TURNO D’ACQUA, SICCITA’ E LA GRANDE SETE: AGRIGENTO, LA CITTA’ CHE SPRECA TUTTE LE SUE FONTI
LA CRISI IDRICA E LE PERSONE IN FILA ALLA FONTANA CON LE TANICHE DA RIEMPIRE, MENTRE ALTRI CONDOTTE SONO SIGILLATE O DISPERDONO L’ACQUA NEI CAMPI
Fonte Picarella disperde la sua acqua in un campo formando un ruscelletto, salvo quando viene un’autobotte privata a raccogliere il suo prezioso zampillare per venderlo a prezzi senza controllo. Fonte Amara, che una volta riforniva i vigili del fuoco, è ufficialmente chiusa per motivi non chiari ma un grosso tubo nero che corre lungo la parete della collina su cui sorgono orribili condomini racconta che qualcuno, per fini privati, quell’acqua la preleva ancora. Così, Fontana Bonamorone, sulla provinciale 4, ribattezzata panoramica Valle dei Templi per il suo approdo, resta l’unica ufficialmente a disposizione dei cittadini di Agrigento per fare scorte d’acqua in una crisi idrica virtuale che va avanti da mesi, se non da anni, in gradazione diversa.
In coda al fontanone per le scorte
Virtuale, sì, perché queste non sono zone agricole dove la siccità per mancanza di pioggia è un dato non aggirabile. Ad Agrigento e provincia l’acqua c’è, ci sarebbe, ma in una incredibile serie di sprechi (oltre il 60 percento delle forniture va perso, più della già alta media regionale), abusi, incapacità e forse non volontà di risolvere il problema sul quale in tanti si arricchiscono, la gente è costretta a mettersi in fila alla fontana con taniche da cinque, dieci, venti litri, bottiglie ammassate in cassette per la frutta, vecchi contenitori di detersivi per fare scorte: «È la seconda volta che vengo qui oggi — spiega Francesco Giardino, 49 anni e un figlio di tre in braccio — il turno di distribuzione nella strada dove abito (zona via Cicerone, afferente al serbatoio Forche, ndr) è previsto domani, ma so già che verrà rimandato come ormai avviene sempre e allora mi premunisco. Ormai passano quindici giorni tra uno e l’altro». Il che significa venire alle 12 sotto un sole cocente a riempire tutto il riempibile dopo essersi messo in fila con altri nella stessa situazione. Il via vai alla fontana è ininterrotto, c’è chi viene all’alba chi di notte. Si formano capannelli, si chiacchiera, si raccontano storie su questa carenza d’acqua che non esaspera neanche più, tanta è la rassegnazione che ha seminato: «Agrigento non ha acqua corrente — dice ancora Francesco — è sempre stato così e anche mio padre nei momenti più difficili veniva qui a fare scorte. Gli ultimi due turni di riempimento delle vasche del palazzo hanno fornito in totale quattro metri cubi d’acqua, nulla. Il prossimo, quando sarà, andrà forse meglio perché su dodici famiglie, otto sono al mare e ci sarà meno richiesta».
Sperperi e abusi
I grossi serbatoi sui tetti sono più numerosi delle antenne tv. Di plastica, di metallo, grandi o più piccoli offrono un servizio imprescindibile ma poche garanzie. Esposti al sole, vecchi di anni, colmi di acqua (quando c’è) stagnante, avrebbero bisogno di manutenzioni, pulizie e verifiche costanti, che — stante l’emergenza continua — sono impossibili. E allora, scorte a parte, si cercano soluzioni per limitare i consumi e conservare l’acqua anche in casa per riutilizzarla finché è possibile. Secchi, bacinelle, vasche da bagno. E poi bottiglie di plastica a centinaia per bere e cucinare, altro che Green Deal e Agenda 2030, in una città che, a completare il quadro di un fallimento politico-amministrativo, trabocca di rifiuti, sporcizia, ruderi abbandonati, opere incomplete. Il lavoro da fare per una accoglienza decente a chi verrà nella città designata come Capitale della Cultura 2025 è tantissimo e forse impossibile. Basterebbe fare due chiacchiere con ristoratori e albergatori per capire che prendersela con il Nytimes per la presunta cattiva pubblicità offerta in un recente reportage non fa che spostare l’attenzione dai problemi per non risolverli. I bar chiudono di tanto in tanto un paio di giorni quando l’acqua non arriva. In alcuni B&B i turisti devono lavarsi con le bottiglie, le disdette fioccano (il 50% secondo alcune stime) anche se nessun ente (Federalberghi in primis) è disposto ad ammetterlo. E d’altronde la vicina Sciacca ha diffuso un messaggio proprio per i turisti invitandoli a fare base qui, anziché ad Agrigento, per non avere problemi.
Inchieste e fondi svaniti
Ma come è possibile che il capoluogo che esprime anche l’assessore regionale ai servizi di pubblica utilità, l’ex sindaco Giovanni Di Mauro (il primo cittadino Francesco Micciché era nella sua giunta), non abbia l’acqua e alcuni paesi satelliti sì? La città, come detto, non usa o usa male le proprie fonti. La produzione d’acqua dipende da una società della Regione, Siciliacque, poi c’è il consorzio Aica che è incaricato della distribuzione tra i 43 comuni dell’agrigentino. Solo 35 di questi però vi hanno aderito, molti sono morosi, altri si muovono in maniera indipendente, venendo meno all’obbligo di ridistribuire tra tutti le forniture in eccesso. Aica, che ha già morosità per milioni ma continua ad assumere personale, è sorta due anni fa sulle ceneri di Grigenti Acque, raggiunta nel 2021 da una interdittiva antimafia con 20 milioni di euro sequestrati. La svolta poteva arrivare nel 2023, con i 49 milioni di fondi europei destinati al rifacimento della rete idrica ma andati incredibilmente persi dopo due anni di inedia. Ora dovrebbero arrivare quelli del Pnrr, quelli della Regione e della Protezione civile, ma sul corretto utilizzo è lecito avere qualche dubbio. Finora sono stati utilizzati per comprare autobotti che però restano vuote. E questo dopo che il sindaco aveva autorizzato i trasporatori non autorizzati, non è un gioco di parole, a potenziare la flotta di mezzi comunali. Quindi privati senza certificazione e controlli vendono acqua dei propri pozzi a prezzi triplicati.
Soluzioni rimandate
Gli esempi potrebbero essere tanti. Per un pozzo che viene riattivato, uno resta chiuso per un banale problema alla pompa di sollevamento. Nel vademecum regionale diffuso già a marzo sono elencati 24 punti per limitare gli sprechi. Da quelli di comune buon senso, come radersi e lavarsi i denti senza far scorrere l’acqua, ad altri più fantasiosi come dotare i tetti delle case di «coperture vegetali» o dotarsi di «strumenti per il recupero delle acque grigie». La stessa riattivazione del dissalatore di Porto Empedocle, sul quale punta forte il governatore Renato Schifani, lascia perplessi tanti, anche il sindaco della cittadina, Calogero Martello, sia per i tempi e i costi di rimessa in funzione (abbandonato da oltre 10 anni oggi è assai deteriorato) sia per la sua reale efficacia, dato che le cause che portarono alla sua chiusa dopo soli 5 anni di funzionamento (e 11 milioni di investimento), non sono stati né saranno risolti: le correnti marine lo riempiono di sabbia. Più efficaci e immediate negli effetti sarebbe forse una nave dissalatrice da agganciare alle condutture già esistenti.
(da agenzie)
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