SE NELLE MARCHE IL MELONIANO ACQUAROLI PRENDE UNA SCOPPOLA, SI RIMETTE SUL TAVOLO TUTTO, ANCHE IL VENETO
MASSIMO FRANCO: “LA SITUAZIONE RIMANE IN BILICO. LA PREOCCUPAZIONE È CHE LE ELEZIONI PRECEDENTI A QUELLA IN VENETO ABBIANO UN ESITO NEGATIVO PER LA COALIZIONE… “LA COALIZIONE CONTINUA A ESSERE FRENATA DALLA COMPETIZIONE INTERNA, CHE ACCENTUA L’ANTICA DIFFICOLTÀ DI ESPRIMERE UNA CLASSE DIRIGENTE”
Saranno elezioni regionali a tappe, spalmate su due mesi. Sia per evitare un impatto troppo traumatico in caso di sconfitta multipla in un solo giorno, sia per calibrare candidature e rapporti di forza in base ai risultati.
È un ragionamento che vale per la maggioranza di governo come per le opposizioni, che stavolta tendono a presentarsi più unite grazie a una spregiudicata distribuzione delle aspirazioni tra Pd e 5 Stelle. A ammettere un possibile «effetto domino» a partire dal voto del 28 e 29 settembre nelle Marche è la Lega di Matteo Salvini.
«L’esito avrà un valore anche per le altre regioni dove sono in programma le elezioni», ha spiegato il suo alter ego Andrea Crippa. La sottolineatura, in apparenza inutile, è un segnale agli alleati. Il candidato della destra nelle Marche è Francesco Acquaroli, di FdI. E una sua affermazione faciliterebbe la soluzione del rebus in Veneto, dove la Lega insiste per avere un suo esponente al posto di Luca Zaia: anche se niente è ancora deciso.
La riunione dei leader di governo in programma in settimana dovrebbe dire una parola definitiva. In realtà, è tutto bloccato da mesi. Il partito di Giorgia Meloni ha rinunciato a rivendicare la carica di governatore per non irritare un alleato già nervoso. A FdI e a FI basta avere sventato l’ipotesi di una lista personale del presidente uscente Zaia. Ma la situazione rimane in bilico. Pesano le diffidenze reciproche, e non solo.
La preoccupazione è che le elezioni precedenti a quella in Veneto di fine novembre abbiano un esito negativo per la coalizione; e dunque possano acuire le tensioni e ritardare la definizione delle candidature.
Significherebbe rivelare un affanno paradossale, per una maggioranza di certo più coesa e omogenea rispetto alle sinistre più il M5S. Eppure, la coalizione continua a essere frenata dalla competizione interna, che accentua l’antica difficoltà di esprimere una classe dirigente in grado di prevalere almeno a livello locale.
La parola d’ordine non detta del partito della premier è discontinuità. Significa riequilibrare i rapporti di forza negli enti locali dopo la vittoria alle Politiche del 2022.
Quella leghista è opposta. Salvini sottolinea «la giusta continuità» della coalizione in Calabria e Marche per rivendicarla nel Veneto. «Abbiamo le idee chiare, votano 7 regioni. Quindi c’è spazio per tutti i partiti del centrodestra». In realtà, è uno spazio che si rivelerà largo o angusto a seconda di come andranno le prime Regionali.
Massimo Franco
per il “Corriere della Sera”
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