Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
TRA CONFERME E SMENTITE, CONTINUA IL TEATRINO BERLUSCONIANO TRA ANNUNCI DI DIMISSIONI E PROCLAMI DI LOTTA… LETTA: “SE CADE L’ESECUTIVO, GLI IMPEGNI RESTANO”… GLI INTERESSI DI MEDIASET DIETRO L’INVITO ALLA RESISTENZA COL VINAVIL ALLA POLTRONA
Silvio Berlusconi non si dimette: «Domani si vota il rendiconto alla Camera, quindi porrò
la fiducia sulla lettera presentata a Ue e Bce. Voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi».
Il presidente del Consiglio ferma così, con una telefonata al quotidiano Libero, la girandola di voci su un suo possibile passo indietro.
Stop alle voci, alle congetture, al «De profundis» intonato al governo per tutta la mattina.
«Che Silvio Berlusconi stia per cedere il passo è cosa acclarata, è questione di ore. Alcuni dicono di minuti».
Anzi, no: «Berlusconi si presenta alle Camere, chiede la fiducia per varare la legge di stabilità e il maxiemendamento, annuncia che si dimetterà un minuto dopo e che chiede le elezioni a gennaio. Di questo si discute».
A dare il via alla ridda di ipotesi sulla prossima – o ultima – tappa del governo, è stato il direttore del Foglio, Giuliano Ferrara.
In un primo messaggio video, pubblicato questa mattina sull’edizione online del quotidiano, Ferrara dava per certe le dimissioni, parlando anche del dopo, dicendo che «qualunque soluzione mascherata di emergenza che non siano le elezioni subito è inutile».
Poi sono piovute le smentite.
In primis quella del diretto interessato, che da Arcore – dove ha incontrato i figli Pier Silvio e Marina e il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri – ha eliminato ogni dubbio, pur attraverso una pagina Facebook: «Le voci di mie dimissioni sono destituite di fondamento e non capisco come siano circolate».
Immediatamente dopo, lo stop alle illazioni arriva da Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, che in una nota ufficiale riporta le parole del premier: «Ho parlato poco fa con il presidente Berlusconi che mi ha detto che le voci sulle sue dimissioni sono destituite di fondamento».
E subito ecco anche Ferrara correggere il tiro.
La notizia delle dimissioni era stata accreditata anche dal vice direttore di Libero, Franco Bechis, che su Twitter, poco prima di Ferrara, annunciava che il vertice Pdl di domenica sera «si è chiuso con l’intesa che entro domani» Berlusconi «annuncerà » le dimissioni e proporrà un «governo Letta».
Salvo poi fare marcia indietro: «dopo aver parlato con la famiglia, Berlusconi avrebbe deciso di sfidare anche i suoi chiedendo la fiducia sul testo della lettera della Bce», «cinguetta» Bechis, sul social media.
E ancora, nel giro di una manciata di minuti: «Nuova linea Pdl. Governo forza subito fiducia in Senato su maxi-emendamento. Se lì ha i numeri e Camera no, elezioni inevitabili».
Insomma, solo voci, quelle delle dimissioni del premier, iniziate a circolare da ieri sera, e rafforzate da due direttori a lui vicini, stamani: Bechis e Ferrara, appunto.
D’altronde, già ieri, per tutto il giorno, Berlusconi aveva smentito l’ipotesi di un passo indietro. Dal suo staff la conferma che il Cavaliere non avrebbe alcuna intenzione di mollare, nonostante le pressioni provenienti dallo stesso Pdl: i dissidenti chiedono le dimissioni del premier per lasciare spazio a un altro governo, con una maggioranza più ampia, in grado di far fronte alla difficile crisi economica e finanziaria, guidato magari dal sottosegretario Gianni Letta.
Un’ipotesi cui sembra guardare anche lo stesso Letta, quando in conferenza stampa a Palazzo Chigi (si parla dell’accordo con la Commissione Europea sui fondi per il Sud, ndr) dice che «nel passaggio da un governo ad un altro – non è che lo stia auspicando – gli impegni assunti non si rinnovano e non cadono, ma continuano. Si chiama principio della continuità amministrativa».
Ma intanto quelle voci che si rincorrono, rimbalzate in Borsa a Milano, fanno recuperare immediatamente terreno a una seduta partita in negativo e poi arrivata a guadagnare il 3% (con lo spread sceso a quota 473 punti base dal record iniziale, 491); salvo invertire bruscamente la tendenza, dopo le smentite.
La settimana politica si era aperta con forti pressioni sul governo e con la conta dei deputati con il pallottoliere.
Dopo l’umiliazione subita al G20 di Cannes, durante il quale ha dovuto chiedere il monitoraggio del Fondo monetario internazionale sull’attuazione delle misure urgenti, per colmare la crisi di credibilità di cui soffre, Berlusconi ha visto crescere il numero delle defezioni nel suo partito.
Il tutto mentre dalla Lega il ministro Maroni osservava che «la maggioranza sembra non esserci più» e che «è inutile accanirsi».
Sul campo, c’è ancora l’ipotesi che Berlusconi tenti oggi in extremis di «riacciuffare» qualcuno dei dispersi e, qualora non ce la facesse, si dimetta tra stasera – quando tornerà a Roma – e domani.
Magari dopo il passaggio del voto sul Rendiconto previsto a Montecitorio, che anche senza maggioranza passerebbe grazie all’astensione delle opposizioni.
Il primo test ufficiale attende Berlusconi alla Camera domani, in occasione della votazione del Rendiconto generale dello Stato per il 2010, legge sulla quale il governo è già andato sotto una volta e senza la quale si paralizza l’attività pubblica.
Dopo il rendiconto ci sarà l’esame del ddl di assestamento.
Diversi ribelli del Pdl hanno detto che voteranno il Rendiconto poichè si tratta di un atto dovuto. Le opposizioni invece potrebbero astenersi con l’intento di far emergere i numeri della maggioranza.
Se questi fossero inferiori alla maggioranza assoluta di 316, Berlusconi non sarebbe forzato a dimettersi ma potrebbe prendere atto di un indebolimento tale della maggioranza da non consentire lo svolgimento di un’efficace azione di governo.
L’ostacolo successivo si porrebbe per Berlusconi al Senato, dove verrà presentato, a partire da mercoledì, il maxi emendamento alla legge di Stabilità con le misure anti crisi promesse all’Europa. Berlusconi ha annunciato a Cannes che chiederà la fiducia di palazzo Madama in modo che nel giro di 10-15 giorni gli interventi chiesti dall’Unione europea siano approvati. Finora il governo ha goduto al Senato di una maggioranza più solida rispetto a quella della Camera, ma un drammatico peggioramento della situazione sui mercati internazionali potrebbe far precipitare i numeri della coalizione anche a palazzo Madama.
I lavori parlamentari avverranno sotto gli occhi dei rappresentanti della Commissione europea che insieme a quelli del Fondo sono stati incaricati di seguire le mosse dell’Italia e certificarne i passi avanti sulla strada del risanamento e del rilancio economico.
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DE IL FOGLIO E IL VICEDIRETTORE DI LIBERO CONFERMANO LE VOCI DI DIMISSIONI IMMINENTI
Si sta facendo forte la pressione sul governo, all’apertura della settimana politica, a causa delle nuove defezioni dal Pdl.
Si combatte con il pallottoliere, mentre Silvio Berlusconi apparentemente si dice sicuro di poter andare avanti.
Il tutto mentre dalla Lega il ministro Maroni osserva che la maggioranza sembra non esserci più e che «è inutile accanirsi».
Il capogruppo alla Camera, Cicchitto, dice che nel Pdl non c’è disperazione ma riconosce che ci sono difficoltà politiche.
E ammette che sarà braccio di ferro sui deputati indecisi in vista del voto decisivo di domani sul Rendiconto dello Stato.
La certezza del vicedirettore di Libero invece è che «Berlusconi si dimette».
Franco Bechis affida la sua previsione a Twitter. E pochi minuti dopo aggiunge: «Il Pdl gli aveva chiesto di farlo oggi, lui ha detto no perchè ha appuntamenti privati a Milano. O stasera o domattina».
Accredita l’ipotesi delle dimissioni anche il direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, che il un video pubblicato sul sito del quotidiano sostiene: «Che Silvio Berlusconi stia per cedere il passo è cosa acclarata, è questione di ore. Alcuni dicono di minuti».
Il premier è volato di primo mattino da Roma a Milano per impegni definiti «privati».
Dallo staff viene spiegato che il Cavaliere non avrebbe alcuna intenzione di mollare, nonostante le pressioni provenienti dallo stesso Pdl: la linea emersa, e che è stata consigliata al premier nel corso del vertice notturno di palazzo Grazioli, è quella di lasciare per «favorire un governo Letta».
Berlusconi potrebbe tentare oggi in extremis di «riacciuffare» qualcuno dei dispersi e, qualora non ce la facesse, dimettersi tra stasera – quando tornerà a Roma – e domani.
Magari dopo il passaggio del voto sul rendiconto previsto a Montecitorio, che anche senza maggioranza passerebbe grazie all’astensione delle opposizioni.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
L’ULTIMO PRESSING DEI VERTICI PDL IN UN DRAMMATICO VERTICE NOTTURNO A PALAZZO GRAZIOLI…IL PREMIER: “BISOGNA RESISTERE E POI VOTARE CON NOI A PALAZZO CHIGI”… E BERLUSCONI PENSA DI OFFRIRE A NAPOLITANO LA RIELEZIONE
“Silvio è finita”. Dopo un pomeriggio passato a Palazzo Grazioli con Alfano, Letta e i
capigruppo del Pdl, il Cavaliere è sul punto di mollare.
Se il pressing del gruppo dirigente del Pdl sortirà il suo effetto, oggi stesso Berlusconi salirà al Colle per rassegnare le dimissioni.
i conclude così, in maniera drammatica, una lunghissima giornata, che ha visto le residue certezze del premier cadere una ad una.
Fino al colpo annunciato alle 20.22 dall’agenzia TmNews – l’uscita dal Pdl di Gabriella Carlucci 1 – che investe in pieno il capo del governo lasciandolo “incredulo”.
Da quel momento tutto precipita, finchè anche Bobo Maroni, da Fabio Fazio, non certifica la crisi in atto: “La maggioranza non c’è più ed è inutile accanirsi”.
L’epilogo tuttavia non è scritto, e potrebbe rivelarsi più difficile del previsto.
Perchè il Cavaliere ancora a tarda notte puntava i piedi, minacciando persino una grande manifestazione a Roma contro i “ribaltonisti”.
Pronto a chiedere il voto anticipato a Napolitano nel caso a Montecitorio la maggioranza, come sembra, dovesse venir meno.
“Io non mi vado a dimettere – ha ripetuto fino all’ultimo nella riunione a via del Plebiscito – perchè ci conviene andare a votare a gennaio restando noi a palazzo Chigi”.
Berlusconi è pronto a tutto, persino ad avanzare un’offerta spericolata al capo dello Stato. “Se ci dà le elezioni noi possiamo garantirgli un secondo mandato al Quirinale nel 2013”.
Gli ultimi calcoli fatti durante il vertice non consentono più margini di manovra.
Nella migliore delle ipotesi discusse davanti al premier – migliore ma irrealistica – maggioranza e opposizione sono pari a 314 voti (a cui aggiungere Alfonso Papa agli arresti e Gianfranco Fini che non vota).
Trecentoquattordici voti, ma in realtà nel Pdl c’è un’intera area di forzisti della prima ora in subbuglio.
Non solo Bertolini, Stracquadanio e i firmatari della lettera dell’Hassler. C’è una zona grigia di malessere che sfugge a ogni certezza.
Persino Denis Verdini, che da un anno ha saputo garantire al capo del governo una precisione chirurgica sui numeri, stavolta sembra abbia alzato le mani. Non ci sono certezze.
“Rischiamo la slavina”, gli hanno ripetuto in coro capigruppo e ministri.
“Non puoi fare la fine di Prodi – gli dicono – e cadere per un voto in Aula.
Sarebbe un suicidio politico. In questo modo non avresti più titolo di parlare, l’iniziativa ci sfuggirebbe completamente di mano”. Il premier, messo alle strette, ancora non ha deciso cosa fare.
L’hanno sentito parlare di tre fantomatici deputati dell’Udc e di uno del Pd in arrivo nel Pdl.
Ma i presenti si sono guardati negli occhi senza crederci. Dice di temere per le sue aziende. Racconta che anche i figli sono preoccupati per le ripercussioni su Mediaset, gli chiedono di non mollare.
Ma la realtà è senza scampo.
Verdini calcola in 23 deputati l’area del malcontento. Gente che magari domani pomeriggio potrà anche votare a favore del Rendiconto, ma che non garantirà di proseguire l’esperienza di governo.
È dunque finita per Berlusconi, ma a questo punto gli uomini al vertice del Pdl stanno facendo di tutto per convincerlo a non trascinare a fondo tutto il centrodestra.
Per farlo c’è un unico modo: “Devi anticipare la crisi di governo andando a dimetterti e negoziando le condizioni per il nuovo governo”.
Un’impresa resa più difficile dopo la chiusura fatta da Pier Luigi Bersani a un esecutivo guidato da Gianni Letta.
Una chiusura a cui è sembrato accodarsi anche Pier Ferdinando Casini che ha detto chiaro e tondo che un nuovo governo non può nascere senza l’apporto del Pd.
“Se Casini va dietro Bersani e dice di no a Letta – ragiona preoccupato un ministro del Pdl – è davvero finita. Vuole dire che ha stretto un patto con il Pd per farsi eleggere al Quirinale. Allora ci sono soltanto le elezioni”.
Quanto a Mario Monti, Berlusconi dicono che non potrebbe mai accettarlo.
A tarda notte nel corso del vertice viene elaborata un’ultima offerta da portare a Casini.
Quella di un governo Alfano-Maroni, un ticket che aprirebbe una nuova fase con un’offerta di collaborazione al terzo polo. Al terzo polo, non al Pd.
In questo modo, sperano i dirigenti del Pdl, si ricompatterebbe intanto il centrodestra esistente, sedando la ribellione dei deputati. Inoltre si metterebbe in difficoltà Casini, che avrebbe difficoltà a rifiutare quel nuovo esecutivo senza il Cavaliere che proprio l’Udc chiede da un anno a questa parte.
Ma questi sono scenari spericolati visto che, al momento, l’ipotesi elettorale sembra quella più accreditata.
Il ministro Romano, uscito dall’Udc, spinge per il voto anticipato.
E con lui tutti i falchi del Pdl. Persino Gianfranco Rotondi ha minacciato Berlusconi di non dare il via libera a un nuovo governo con l’Udc.
Ha raccolto 27 firme di parlamentari su una lettera in cui si accusa Berlusconi di aver tradito il berlusconismo.
Sono i paradossi delle ore di crisi.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER AGGRAPPATO ALLA TAVOLETTA DEL NAUFRAGO INSISTE A NEGARE CHE LA NAVE STIA AFFONDANDO… ANCHE GABRIELLA CARLUCCI PASSA ALL’UDC: “NEL 1994 HO CAMBIATO LA MIA VITA PERCHE’ CREDEVO IN FORZA ITALIA, ORA IL PDL E’ TROPPO DISTANTE DAI PROBLEMI REALI DEL PAESE”
Il voto sul Rendiconto, in programma martedì a Montecitorio, assume sempre di più i contorni di un appuntamento cruciale per il governo. Non solo.
L’esecutivo potrebbe trovarsi a fare i conti anche con una mozione di sfiducia delle opposizioni. Silvio Berlusconi, però, non mostra tentennamenti.
«Abbiamo verificato in queste ore, con numeri certi, che la maggioranza c’è», ha assicurato collegato telefonicamente con la convention di Azione Popolare.
Ma intanto il Pdl perde un altro pezzo, importante, perchè si tratta di una delle fedelissime della prima ora, l’ex-showgirl Gabriella Carlucci.
La deputata passa all’Udc: «Aderisco a questo partito che fa parte del Ppe, perchè spero che i moderati possano trovare nuove strade».
Così la parlamentare in una nota in cui annuncia l’addio al Pdl e afferma:« Ho con passione contribuito alla crescita di Forza Italia dal 1994 nel campo delle attività culturali e dal 2001 in Puglia dove con spirito di servizio mi dedico, tra l’altro, alla cura dei problemi amministrativi del Comune di Margherita di Savoia dove sono Sindaco. Ho cambiato la mia vita, con grandi sacrifici familiari, perchè ho creduto nella politica, ma non in quella che da qualche tempo non riesce a preoccuparsi di quanto drammaticamente sta accadendo e ritengo che un Governo di larghe intese possa essere l’unica soluzione per salvare il Paese».
E dire che il Premier aveva detto: «Nonostante le defezioni che mi auguro possano rientrare, siamo ancora maggioranza», aggiunge il presidente del Consiglio, mentre da più parti e anche da alcuni dei suoi gli arrivano inviti a fare un passo indietro, a «non arroccarsi» alla fortezza del Pdl, a fare attenzione ai numeri «troppo risicati».
Se il governo dunque sembra appeso al pallottoliere, il Cavaliere è comunque convinto di avere ancora la maggioranza.
Per questo insiste sul fatto che non esiste alcuna alternativa a questo esecutivo se non il voto, ribadendo il suo «no» a governi tecnici o di larghe intese.
Se l’opposizione votasse contro o facesse ostruzionismo sulle misure chieste dall’Ue, è l’avvertimento di Berlusconi, «si assumerebbe una chiara responsabilità ».
Al contrario di quanto afferma il premier, per il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, l’esecutivo non ha più i numeri: «Il problema non è il voto di martedì sul Rendiconto nè quello che avverrà nelle prossime ore – spiega il deputato -. Berlusconi non ha più la maggioranza alla Camera, o si dimette o presto i parlamentari che vogliono un governo di emergenza per salvare il Paese voteranno la sfiducia per poterlo far nascere».
Lo stesso Pier Luigi Bersani conferma a In mezz’ora che l’opposizione presenterà una mozione di sfiducia anche e soprattutto se dovesse essere approvato il Rendiconto.
Il leader Pd chiude poi all’ipotesi di un governo tecnico guidato da Gianni Letta o da Renato Schifani: «Sarebbe un governo di centrodestra e non si vede come potrebbe fare quello che non ha fatto il governo Berlusconi», spiega Bersani.
Frena sulla mozione di sfiducia il leader dell’Idv Antonio Di Pietro. «Prima dobbiamo avere i numeri e poi presentare la mozione di sfiducia. In questo momento non è tanto in discussione la mozione di sfiducia del centrosinistra ma la presa d’atto dello sfaldamento del centrodestra», chiarisce l’ex pm.
Un invito alla cautela arriva a Berlusconi da Claudio Scajola. «I numeri in Parlamento sono diventati molto risicati – avverte l’ex ministro intervistato da Maria Latella -, siamo riusciti ad andare avanti un anno in un momento difficilissimo per la crisi economica, oggi questi numeri, con le ulteriori uscite, sembrano non esserci più, allora il mio invito a Berlusconi è che o riesce a mantenere le redini del governo oppure deve farsi lui stesso protagonista di un cambiamento».
Critiche al nostro Paese arrivano intanto dalla Francia.
L’Italia ha un «problema di credibilità , è vero. Bisogna lottare contro questa sfiducia», ha detto il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, affermando a Radio Europe 1 che è necessario vigilare sull’impegno del governo italiano sulle riforme.
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
SAREBBE GIA’ PRONTO IL GRUPPO AUTONOMO ALLA CAMERA… SE SI REALIZZA PER BERLUSCONI E’ LA FINE…IL TERZO POLO PER UN GOVERNO DI UNITA’ NAZIONALE CHE AFFRONTI L’EMERGENZA
I ribelli, finora, hanno viaggiato in ordine sparso. 
Adesso vogliono offrire la prova di forza finale contro Berlusconi: un gruppo parlamentare da costituire tra domani e dopodomani.
Venti deputati che si uniscono sotto la stessa sigla per chiedere al premier di lasciare mandando in frantumi la maggioranza.
Si potrebbe chiamare, fantasticando, “PI”: il gruppo del “passo indietro”. Giustina Destro, che si è sfilata dal Pdl qualche giorno fa, lo annuncia senza esitazioni: “Siamo pronti”.
Nomi e cognomi sono nel taccuino di chi sta organizzando il dissenso.
Alcuni già noti, ma non sufficienti per avere un proprio spazio autonomo alla Camera.
Quelli tenuti coperti però fanno schizzare all’insù le adesioni e gettano nel panico Denis Verdini e gli altri reclutatori del Pdl.
I firmatari della lettera che ha messo in mora il premier mercoledì scorso costituiscono il nucleo chiave del gruppo.
Sono Roberto Antonione, Fabio Gava, la Destro, Isabella Bertolini, Giorgio Stracquadanio e Giancarlo Pittelli.
Nessuno di loro si è mosso, nessuno ha ceduto ai ripensamenti.
A questa pattuglia bisogna aggiungere Giuliano Cazzola e Giancarlo Mazzuca. Bolognesi, il primo ex sindacalista il secondo ex direttore del Resto del Carlino. Sono in sofferenza e non lo nascondono.
Credono a un nuovo governo Pdl-Lega ma senza Berlusconi.
Sponsorizzano l’ipotesi Letta. Aspettano, trepidano.
Potrebbero votare il Rendiconto e poi salutare la baracca governativa.
Vacilla un fedelissimo della maggioranza come Pippo Gianni. Il suo partito, il Pid, è stato il più premiato dopo il 14 dicembre con l’assegnazione di un ministero a Saverio Romano nonostante i guai giudiziari.
Eppure Gianni non si nasconde e mette nero su bianco il suo disagio.
Siamo a quota 9, lontani dalla meta.
I riflettori adesso sono puntati sulla improvvisa defezione di tre responsabili. Giovedì hanno lasciato Popolo e Territorio, il gruppo di Silvano Moffa, Arturo Iannacone, Elio Belcastro e Americo Porfidia.
Sono passati al gruppo Misto garantendo la fiducia all’esecutivo.
Ma la loro può essere solo una tappa di avvicinamento alla sfiducia.
Si era parlato di dissidi con il capogruppo, cosucce personali da risolvere con una bella chiacchierata. Non è così.
Giustina Destro conteggia anche i tre. Ieri i ribelli consideravano conquistata alla causa anche l’ex olimpionica Manuela Di Centa.
Lei smentisce con decisione: “Farò quello che mi dice di fare Berlusconi”. Eppure il nome compare nel taccuino di Antonione, friulano come lei.
Manca lo sprint decisivo.
Michele Pisacane e Antonio Milo hanno già tenuto Berlusconi con il fiato sospeso durante il voto di fiducia del 14 ottobre.
Pisacane creò ad arte un po’ di suspence entrando per ultimo nell’aula di Montecitorio. Il loro disagio però è sempre presente.
E può portare il gruppo del dissenso a 15 deputati.
Ma Cicchitto, Verdini e Alfano sanno che sono molti di più i parlamentari pronti alla fuga.
E l’approdo in un gruppo autonomo è sicuramente più appetibile di una frammentazione nei gruppuscoli del maldipancia che si sono formati in queste ultime settimane.
Questi movimenti nella maggioranza vengono seguiti e spinti dai sostenitori dell’esecutivo di emergenza.
Gianfranco Fini manda un messaggio al premier: “Se lascia può scegliere lui il successore”.
E Pier Ferdinando Casini garantisce un futuro a chi pensa al dopo Silvio: “In questo momento serve un armistizio tra tutte le forze politiche, non le elezioni anticipate”.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE DI MASSIMO FINI: “TANGENTOPOLI CI COSTO’ 630 MILIARDI DI VECCHIE LIRE, UN QUARTO DEL DEBITO PUBBLICO, MA LA POLITICA HA CONTINUATO A RUBARE, NELL’INDIFFERENZA DEL PAESE”…”I GIUDICI SONO STATI FATTI DIVENTARE I COLPEVOLI E I LADRI LE VITTIME”
I“grandi comunicatori”, i professionisti delle promesse e dell’ottimismo a 24 carati possono funzionare in tempi normali perchè di rilancio in rilancio, come al poker, il loro bluff non viene mai “visto”.
In situazioni drammatiche, dove contano i fatti e non le parole, la cosa non funziona più. Mussolini era un uomo di questa fatta (in parte, perchè, in pace, fece anche delle ottime cose), ma quando entrò in guerra si scoprì che l’Italia, a differenza della Germania, vi era completamente impreparata e non bastarono gli slogan (“spezzeremo le reni alla Grecia”, “fermeremo gli americani sul bagnasciuga”) per evitarci la più umiliante delle sconfitte e una guerra civile.
Berlusconi con le sue promesse e i suoi bluff è riuscito a ingannare gli italiani per 17 anni pur non avendo fatto, a differenza di Mussolini, nulla di notevole.
E per 17 anni gli è andata bene.
Adesso, in una situazione di crisi economica drammatica, ha cercato, con la sua ridicola “lettera di intenti”, di ripetere il giochetto con gli europei sperando di farla franca anche con loro.
Ma i fatti, in questo caso i mercati, gli han dato la risposta brutale che si meritava e con lui l’Italia che gli ha creduto e anche quella che non gli ha creduto, ma non è stata capace di fermarlo.
Berlusconi però non è che la ciliegiona marcia su una torta marcia.
Nella crisi attuale, che è planetaria ed è dovuta alla cocciuta cecità delle leadership mondiali che si ostinano a inseguire il mito della crescita quando crescere non si può più, la particolare debolezza dell’Italia è data, com’è noto, dall’enorme debito pubblico.
Questo debito è stato accumulato soprattutto negli Ottanta, gli anni della “Milano da bere” (per la verità bevevano solo i socialisti), della triade dei santi e martiri Craxi-Andreotti-Forlani quando, per motivi clientelari, di conquista del consenso si elargivano a pioggia pensioni di vecchiaia fasulle, pensioni di invalidità false, pensioni baby, pensioni d’oro.
Inoltre dalla metà degli anni Settanta c’è stata la cassa integrazione a tempo indeterminato, che è la forma che l’assistenzialismo ha assunto al Nord.
Quando il mercato tirava l’imprenditore si gonfiava di operai, quando si restringeva li metteva in cassa integrazione, accollandoli alla collettività .
Si chiamava “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite”.
In quanto agli operai mi ricordo di aver fatto nel 1974 un servizio, per L’Europeo, sulla prima cassa integrazione, alla Fiat di Torino.
Parlando con gli operai mi accorsi che, dietro i piagnistei di prammatica, tutto volevano tranne che tornare al lavoro.
E chi glielo faceva fare? Prendevano il 90% del salario e il 10% che mancava era compensato dal non doversi pagare gli spostamenti.
Oltretutto in Piemonte erano quasi tutti “barotti”, operai-contadini, cui non pareva vero di poter curare i loro campi senza la rogna di dover andare in fabbrica.
Nel frattempo i partiti taglieggiavano e rubavano a redini basse.
Giuliano Cazzola ha calcolato che la prima Tangentopoli ci è costata 630 mila miliardi di vecchie lire, circa un quarto del debito pubblico.
E il calcolo si basa solo sulle sentenze arrivate a giudizio definitivo che rappresentano, come per ogni reato, un decimo degli illeciti commessi.
Poteva essere una lezione salutare. E invece nel giro di pochi anni abbiamo visto i giudici diventare veri colpevoli e i ladri le vittime, giudici dei loro giudici.
E tutto è continuato peggio di prima.
Può un Paese del genere salvarsi? Può darsi.
Ma, nonostante le eiaculazioni senili di Napolitano sul Milite Ignoto, non lo merita.
Massimo Fini
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
DALL’ALLUVIONE DEL 1970, QUARANT’ANNI TRASCORSI INVANO: TROPPE SPECULAZIONI IMMOBILIARI FAVORITE SIA DAI PARTITI DI CENTROSINISTRA CHE DI CENTRODESTRA…NON SI INVESTE IN PREVENZIONE E SICUREZZA, SI PENSA SOLO A CEMENTIFICARE
I salvati non si contano. I fiumi ripuliti non si inaugurano con il taglio di un nastro. 
Le alluvioni hanno ucciso venti persone e ricoperto di fango la Liguria, ma mettono a nudo mali dell’Italia.
La tragedia che si compie sotto i nostri occhi è il paradigma della crisi morale e politica del Paese.
Certo, sono caduti 300 millimetri d’acqua. Il clima è cambiato.
Ma non è cambiato il clima umano.
Basta sovrapporre le fotografie di Genova ieri e nel 1970, quando il Bisagno uccise più di venti persone: in mezzo ci sono 40 anni passati invano e tante vite perse.
Vero, ci sono mali tipicamente liguri.
Con responsabili — morali e politici, se non penali — precisi.
C’è stata la dissennata corsa al mattone sulle alture.
L’acqua sul cemento corre veloce, raggiunge in pochi minuti i fiumi. Uccide.
Di questo è responsabile parte della classe politica ligure, di centrosinistra e di centrodestra, che ha dato via libera alla speculazione immobiliare, che ha costruito porticcioli alle foci.
Parliamo del passato, come del presente, con outlet pronti a sorgere a Brugnato, nella zona alluvionata (operazione voluta dalla Lega e sponsorizzata da amici nel Pd).
Con porticcioli da mille posti barca che stanno per nascere alle foci del Magra, per la gioia di società e politici di centrosinistra.
Intanto, denuncia il Wwf, la Regione Liguria riduce la distanza dai fiumi per le nuove costruzioni.
Ma una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela anche gli imprenditori, le attivissime cooperative, pronti a costruire senza curarsi delle conseguenze.
I mali di Genova, però, toccano corde non solo locali.
La politica, quella vera, dovrebbe valutare il bene collettivo, prendere decisioni anche impopolari, non favorire i costruttori amici.
Guardare al futuro.
La politica deve salvaguardare l’ambiente, la terra, nostra identità anche culturale e pegno per le generazioni future.
Fonte di ricchezza, ma soprattutto garanzia di vita.
In Italia non è così.
Ci tocca ascoltare la lezione di Berlusconi contro il cemento. Soltanto in un Paese senza memoria, senza rigore, un cementificatore padre di condoni può pontificare sulla pelle dei morti.
Accade, perchè pochi possono scagliare la prima pietra.
Si costruisce e non si investe nella prevenzione. Con fiumi puliti e bonificati, non ci sarebbero milioni di tonnellate di fango, detriti e alberi a bloccare i corsi d’acqua.
No, la morte delle donne e dei bambini a Genova non viene solo dalla tremenda pioggia, ma anche da decenni di speculazioni, di sprechi che portano consenso sottraendo risorse all’essenziale cura del territorio.
La politica è altro.
È investire nella prevenzione i 10 miliardi per la messa in sicurezza di tutto il territorio nazionale, invece di spendere molto di più per rimediare ai danni.
E le vite non si recuperano: in cinquant’anni le frane hanno ucciso 4.000 persone.
Due volte gli attentati dell’11 settembre.
Non vogliamo il solito spettacolo: gli amministratori che con la stessa mano abbracciano i parenti delle vittime e firmano nuovi progetti.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
IL RICATTO ALL’EX MINISTRO, IL FAVOREGGIAMENTO E L’INCONTRO CON IL PREMIER… ECCO LE LETTERE DI MARIO LEDDA PLURICONDANNATO, MORTO 10 ANNI FA: MINACCIAVA DI RACCONTARE I SUOI RAPPORTI CON IL SENATORE PDL
Alto un metro e cinquanta, capelli grigi, occhi furbi e una gran parlantina, il sigaro sempre a mezz’asta.
Condannato per truffa, millantato credito e violenza carnale.
Si chiama Mario Ledda, o meglio si chiamava visto che è morto dieci anni fa.
Sarebbe stato questo 61enne con un passato nel Psdi il “principe azzurro” di Scajola, come si faceva chiamare.
Cioè l’uomo che avrebbe presentato il politico di Imperia a Berlusconi nel 1995.
Ledda minacciava di rivelare questo segreto nelle lettere scritte a Scajola dal carcere di Pisa, dove era recluso nel 2001, e prima ancora in Francia, dove aveva trascorso la sua latitanza ed era stato arrestato nel giugno del 1999 per un’estorsione a Pietro Isnardi, un imprenditore amico di Scajola.
Le lettere e le telefonate dal contenuto potenzialmente estorsivo erano rivolte nel 2001 a Scajola e ai collaboratori più stretti dell’allora ministro dell’Interno, ma non sono mai state denunciate.
Solo oggi è possibile conoscerne il contenuto grazie al Fatto che ha avuto modo di visionare questo materiale.
Nelle lunghe missive anche Ledda e la sua compagna accennavano al favoreggiamento di Scajola a Ledda quando questi era latitante e Scajola era il coordinatore nazionale di Forza Italia.
E non mancano lettere nelle quali il galeotto spinge il ministro dell’Interno a far approvare un indulto.
Nell’ultima fase del carteggio Ledda sente il fiato della morte sul collo: il tumore al polmone è cresciuto di quattro centimetri e lui pretende un intervento del politico per sistemare la sua anziana compagna.
Altrimenti minaccia di rivelare tutto quello che sa sul deputato di Imperia, sul suo primo incontro con Berlusconi a Sanremo nel 1995 e sull’aiuto che aveva ricevuto dal politico durante la latitanza in Francia.
Il Fatto ha visionato le lettere di Mario Ledda, del suo avvocato, Giuseppe Arcadu, e della sua compagna, Maria Diliberto. Tutti e tre chiedevano. Tutti minacciavano rivelazioni imbarazzanti.
Certo Ledda non era uno stinco di santo ed era stato condannato per reati come la truffa e il millantato credito e i presunti ricattatori sono morti da anni.
Una cosa però è certa: nessuno di loro è stato mai denunciato da Scajola.
Non solo.
Le carte provano l’intervento della segreteria di Claudio Scajola nel marzo del 1997 (quando Ledda era prossimo alla condanna definitiva ma non ancora latitante) su un dirigente dell’Inail in favore della famiglia Ledda che non pagava il canone da un anno ma — grazie all’intervento del Viminale — restò inquilina saldando la morosità di dieci milioni di vecchie lire.
Alla fine del 2001 Maria Diliberto sarà ricoverata alla Baggina, anche qui — a suo dire — grazie all’intervento della segreteria del ministro.
E sempre la segreteria di Scajola si interessò per fare uscire Mario Ledda dal carcere di Pisa per ragioni di salute, anche interessando il professor Luigi Perroni, deceduto anche lui, già amico di Scajola, responsabile sanità di Forza Italia e padre di Giorgio, attuale legale del deputato nel procedimento sulla casa del Colosseo.
Tutto il carteggio può essere letto in malam partem (come un’estorsione subita da Scajola in silenzio per paura delle rivelazioni) o in bonam partem, come un aiuto innocente a un ex compagno caduto in disgrazia che poi ricatta l’amico inventandosi un favoreggiamento.
In entrambi i casi il carteggio merita di essere raccontato.
A partire dalla lettera, scritta nel 2000 da Maria Diliberto, allora 83enne.
La signora scrive dal Pio Albergo Trivulzio, il 9 dicembre 2000.
Caro Claudio, ti ho visto in televisione mentre eri alla Scala per la Prima (…) Mi sembravi veramente felice di essere lì in mezzo a tanta gente importante. Anche tu oggi sei molto importante. Mi sono venuti in mente i momenti della vostra conoscenza, quando non era così e tu eri triste, depresso e sconfortato perchè non vedevi un futuro. È stato tutto come una fiaba, per te, e malgrado tutti i suoi problemi Mario è stato il tuo “principe azzurro” che ti ha aperto tutte le porte e ti ha dato tutti i consigli. Quindi mi aspettavo di vederti, come mi avevi promesso, perchè eri a Milano. Invece sono qui in ospedale della Baggina, come tu sai perchè Zocchi (il segretario particolare del ministro dell’Intero Scajola, ndr) mi ha fatto la strada. Se non fosse per Enrico (Rizzi, senatore Forza Italia, deceduto nel 2005, ndr) che mi viene a trovare potrei dire di essere veramente sola in quanto, come tu ben sai, Mario è ancora in carcere. Forse nella tua generosità hai sbagliato tu con i tuoi amici. Sono ormai due anni che Mario è in carcere e prima latitante con il tuo sostegno determinante e generoso (come Mario racconta), se tu non lo avessi aiutato, avrebbe scontato tutto e oggi sarebbe libero e io non sola: è una cinica realtà ma è la verità . Mi hai promesso che saresti venuto a trovarmi. Ti aspetto prima di Natale, esco dall’ospedale il 21 dicembre, a sera sarò a casa.
Maria
La compagna di Mario Ledda, la signora Diliberto, in questa lettera scrive due cose molto importanti che non avrebbero dato certamente lustro all’immagine del coordinatore di Forza Italia:
1) Mario Ledda è stato l’uomo che ha cambiato la vita a Scajola;
2) Ledda è stato aiutato nella latitanza dal ministro.
In quel momento storico, se confermata, una simile notizia sarebbe stata deflagrante.
Mario Ledda, pur essendo stato in passato un collaboratore del segretario del Psdi Pierluigi Romita e pur avendo conosciuto persino il presidente Giuseppe Saragat, aveva un curriculum giudiziario impressionante.
Arrestato molte volte in Italia per reati come la truffa e gli atti di libidine violenti (nel 1978 e poi nel 1991), nel 1997, due anni dopo l’incontro con Scajola e Berlusconi, subì una condanna definitiva per violenza carnale (aveva abusato di una ragazza alla quale aveva promesso un lavoro) e sfuggì alla cattura riparando a Nizza.
Nel 1999 fu arrestato dalla gendarmerie francese e condannato per estorsione in danno di uno dei migliori amici di Scajola, Pietro Isnardi.
Ledda minacciò di rivelare una presunta adulterazione dell’olio Isnardi in un supermercato di Nizza: una cicca in una bottiglia.
L’imprenditore, che in passato aveva seguito le problematiche di Ledda anche su indicazione di Scajola, stavolta lo denunciò e lo fece arrestare.
Nelle cronache di allora i giornali locali di Nizza però raccontano che, accanto alla storia della bottiglia, c’era dell’altro dietro le richieste di soldi a Isnardi: Ledda si aspettava riconoscenza perchè aveva aiutato Scajola a diventare importante nel partito di Forza Italia.
Scajola non andò mai a incontrare la vedova Ledda, nonostante le sue richieste.
E lei presentò un esposto alla Procura di Milano nel luglio del 2002 con tutto il carteggio tra il compagno e il politico, comprese le sue accuse di favoreggiamento alla latitanza.
Quel fascicolo (un modello 45 senza indagati) poi finì in Liguria e fu archiviato nel 2007.
Ma questa è un’altra storia.
Marco Lillo
( da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, Costume, Giustizia, PdL, Politica | Commenta »
Novembre 7th, 2011 Riccardo Fucile
SCAJOLA CONOSCEVA BENE LEDDA E SUA MOGLIE MA NON RAMMENTA LE LORO MISSIVE… QUANDO IL GIORNALISTA GLIELE LEGGE, SCAJOLA COMMENTA: “MA QUESTA E’ UN’ESTORSIONE”
Proprio così, Scajola è inutile girarci intorno, queste lettere configurano un’estorsione di un
carcerato a un ministro dell’Interno. Perchè non ha mai presentato una denuncia?
Non ricordo assolutamente di avere ricevuto lettere di questo tipo. Ma lei è sicuro che mi siano state mostrate? Potrebbero essere state aperte dalla mia segreteria e io certamente non vedevo tutta la mia corrispondenza al ministero .
Ma dal carteggio risulta che lei ha incontrato al ministero l’avvocato Giuseppe Arcadu il 5 settembre del 2001 proprio per parlare delle richieste di Mario Ledda.
Non lo escludo ma non lo ricordo. Devo controllare l’agenda. Come fa a dire che l’ho incontrato?
Ci sono due lettere nelle quali si parla di questo incontro. Nella prima , del 21 settembre, l’avvocato Arcadu scrive al suo segretario Luciano Zocchi ricordando l’incontro del 5 settembre e nella seconda diretta a lei personalmente si fa cenno allo stesso incontro.
E allora vedrà che ha incontrato solo il mio segretario di allora, Zocchi, e non me.
Nella lettera indirizzata dall’avvocato Arcadu a lei personalmente, al suo indirizzo di Imperia, si legge “ministro la ringrazio per l’incontro che Ella ha voluto concedermi il 5 settembre”.
Ma non le viene in mente che questo dossier è stato costruito ad arte da chi scriveva quelle lettere, proprio per tirarlo fuori dopo? Io non ricordo l’incontro. Ma verificherò.
Ledda e la moglie scrivono nelle lettere che lei avrebbe aiutato Ledda stesso durante la sua latitanza. In pratica la minacciano di rivelare il suo reato di favoreggiamento. Al riguardo lei cosa ricorda? Ha mai aiutato economicamente Ledda quando era in Francia?
Non ho mai dato soldi a Ledda. Se lo hanno fatto altri non lo so. Io in Francia l’avrò visto solo una volta a Nizza quando pranzai con lui, se non ricordo male all’aeroporto, durante un mio viaggio.
Ledda nelle lettere sostiene di averle fatto conoscere Berlusconi nel 1995 a Sanremo e la minaccia di dire ai giornalisti che la sua versione del primo incontro, favorita dall’industriale dell’olio Carli, è falsa.
Questo Ledda era un millantatore. È vero che lo conoscevo e che all’inizio ingannò anche me per la sua intelligenza, ma poi si svelò per quello che era. Forse lui in cuor suo pensava di essere altro. Io conobbi Berlusconi per telefono dopo che Carli gli scrisse una sua lettera nella quale parlava bene di me. Poi lo vidi a Sanremo nell’occasione in cui c’era Ledda ma non fu lui a presentarmelo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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