Febbraio 5th, 2013 Riccardo Fucile
GIOVANI, CRESCE LA VOGLIA DI VOTARE… PD AVANTI TRA I 23-34 ENNI
C’è chi, come il sottoscritto, ha visto, nel corso della sua vita, il dipanarsi della prima e della seconda Repubblica e che voterà a fine mese per l’ennesima volta, inevitabilmente memore anche di quanto è accaduto nei decenni passati.
In questi casi, il giudizio è formulato anche sulla base dell’esperienza e della credibilità attribuita a questo o a quel leader, a questo o a quel partito.
Ma per i giovanissimi non è sempre così.
Una quantità rilevante di elettori voterà in questa occasione per la prima volta.
Ci sono oggi in Italia quasi 4 milioni di cittadini tra i 18 e i 23 anni, che affrontano per la prima volta delle consultazioni politiche a livello nazionale.
Molti di costoro decideranno specialmente sulla base delle valutazioni e delle impressioni maturate in questa specifica campagna elettorale.
A questi si possono anche affiancare i quasi 8 milioni di elettori che hanno tra i 24 e i 34 anni, la cui storia elettorale è comunque relativamente breve.
Qual è l’orientamento prevalente di costoro e, in generale, quali sono le scelte che caratterizzano i più giovani?
Nel considerare la distribuzione delle intenzioni di voto delle ultime generazioni, colpisce anzitutto il dato relativo alla elevata partecipazione tra i neo elettori.
Sino a qualche tempo fa, infatti, tra i giovani si manifestava il fenomeno contrario: erano tantissimi, fino al 50%, coloro che dichiaravano di volersi astenere, motivando spesso questo comportamento con la difficoltà di comprendere le logiche della politica o una percezione di irrilevanza di quest’ultima.
In questa occasione, il quadro pare cambiato: si registra tra chi affronta per la prima volta il voto una rinnovata voglia di esserci e, di conseguenza, di prendere parte alla consultazione.
Cio’ nonostante è rimasto, nelle nuove generazioni – specialmente nella più giovane – un atteggiamento di forte scetticismo – se non di disprezzo – nei confronti della politica tradizionale.
Si spiega anche così il particolare successo ottenuto dalla lista Movimento 5 Stelle tra chi ha meno di 35 anni e, ancor più, tra chi si colloca sotto i 23.
Tra questi ultimi, i 18-23enni, Grillo riesce a conquistare quasi un terzo di elettorato (30,4%), vale a dire il 17% in più che nella popolazione nel suo insieme.
In questa categoria di età , il M5S diventa il partito più votato in assoluto, superando, seppur di poco, il Pd.
Inoltre, il consenso al M5S appare ancora più elevato tra quei giovani che si trovano in una condizione sociale più difficile perchè disoccupati.
Ma anche tra i 24-34enni il Movimento del comico genovese ottiene un largo successo, giungendo quasi al 19%, il 5% in più di quanto rilevato tra tutti gli italiani, con una maggiore accentuazione, anche in questo caso, tra chi non ha lavoro.
È vero che tra costoro il Pd si conferma come primo partito, al pari di quanto accade per la popolazione nel suo complesso, ma il M5S si colloca nettamente come secondo.
Questo successo del Movimento 5 Stelle è «pagato» da quasi tutti gli altri partiti che ottengono, infatti, tra i giovani un consenso inferiore rispetto alle altre generazioni.
La differenza più elevata si riscontra riguardo al Pdl che fa rilevare, tra i 18-23enni, un seguito (pari al 12-13%) di quasi il 7% inferiore alla media nazionale.
Ma anche gli altri grandi partiti, come la Lega o il Pd, sembrano (seppure in misura molto inferiore al Pdl) interessare meno le nuove generazioni.
Un’eccezione relativa si riscontra solo per alcune delle liste che si collocano su posizioni più estreme (e che un tempo raccoglievano una larga parte del voto giovanile) come Sel da un verso e Fratelli d’Italia dall’altro.
Queste formazioni esprimono infatti tra i più giovani un saldo di voti positivo per il 2-3 per cento.
È dunque tra i giovani che affrontano per la prima volta le urne che si riscontra, assai più che in altre categorie, l’atteggiamento di critica generalizzata alla politica (o, talvolta, di antipolitica) che connota il Movimento di Grillo.
Se dipendesse solo dai 18-23enni, il comico genovese conquisterebbe alla Camera, secondo l’attuale legge elettorale, la maggioranza assoluta dei seggi.
Un forte monito per i partiti tradizionali.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 5th, 2013 Riccardo Fucile
E VANNO RIFINANZIATI GIA’ CASSA INTEGRAZIONE, ESODATI E MISSIONI ALL’ESTERO
Circa 7 miliardi e mezzo per una proposta assai pericolosa che segna la prima domenica di
Carnevale.
A tanto ammontano le risorse che un improbabile governo Berlusconi dovrebbe trovare fin dal primo consiglio dei ministri per abolire l’Imu sulla prima casa per quest’anno (ovvero 3,7 miliardi) e, addirittura, restituire ai cittadini quanto hanno pagato per la prima casa lo scorso anno (altre 3,7 miliardi).
Una cifra rilevante, circa mezzo punto di Pil, in condizioni di finanza pubblica sempre e costantemente difficili, appese agli esiti dello spread e delle spesa per interessi, e soprattutto condizionate dal trattato sul fiscal compact e dal nuovo articolo 81 della Costituzione che da quest’anno impongono il pareggio di bilancio.
Un obiettivo che, tra l’altro, sembra a rischio ed è già proiettato oltre l’1,6 per cento di deficit-Pil previsto dal Documento di economia e finanza.
Del resto lo stesso ex ministro dell’Economia Tremonti, alleato di Berlusconi, ha avvertito che servirà una manovra di 14 miliardi per esodati, finanziamento della cassa integrazione, missioni internazionali e quant’altro.
Dove trovare gli oltre 7 miliardi per inviare ai milioni di italiani che hanno sopportato il sacrificio dell’Imu un dubbio bonifico?
Le proposte di copertura avanzate da Berlusconi sembrano perlomeno incerte e i Comuni, destinatari del gettito dell’Imu prima casa, dovrebbero essere assai preoccupati.
Ulteriori tasse sugli alcolici e sui tabacchi non sembrano in grado di fornire le risorse necessarie senza contare che da quest’anno un aumento sulle sigarette è già previsto dal decreto “Salva Italia”; quanto ai tagli alla spesa pubblica sono facili da annunciare ma piuttosto complessi da realizzare.
L’asso nella manica di Berlusconi sembrerebbe la terza copertura, cioè il concordato fiscale con la Svizzera, ma se ne parla da più di un anno e l’accordo non sembra vicino perchè Berna non molla sul segreto bancario e sull’anonimato.
Come ha detto il ministro Giarda in Parlamento si tratterebbe di un “condono o una sanatoria” fuori dagli schemi Ocse.
Del resto l’intera operazione ha il sapore di un flash back assai pasticciato.
Tutti ricorderanno la spericolata manovra del 2008: come promesso Berlusconi, appena al governo abolì l’Ici (allora si chiamava così) sulla prima casa e dovette fare i salti mortali per trovare circa 2 miliardi per finanziare la misura.
Fu una mossa propagandistica e non aiutò chi aveva veramente bisogno perchè già Prodi, il suo predecessore, aveva cancellato l’Ici per il 40 per cento della famiglie, limitando tuttavia l’intervento alle abitazioni economiche e popolari.
La mossa di Berlusconi mise in difficoltà i Comuni e il centrodestra, per tentare di tenere i conti, dovette ricorrere a misure poco simpatiche come l’introduzione del ticket di 10 euro sulla diagnostica.
Inoltre costrinse Regioni e Comuni a tagli sul trasporto locale (secondo una studio della Uil servizi territoriali gli aumenti delle tariffe sono stati del 25 per cento dal 2008 ad oggi).
Alle corde Tremonti fu costretto a sbloccare l’aumento delle addizionali Irpef di Comuni e Regioni per dare risorse ai sindaci che avevano perso un fonte di finanziamento essenziale come la tassa sulla prima casa.
Alla fine l’Imu, che segnò la nascita dell’ultimo governo Berlusconi, tenne banco anche durante la sua uscita di scena nell’autunno del 2011.
La Commissione europea chiese esplicitamente all’Italia, nelle celebri 39 domande, di reintrodurre una tassa sulla casa, perchè eravamo il paese con l’imposizione più bassa sul patrimonio immobiliare.
E fu lo stesso Tremonti che rispose che si poteva fare: il gettito sarebbe stato di 3 miliardi.
Monti fece il resto, ma l’Italia era già sull’orlo del baratro.
Roberto Petrini
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Febbraio 5th, 2013 Riccardo Fucile
LA BATTAGLIA DEI CENTOMILA VOTI: SI DECIDERA’ SUL FILO DI LANA LA CORSA AL PIRELLONE
«Come va la campagna? Fa on frecc de biss» sibila il compagno deputato Daniele Marantelli, da sotto la sciarpa del Varese Calcio, un attimo prima che un colpo di tramontana trasformi il gazebo del Pd in una serpe impazzita nel centro di Varese.
Sarà .
Nelle piazze, ai mercati, ai cancelli delle fabbriche, i candidati inseguono gli elettori che corrono a casa davanti alle televisioni, mai così padrone del gioco, neppure quando Berlusconi era davvero Berlusconi e non la maschera di Carnevale di se medesimo.
Se poi al dato meteorologico si aggiunge il clima politico, l’inverno dell’antipolitica e una certa algidità dei candidati, tira davvero un freddo da biscia.
Non ho mai visto in tanti anni in Lombardia una campagna elettorale così decisiva eppure tanto fredda, pallida e smorta.
Il voto dell’Italia si decide in Lombardia e quello lombardo in un’area pedemontana di quattro milioni di abitanti.
Alla fine, spiegano gli esperti, significa che il futuro governo del Paese, maggioranza e minoranza in Parlamento, spread e compagnia, tutto può essere deciso da centomila voti nella fascia di paesotti da Varese a Brescia.
Gli stessi centomila voti indecisi che da settimane fanno ballare la bilancia dei sondaggi, ora dalla parte del centrosinistra, ora sull’asse Pdl-Lega, un punto o due al massimo.
Con una simile posta in gioco, ti aspetti di assistere a una battaglia campale, pancia a terra, comune per comune, quartiere per quartiere.
Tanto più che per la prima volta mancano le due macchine da guerra che hanno dominato la scena lombarda e non solo degli ultimi venti anni, Roberto Formigoni e Umberto Bossi. Formidabili animali da campagna elettorale, capaci di battere ogni borgo pur di ramazzare un altro pugno di voti.
Oggi Formigoni passa la giornata a twittare con rancore e il Senatur a casa ad arringare il Trota. Il campo è libero. Ma nessuno se lo prende.
Il candidato del primo centrosinistra che potrebbe vincere la Lombardia, l’avvocato Umberto Ambrosoli, ha finora svolto una campagna definita dai giornali di Varese e Bergamo «milanocentrica », il che da queste parti equivale a un insulto.
Ambrosoli si è sforzato di tenere fuori i partiti, circondato da un pezzo di società civile milanese, nomi peraltro non famosissimi neppure in città , e di non usare mai la memoria del padre Giorgio, eroe boghese di un’altra Italia.
Nobile scrupolo, non fosse che qui nella grande provincia già molti non ricordano Giorgio Ambrosoli e scambiano il cognome con «quello delle caramelle », abituati a vedere figli di industriali nelle schiere del centrosinistra.
È difficile avvistare oltre la cerchia dei Navigli pure Gabriele Albertini, che sembra correre ancora per la poltrona di sindaco e non per il Pirellone.
In compenso si vede dappertutto il faccione di Roberto Maroni, con i suoi manifesti tre per sei su sfondo azzurro e una vagonata di soldi a disposizione, «grazie ai fondi di Roma ladrona» come dice Albertini.
Ma nei comizi «l’è minga il Bossi» sospirano i militanti.
C’è poi la candidata del Movimento 5 Stelle, la quarantenne Silvana Carcano, accreditata di un 10 per cento, in disciplinata attesa dell’avvento di loro signore Beppe Grillo, l’unico che riempia le piazze a qualsiasi temperatura.
In mancanza di una campagna elettorale degna di questo nome, accade quel che può ed era prevedibile.
Ogni settimana il vantaggio del centrosinistra, regalato dai disastri della giunta Formigoni, si è limato fino a scomparire, sotto i colpi della danarosa offensiva leghista e degli scandali e scandaletti.
Quello grosso del Monte dei Paschi e quello minimo della Nutella, forse il più scemo della lunga storia degli scandali nazionali.
I magistrati hanno mandato una raffica di avvisi di garanzia ai consiglieri del Pd in regione per rimborsi impropri, un paio per cifre superiori ai centomila euro, altri per quattro soldi compresa la Nutella («devo giustificare 3 mila euro in cinque anni, un euro e mezzo al giorno» fa il conto Pippo Civati), più sette avvisi di garanzia a consiglieri Pd per la somma di zero euro.
Proprio così, zero euro, ma il fascicolo era già aperto.
Ognuno può fare i dovuti paragoni con i 4,5 miliardi di multe regalati dalla Lega agli evasori delle quote latte e pagate dai contribuenti italiani, con i fantastiliardi spariti nei meandri della sanità «d’eccellenza» di Formigoni, con le tangenti rosse e milionarie del «sistema Sesto», con gli appalti loschi della ‘ndrangheta e perfino coi diamanti del «cerchio magico» di Bossi.
Ma tanto basta, nel carrozzone di anti e telepolitica, per mettere tutti quanti nel mucchio dei ladri.
Nella casa piacentina, un passo dalla terra da sempre straniera per la sinistra, Pierluigi Bersani non si dà pace e prepara la controffensiva. «Ai miei ho detto di alzare la voce. Non è possibile che un barattolo di Nutella cancelli vent’anni di disastri, sprechi e furti.
Non dobbiamo inseguire gli imbonitori, perchè su quel terreno vincono loro.
Ma neppure assistere da signori del fair play a questa indegna asta per l’ultimo voto.
Berlusconi promette 30 miliardi di sgravi fiscali, più il rimborso dell’Imu. Maroni, invece di nascondersi per lo scandalo delle quote latte, rilancia con l’abolizione dell’Irap, dell’Imu e il bollo auto gratis.
Grillo annuncia un salario garantito a tutti di mille euro al mese per tre anni, al modico costo di 100 miliardi per le casse dello stato. Più che la Lombardia del 2013, pare la Napoli del dopoguerra, con la differenza che almeno il comandante Lauro il pacco di pasta e la seconda scarpa poi glieli portava. Ma io mi rifiuto di credere che i lombardi abbocchino. Se gli facciamo discorsi seri sul lavoro, il credito, l’innovazione, ci seguiranno e si può vincere».
Il piano di Bersani prevede un’invasione negli ultimi giorni.
Lui stesso partirà per un giro della pedemontana, sulle tracce di quella via dei distretti attraversata per anni con Enrico Letta, in una delle poche iniziative efficaci del centrosinistra nel Nord.
Dice di aver parlato «quasi soltanto di Lombardia» nell’incontro fiorentino con Matteo Renzi, il quale ha accettato subito di lanciare la sfida nella tana del nemico, nella Varese della Lega e ora anche di Mario Monti.
Si mobilita anche Nichi Vendola, che ha deciso di trascurare la sua Puglia per trasferirsi nella settimana decisiva al Nord: «Il paragone della Lombardia con l’Ohio delle elezioni americane è sbagliato per difetto — nota il governatore — La Lombardia è l’Ohio più la Florida più la Virginia. Si decide tutto là ».
Daniele Marantelli, detto il leghista rosso, che dirige il traffico della campagna del Pd nella pedemontana, saluta con sollievo gli annunci: «Questa è un’occasione unica per il centrosinistra. Come quando leggi in autostrada: prossima uscita 300 chilometri. Non capisco perchè i leader del centrosinistra non abbiano già trasferito qui il quartier generale ».
A voler combattere, gli argomenti non mancherebbero.
Le promesse mancate del federalismo, il disastro delle politiche industriali di Berlusconi e Tremonti, gli scandali dell’era Formigoni, le decine di migliaia di aziende costrette a licenziare o a chiudere, il flop della Malpensa e così via.
Senza contare lo spettro del fallimento dell’Expo 2015, un appuntamento al quale i lombardi continuano a credere meno degli stranieri, che si sono già iscritti in massa, con il record di 120 paesi partecipanti e oltre 20 milioni di visitatori previsti.
Alla fine saranno centomila voti a decidere il governo della Lombardia e dell’Italia, più o meno gli abitanti di Varese città .
Se la campagna elettorale non si scalda, se la gente rimane a casa a guardare le televisioni, non c’è neppure bisogno di sprecare i soldi dei sondaggi per sapere fin d’ora chi sarà il vincitore.
Curzio Maltese
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Febbraio 5th, 2013 Riccardo Fucile
POLITICI, SINDACALISTI, PARENTI: INCARICO GARANTITO AI FEDELI DI PARTITO
«Pensa che non mi è toccata nemmeno una poltrona in una partecipata», dice un ex
politico senese per descrivere il livello di rottura con il suo partito.
Perchè alla fine un posto nelle controllate e partecipate del Monte spuntava sempre.
E se non ti spettava, l’avevi combinata davvero grossa.
L’elenco è pressochè sterminato.
Secondo il bilancio 2011, l’ultimo disponibile, il Gruppo Mps è composto di 34 controllate integrali, due consolidate proporzionalmente e circa 60 partecipate controllate congiuntamente o «sottoposte a influenza notevole».
Circa 100 consigli d’amministrazione con almeno cinque membri ciascuna, fa alcune centinaia di poltrone disponibili.
Si può iniziare però da Maurizio Cenni, ex sindaco per due mandati, ex funzionario e sindacalista Mps, nel maggio 2011 lascia la poltrona di primo cittadino e torna in banca.
Passano sei mesi e nel dicembre dello stesso anno viene promosso e nominato vicedirettore generale vicario di Mps Gestione Crediti banca.
Ancora più singolare la storia di Pierluigi Piccini, predecessore di Cenni.
Rompe col suo partito, passa all’opposizione in aperta polemica con tutti.
Ma dal 2001 e fino al novembre scorso è presidente Mps France a 450 mila euro all’anno
Per chi non veniva dalla banca c’era comunque qualche poltrona.
Fabio Ceccherini, presidente della provincia ai tempi di Antonveneta, adesso è vicepresidente di Mps Capital services.
Accanto a lui siede Claudio Vigni, ex segretario generale della Cgil di Siena.
Il capitolo del sindacato merita un discorso a parte. Fabio Borghi, predecessore di Claudio Vigni, arriva fino al cda della banca, in una singolare rivisitazione in salsa senese del modello tedesco.
Con il cambio del cda della capogruppo è rimasto comunque in banca.
Adesso è presidente di Mps Leasing and Factoring.
Accanto a lui siede Antonio Degortes, impreditore di successo nel settore locali notturni e discoteche.
Ma è anche figlio di Aceto, storico fantino del Palio, grande amico di Mussari e socio dell’ex presidente nell’allevamento dei cavalli per il Palio, come Già del Menhir, vincitore di uno storico Palio per l’Istrice.
Prima del leasing si era occupato di Mps Belgio, con un passaggio nel cda.
Sempre a Mps Belgio sarebbe finito anche un socio di Antonio Degortes.
Il capitolo «figli di» non può però prescindere da Aldo Berlinguer, docente universitario, consigliere di Antonveneta e figlio di Luigi, ex rettore dell’Università di Siena.
Tornando alla categoria dei politici trombati, non si può non menzionare Luca Bonechi, ex segretario provinciale Ds, nel cda della Sansedoni, immobiliare partecipata da banca e Fondazione.
Alessandro Starnini, anche lui ex presidente della provincia come Ceccherini, è nel board delle Immobiliare Novoli.
Per l’ex assessore Moreno Periccioli c’è Antonveneta e ancora Mps Leasing. A Michele Logi, già assessore provinciale, tocca invece la Popolare Spoleto.
In Antonveneta siede anche Mauro Rosati, ex consigliere comunale.
Ovviamente ce n’è per tutti, come imponeva la «pax senese». Leonardo Bandinelli, di area cattolica, vice direttore degli industriali toscani, è vice presidente PopSpoleto.
Un elenco pressochè sterminato che potrebbe continuare.
Basterà ricordare appena il nuovo ad Fabrizio Viola ha messo mano al dossier partecipate, sono saltati fuori 1,5 milioni di euro di risparmi solo tagliando i posti nei consigli.
Poca cosa, certo.
Gianluca Paolucci
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