Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL RE DEI PEONES INFIAMMA L’ASSISE DEI “RESPONSABILI”, IL GRUPPO NATO PER SALVARE IL PREMIER… TRA DELEGATI E PAZIENTI VISITATI GRATIS VA IN SCENA LA TIPICA FARSA ALL’ITALIANA
Quando il responsabile per eccellenza arriva all’Auditorium del Massimo, Eur, Roma,
scattano le ovazioni.
“Domenico”, “Mimmo”, “Mimmuzzo”.
E il Re dei Peones scende dall’auto blu, sorride a mezza bocca, stringe mani, baci e abbracci.
Poi la fanfara responsabile attacco l’inno di Mameli.
E “Mimmuzzo” allontana tutti, si avvicina ai musicisti, porta la mano al cuore e alza lo sguardo al cielo.
Quasi si commuove. “Oggi presentiamo il Movimento di Responsabilità Nazionale”, scandisce, solenne, Domenico Scilipoti.
A quasi un anno dal 14 dicembre 2010, “il giorno in cui è iniziato tutto”, il popolo dei responsabili si raccoglie intorno al suo portavoce, segretario, animatore.
E via, all’infinito. Perchè gli aggettivi e le definizioni sembrano non finire mai.
Ci sono i fan della prima ora: “Se il nuovo che avanza”.
Poi i vecchi pazienti: “Ha fatto novemila visite gratis”.
E i folgorati sulla via della Responsabilità : “Mimmo, sei il nostro salvatore”.
All’interno dell’Auditorium ci sono ospiti, delegati, decine di giornalisti. Caffè e cappuccini.
Tutti hanno sotto braccio “La Responsabilità “, la pravda del nuovo partito, l’organo ufficiale del movimento.
Nell’editoriale di presentazione, Scilipoti scrive: “diventiamo partito, proprio come quel giovanotto che passando dall’adolescenza alla pubertà avverte in se i sintomi del cambiamento”.
E l’obiettivo politico viene declinato senza uscir fuori da metafore biologiche: “dobbiamo raggiungere la scossa ormonale dei consensi”.
Ancora: “il nostro movimento sta per essere fecondato dal popolo e l’anno prossimo speriamo di ritrovarci per dare alla luce il nostro bambino”.
Una “fecondazione di massa”: perchè i pretoriani di Mimmuzzo distribuiscono, persona dopo persona, un foglietto su cui tutti, più o meno responsabili, possono – anzi, devono – annotare suggerimenti per contribuire al programma del movimento. “Scrivete cose che vanno nell’interesse dell’umanità “.
Ecumenici.
Trasformismo? La compravendita? Giammai.
“Scilipoti incarna il coraggio della rivolta”, “Il nostro onorevole ha scardinato il sistema dittatoriale vigente in Parlamento”, dicono, orgogliosi, i militanti.
Vengono da tutto il Paese, soprattutto dalle regioni del Sud. Sicilia in testa.
Ma numeri certi non ce ne sono, “sà , è difficile organizzare un congresso in fretta e furia”.
E Berlusconi? “No, Scilipoti è meglio. Perchè incarna la politica del fare, quello di cui noi abbiamo bisogno”.
E qui si aprono dibattiti: “Aspetta, Silvio è sempre Silvio. E’ lui che ha portato Scilipoti dalla nostra parte”.
E retroscena e teorie del complotto diventano l’argomento di conversazione più gettonato. “Non c’è stato nessun interesse personale: Scilipoti ha salvato il Paese. Il 14 dicembre c’erano delle voci dall’estero che ci consigliavano di non far cadere il governo”.
Tutti annuiscono, con gravità .
Poi al bar, per il secondo giro di caffè.
Interrotto dall’ingresso delle scilipotine.
Quattro modelle, vestite di blu. Qui per presentare un progetto di edilizia popolare per i pensionati.
“L’onorevole ci ha appoggiato, e ha promesso di seguire il nostro lavoro”.
Appalusi, flash dei fotografi, cenni di approvazione. “Vi aspettano numerose sorprese dal punto di vista della comunicazione”, dice il responsabile marketing dei Responsabili mentre sventola la bandiera con il simbolo del partito, un Tao con i colori della bandiera italiana.
E, come in ogni festa che si rispetti, gli imbucati: “Non so niente del programma, mi hanno chiesto di venire, accompagno un amico…”,”l’olismo? E cos’è?”.
Poi tutti si stringono intorno a Don Stanzione, parroco, padre spirituale del movimento.
“Sappiamo tutti che Domenico è un uomo originale e coraggioso. E adesso facciamo tutti una preghiera per gli angeli…”.
Scilipoti lo saluta, “Eccellenza, grazie”, e si lancia nell’apologia della famiglia tradizionale: “Come si fa a spiegare al proprio figlio che la famiglia non è composta da un uomo e una donna. Non posso dire a mio figlio che le coppie di fatto sono come la famiglia, lui non mi capisce”.
Ancora: “Chi vuole togliere il crocifisso dalle scuole è uno scimunito”.
Poi l’invito all’evangelizzazione responsabile: “Andate porta per porta. Parlate con tutti, convinceteli, scendete nelle piazze e difendete i valori, rischiate in prima persona”.
E la milizia responsabile applaude, pronta alla nuova missione.
Tutti, commossi, con le parole di Mimmuzzo nel cuore: “Il Signore mi ha dato questa croce: voglio vedere una nazione che parla un linguaggio mite, che sia plasmata dall’ecologia profonda… Proviamoci”.
Magari aiutati dai benefici effetti dell’agopuntura.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
SENZA COMPRAVENDITA IL GOVERNO SAREBBE GIA’ CADUTO… I POTENZIALI “TRADITORI” SONO GUARDATI A VISTA: ORA TOCCA A MAZZUCA… AL MOMENTO GIUSTO SAREBBERO MOLTI I DEPUTATI DESTINATI A TRAGHETTARE VERSO IL POLO
Stanno in piedi per miracolo. E grazie ai saldi di fine legislatura.
Il governo regge l’anima con i denti, ma anche quando l’interesse della maggioranza è prioritario, in aula alla Camera entrano solo se proprio non ne possono fare a meno.
Così, mentre ieri lo spread volava a 400 punti e il governo appariva sempre più impantanato sul ddl Sviluppo, alla Camera andava in scena l’ennesima dèbà¢cle della maggioranza, con il provvedimento sulla libertà d’impresa (modifica dell’articolo 41 della Costituzione , a firma Calderoli) che è stato accantonato per mancanza di numero legale.
Certo, un nubifragio aveva allagato la Capitale, ma anche i pochi presenti sul “posto di lavoro” preferivano i divani del Transatlantico alla noia dello scranno.
Ormai tutto sembra immobile.
E, invece, si muove eccome, ma sottotraccia.
Le fibrillazioni interne e il terrore, dipinto da settimane negli occhi della gendarmeria berlusconiana, di non riuscire a comprare in tempo il prossimo malpancista e di finire a gambe per aria su una sciocchezza e casomai per un voto solo, hanno convinto Berlusconi a presidiare di persona il territorio.
E così, nella sala Colletti del governo a Montecitorio, proprio a un passo dall’aula, Denis Verdini quotidianamente aggiorna il Cavaliere sulle onde e sui marosi che sconvolgono una maggioranza allo sfascio.
Ieri, poi, all’elenco di proscrizione dei possibili “traditori” si è aggiunto un altro nome, quello di Giancarlo Mazzuca.
Da tempo l’ex direttore del Quotidiano Nazionale mostra insofferenza, si accompagna sereno a chi ha già da tempo fatto una scelta di campo (Versace) e viene guardato con sospetto per i suoi contatti con uomini vicini a Casini (Galletti dell’Udc).
Verdini, a quanto pare, lo ha già avvicinato, come ha fatto con Giustina Destro e Fabio Gava che, infatti, negano pubblicamente di aver voglia di uscire dal Pdl, ma il fuoco che cova sotto la cenere è tutto legato alla possibile formazione di un nuovo gruppo parlamentare autonomo; nel momento in cui ci saranno i numeri, tutti i “ribelli” usciranno allo scoperto.
E se non saranno abbastanza (si dice che anche in zona Miccichè e Forza Sud il lavoro in questo senso sia effervescente) potrebbero anche chiedere appoggio al Terzo polo, con una scelta politica di campo a quel punto molto chiara.
Per questo Berlusconi vigila. E Verdini è pronto ad accorrere.
Al momento si guarda con ansia, per esempio, ai numeri di maggioranza all’interno di tre commissioni chiave.
Se la Destro e Gava, alla fine, facessero davvero il “gran rifiuto”, la commissione Attività produttive, dove dovrebbe transitare il prossimo (forse) ddl Sviluppo, passerebbe all’opposizione, così come la delicata Giunta per le autorizzazioni a procedere dove lo stesso Gava è scomodo ago della bilancia.
E in arrivo ci sono provvedimenti come la richiesta di scarcerazione per Alfonso Papa e l’uso dei suoi tabulati telefonici.
Oppure il via alla lettura di quelli del ministro Romano, chiesto dal pm Morosini di Palermo.
Per non parlare, poi, della Vigilanza Rai, dove l’uscita di Sardelli ha messo le forze in campo in piena parità (20 a 20) e a questo punto se anche Mazzuca decidesse di seguire la sirena Casini, la maggioranza perderebbe anche quella.
Segni di sfaldamento che avanzano e che danno l’idea di una decadenza che, però, non trova il modo di sfociare in una crisi.
Alle viste, infatti, non c’è la discussione di un provvedimento che possa essere considerato “pericoloso” per la tenuta della maggioranza.
Forse solo il ddl intercettazioni, se decidessero di farlo tornare in aula a breve, altrimenti si dovrà aspettare l’arrivo proprio del ddl Sviluppo.
Che, però, è ancora da scrivere.
Così, in un clima di caos calmo, Berlusconi guarda alle elezioni, straparlando su cosa farà per rivincerle ancora.
Come cambiare nome al partito “perchè Pdl non comunica più niente, non emoziona, non commuove”, ma intanto avanti “fino a dicembre, che da gennaio, quando le elezioni anticipate non saranno più un rischio, faremo le cose che vogliamo e ci presenteremo al Paese con straordinarie riforme” .
Quindi, sull’onda della sua endemica volgarità ha ricordato di essere stato “accusato di tutto, tranne che di essere gay”.
Ma sarebbe meglio non mettere mai limiti alla Provvidenza.
Sara Nicoli
(“da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA DIVENTA LO ZIMBELLO DEL WEB… POLLEDRI DIVENTA MITICO QUANDO URLA: “VIGLIACCO, IO NON SONO MALATO”…E SE IL MALATO FOSSE LUI?
Rissa sfiorata, alla Camera, per colpa di Twitter. 
Il social network irrompe nell’aula di Montecitorio: il leghista Massimo Polledri, offeso da un tweet del deputato democratico Pierangelo Ferrari, che gli dava dell'”omofobo”, arriva quasi ad aggredire il parlamentare dell’opposizione.
“Io non sono malato”, gli ha urlato contro Polledri.
Una vera e propria esplosione di rabbia, che, però, potrebbe essere frutto di un fraintendimento.
O di ignoranza, secondo le voci del web.
Per alcuni, infatti, Polledri avrebbe scambiato il termine di “omofobo” con quello di “omosessuale”: quanto è bastato per farlo sentire “malato” (secondo un’errata e, per fortuna, superata concezione dell’omosessualità ).
La frase incriminata viene lanciata in rete poco dopo le dodici di ieri, mentre alla Camera si discute la ratifica di un trattato internazionale.
Il tweet è accompagnato dall’hashtag “opencamera”, creato nello scorso mese di luglio dal democratico Andrea Sarubbi, insieme all’utente Tigella, per raccontare, seduta per seduta, le attività della Camera.
Polledri aveva appena finito, nel suo intervento, di attaccare la Bce, quando Ferrari scrive: “L’on Polledri, Lega, ultracattolico e omofobo, interviene attaccando la Bce. Nel nome di CrediNord, la banca leghista fallita”.
“Una critica legittima – osserva Ferrari, interpellato telefonicamente – che, sinceramente, mi è sembrata doverosa, ricordando anche la sua posizione imbarazzante contro la legge sull’omofobia”.
Poco dopo aver terminato il suo intervento, però, Polledri si alza dal suo scranno, e si dirige a passo spedito verso i banchi dell’opposizione.
“Vigliacco, io non sono malato, tu non puoi dire quelle cose”, inizia ad urlare, mentre Emanuele Fiano (Pd) si alza e cerca subito di bloccarlo.
Impresa che gli riesce, grazie anche al suo metro e 94 centimetri di altezza.
Giovanna Melandri assiste alla scena, sorpresa per una reazione che, anche a distanza di ore dai fatti, appare ancora incomprensibile ai più.
Il tutto viene raccontato, in diretta, da Sarubbi ai suoi quasi cinquemila follower, che rilanciano immediatamente la notizia.
Chi assiste alla scena parla di una persona “fuori controllo, che ha perso la testa”.
Su Twitter partono le congetture su quello che potrebbe aver capito Polledri, anche se il giudizio della maggior parte degli utenti sul comportamento del leghista è spietato. Mariop89 non ha dubbi: “E’ scandaloso che Polledri pensa che omofobo significa omosessuale. Quanta ignoranza in parlamento”.
Simontemplar84 si chiede se “Polledri abbia fatto almeno le elementari”.
Jane_lane è meravigliata: “Sono perplessa più dal fatto che per Polledri omosessualità =malattia, piuttosto che per la sua confusione omofobo=omosessuale”. “Polledri non è omofobo, è omologo di un ignorante”, attacca Byebyepapi.
Interviene anche il deputato Guido Melis, sempre del Pd: “Omofobia: paura irrazionale nei confronti dell’omosessualità . Non coincide con omosessuale, spiegatelo all’on Polledri”.
Un’ipotesi che circola tra gli utenti dei sito è che Polledri, che non usa Twitter, sia stato male informato dal suo ufficio stampa o da qualche altro collega leghista. “Qualcuno deve avergli riferito, magari in maniera non corretta, il tweet di Ferrari”, suggerisce il 39enne romano Sarubbi che, intanto, su Twitter, continua a spiegare in inglese la lite ai colleghi politici stranieri, stupiti dalla reazione del leghista.
La sua creatura, “opencamera”, dopo una partenza quasi in solitaria, è riuscita a far entrare in maniera dirompente Twitter a Montecitorio e, subito dopo, a trasferire quella quasi-rissa sulle pagine virtuali del sito di microblogging.
“Questa è una notizia. Lite in Aula per un tweet di #opencamera . L’Italia cambia, ragazzi”, scrive fiero nel pomeriggio.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI GIORGIO CONTE (FLI) SULLA COMPRAVENDITA DEI VOTI: LE PRESSIONI DI LA RUSSA E DELLA SANTANCHE’….GLI AVEVANO OFFERTO PERSINO CONSULENZE E L’AFFIDAMENTO DI PROGETTI PER LA SUA ATTIVITA’ PROFESSIONALE
“Ci hanno provato in tutti i modi, offrendomi un posto nel governo a scelta. Non mi hanno mollato come fa il cane con l’osso. È stato dilaniante sul piano umano e politico”.
A dare sfogo all’ennesima esperienza di “acquistabile” nella politica ridotta a mercato rionale è Giorgio Conte, vicecapogruppo di Futuro e Libertà alla Camera, segretario regionale del Veneto, uno dei sottoscrittori della commissione d’inchiesta sulla compravendita dei parlamentari.
Titolare di uno studio di ingegneria civile a Vicenza, è considerato una preda speciale da non lasciarsi scappare tanto da mobilitare gli avvoltoi più esperti. “Il mio telefono squillava in continuazione.
Scegli: sottosegretario, ministro, oppure preferisci che ti facciamo avere consulenze o affidamenti di progetti per la tua attività ?”.
Chi glielo diceva il solito Verdini? “
Anche altri. Non sono codardo ho già subito una vendetta forse sarò un sognatore, ma non me la sento di fare i nomi di chi è stato con me in An per 30 anni”.
Quindi anche lei come Muro ha assaggiato l’eleganza degli sms di Gasparri?
“No, no per me si è scomodato un ministro”
Ignazio La Russa?
Conte non nega.
E chi altro le ha proposto la nobile arte di saltafosso?
“Anche una donna che si professa eroina della destra. La conosco appena eppure mi ha chiamato come se fossimo amici di vecchia data”.
Daniela Santanchè?
“Mi ha promesso che quando avrei voluto mi avrebbe portato a Palazzo Grazioli per un incontro riservato con il presidente che mi stima molto. Ma se non ci ho mai scambiato una parola!” esclama. “Poi ho capito come funziona. Verdini si fa stampare le schede di Wikipedia di tutti i parlamentari utili per tenere in piedi questo governo agonizzante e le consegna a Berlusconi che se le studia in modo tale che quando i polli si presentano da lui restano colpiti dal fatto che conosce la loro storia a riprova del suo interessamento umano”
E lei cosa ha risposto?
“La mia è una storia limpida, non intendo sporcarla”. E lei ripeteva: “Pensaci, sappi che stanno tornando da noi molti parlamentari di Fli e i primi che si accomoderanno saranno privilegiati, sai nel governo i posti disponibili non sono tanti e chi arriva prima sceglie. Siccome a te teniamo in modo particolare, La Russa e Verdini ti stimano molto, affrettati, sarebbe un peccato se dovessi accontentarti”.
(Ride). Poi?
“Mi ha detto: ‘Se decidi comunicalo a me prima che agli altri, mi raccomando!’.
La stessa raccomandazione che mi hanno fatto gli altri . Ci rendiamo conto? Mi consideravano uno scalpo da offrire per accrescere la riconoscenza del capo, che umiliazione! E infine, incurante del mio netto diniego ha concluso: ‘Ti richiamo la prossima settimana’. E questo è accaduto anche dopo il 14 dicembre, in prossimità di una fiducia tornavano all’attacco. Lo stillicidio è durato fino ad aprile. E anche dopo per la verità tramite faccendieri, non saprei come definirli altrimenti, che si spacciano come industriali”.
Dei piccoli Lavitola per intenderci?
“Il paragone calza”. Ma non sono latitanti visto che circolano per Roma”. “Persone amiche di Verdini e anche di Berlusconi che hanno ricevuto incarichi di vario genere, o aiuti per le loro aziende e si prestano a tutto”.
Teme ritorsioni?
“No, ho già pagato per il mio passaggio a Fli sia sul piano personale che professionale. Sono dovuto ricorrere a un decreto ingiuntivo per avere l’onorario dal sindaco della Pdl di Messina”.
Ci racconti.
“Con il mio studio non ho mai partecipato a gare della Pubblica amministrazione. Ho accettato una sola volta, nel 2009, il conferimento di un incarico dal Comune di Messina per una consulenza tecnica di parte per redimere una controversia di centinaia di milioni di euro perchè cercavano un professionista che non fosse del luogo. Bene, ho portato a termine il mio lavoro e, inspiegabilmente, o meglio spiegabilmente, dopo il 29 luglio , giorno della mia adesione a Fli, mi hanno revocato l’incarico senza pagarmi l’onorario per una parcella regolarmente liquidata dall’Ordine degli ingegneri e da allora si sono sempre fatti negare al telefono. E non è finita. Quando hanno visto che non ero in vendita, tre ministri, ex An, hanno giocato la carta del ricatto morale”
I ministri ex An sono tre: La Russa, Meloni e Matteoli.
“Io sono entrato in Parlamento nel 2010 dopo le dimissioni di Elisabetta Gardini che ha scelto il seggio al Parlamento europeo. Sono venuti da me a dirmi: ‘Caro Giorgio se la Gardini è rimasta in Europa è merito nostro — mentre avevano fatto di tutto affinchè restasse alla Camera per non far subentrare me di Fli — che abbiamo sbloccato la situazione garantendo per te a Berlusconi che non avresti lasciato il Pdl’, dando per scontato che avrei tradito Fini. Non sono nato ieri, ho 50 anni, ma di fronte a tanta spregiudicatezza ho provato disgusto. Sa cosa le dico? Dopo tanti anni di politica ho capito che la differenza tra destra e sinistra è una distinzione politicamente doverosa, ma ciò che fa la differenza, soprattutto in un Parlamento ridotto a merce di scambio, è essere una persona perbene”.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
PER LA PROCURA DI PALERMO “ROMANO SI E’ MESSO A DISPOSIZIONE PER AIUTARE COSA NOSTRA INTASCANDO 500.000 EURO”
Bernardo Provenzano è uno che sulla politica ha sempre avuto la vista lunga, scegliendo i
giovani su cui puntare, quelli destinati ad andare lontano.
E la sua attenzione sarebbe stata catturata da un rampollo democristiano, un ragazzo sveglio che non disdegnava i contatti con gli amici degli amici.
E’ così che secondo i nuovi verbali raccolti dagli investigatori il padrino corleonese nel 2001 avrebbe investito sulla carriera di un parlamentare particolarmente promettente: Saverio Romano.
Una nuova accusa contro l’onorevole che nello scorso dicembre ha lasciato l’Udc garantendo la sopravvivenza del governo di Silvio Berlusconi e ottenendo poi la poltrona di ministro dell’Agricoltura.
Pochi giorni fa, le prime intercettazioni trasmesse dalla procura di Palermo alla Camera hanno spinto Gianfranco Fini a chiederne le dimissioni, innescando uno scontro con il segretario del Pdl Angelino Alfano.
Ma adesso “l’Espresso” è in grado di rivelare tutti gli elementi raccolti dagli investigatori nei confronti dell’esponente siciliano dei Responsabili.
A partire dalle dichiarazioni inedite di un collaboratore di giustizia considerato di primo piano dagli inquirenti: Giacomo Greco.
Non è un mafioso qualsiasi, perchè arriva da una famiglia che per decenni è stata al fianco di Provenzano.
E conosce Romano da sempre perchè sono cresciuti nello stesso paese, a Belmonte Mezzagno, piccolo centro a 24 chilometri da Palermo, con una forte presenza mafiosa. Nel 1997 i carabinieri li fermarono insieme durante un controllo di ruotine: con loro c’era un’altra persona, poi assassinata.
Ma soprattutto il pentito è il genero del boss Ciccio Pastoia che per decenni curò gli interessi economici e la latitanza del vecchio padrino di Corleone.
Nel 2004 Pastoia fu intercettato da una microspia mentre confidava i segreti del sistema di potere di Provenzano, svelando mandanti ed esecutori di diversi omicidi. Fu arrestato e in carcere si suicidò per avere disonorato la sua famiglia.
Ma i mafiosi non giudicarono la sua morte sufficiente a lavare l’onta: bruciarono il loculo con la sua bara
Oggi i verbali di Greco sull’appoggio di Provenzano per il futuro ministro sono importanti perchè confermano il contesto delle altre accuse, quelle per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione “aggravata dall’avere avvantaggiato” Cosa nostra.
Due procedimenti distinti, per i quali il parlamentare era già indagato prima della nomina a ministro. Le ipotesi di reato sono gravissime.
Il parlamentare avrebbe incassato tangenti per circa 500 mila euro per favorire una società in cui avevano interessi Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano.
E per questo motivo gli inquirenti ritengono che Romano facesse parte di un “comitato d’affari” dove si “collegano le condotte di imprenditori spregiudicati, liberi professionisti a libro paga, amministratori corrotti, politici senza scrupoli votati ad una “raccolta del consenso” senza regole”.
Ma la storia, stando al racconto di Giacomo Greco ai pm di Palermo, comincia con le elezioni del 2001, quando la famiglia dei Mandalà di Villabate, che gestiva la latitanza di Provenzano, e quella di Ciccio Pastoia “si interessarono per far votare Saverio Romano”.
Il pentito spiega che all’epoca venne a conoscenza di queste direttive dei boss “perchè direttamente informato da Ciccio Pastoia e dai suoi figli”.
Mafia e politica si intrecciano ancora una volta: dieci anni fa, secondo Greco, c’era la “necessità ” di portare Saverio Romano in Parlamento. Per farlo eleggere tutto il clan si sarebbe mobilitato.
Evitando passi falsi: per non “bruciare” il candidato, Ciccio Pastoia evitò di farsi vedere in pubblico insieme a Romano, ma come rivela il pentito, i due si conoscevano bene e l’uomo di fiducia di Provenzano teneva i suoi rapporti con il futuro ministro attraverso Nicola Mandalà , il mafioso che per due volte accompagnò Provenzano in una clinica a Marsiglia.
“Sia Ciccio Pastoia che i suoi figli Giovanni e Pietro affermarono che su Romano c’era anche l’interesse dello “zio” e cioè di Bernardo Provenzano”, spiega il collaboratore di giustizia. Ma nel 2003 le cose cambiano.
I carabinieri del Ros cominciano a concentrarsi su Belmonte Mezzagno, piazzando microspie e telecamere nascoste: lo stesso Romano finisce sotto inchiesta assieme a Totò Cuffaro.
E i boss sostengono di venire delusi da lui, perchè non mantiene più le promesse.
“Nel 2004 Ciccio Pastoia mi incaricò di organizzare ed eseguire un attentato incendiario in danno dell’abitazione del padre dell’onorevole Romano.
Mi disse che Nicola Mandalà ce l’aveva con Romano perchè non aveva mantenuto gli impegni precedentemente assunti”.
L’intimidazione non venne portata a termine perchè il controspionaggio dei mafiosi, come spiega Greco, aveva individuato le indagini segrete del Ros: c’era il rischio di finire nel mirino delle telecamere piazzate nel paese.
Giacomo Greco è il quarto pentito a parlare del ministro, dopo Francesco Campanella, Angelo Siino e Stefano Lo Verso.
E anche le sue deposizioni hanno pesato nella decisione dei pm di Palermo di cambiare linea nei confronti di Romano.
Nei mesi scorsi la procura aveva chiesto per due volte l’archiviazione delle accuse di mafia, pur sostenendo la “contiguità ” del ministro con gli ambienti mafiosi. Il gip ha respinto e alla fine ha imposto l’imputazione.
E oggi i pubblici ministeri sono convinti che il parlamentare abbia “consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione il proprio ruolo così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione, tendente all’acquisizione di poteri di influenza sull’operato di organismi politici e amministrativi”.
Quanto alla corruzione, secondo i pm le prove sono in 25 conversazioni registrate dai carabinieri di Monreale tra luglio 2003 e settembre 2004.
Al centro c’è il Gruppo Gas, una holding energetica “made in Corleone” controllata da Provenzano e Ciancimino.
Le intercettazioni sono state inoltrate dal gip Piergiorgio Morosini alla Camera con la richiesta di utilizzazione.
I consulenti della procura (Elio Collovà e Salvo Marino) hanno evidenziato in una relazione consegnata ai pm “l’importanza dell’appoggio offerto dai politici al Gruppo Gas nel “controllo occulto” delle procedure relative alla installazione degli impianti di metanizzazione in diversi comuni della Sicilia; procedure connotate da gravi irregolarità amministrativo-contabili funzionali all’aggiudicazione “preferenziale” dei lavori”.
Il collegamento fra Romano e la società di Ciancimino-Provenzano è rappresentato dal professore Gianni Lapis, indicato come l’uomo di fiducia di “don” Vito Ciancimino e la mente economico-politica del figlio Massimo Ciancimino.
Lapis è stato condannato in Cassazione per tentata estorsione mentre ha ottenuto la prescrizione per avere fatto da prestanome a Ciancimino.
Dalle conversazioni di Romano depositate alla Camera emerge il collegamento fra Lapis, il gruppo dell’Udc in Sicilia e le somme che avrebbe incassato.
Un pagamento che mette l’attuale ministro “a disposizione” del clan Ciancimino.
Ai politici Ciancimino versò in un solo anno un milione 330 mila euro.
Gli investigatori sottolineano che è “emblematico” quanto accadde il 3 divembre 2003 quando Lapis chiamò Romano che si trovava nell’aula del Parlamento per chiedergli due favori: inserire un emendamento nella legge finanziaria e ottenere un’udienza al ministero delle Attività produttive, “con l’intima consapevolezza che Romano non avrebbe potuto negarglieli, vista la somma di denaro che attendeva da Lapis”.
Per poter agevolmente acquistare metano dalla Russia e essere autorizzato a rivenderlo in Italia, Lapis aveva la necessità che fosse presentato un emendamento alla Finanziaria.
Le intercettazioni rivelano che il professore dopo aver assicurato Romano che il giorno dopo si sarebbero visti “per definire la transazione economica promessa”, gli chiede di intervenire in modo da far integrare l’emendamento a proprio vantaggio.
E Romano “si mise immediatamente a disposizione”, invitandolo a inviargli un fax con la stesura del testo da presentare.
Gli investigatori evidenziano che “due giorni dopo la vendita del gruppo Gas che permise al professore Lapis di avere una disponibilità economica di circa 20 milioni di euro, i politici dell’Udc (oltre a Romano, Salvatore Cuffaro e Salvatore Cintola) si sono prodigati per agevolare Lapis”.
Per questo motivo il giudice sostiene che Romano farebbe parte di un “comitato d’affari”:
“I politici gestiscono il flusso della spesa pubblica e le autorizzazioni amministrative; gli imprenditori si occupano della gestione dell’accesso al mercato; i mafiosi riciclano capitali, partecipano agli affari e mettono a disposizione la forza materiale per rimuovere gli ostacoli che non è possibile rimuovere con metodi legali”.
Al ministro viene contestato che “nello svolgimento delle sue funzioni pubbliche si sarebbe messo al servizio degli interessi” delle holding di Ciancimino-Provenzano.
Per i favori concessi Romano avrebbe ricevuto in tre tranche somme in contanti per circa 500 mila euro.
Le conversazioni telefoniche evidenziano un “rapporto di stabile disponibilità ” del ministro in favore della società energetica che stava a cuore a Provenzano.
Per l’uomo dell’Udc e oggi leader dei Responsabili, il professore Lapis era diventato una fonte di approvigionamento dal quale non avrebbe voluto più staccarsi.
Tanto che dopo il terzo versamento in contanti, Romano continua a chiamare Lapis, da come emerge dalle intercettazioni depositate alla Camera. Il 22 marzo 2004 il deputato telefona per la terza volta, nell’arco di poche ore. Lapis risponde un po’ infastidito e gli dice di non avere novità e che presto gli avrebbe fatto sapere.
“Non abbiamo novità per quelle cose… perchè io non ci sono stato e debbo provvedere ancora, va bene?”.
Romano risponde:”Mi fai sapere tu allora”.
Lapis chiude la telefonata, annuisce, ma non si ribella.
Perchè pagando Romano gli si erano aperte molte porte.
Lirio Abbate
(da “L’Espresso“)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
TRISTE FINE PER UN’ALTRA PALLA MEDIATICA DEL PREMIER: BOCCIATO IL PROGETTO… BRUXELLES: “SE L’ITALIA VUOLE IL PONTE SE LO DEVE PAGARE”
A Bruxelles nessuno ci ha mai creduto davvero.
Eccetto forse Antonio Tajani quando era commissario Ue ai Trasporti.
Con la pubblicazione delle linee guida delle grandi reti infrastrutturali nel campo dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni, il progetto del Ponte sullo Stretto finisce definitivamente nel cestino.
Non ce n’è infatti traccia nella lista delle priorità strategiche delle grandi reti transeuropee per il periodo 2014-2020.
Per quanto riguarda l’Italia si parla dei collegamenti ferroviari Napoli-Bari, Napoli-Reggio e Messina-Palermo. Ma del Ponte sullo Stretto nemmeno l’ombra.
A togliere ogni dubbio ci ha pensato Siim Kallas, attuale commissario Ue ai Trasporti: “Non prendiamo alcun impegno, è il Governo italiano a dover prendere una decisione”.
Il che tradotto in parole semplici vuol dire “l’Europa non ci mette nemmeno un euro perchè non è un progetto importante”.
Insomma, se il Governo Berlusconi vorrà davvero costruire “il ponte più lungo del mondo” dovrà farlo di tasca propria.
E non sarà facile, dal momento che il coordinamento degli studi sugli impatti del Ponte sullo Stretto ha stimato un costo di circa 9 miliardi di euro, senza contare le centinaia di milioni spesi finora in studi e valutazioni preventive.
Non fa una piega il ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli: “Il Ponte per il governo resta una priorità essenziale per lo sviluppo del sistema dei trasporti dell’Italia”.
Tant’è che se Bruxelles non ne vuole sentire parlare, “il Ponte sullo Stretto lo faremo con i soldi dei privati”.
Se non ci fossero di mezzo interessi per miliardi di euro sembrerebbe quasi una questione di principio.
Strano che, vista la “vitale importanza” del Ponte per i trasporti italiani ed europei individuata dal ministro Matteoli, la Commissione europea non ne abbia riservato nemmeno un euro dei circa 50 miliardi destinati alla realizzazione delle grandi reti transeuropee, 31,7 dei quali solo per i trasporti (il resti andrà alle reti energetiche e delle telecomunicazioni, in particolare alla diffusione di Internet a banda larga).
Si tratta delle cosiddette reti TEN-T, un network fatto di assi prioritari ferroviari, marittimi, portuali e telematici che dovrebbe connettere tutta Europa in modo efficiente e univoco, il completamento ultimo del mercato interno europeo.
Più che un progetto unico una visione dell’Europa del futuro, elaborata per la prima volta negli anni Ottanta e finanziata con miliardi e miliardi di euro.
Insomma, contrariamente al Ponte sullo Stretto, una cosa seria.
Di sicuro non si può parlare di decisione “anti-italiana”, dal momento che rientrano nelle priorità individuate dall’Ue l’inserimento nel corridoio Baltico-Adriatico dei collegamenti ferroviari e delle piattaforme multimodali di Udine, Venezia e Ravenna, i porti di Ravenna, Trieste e Venezia, l’asse ferroviario Torino-Lione e Genova-Milano-Svizzera, il tunnel del Brennero, il potenziamento della ferrovia Napoli-Reggio Calabria e della tratta Napoli-Bari.
Forse anche un miglioramento del collegamento tra Messina e Palermo.
“A Bruxelles era chiaro che si trattava solo di un bluff del governo italiano. Esisteva solo nella testa di Berlusconi e Matteoli”, ha commentato a caldo Giommaria Uggias (Idv) membro della commissione Trasporti al Parlamento europeo.
“Nelle istituzioni europee era risaputo che il ponte non sarebbe mai stato finanziato. Meglio liberare risorse per opere pubbliche essenziali e alternative come ferrovie ordinarie e collegamenti marittimi”.
L’unico rischio concreto è di perdere questi finanziamenti per l’inerzia del governo italiano. Si perchè quelli dell’Unione europea sono solo “cofinanziamenti”, ovvero possono essere stanziati solo in aggiunta ai finanziamenti nazionali di un determinato progetto. Il che vuol dire che l’Ue mette solo una parte, di solito inferiore al 10%, dei soldi che servono alla realizzazione, ad esempio, di una certa tratta ferroviaria.
Se Roma non mette il resto, quindi l’assegno più grosso, Bruxelles si riprende i fondi. E’ quello che si sta rischiando con il corridoio V Lione-Trieste.
Al di là della battaglia in Val di Susa, l’Italia sta rischiando di perdere l’aiuto Ue per l’assenza di fondi nazionali stanziati al progetto e l’incapacità delle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia di trovare un accordo su dove far passare i binari al loro confine. Nonostante questo rischio, il Ministro Matteoli promette di trovare i 9 miliardi di euro per il Ponte sullo Stretto.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
L’ALA DURA DEL MOVIMENTO DOPO GLI SCONTRI DI SABATO: “PORTIAMO IL CONFLITTO DALLA VAL SUSA ALL’ITALIA”
“In Val di Susa ci siamo sempre stati e ci saremo finchè vivrà quella lotta. Perchè gli
abitanti lo hanno detto: ‘Siamo tutti black bloc’. Quella lotta è giusta e non ci sono nè buoni nè cattivi”.
L’anonimato è la condizione per parlare con noi.
Questo che segue è il pensiero di molti di quelli che hanno partecipato agli scontri sabato a Roma.
Questo è quello che emerge da una lunga conversazione mai pubblicata prima d’ora da un organo di stampa.
Una bozza di manifesto politico, che, rivendicando gli episodi di violenza nella Capitale, getta lo sguardo sul futuro.
E questo futuro si chiama insurrezione.
L’attacco è frontale: dai pacificisti (“massa di cittadini belanti”) agli indignati (“espressione di un mondo che sta morendo”), fino al riferimento ai disobbedienti di Luca Casarini, “pronti a vendersi per quattro poltrone a sinistra del Parlamento”.
Così tutto assume una luce diversa: quello che è stato — G8 di Genova, roghi di Terzigno e manifestazioni studentesche più recenti — e quello che sarà .
A partire da domenica prossima sulle montagne della Val di Susa.
Cosa succederà alla manifestazione dei No Tav?
Si dirimeranno una serie di ambiguità . Penso alla motivazione della protesta, a ciò che è stato indetto. Qualcuno ha detto: “Andremo a tagliare le reti del cantiere per aprire spiragli di democrazia”. Questa è retorica volgare e falsa, crea solo ambiguità . Perchè se gli abitanti, i compagni della Val di Susa hanno deciso che ci sarà una chiamata nazionale per tagliare le reti del cantiere vuol dire che si commetteranno più reati: tagliare una rete è danneggiamento, entrare nel cantiere è invasione di proprietà privata e sfondare il plotone della celere è resistenza. Non sarà un atto democratico, ma è un atto che va fatto. La Tav non si farà mai e lo sa anche Maroni.
Roma, sabato 15 ottobre: cosa è stato
Quando la storia compie un tornante, ci sono sempre dei moti di piazza. Sono anche questi ad accelerare o a far rallentare il corso della storia. Non so se è stata una vittoria, ma per qualcuno — specie per chi ha chiamato alla guerra per poi ricondurre il tutto a un democratico pascolo mirato a vendersi questa massa di cittadini belanti per qualche poltrona a sinistra del parlamento — beh, per loro è stata una sconfitta sonora. Per la rivoluzione e per chi la vuole, invece, è stata una giornata importante, vittoriosa, seppur con molti problemi, contraddizioni e limiti. E con tutta una serie di questioni che andrebbero ripensate. Di sicuro per tutti quelli che subiscono la violenza quotidiana della crisi, è stata una giornata di rivalsa.
Quali sono i vostri rapporti con gli Indignati?
Prima del 15 ottobre si poteva pensare che fossero ingenui e naif, che rincorressero una triste utopia, che fossero espressione di un mondo che sta morendo, di riferimenti politici anacronistici. Non scacciano la casta e si fanno strumento per mantenerla in vita, perchè vogliono mandar via il cattivo governo per avere il buon governo. Quest’ultimo però non esiste, è un’illusione così come la rivoluzione democratica. Qualcuno che era al nostro fianco a Roma, il giorno dopo ha avuto la viltà di accettare la delazione, la social delation tramite il web, Facebook e gli altri social network. È stato terribile vedere sui giornali e su Facebook la caccia alle streghe, cercando le foto dei manifestanti da indicare alla polizia. È un atteggiamento che a livello storico è identico a quello del bravo cittadino italiano che indicava alle Ss il suo vicino ebreo. È un comportamento vergognoso. E comunque è un movimento che in Italia non potrà mai attecchire: è un progetto politico nato monco e morto giovane.
Qual è il vostro obiettivo?
La rivoluzione, la distruzione e il superamento dello stato di cose presenti. Il terrorismo, la logica dei gruppetti armati contro lo Stato è una logica perdente, noiosa e non ci appartiene minimamente. Pensiamo che la situazione attuale è insostenibile e che ci voglia una forza che sappia spazzare via il passato, la politica classica, la finta illusione di libertà , il capitalismo mercantile e forse la democrazia stessa. Questo sì. Ma non sarà nè il terrorismo, nè la lotta armata nè la clandestinità il nostro orizzonte. Non cadremo in questa trappola. Una delle evidenze della nostra epoca è che i canali di mediazione tra governo e popolazione governata sono chiusi. Finisco con una citazione di un libro: “Non c’è più da aspettare un miglioramento, la rivoluzione, l’apocalisse, nucleare o un movimento sociale. Aspettare ancora è una follia…”.
Lorenzo Galeazzi, Pierluigi G. Cardone ed Elena Rosselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile
SPUNTA ANCHE L’ADDIZIONALE IRPEF SULL’ALIQUOTA PIU’ ALTA… COME PER QUELLO DEL 1994 SI DOVREBBE BASARE SULL’ISTITUTO DELL’ACCERTAMENTO CON ADESIONE
Un concordato di massa, con centinaia di migliaia di “inviti” agli evasori a “patteggiare”, per rastrellare 5 miliardi.
E’ questa la soluzione che avanza all’interno del governo, confermata dallo stesso presidente del Consiglio Berlusconi che ha ammesso che sulla sanatoria c’è “una discussione in corso”.
La proposta è emersa dalla riunione della cabina di regia di martedì notte e porta la firma di due esponenti del Pdl, l'”anti-tremontista” Guido Crosetto e lo specialista di questioni fiscali Maurizio Leo.
Sull’operazione tuttavia pende il punto interrogativo del giudizio del ministro dell’Economia Giulio Tremonti il quale ieri è tornato a rivendicare la politica dei “rubinetti chiusi” alla spesa pubblica: “Non aver fatto una politica di stimoli è stata una felix culpa”, ha detto.
Il concordato di massa dovrebbe ricalcare quello già messo in campo nel 1994 dall’allora ministro Tremonti, e fare perno sull’istituto, già presente nel nostro ordinamento tributario, dell'”accertamento con adesione”.
In pratica l’Agenzia delle Entrate dovrebbe fare uno screening dei contribuenti (grazie a banche dati e anagrafi varie), individuare gli evasori ed inviare una montagna di inviti ad aderire al concordato.
La differenza con l’attuale accertamento con adesione, che consente al singolo contribuente, una volta “accertato” dalla Finanza, di optare per la via del patteggiamento, previo contrattazione con l’amministrazione finanziaria, è che l’operazione di massa non prevederebbe singole contrattazioni con l’Agenzia delle entrate, ma sarebbe del tipo “prendere o lasciare”, o accetti o l’accertamento va avanti e sono guai peggiori.
Naturalmente il concordato di massa rientra nella famiglia delle sanatorie, con tutti i problemi etici conseguenti.
Tuttavia il concordato tecnicamente non è un vero e proprio condono perchè l’evasore viene individuato dall’amministrazione finanziaria e – secondo il progetto in discussione – l’adesione non chiude la strada ad ulteriori accertamenti e non sana i reati.
Tre le proposte sul tavolo del governo anche altre misure: si parla di una addizionale Irpef del 5 per mille sull’aliquota più alta, quella del 43 per cento (sopra i 75 mila euro) e anche di emissioni di titoli di Stato a tassa più bassi di quelli di mercato garantiti dal patrimonio pubblico.
Mentre l’efficacia del decreto sviluppo è sempre appesa al filo delle risorse, un nuovo monito arriva da parte del Quirinale: bisogna “abbattere il debito gradualmente – ha detto Napolitano – ma a ritmo sostenuto e costante, puntando insieme ad una nuova fase di crescita”.
Replica di Berlusconi che è tornato sulla sua posizione di martedì (“Non ci sono soldi”): “Stiamo lavorando, ma non è facile, ci sono problemi”.
Mentre continuano i maldipancia: ieri i parlamentari della maggioranza, Urso, Ronchi e Scalia, hanno minacciato di non votare il provvedimento se sarà “senza risorse e senza riforme”.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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