi dei migranti.
Sono le milizie a offrirsi come garanti della sicurezza. Ma non gratis. È il tempo degli accordi inconfessabili. Come quello con Abd al-Rahman Milad, da tutti conosciuto come Bidja, cugino di Mohammed Koshalaf, capo della brigata di Al-Nasr, ai vertici della cosiddetta Guardia costiera libica.
L’altro nodo strategico, ma più per il controllo dei movimenti dei jihadisti, è l’aeroporto di Mitiga.
E qui, sotto l’ala protettrice di Kara, è cresciuto Almasri. Almasri è il nome di battaglia, vale a dire “l’egiziano”, su quello vero c’è confusione, anche se sarebbe Osama al-Najeem. In ogni caso Almasri si è fatto le ossa prima contro i gheddafiani, poi l’Isis, infine i mercenari di Haftar. E ora Kara gli ha affidato il controllo delle prigioni.
In particolare, del famigerato centro di detenzione di Mitiga, a ridosso dello scalo, oltre a quello di Ain Zara. Dentro ci sono jihadisti dell’Isis ma anche oppositori politici, migranti, donne e minori.
Con il nuovo premier del Governo di unità nazionale, Abdul Hamid Dbeibah, Almasri ottiene un’investitura ufficiale, come capo della polizia investigativa. Ma in realtà, e l’abbraccio di Kara all’aeroporto lo dimostra, resta il luogotenente del suo signore della guerra, e i metodi non sono cambiati.
Un rapporto del 2018 redatto dallo Human Rights Office dell’Onu include la prigione di Mitiga tra i “lager”, con «2600 uomini, donne e bambini» ammassati in spazi ristretti e senza accesso ad avvocati o tribunali.
In questi centri, è la denuncia, «torture e altre violazioni dei diritti umani sono endemiche». Da qui nasce l’indagine della Corte penale internazionale, con accuse di stupri di guerra, violenze sessuali, un omicidio. I giudici specificano che «lui personalmente», o con l’aiuto dei suoi uomini, ha commesso gli abusi, in particolare su detenuti accusati di crimini religiosi, per essere atei o cristiani, o perché omosessuali.
Accuse che possono essere estese a gran parte degli uomini della milizia guidata da Kara, come gli stupri sistematici su donne migranti.
Kara è però anche la porta di accesso a Tripoli, con l’aeroporto nelle sue mani, la gestione dell’hotel Radisson, tappa obbligata per diplomatici, uomini d’affari, servizi occidentali.
Ha a disposizione quattromila combattenti, ben equipaggiati. Ed è uno degli azionisti di maggioranza del Governo di unità nazionale.
(da La Stampa)
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