“I MURI DENTRO DI NOIâ€
TRENT’ANNI DOPO LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO, INTERVISTA AL MUSICISTA MASSIMO ZAMBONI: “IL NUOVO PENSIERO UNICO E’ L’INVASIONE DEI MIGRANTI”
La prima volta che lo vide rimase perplesso: “E questo sarebbe il Muro di Berlino? La parete che regge tutta la tensione della Guerra Fredda? Credevo mi sarei trovato di fronte i bastioni di Troia, di Micene, di Babilonia. Invece, avevo davanti un prefabbricato di cemento alto un paio di metri. Duro al tatto, scabro, silenzioso”.
Era il 1981 e Massimo Zamboni — musicista, scrittore, autore di Nessuna voce dentro (Einaudi), memoir della sua giovinezza berlinese — di lì a poco avrebbe fondato, insieme a Giovanni Lindo Ferretti, proprio a Berlino, il gruppo punk più formidabile della scena italiana, i CCCP: “Era impossibile immaginare allora che quel muro sarebbe crollato nel giro di pochi anni. Il mondo era spezzato in due. Da una parte c’era la metà governata da Reagan, dall’altra quella di Brèžnev. Niente poteva unire quel che il muro aveva diviso. Eppure, se si ascolta la musica dei gruppi della Germania Orientale — oggi che lo si può fare — ci si accorge che era identica a quella che si ascoltava nei locali underground della parte ovest di Berlino: sperimentale, dura, severa, tetra, consapevole. La presunzione del muro era quella di segnare il confine invalicabile tra due mondi nemici. In realtà , il punk quel limite l’aveva attraversato, senza che nessuna sentinella potesse fermarlo, sparandogli addosso. Il presagio del crollo era già tutto lì, sebbene ancora impossibile da decifrare”.
Era un’alchimia irripetibile quella di Berlino Ovest, dove, prima dei punkettoni, avevano vissuto, suonato, composto e, in certi casi, toccato il vertice della propria creatività artisti come David Bowie, Lou Reed, Iggy Pop: “In un regime claustrofobico come quello, se hai qualcosa da esprimere, sei costretto a esprimerlo con violenza, senza alcuna mediazione. Quella città era un moncone di occidente immerso nel territorio della Repubblica Democratica Tedesca, del tutto atrofizzata economicamente. Ci vivevano solo i turchi, i vecchi, i ragazzi che volevano essere esentati dal servizio militare, giovani strani che venivano da tutta Europa”.
Lei perchè ci andò?
Lessi un articolo di Frigidaire di un certo Franz Tunda. Raccontava che, da un po’ di tempo, la cosiddetta ‘vetrina del mondo libero’ aveva i vetri sporchi. C’erano casini continui. Occupazioni di case, sgomberi, ri-occupazioni. Prosperava la sottocultura alternativa: circoli, librerie, teatrini, gruppi di ricerca. Era uno scenario da sogno per me che mi sentivo asfissiato da Reggio Emilia. Lasciai tutto e andai. Volevo guardare al di là della torretta, dall’altra parte del muro, dentro quel mondo che l’Occidente voleva negare”
Cosa vide?
La prima volta che andai a Berlino Est ero con Giovanni Lindo Ferretti. Camminammo lungo la via principale, che oggi è piena di negozi e alberghi, mentre allora era tappezzata dalle gigantografie dei dirigenti del Partito comunista. La musica classica era sparata a tutto volume, come una marcia trionfale. Fummo travolti da un’idea politica del mondo. Che ci attraeva e, insieme, ci respingeva.
Cosa vi attraeva?
L’attrazione, a volte, nasce dal rifiuto di qualcosa di sè. Noi venivamo dall’Italia dei primi anni ottanta. Un’Italia nella quale l’eroina viaggiava a velocità vertiginosa, le ideologie si erano frantumate, dove non si poteva ragionare di politica se non avevi una pistola in mano. Un’Italia dove imperversava il refrain della superiorità morale dell’occidente, un tappeto sotto il quale si nascondeva tutto ciò che non funzionava. Era un ritornello insopportabile. E poter andare dall’altra parte, osservando il nemico con i propri occhi, fu un grande insegnamento.
Quasi le dispiacque quando, trent’anni fa, crollò il muro?
No, non mi dispiacque affatto. L’enorme compressione dei diritti che subirono le persone della Germania dell’Est, con il suo paranoico sistema di controllo, non poteva che generare quello scoppio. La storia è un motore implacabile. Ha il suo ritmo. Compressione. Oppressione. Espansione. Liberazione. I suoi tempi sono stati rispettati con estrema precisione anche nel caso della caduta del muro di Berlino.
Cosa non la convince, allora?
La caduta del muro è stato un avvenimento sacrosanto e benedetto. L’enfasi con cui è stata presentata, però, è sospetta. Non si può celebrare il valore della libertà degli uomini un giorno, e dimenticarsene immediatamente il giorno successivo. Sì, il muro è crollato, ma nel mondo tanti altri muri sono stati eretti. Il grande nemico comunista è franato. E l’occidente è subito corso a sostituirlo. Oggi non abbiamo più paura dell’Impero sovietico. Il nuovo incubo che ci viene servito è l’invasione dei migranti che arrivano a depredarci dalle coste. La grande paura che regna nel nostro tempo è un nuovo muro — un muro mentale —, eretto dentro ciascuno di noi. Come tutti i muri, è oppressivo. Perchè spinge nell’angolo del pensiero unico.
Ma il crollo del muro non ha reso il mondo più libero?
Per certi aspetti sì, la liberazione ha dato più ossigeno. Ma alla liberazione è seguita una nuova compressione. Nel nord est della Germania, per esempio, la destra xenofoba avanza pericolosamente. Ora: io detesto pensare che la storia sia ciclica. Preferisco credere che abbia così poca fantasia che tenda a imitare se stessa. In ogni caso, sembra di essere alla vigilia di una nuova forma di oppressione.
È la sensazione che ebbe allora?
Allora mi sembrò che, con il muro, crollasse la diga che aveva impedito a due mondi dissolti di franare l’uno sull’altro. Da una parte, c’era il disfacimento del mondo comunista. Dall’altra, c’era il frantumarsi del mondo occidentale, altrettanto chiaro, ma completamente rimosso dalla retorica trionfalista della superiorità occidentale. Dopo la caduta del muro, queste due frane furono libere di mescolarsi. E infatti si mescolarono.
Perchè dice che il mondo occidentale era in crisi?
Fino alla fine degli anni settanta, in Europa e in America, la politica immaginava ancora il futuro come una possibilità . Poi, le bombe, la droga, la violenza di quegli anni chiusero completamente l’orizzonte, precipitandoci nel burrone in cui siamo ancora oggi: l’impotenza.
Nega che l’occidente sia uscito vittorioso dallo scontro con il comunismo?
Contesto la lettura appagante che i vincitori hanno dato del Novecento, seppellendo sotto la superficie della loro “vittoria” l’insieme di speranze, sacrifici e lotte che hanno costituito l’essenza della parola socialismo, e il cui significato non si esaurisce certo nella storia dell’Europa dell’Est.
Ha qualche nostalgia?
No, non credo che sia esistito, nè che possa esistere, il paradiso in terra. Quello in cui sono nato è l’unico mondo in cui io potrei vivere. In altri contesti, probabilmente, non sarei arrivato vivo all’età adulta. Siano benedette perciò l’Europa e l’Italia. Sia glorificata l’Emilia. Sia adorata la provincia di Reggio, nella quale vivo.
Però?
Però ritengo insopportabile la convinzione di noi occidentali di vivere nel migliore dei mondi possibili. E detesto il perbenismo con il quale giudichiamo, guardando dall’alto verso il basso, qualsiasi altra civiltà del mondo. Il problema è che la caduta del muro di Berlino ha accentuato questa pulsione, dando ancora più arroganza agli arroganti.
Cosa le piaceva del muro?
Il suo linguaggio franco e diretto. Non proclamava una finta libertà , nè passaggi facili, non ti faceva credere che il mondo potesse essere tuo. Era uno strumento politico. Affermava: “Di qui non si passa”. Era un imperativo sgradevole, ottuso, spietato, terribile, persino criminale. Però diceva la verità . Nelle nostre città , invece, le parole proclamano un cosa, la realtà ne afferma tante altre.
Come viveste il crollo del muro nei CCCP?
Anche noi eravamo un piccolo stato socialista, e perciò franammo insieme a tutti gli altri stati fratelli. La caduta del muro ci spinse a dichiarare che una storia era finita.
Poi però ricominciò, con i CSI.
Sì, ma era un’altra storia.
Invece, la sua storia con Lindo Ferretti?
Iniziò a Berlino, una sera d’estate del 1981 e si concluse alle fine del 1999, sempre a Berlino, dove eravamo andati a registrare il primo album di un nuovo piano quinquennale.
Perchè non ci riusciste?
Perchè i conflitti tra noi esplosero e non c’era più modo di governarli.
A Berlino iniziaste, a Berlino finiste.
Tutto quello che Berlino mi ha dato, con estrema generosità , nel 1981, Berlino me lo ha tolto, con altrettanta ferocia, diciotto anni dopo. Ma ho il conto in pari, con lei. E mi va bene così.
(da “Huffingtonpost”)
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