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IL SALVAGENTE: MAGGIORANZA GRAZIATA 5.098 VOLTE DALLE ASSENZE DELLA OPPOSIZIONE IN PARLAMENTO

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

DA ALITALIA ALLA MANOVRA, LE LEGGI APPROVATE SENZA IL PLENUM…LA RICERCA DI OPENPOLIS SULLA ATTUALE LEGISLATURA: INTERESSATA UNA LEGGE SU TRE.. TROPPE LEGGI SONO PASSATE PERCHE’ LA MINORANZA ERA LATITANTE

Facile farsi eleggere in Parlamento, difficile andarci tutte le mattine.
Se piove e se c’è il sole, se è estate o inverno, se si è felici e anche depressi.
Dopo l’elezione c’è il periodo di buio, una cornice down che annienta le forze soprattutto in chi dal voto è stato sconfitto e produce la meraviglia di una maggioranza che governa “grazie” all’opposizione, poggia la propria fiducia sulla stanchezza e in fin dei conti sulla sfiducia altrui.
Per 5.098 volte la maggioranza ha salvato i suoi commi e i suoi articoli in ragione delle defezioni dei propri competitori.
Il 35 per cento del totale dei provvedimenti approvati in questa legislatura scaturisce da questa funzione al contrario.
Dal 2008 una legge su tre è giunta sulla Gazzetta Ufficiale grazie alle assenze di chi (a parole) si era impegnato ad opporsi alla sua promulgazione.
Le statistiche sono guidate unicamente dai numeri e questi numeri, che Openpolis, l’associazione che monitora i comportamenti funzionali e puramente meccanici della classe politica, confermano e in qualche modo aiutano a spiegare il dato assoluto: l’opposizione troppo spesso, più del prevedibile verrebbe da dire, ha salvato il governo con le proprie assenze.
Certo, sviluppati sul versante opposto, gli stessi numeri porterebbero a dire che la maggioranza, fortissima, è risultata fragilissima nel voto parlamentare.
Ma questa debolezza, qui il punto, non ha determinato le conseguenze attese.
E c’è un perchè che i ricercatori (su www. openpolis. it ogni ulteriore ragguaglio statistico) ritrovano nel fatto che l’attività  parlamentare «si riduce ad essere una sorta di incombenza ben remunerata, da gestire come si può tra le altre».
La crisi della politica risiede appunto nella scarsa passione che i suoi protagonisti al più alto livello manifestano.
Impegno che viene sottovalutato o assommato ad altri.
Pesa e tanto l’abitudine, oramai consolidata a dispetto di ogni proclama e dichiarazione, ai doppi e tripli incarichi che segnano il cursus honorum di una parte cospicua degli eletti.
Sono ventidue i parlamentari che fanno anche i ministri (sottraendo così ogni presenza alle sedute d’aula), e trentuno che sono sottosegretari, e due che vestono anche la fascia tricolore di sindaci e dodici che si sono assicurati anche la poltrona di presidente di Provincia, undici quella di consigliere provinciale e quattro che sono anche assessori comunali.
La doppia poltrona fino a qualche anno fa era vietatissima, almeno nelle fila del centrosinistra.
Il tempo passa e le buone tradizioni si dimenticano.
Con gli anni la deregulation e la fuga in massa dalle proprie responsabilità .
Chi fa il parlamentare dovrebbe fare il parlamentare. Invece no.
Più spesso fa i propri affari in solitudine.
Sono in 134 a svolgere con regolarità  la professione di avvocato (e già  questi numeri producono sconforto e in parte spiegano l’indole ai continui microassalti ai codici). Altri 116 parlamentari erano imprenditori e continuano ad esserlo.
A Roma si va quando si può, se la fabbrica lo permette.
I danni sono cospicui.
E se il segretario del Pd Pierluigi Bersani volesse scorrere la lista dei colleghi che hanno mancato al proprio dovere non ritroverebbe – per giusta causa – solo il proprio nome in cima, ma quello di chi altro non avrebbe da fare, in teoria, che presenziare al voto.
Nomi di prima fascia (D’Alema, Fioroni, Franceschini, Livia Turco, Veltroni), raccolti intorno a una lunga lista di peones che hanno pochi impegni e però incredibilmente hanno performances mediocri.
Senza questa stanchezza così acuta la Finanziaria del 2009, approvata con 99 voti di scarto, sarebbe stata bocciata sotto i colpi dei 100 deputati dell’opposizione invece assenti.
E la legge che consegnò l’Alitalia alla cordata dei “patrioti” ce la fece per 23 voti di scarto (ventiquattro gli assenti).
Non brilla neanche il partito di Di Pietro e persino i radicali (spicca purtroppo l’andamento lento di Emma Bonino) hanno qualcosa da farsi perdonare.
Brunetta deve ringraziare il centrosinistra se la sua riforma è potuta divenire legge.
E chi aveva soldi all’estero li ha scudati perchè qualcuno di troppo nell’opposizione ha girato i tacchi e fischiettando è salito in auto ed è corso via da Roma.

Antonello Caporale
(da “La Repubblica“)

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AL CONGRESSO DI BRESCIA DELLA LEGA VINCE MARONI E SALE IL VENTO ANTI-PREMIER

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

ESCONO SCONFITTI I BOSSIANI DEL CERCHIO MAGICO: PREVALE FABIO ROLFI, SCONFITTO MATTIA CAPITANIO, SPONSORIZZATO DA RENZO BOSSI…E DOMENICA BATTAGLIA FINALE AL CONGRESSO DI VARESE

E due. Dopo la Val Camonica, i leghisti con il maldipancia si prendono anche Brescia. Maroniani, certo: come il nuovo segretario eletto ieri dal congresso provinciale con 257 voti contro i 174 raccattati dallo schieramento avverso (e nel direttivo finisce 13 a 6).
Il vincitore è Fabio Rolfi, 34 anni, vicesindaco a Brescia. Lo sconfitto è un suo coetaneo: Mattia Capitanio consigliere comunale a Torbole Casaglia.
Non è una vittoria da poco, per gli equilibri interni al movimento: in questa provincia il Carroccio conta 106 sezioni e oltre 1.500 militanti.
Capitanio era sponsorizzato dal Trota, il figlio del Capo, e dai cerchisti stretti attorno a Bossi.
Un’altra batosta, per loro, dopo quella ricevuta una decina di giorni fa in quella Val Camonica dove Renzo era stato candidato alle ultime elezioni regionali, sollevando pesanti malumori nella base.
Che al congresso ha criticato apertamente Monica Rizzi, assessore al Pirellone e grande sponsor di Bossi junior, e si è comportata di conseguenza: 110 a 41, ha vinto una altro maroniano, Enzo Antonini.
Ieri, all’auditorium Balestrieri di Brescia, il secondo round.
Decisamente più importante del primo, se non altro per il numero di iscritti. Congresso a porte chiuse, entrano solo i delegati: così hanno deciso perchè l’aria è decisamente frizzante ed è meglio non spiattellare davanti ai giornalisti i panni sporchi di famiglia.
Ma ci vuole poco per capire che aria tira, basta ascoltare quel che dice un notabile come l’ex senatore Francesco Tirelli, tifoso di Rolfi: «Nella Lega qualcuno sa che cosa vuole, qualcuno non lo sa e qualcuno fa finta di non saperlo; noi nei sondaggi stiamo calando perchè Berlusconi provoca un effetto traino al contrario: è ora di dire che se gli alleati sono funzionali al nostro disegno bene, altrimenti bisogna andare via».
Alle due del pomeriggio, quando il verdetto è chiaro, il nuovo segretario si concede al taccuino: «Il momento è difficile, nelle sezioni c’è grande disorientamento perchè stiamo al governo e i risultati non arrivano».
La targa di maroniano Rolfi non la rifiuta affatto, anche quando dice che «oggi ha vinto la Lega, siamo tutti bossiani».
Però a lui piace tanto l’Umberto del ’94, «sono entrato nella Lega quando Bossi ha fatto cadere il primo governo Berlusconi».
All’uomo del Viminale, un peana: «Grande ministro, ha portato consensi alla Lega e al governo, ha saputo far crescere una nuova classe di amministratori».
Però qualcosa accomuna, in questo congresso: i pesanti attacchi a Napolitano, che «nega la Padania e non può essere il nostro presidente», è l’urlo di quasi tutti i delegati che intervengono.
Ma tra i vincitori questo è un modo per propiziare un ritorno al passato (torna prepotente l’espressione «indipendentismo»), che poi significa in buona sostanza farla finita con un ciclo governativo contrassegnato da rospi da ingoiare e da risultati vicino alla zero.
«Mi auguro – spiega il sindaco di Dello Ettore Monaco prima di infilare la scheda nell’urna – che adesso si passi dagli slogan ai fatti; nella Lega si parla troppo di potere e poco di filosofia federalista».
Domenica prossima tocca a Varese, anche la culla del Carroccio va a congresso.
E lì votano big come Bossi, Maroni, Reguzzoni, Giorgetti.
Un delegato di Brescia vorrebbe che anche lì «le cose fossero chiare», in nome di quell’«esercizio della democrazia» che sta galvanizzando una parte consistente del movimento, incurante – e forse sofferente – delle voci sulla pax di convenienza siglata tra maroniani e cerchisti.
Ma non è detto. Sulla carta ci sono tre candidati, uno è della Lega «di famiglia» gli altri due non sono maroniani puri, ed è per questo che tra i fedelissimi del ministro dell’Interno gira una voce: «Meglio appoggiare uno che non è proprio dei nostri, piuttosto che far prevalere gli altri».
Chissà , forse è anche vero che “Bobo” non vuole stravincere, per non tirare troppo la corda in un momento obiettivamente difficile per la Lega.
In ogni caso vale l’invito a evitare «fughe in avanti», come quella del sindaco di Macherio uscito allo scoperto troppo presto con una lettera pubblica ultra-critica nei confronti dei vertici del Carroccio.
«Non era ancora il momento – spiega un altro delegato maroniano – bisogna fare un passo alla volta».
Ma di pazienza a questa base ribollente ne è rimasta pochina.

Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)

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GLI INTERESSI DI FINMECCANICA IN BRASILE HANNO INCISO SUL CASO DELLA MANCATA ESTRADIZIONE DI BATTISTI?

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

“NON SI PUO’ BUTTARE TUTTO ALL’ARIA”: IL GOVERNO ITALIANO E’ STATO FRENATO NELLA LINEA DA SEGUIRE DALL’INTERESSE A NON PERDERE UNA COMMESSA DA 10 MILIARDI?…DALL’INCHIESTA DI NAPOLI EMERGE UNO SCAMBIO SCONCERTANTE

“Purchè sia un governo che governi”. Questa è la frase più ricorrente in questi giorni, nel palazzo di piazza Montegrappa, la sede di Finmeccanica a Roma.
Segno che Silvio Berlusconi non regge più il peso della politica estera, quella che più interessa al colosso industriale italiano, legato a doppio filo con gli affari internazionali, come per Eni o Fincantieri.
Per capire le frizioni tra i colossi dell’industria, e la politica estera, basta rileggere il “caso Battisti” alla luce delle intercettazioni dell’inchiesta su Valter Lavitola.
Per comprendere quanto siano delicati i rapporti tra la politica estera “del fare” — quella che punta ai miliardi — e le dichiarazioni della politica parlata, è sufficiente rileggere un’intercettazione del 7 giugno.
I pm napoletani intercettano l’ex direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere, che parla con il presidente Piero Guarguaglini: “Guarguaglini — si legge negli atti — chiama Paolo e gli comunica di essere stato contattato dal Quirinale e lo avrebbe informato del fatto che oggi alle ore 02,00 brasiliane si riuniscono i giudici”. La data è fondamentale: siamo a ridosso della sentenza brasiliana che negherà  l’estradizione del terrorista in Italia.
La politica preme perchè Battisti torni nel nostro Paese. E con toni durissimi.
Ai colossi industriali italiani, del rientro di Battisti, non interessa nulla: con il Brasile c’è in ballo una commessa che vale dai 6 ai 10 miliardi di euro.
Commesse per esportare navi che riguardano Fincantieri: fregate e pattugliatori destinati alla marina fluviale, sistemi satellitari per il controllo delle coste e dei giacimenti petroliferi (d’interesse Eni).
Le navi sono armate, da qui l’interessamento per l’industria di Finmeccanica.
È questo che c’è in gioco mentre il Brasile decide la sorte di Battisti. Ed è per questo che Pozzessere, quando il suo presidente gli dice d’essere stato contattato dal Quirinale e che, alle 2, si riuniscono i giudici, commenta con un laconico: “Purtroppo”.
Il direttore commerciale di Finmeccanica spiega che, della vicenda, s’è parlato già  il 2 giugno con il ministro degli esteri Franco Frattini, e lascia intuire che l’affare rischia di sfuggire dalle mani.
Guarguaglini risponde: “Per quello che posso cercherò di tenermelo buono”, aggiunge che “se vede Frattini bisogna dirgli che gli hanno telefonato, che bisogna dirlo in modo chiaro a Berlusconi e a Letta”.
E Pozzessere è d’accordo: “Se ci sono casini — risponde — si passa dal Presidente, perchè non si può buttare all’aria tutto per un’impuntatura”.
L’impuntatura, secondo fonti attendibili, è soprattutto quella di Ignazio La Russa, perchè da mesi il ministro della Difesa usa toni durissimi nei confronti del Brasile. ù
E le parole di La Russa pesano doppio perchè, nella stipula degli accordi, è prevista la firma di entrambi i ministri della Difesa, quello italiano e brasiliano.
È soprattutto lui che Finmeccanica ha bisogno di zittire.
Il commento del presidente Napolitano, il 9 giugno, sarà  durissimo: parlerà  di un atto ”gravemente lesivo del rispetto dovuto” agli accordi tra Italia e Brasile e del rispetto della lotta al terrorismo combattuta dall’Italia ”nella rigorosa osservanza delle regole dello stato di diritto. Una decisione che contrasta con gli storici rapporti di amicizia tra i due paesi e appoggia pienamente ogni passo che l’Italia vorrà  compiere”.
Ma la successiva dichiarazione di La Russa — alla luce delle pressioni di Finmeccanica — appare davvero interessante: ”Non sto contando fino a dieci, ma fino a mille, prima di fare un commento. Sto mordendomi la lingua e non cedo alla tentazioni di esprimere possibili contromisure”.
A gennaio, invece, La Russa aveva dichiarato che erano “a rischio le relazioni commerciali”.
Ma nel frattempo, a febbraio, il Parlamento in gran silenzio — mentre la questione Battisti era aperta e già  si presagiva la mancata estradizione — aveva approvato un ddl per ratificare gli accordi — sull’affare in questione — tra Brasile e Italia.
Il doppio binario avanzava da tempo.
La diplomazia di Finmeccanica e Fincantieri aveva raggiunto l’apice durante il terremoto di Haiti, quando parte per il Sudamerica parte la nave Cavour, in soccorso degli sfollati, sì, ma quelli brasiliani.
Il ministro Tremonti s’acquietò soltanto quando seppe di non dover sborsare (quasi) un centesimo: l’operazione non venne finanziata dal governo, ma proprio da Fincantieri e Finmeccanica, per “oliare”, con un’operazione velata dalla solidarietà , la commessa da chiudere con il paese brasiliano.
Neanche Berlusconi, in fondo, aveva fatto il suo dovere appieno, in base al bon ton della diplomazia industriale: il Brasile chiedeva che la chiusura dell’accordo tra Stati fosse sancita a Brasilia ma gli impegni del premier non riuscivano a soddisfare la richiesta del paese che stava mettendo sul tavolo un affare da almeno 6 miliardi di euro.
L’accordo si chiuse nel 2009, ma a Washington, durante il G20.
Unica concessione di Berlusconi alla richiesta di Ignacio Lula: l’accordo fu comunque firmato nell’ambasciata brasiliana.
“Un governo che governi”, ecco cosa chiede Finmeccanica, e Berlusconi — con le sue intemperanze e le dichiarazioni di La Russa sul caso Battisti — non è più il soggetto ideale per la “politica estera” del colosso industriale.
Anche per questo, ormai, Berlusconi è stato scaricato da Guarguaglini con un’intervista al Messaggero — “A Berlusconi ho detto no quando mi parlò di Tarantini” — e da sua moglie, Marina Grossi, ad di Selex sistemi integrati: “Berlusconi poteva risparmiarci almeno Tarantini e Intini”.
E ora che nel ciclone c’è pure Valter Lavitola — l’uomo che, presentato a Finmeccanica da Berlusconi, consentì di chiudere un’affare da 180milioni di euro — il premier è definitivamente inaffidabile anche per la lobby di piazza Montegrappa.
Che è convinta, per esempio, di aver perso importanti commesse con la Turchia di Erdogan anche per colpa della pessima figura internzionale legata ai bunga bunga del premier.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LA PIOGGIA DI SUSSIDI PUBBLICI SUI GIORNALI: DAL FOGLIO ALL’AVVENIRE

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

NEL SECONDO ELENCO: MISSIONE CHI L’HA VISTO…IL FOGLIO RICEVE 3,5 MILIONI DI EURO, L’AVVENIRE CIRCA 6 MILIONI

Ci sono testate leggendarie come la Voce Repubblicana che, fra decine di scissioni atomiche del partito, adesso di leggendario ha soltanto la presenza, trasparente: non si vede in edicola, non si vede sul sito del Pri, a volte compare nella rassegna stampa di Montecitorio.
E poi ci sono le testate politiche trasformate in cooperative, come il Foglio di Giuliano Ferrara, che arranca sempre di più nonostante la proprietà  berlusconiana.
La seconda puntata sui giornali finanziati con i soldi pubblici apre due parentesi: una per i giornali economici e finanziari, Italia Oggi distribuito ovunque e il Denaro di Napoli con una genesi vicina a Forza Italia.
Nella lista c’è l’esempio massimo, la seconda parentesi, di Avvenire.
Il quotidiano dei Vescovi è ricco di nascita, ma riceve ugualmente quasi sei milioni di euro, spende tanto per il personale, somma decine di migliaia di abbonamenti (alcuni omaggio) grazie a una fitta rete di parrocchie e associazioni cattoliche.
La presenza in edicola, che richiede più spese, è abbastanza marginale. Infine c’è un lungo capitolo sui quotidiano locali, soprattutto provinciali, che incassano dal governo milioni di euro e, senza competere su pubblicità  e vendite, magari risparmiando sui giornalisti, riescono a resistere sperando che l’obolo di Stato sia sempre pesante e puntuale.

L’Avvenire
DIRETTORE: Marco Tarquinio
CONTRIBUTI: nel 2010 ha ricevuto 5,871 milioni di euro maturati nel 2009 VENDITE: l’editore dichiara 107 mila copie diffuse, la gran parte abbonamenti (ricavi per 12,690 milioni di euro) e omaggi. Calcolando incassi per 4,593 milioni di euro e circa 307 uscite l’anno al prezzo di 1,2 euro, il giornale della Cei vende meno di 13 mila copie.
DIPENDENTI: l’organico conta 99 giornalisti e 80 impiegati/dirigenti. Il costo è di 17,362 milioni di euro

La Voce Repubblicana
DIRETTORE: Francesco Nucara
CONTRIBUTI: nel 2010 ha ricevuto 634 mila euro maturati nel 2009
VENDITE: la storica testata del Partito Repubblicano esiste ancora, non si vede, non si vende, ma esiste assicura il segretario Nucara al telefono. Anche se le vendite sono di poche centinaia fra iscritti e sezioni
DIPENDENTI: in redazione ci sono 4 giornalisti, aggiunge Nucara, il bilancio 2010 ancora non è disponibile

Italia Oggi
DIRETTORE: Pierluigi Mascagni
CONTRIBUTI: nel 2010 ha ricevuto 5,263 milioni di euro maturati nel 2009 VENDITE: l’editore dichiara una diffusione di 82 mi-la copie, in gran parte con la voce abbonamenti (incasso di 3,249 milioni di euro). In edicola poche migliaia di copie per introiti pari a un milione di euro
DIPENDENTI: in organico ci sono 36 dipendenti di cui 28 giornalisti. Il costo per il personale è di 2 milioni di euro

Il Denaro
DIRETTORE: Alfonso Ruffo
CONTRIBUTI: nel 2010 ha ricevuto 2,455 milioni di euro maturati nel 2009 VENDITE: nel bilancio 2010 c’è soltanto la voce aggregata di vendite sia da abbonamenti che da edicola pari a 1,411 milioni di euro. Il giornale esce 5 volte la settimana, vende in Campania meno di 3 mila copie
DIPENDENTI: il costo del personale è in costante crescita, adesso è di1,541 milioni di euro. L’organico conta 40 unit�

Il Foglio

DIRETTORE: Giuliano Ferrara
CONTRIBUTI: nel 2010 ha ricevuto 3,441 milioni di euro maturati nel 2009 VENDITE: nel bilancio 2010, firmato dal ragioniere Spinelli, il cassiere di B. per il condominio Olgettina, si evince che i ricavi dalle vendite, escluso gli abbonamenti, è di 2,677 milioni di euro. Esce 6 volte la settimana al prezzo di 1,3 euro, dunque vende circa 6700 copie
DIPENDENTI: L’organico conta 29 unità , di cui 23 giornalisti, per un costo pari a 1,892 milioni di euro

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PRIMO CITTADINO O VELINO?

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

VITA, PENSIERI E (POCHE) OPERE DI PIETRO VIGNALI, EX SINDACO DI PARMA

La signora Lario, giustamente schifata, definì ciarpame politico l’idea del suo consorte di candidare al Parlamento europeo — e non a Miss Strasburgo — alcune fanciulle prive di qualunque competenza.
Avevamo già  il ministro più bello del mondo, con una specializzazione in calendari, poteva bastare.
Doveva ancora arrivare la consigliera regionale con la passione per l’abito monacale e le eleganti magliette inno alle proprie tette.
Si è fatto un gran parlare del velinismo in politica, qualche sventurata ha perfino provato a replicare alla ex signora Berlusconi, scrivendoci un libro. Magari riusciamo a strappare una nuova legge elettorale che allunghi le minigonne ed estenda la quantità  di cervello degli aspiranti amministratori.
La questione velinismo, però, non riguarda solo le donne.
“Repubblica” in edicola venerdì riportava le parole di una cittadina di Parma, appena liberata da una giunta travolta dalle inchieste per corruzione.
Gianna Montagna spiega: “Un fatto è certo, se n’è andato un sindaco da fotoromanzo, tutta immagine e niente sostanza. Foto qui e foto là , sorrisi e poco altro. Come nei fotoromanzi di quando ero giovane io, dove si raccontavano amori e avventure e il protagonista era lo stesso. Nel nostro caso, il sindaco che inaugura, il sindaco che sorride, il sindaco che promette…”.
Pietro Vignali è stato il più giovane sindaco d’Italia, eletto nel 2007 a 39 anni in una lista civica di centrodestra, dimesso tre giorni fa dopo una resistenza che deve avergli ispirato il comportamento del nostro premier.
à‰ uno che tutti i sabati faceva una conferenza stampa, anche se non c’era molto da dire.
Intanto, un titolo sui giornali lo guadagnava.
Nella città  del melodramma, come ha scritto Maurizio Chierici della sua Parma, l’inaugurazione della stagione del Teatro Regio è un evento piuttosto importante: lui si presentava al braccio di Sara Tommasi o Manuela Arcuri, notissime appassionate di lirica.
Del resto che aspettarsi da uno che da giovane faceva il pierre per le più importanti discoteche della città ?
A guardarlo nelle foto che in questi giorni sono passate per le agenzie e sui giornali sembra sempre – invidiabile tenuta della messa in piega – fresco di barbiere.
In mancanza di mogli e figli sorridenti da esibire, si è accontentato di un animale da compagnia con cui posare: un piccolo cagnolino bianco che a metà  campagna elettorale è stato sostituito con un più pubblicitario labrador. Dagli uffici del Comune di Parma sono passati tutti i professionisti della comunicazione d’Italia.
E i professionisti della politica, della gestione della cosa pubblica, dell’amministrazione?
Il giorno dopo le dimissioni di Vignali sono arrivati i 70 milioni per la metropolitana.
Ora, Parma non è New York e forse la metropolitana non era esattamente la prima opera di cui occuparsi: è un posto che si attraversa tutto in 15 minuti con la bici.
Poter inaugurare il cantiere con la prima pietra della metro ha un certo impatto d’immagine.
Ma sono solo fotografie: come quelle dei tanti che si sono infilati il caschetto per visitare il centro storico dell’Aquila e poi hanno abbandonato gli abitanti tra le macerie di una città  che oggi, due anni dopo il terremoto, è ancora un deserto inabitato.
La religione dell’immagine è più perniciosa in politica che altrove: di solito i suoi seguaci sono distratti dall’apparenza, portati alla spettacolarizzazione, superficiali e quindi facilmente manovrabili.
Figurine e figuranti (cfr mezzo Parlamento).
Se questa è la nuova generazione dei politici, stiamo cotti.
Come il famoso prosciutto di casa.

Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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RUMORI DI PANCIA: DOPO L’ADDIO DI VERSACE, NEL PDL PRONTE ALTRE FUGHE

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

ALLA CAMERA GLI “INSOFFERENTI” SAREBBERO UNA VENTINA TRA CUI SPICCANO SCELLI, SPECIALE, VESSA E SOGLIA: MOLTI POTREBBERO PASSARE ALL’UDC…AL SENATO GUIDA LA FRONDA PISANU: CON LUI DINI, SARO, ORSI, AMATO ED ALTRI

Dai veleni su Beppe Pisanu, “avvisato” dal suo partito di essere citato da un pentito di mafia, alle due fatali scosse di Giorgio Napolitano su Lega e legge elettorale, seguite a quelle di Confindustria e Chiesa, si scatena di nuovo la tempesta nella pancia del Pdl.
Sinora i voti su manovra, Milanese e Romano avevano ancito il paradosso della forza della maggioranza.
Ossia la somma di due debolezze: quella del Cavaliere che resiste nel bunker e quella dei parlamentari disperati che vogliono durare fino al 2013, non avendo garanzie sul futuro.
Ma l’ingresso dalla porta principale, grazie al referendum, della questione della legge elettorale ha risvegliato paure e inquietudini tra peones e non solo in vista di un voto anticipato nel 2012.
Nelle truppe del partito dell’amore dislocate tra Montecitorio e Palazzo Madama, la sensazione che il premier sia alla fine del suo ciclo è diffusissima.
Il punto è come sviluppare questa sensazione.
Lo strappo di Santo Versace, uscito dal Pdl per il voto che ha salvato il ministro Romano, ha ridato però coraggio e fiato ad aspirazioni individuali. Alla Camera il numero di questo tipo di insofferenti di destra sarebbe tra i diciotto e i venti.
Usciranno allo scoperto come Versace?
Il percorso di questa pattuglia sarebbe in due tappe: gruppo misto e poi Udc. Il partito di Casini è corteggiatissimo, in grado dI assicurare una sopravvivenza ai richiedenti che bussano, molto più di Fini e di Fli.
Su un foglietto circolano i nomi dei deputati in bilico.
Due sono noti.
Il primo è Maurizio Scelli, ex commissario straordinario della Croce Rossa.
Il secondo è il famigerato generale Speciale, comandante della Guardia di Finanza destituito dal governo Prodi.
Un’altra coppia è formata dgli imprenditori salernitani Pasquale Vessa e Gerardo Soglia.
Quest’ultimo è stato presidente del Pescara calcio, accusato poi di bancarotta fraudolenta.
Le manovre alla Camera incrociano quelle al Senato, dove ha creato scompiglio la colazione organizzata dal senatore frondista del Pdl Beppe Pisanu, da mesi sostenitore di un governo diverso.
I nomi certI dei partecipanti sono quelli di Lamberto Dini, Giuseppe Saro, Orsi, Amato.
Non c’erano invece altri tre sospettati: Zanetta, Boscetto, Baldini.
In compenso erano presenti l’ex governatore piemontese Ghigo e il friulano Antonione.
Ieri Pisanu ha anche avuto un lungo colloquio con Casini.
Il leader centrista dell’Udc ha manifestato la sua convinzione sulla legge elettorale: “Si vota nel 2012 con il Porcellum”.
Che è una delle due opzioni su tre che il centrodestra ha per sopravvivere. Questa riguarda il Cavaliere in persona e potrebbe provocare un fuggi fuggi generale dal Pdl, in previsione di una sconfitta certa e di un vistoso calo dei seggi.
Poi c’è l’ipotesi di una nuova legge elettorale che scongiuri il referendum e porti alla scadenza naturale del 2013 la legislatura.
Uno scenario che costituisce il tavolo di lavoro di Angelino Alfano, segretario del Pdl.
Complici le “scosse” di questi giorni, Alfano vorrebbe volgere a suo favore fughe e “rumori” interni per aumentare la pressione suL bunker del Cavaliere, accerchiato dal nuovo Caf: Casini, Alfano e Formigoni.
Un segnale fortissimo in questa direzione è arrivato ieri,dall’assemblea degli eletti del Pdl della Lombardia.
Proprio nell regione dove sono nati Berlusconi e il berlusconismo.
Primo: il premier non è andato alla convention.
Il fedele coordinatore regionale Mario Mantovani ha giustificato così l’Assenza: “Vuole che iniziamo a camminare con le nostre gambe a fianco di Alfano”.
Mantovani ha anche annunciato una mossa che potrebbe allontanare ancora di più i dubbiosi e gli insofferenti del Pdl: un referendum per ridurre il numero dei parlamentari.
Nel suo   intervento, Alfano ha gridato il debito di gratitudine verso il premier, ammettendo la debolezza attuale del Capo: “Lui ha fatto tanto per noi, adesso dobbiamo ricambiare difendendolo dagli attacchi cui è sottoposto. Per la prima volta in 17 anni dobbiamo aiutarlo. Faremo una squadra al suo fianco”.
Parole impensabili fino a qualche mese fa ma che non sciolgono il vero nodo del segretario del Pdl.
Da un lato concordare una via d’uscita con B. (altro governo per fare la legge elettorale, guidato proprio da Alfano), dall’altro riportare l’Udc nel recinto del centrodestra, con Casini che chiede un’autocritica del berlusconismo e soprattutto una legge elettorale che smantelli il bipolarismo.
Questa è la Rodi di Alfano e qui deve saltare.
Senza contare i falchi che ancora credono ciecamente nel Cavaliere.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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L’ULTIMA MINACCIA AL GOVERNO: LA FRONDA DI PISANU A PALAZZO MADAMA

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA DA TEMPO SOSTIENE L’IPOTESI DI UN ESECUTIVO DI LARGHE INTESE, CONDIVISA DA OLTRE UNA DECINA DI SENATORI… ORA STA ACCELERANDO IL PROGETTO

Dopo un anno di battaglie sui numeri alla Camera, con compravendita di deputati e il parto dei Responsabili per avere garantita la maggioranza in aula a Montecitorio, il governo potrebbe scivolare nel più austero e apparentemente sicuro Palazzo Madama.
Al Senato il Pdl è in fermento.
Da settimane ormai Beppe Pisanu è in aperto contrasto con l’esecutivo e i vertici del partito cui è iscritto.
Toni polemici sull’operato del Consiglio dei ministri, tanto da spingersi fino a invocare un nuovo governo e soprattutto un “necessario” passo indietro di Silvio Berlusconi.
Da due settimane ormai gira tra i banchi dei senatori un documento redatto dal presidente dell’antimafia che invita gli animi cattolici e le voci critiche a unirsi per ridare dignità  alla politica e vita all’azione di governo.
Pisanu ha sempre smentito.
Così come ieri ha smentito di aver incontrato dodici seguaci raccolti e averli riuniti a tavola martedì 20 nella saletta riservata del ristorante La Capricciosa, come riferisce oggi il Corriere della Sera.
Le posizioni espresse di Pisanu sono serpeggiate per settimane sotto traccia, ma quando la Camera ha salvato Saverio Romano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, hanno preso forma e voce.
E trovato consensi.
Tanto che i colonnelli del Pdl si sono sentiti costretti a intervenire per tentare di porre dei paletti alla fronda.
La dichiarazione più sibillina è del vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera, Osvaldo Napoli.
“Noi non crediamo alle parole del collaboratore Lo Verso nè quando accusa il ministro Romano, nè quando accusa Pisanu ritenendolo il fornitore delle notizie a Cuffaro e Aiello”, un messaggio fin troppo chiaro.
Che Napoli definisce ulteriormente: “E cosi come non abbiamo chiesto le dimissioni al ministro Romano, non le chiediamo al presidente della Commissione antimafia anche se quest’ultimo, cosi come dispone la legge, potrebbe essere iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento aggravato a causa di questa accusa”.
La dichiarazione suona palesemente come una sorta di minaccia.
Ma non sembra al momento aver ottenuto l’esito sperato, perchè con il passare delle ore continua a crescere il numero degli scontenti dall’azione politica del governo che condividono le preoccupazioni di Pisanu e, pur di scongiurare il voto anticipato, invitano Berlusconi a inaugurare presto una fase di transizione che gestisca l’emergenza del momento.
In molti rievocano gli anni di Tangentopoli, convinti che sarebbe “un errore chiudersi nel bunker per difendersi dall’assedio quotidiano dei pm”, perchè poi “il ciclone giudiziario travolse tutti e tutto comunque”.
Ora, riferiscono fonti pidielline, per evitare di “commettere gli stessi sbagli del passato”, sarebbe meglio pensare a una “maggioranza più ampia” che eviti il “burrone delle urne”.
Il senatore Giuseppe Saro, tra i più attivi in questi giorni, conferma le “grandi manovre” in corso ma esclude “complotti”, “tradimenti” e “documenti” ai danni del Cavaliere : “Tra i parlamentari del Pdl si sta facendo una riflessione sulla situazione politica. In tanti ritengono che ora sia necessaria una fase di transizione che abbia come protagonista in primis il presidente Berlusconi”.
Un periodo di transizione, spiega Saro, “eviterebbe che un casus belli o un’azione esterna possa far precipitare tutto verso delle elezioni anticipate devastanti, innanzitutto per la coalizione attuale e per il fatto che si bloccherebbe il processo di riforme”, assolutamente necessario per uscire dall’impasse attuale.
Saro cita Mani Pulite: “Io sono di estrazione socialista, Berlusconi teme di fare la fine di Craxi. Io non voglio certo che faccia la fine di Bettino, ma per evitarlo serve subito una soluzione politica”.
Il senatore avverte: “Bisogna trovare una maggioranza più ampia che possa affrontare la difficile crisi economica e consenta di avviare le riforme costituzionali e la legge elettorale”.
I senatori delusi rifiutano l’etichetta di dissidenti e ribelli.
Del resto ci sono diverse anime: gli scajoliani Franco Orsi e Gabriele Boscetto, i toscani Paolo Amato e Massimo Baldini, e poi Valter Zanetta e Paolo Scarpa Bonazza Buora.
Saro conferma l’incontro a La Capricciosa con Pisanu e una decina di senatori.
Ma assicura: “Non è stata certo una cena di carbonari, non c’è nessun complotto, si ragiona solo sulla necessità  di avviare una fase di transizione. Lo dico nella speranza che tutti gli altri parlamentari che fanno queste riflessioni solo in privato escano allo scoperto”.
Nessuno, spiegano altri senatori che per ora non vogliono uscire allo scoperto, “vuol tradire Berlusconi, perchè tutti gli sono grati, ma per il suo bene è meglio pensare a una soluzione politica diversa ed evitare le urne”.
Lamberto Dini ufficialmente non si esprime ma uomini vicini all’ex premier fanno sapere che il presidente della commissione Affari esteri di Palazzo Madama ha partecipato alla cena ma non vuol sentir parlare di complotti e ribelli o di documenti di dissidenti contro Berlusconi.
Il senatore, riferiscono le stesse fonti, è stato invitato all’incontro perchè i suoi colleghi sapevano che era reduce da un viaggio a New York e volevano conoscere giudizi e prospettive sull’Euro e la situazione economica dell’Italia.
E per aggiornarlo sulla situazione italiana.
In particolare l’intervento di Bagnasco che Pisanu ha detto di condividere come i 12 senatori condividono il suo documento: “Dalla a alla z”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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PEGGIO DI BERLUSCONI CI SONO SOLO I SUOI PASDARAN

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

CHI CONTA DAVVERO NELL’ ANTICAMERA DEL RE SONO I LAVITOLA….A LEGGERE CERTE DICHIARAZIONI   DEI SUOI COLONNELLI, SI ARRIVA A PENSARE CHE BERLUSCONI SIA PERSINO MIGLIORE DEL PARTITO CHE GUIDA

Dice Silvano Moffa che anche Sciascia si sarebbe ribellato ai professionisti dell’antimafia che vorrebbero sfiduciare Romano.
Dice Ignazio La Russa che la Borsa tedesca ha perso il 50 per cento in vent’anni, poi si scopre che è il contrario ma chissenefrega.
Dice Gianfranco Rotondi che Berlusconi è “un santo puttaniere” e che i cattolici del Pdl non sono in imbarazzo perchè “è la superiorità  dell’Occidente cristiano sul moralismo che misura l’affidabilità  di un politico sulla sua condotta privata”.
Dice Antonio Leone che il cardinal Bagnasco parlando di “aria ammorbata da comportamenti licenziosi” non si riferiva a Berlusconi ma ai parlamentari separati, e forse anche ai preti pedofili.
Dice Franco Frattini che Valter Lavitola a Panama non stava con lui, è arrivato per conto suo e si è imbucato alla cena ufficiale prevista dalla missione senza che nessuno se ne accorgesse.
Dice Marcello Veneziani che Berlusconi intercettato gli ricorda Ezra Pound in gabbia nel campo di concentramento americano di Coltano.
Dice Gianni Alemanno “mai più Minetti nei listini regionali” altrimenti “offendiamo il Pdl e Silvio Berlusconi”.
Precisa Roberto Formigoni che la Minetti non l’ha scelta lui perchè il listino lo fa il partito. Specifica l’eurodeputata Lara Comi che lei non è come la Minetti nè come “le altre” promosse dal Pdl, va alle feste del premier, ma “ha dieci anni di gavetta politica”.
Replica il capogruppo europeo del Pdl Mauro Mauri che queste sono “dichiarazioni lesive della dignità  della persona” che “causano danno al partito e al Paese” perchè anche “le altre” sono degnissime persone “e bene ha fatto il partito a scegliere persone provenienti da esperienze differenti che sono il riflesso di una multiforme società  civile”.
Potrei andare avanti per cento righe, ma la fotografia di un eventuale futuribile immaginario Pdl senza Berlusconi mi sembra molto chiara già  così, e non è un bel vedere.
In molti stanno ragionando sul futuro “partito popolare italiano”, una specie di riedizione democristiana che dovrebbe rimettere insieme i pezzi del centro dopo la caduta del sovrano. Altri prefigurano la ricostituzione di una destra post-aennina, salvando il salvabile delle filiere dei Colonnelli tritate dal Cav.
Poi c’è il solito convitato di pietra, il “partito degli industriali” o dei tecnici, di Montezemolo o della Marcegaglia, che dovrebbe avvalersi di spezzoni di politica raccolti dalle macerie del berlusconismo.
Sono molto scettica.
E comincio a pensare addirittura che Berlusconi sia migliore del partito che guida, che i fedelissimi siano più irrecuperabili del loro guru-padrone.
Certo il premier, se fosse al posto degli Scajola o degli Alemanno, dei Formigoni o degli aspiranti neo-dc, non si sarebbe lasciato sfuggire l’attimo: avrebbe messo su una squadretta sul modello Scilipoti e avrebbe giocato la sua partita.
Qui, invece, la capacità  di rischio e il coraggio sono pari a zero.
E fanno un po’ ridere i titoloni dei grandi quotidiani che presentano ogni sussurro come una dissociazione, ogni bisbiglio come uno smarcamento, ogni riunioncina di corrente come una vigilia rivoluzionaria .
Il Popolo della libertà  senza Berlusconi non è buono a far niente, solo a recitare il rosario del “Mattinale” (il mitico bignamino della maggioranza) nel pastone del Tg1 o nei talk-show.
Uno dopo l’altro sono stati illusi di essere i preferiti del sovrano, quelli che avrebbero avuto un ruolo privilegiato nella transizione pilotata verso il nuovo Pdl del 2013.
Hanno sfigurato la loro immagine pubblica per questo.
E oggi, nel giorno del compleanno del sovrano, scoprono chi conta davvero nell’anticamera del re:
Valter Lavitola, che allo scoccare della mezzanotte gli ha fatto il regalo più gradito, un alibi a tutto campo dalle navi a Panama fino alle ragazze di Tarantini.
E la promessa di nuove rivelazioni su Fini.
Altro che chiacchiere e voti di fiducia.

Flavia Perina
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL PORTAVOCE DELLA GELMINI, DOPO LA GAFFE SUL TUNNEL, DIVENTA CONSULENTE DI BARBARA BERLUSCONI

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

CONSERVA ANCHE LA CARICA DI DIRETTORE DEL MINISTERO A 150.000 EURO L’ANNO

Dopo sei giorni il tunnel tra la Svizzera e l’Abruzzo («732 chilometri senza nemmeno un autogrill», il commento più gentile) ha trovato una via d’uscita.
Come è noto si è dimesso Massimo Zennaro, portavoce di Mariastella Gelmini, conservando   l’altro incarico che aveva al ministero dell’Istruzione, quello di responsabile della direzione per lo studente, una delle più importanti.
Ma soprattutto, e questa è la novità , da pochi giorni avrebbe accettato anche di fare da «superconsulente» per Barbara Berlusconi.
La primogenita del premier e di Veronica Lario, impegnata nel cda del Milan, avrebbe infatti chiesto a Zennaro di seguirla per lanciare la sua immagine dal punto di vista culturale. Paparazzatissima quest’estate per il suo flirt con il calciatore del Milan Alexandre Pato, fresca di separazione da Giorgio Valaguzza (padre dei suoi due bimbi Alessandro ed Edoardo), Barbara, 26 anni, non ha mai nascosto il suo interesse per il mondo culturale.
Infatti già  prima della sua laurea in Filosofia si era detta disponibile a muovere i primi passi nel mondo dell’editoria, e più precisamente alla Mondadori.
Poi, e la cosa l’ha amareggiata non poco, l’ipotesi è sfumata.
Lei ha aderito al progetto della galleria «Cardi Black box», gestita con i suoi due amici/soci Niccolò Cardi e Martina Mondadori.
E subito dopo la laurea è arrivato l’incarico nel Milan, nel quale Barbara si è buttata a capofitto.
Anche se il suo desiderio resta sempre lo stesso: costruirsi un profilo culturale forte.
Ed è qui che entra in campo Zennaro: BB lo avrebbe contattato proprio per avere una sua consulenza, e lui si starebbe già  muovendo per programmare e organizzare uscite mediatiche che la lancerebbero in questo campo.
Non era passato inosservato, tra l’altro, il loro incontro allo stadio «Camp Nou» di Barcellona, nel corso di Barcellona-Milan, lo scorso 13 settembre per la Champions League.
Una vera «sofferenza» per l’ex portavoce della Gelmini, secondo chi lo conosce bene: lui, infatti, è interista da sempre.
Ed è vicinissimo, tra le altre cose, alla famiglia Moratti ma anche all’ex sindaco di Milano Letizia Moratti.
Ma questo incarico con la primogenita del premier e di Veronica Lario arriva per lui in un momento particolare.
Padovano, 38 anni, ombra della Gelmini dal 2005, più consigliere che portavoce, Zennaro paga per l’incredibile errore del comunicato di venerdì scorso, quei complimenti ai ricercatori per l’esperimento sui neutrini in cui il ministero ricordava il contributo italiano alla costruzione del tunnel che non c’è, quello «tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso».
Non è lui l’autore materiale del comunicato, ancora online sul sito del ministero.
Ma come portavoce paga l’omesso controllo e soprattutto la gestione del day after.
Dopo che sabato mattina le prime parodie avevano preso a girare su internet, il ministero aveva scelto di non ammettere l’incidente, di minimizzare.
Anzi, aveva replicato duro parlando di «polemica ridicola».
Solo in serata la decisione di correggere il tiro, ammettendo che quella nota «poteva essere più precisa».
Il danno d’immagine è di quelli che durano e negli ultimi giorni diversi colleghi di partito avevano chiesto alla Gelmini di dare un segnale.
Mercoledì sera il ministro e il suo portavoce hanno avuto un lungo faccia a faccia, teso e faticoso, finito con la decisione annunciata ieri mattina.
Già  prima dell’estate, del resto, i due erano stati vicini alla separazione, lui sempre a frenare le uscite del ministro, lei spesso di parere opposto.
Adesso molti chiedono che Zennaro lasci anche il suo incarico di direttore generale: «La sua permanenza al ministero diventa insopportabile» dice per il Pd Manuela Ghizzoni che già  aveva sollevato il caso tre anni fa, al momento della nomina.
Ma l’ex portavoce è vittima anche del fuoco amico.
La stessa richiesta arriva dalla leghista Paola Goisis («mi dispiace per la persona, ma bisogna tutelare l’istituzione») e dal Pdl Franco Asciutti: «Decida il ministro se può restare o meno».
A difendere l’ex portavoce Giorgio Stracquadanio, falco del Pdl e consigliere della Gelmini: «Sono attacchi irresponsabili, strumentali e politici».
In ogni caso il ministro cerca un sostituto. E Zennaro, intanto, si «consola» anche con la nuova consulenza per Barbara Berlusconi.

Angela Frenda
Lorenzo Salvia

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