Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
“QUANDO VI INVITERANNO ANDATECI DECISI, QUATTRO BELLE PAROLE BEN DETTE ALLA GENTE CHE E’ A CASA”… UN ANNO DOPO CI ANDRANNO FAVIA E LA SALSI E SARANNO CACCIATI
Grillo ha mentito. Per mesi il comico ha ripetuto che gli attivisti non dovevano partecipare ai talk show.
Lo ha scritto anche sul suo blog il 31 ottobre 2012, nel post intitolato “Il talk show ti uccide, digli di smettere”, che ha portato poi all’espulsione di Federica Salsi e Giovanni Favia accusati di aver partecipato a trasmissioni televisive.
Lo aveva scritto con chiarezza anche nel post pubblicato l’8 maggio 2012: “Se il MoVimento 5 Stelle avesse scelto la televisione per affermarsi, oggi sarebbe allo zero qualcosa per cento. Partecipare ai talk show fa perdere voti e credibilità non solo ai presenti, ma all’intero MoVimento. Nei talk show il dibattito avviene con conduttori di lungo corso e con le mummie solidificate dei partiti. C’è l’omologazione con il passato. Che senso ha confrontarsi con Veltroni o con Gasparri in prima serata? Più che spiegarlo e ribadirlo non posso fare. Comunque chi partecipa ai talk show deve sapere che d’ora in poi farà una scelta di campo”.
Infine, durante lo Tsunami tour, aveva precisato: “Non ho detto di non andare tv, ma di non andare nei talk show”.
Invece Grillo nel 2011 aveva detto agli attivisti del M5S — pubblicamente e proprio in compagnia di Giovanni Favia — di andare nei talk show.
Nel video che ho rintracciato su You Tube, pubblicato il 23 marzo 2011, il comico genovese al minuto 2.36 dice: “Quindi vi porteranno nei talk show. Andateci decisi. Quindi, belle cose dette. Quando vi fanno delle domande scorrette, voi parlate alla gente che è a casa. Quattro parole, benissimo. S’impara”.
Poi prosegue elogiando Valentino Tavolazzi, l’altro esponente del M5S poi espulso: “Voi avete qua uno dei più grandi city manager che ci sono oggi in Italia, che è Tavolazzi. Se avete problemi di interpretare un bilancio, di vedere cosa c’è, è il massimo esperto che c’è oggi”.
Nei giorni scorsi Grillo aveva poi annunciato con un video su Facebook di voler tornare in tv, su Sky, ma ha cambiato idee nelle ultime ore.
Nel suo video su Facebook diceva: “Sono in televisione. La facciamo, la facciamo l’ultima settimana su Sky. Comunque la televisione non è più il mezzo. Chi va in televisione perde voti. Chi va in televisione si gioca il proprio futuro. Non pensiate che andare in televisione sia il mezzo per essere eletti e prendere voti. E’ esattamente il contrario. Io lo faccio perchè me l’avete talmente menato, ma talmenbte menato, che devo andarci”.
Molti attivisti del M5S si sono chiesti: se dunque la tv non è più il mezzo, perchè Grillo ora ci va?
Se fa perdere voti, perchè annuncia di ritornarci a pochi giorni dalle elezioni?
E se chi va in televisione si gioca il proprio futuro, perchè ora lui espone a questo rischio il Movimento 5 Stelle?
Sono forse queste contraddizioni circolate in Rete che hanno fatto poi decidere a Grillo di non andare più su Sky?
Lo stesso giorno in cui il comico annunciava il ritorno in tv, Giancarlo Cancelleri, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Sicilia, pubblicava proprio su Facebook lo spot dei grillini intitolato: “Spegni la tv, accendi la testa” e l’incoerenza si è resa subito evidente.
La verità è che siamo di fronte a una scelta “opportunista”, ha dichiato Federica Salsi a Repubblica Tv, evidenziando poi che “Grillo cambia spesso idea”.
Dunque Grillo dice e si contraddice, e forse cambia le regole in corsa mettendo alla porta gli attivisti del M5S che alzano la testa ed esprimono la propria opinione, come nel caso di Favia e Salsi.
E’ un metodo che non approvo, come ho scritto in questo post.
Ed è evidente quindi che, dopo le elezioni politiche del 2013, trascorsi alcuni mesi per smaltire l’euforia della vittoria dei grillini, ritornerà il problema della democrazia interna, nel tentativo di gestire un centinaio di parlamentari con un metodo verticistico, dove uno vale più degli altri.
Enzo Di Frenna
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
GRILLO RACCOGLIE LO SCONTENTO MA NON PUO’ SEMPRE FUGGIRE A CONFRONTARSI SULLE SOLUZIONI… A SCATOLA CHIUSA VOTANO SOLO I COGLIONI (E IN ITALIA GIA’ ABBONDANO)
D’accordo, è una strategia. Va bene, la campagna anti-tv funziona soltanto se non vai in tv. 
Siamo tutti del parere che Beppe Grillo è a suo modo un genio della comunicazione, costringe le televisioni a occuparsi di lui, è in video più di chiunque altro ma può dire in piazza che a lui la tv gli fa schifo e non gli serve per trovare voti.
Chapeau.
Ma che senso ha sfilarsi dall’intervista concordata su Sky stasera con un tweet? E senza dare spiegazioni.
E’ un leader serio uno che fa così?
Da Savona si limita a strillare: “I politici vanno in tv, ma che cosa ci vanno a fare? Io ho rifiutato, e credo di aver fatto bene. Questi vanno e poi dicono tutto e il contrario di tutto. Sono dei ridicoli, devono andare a casa”.
E allora perchè aveva preso l’impegno per l’intervista? (En passant, i giornalisti saranno pure servi di un sistema da abbattere, ma sono pure lavoratori dipendenti che meritano un minimo di rispetto).
Caro Beppe, ti rivelo un segreto: sei un politico anche tu. E da un bel pezzo, ormai.
E lo sono anche i ragazzi del Movimento 5 Stelle che si preparano a entrare in Parlamento.
E’ una dura realtà a cui dovete rassegnarvi.
C’è qualcosa che comincia a essere inquietante nella strategia di comunicazione di Grillo e dei suoi.
Loro le domande proprio non le vogliono. E non credo sia soltanto una forma di ribellione al sistema.
E’ che, secondo me, Beppe e gli altri temono le domande perchè non sanno le risposte.
Perchè se ti chiedono come pensi di rinegoziare il Fiscal Compact non puoi rispondere “Tutti a casa”.
E magari se dici che Monte Paschi ha un buco da 21 miliardi — come ha fatto Grillo ieri — ti chiedono cosa hai fumato e devi spiegare perchè inventi numeri. E così via.
Non è vero che tutti i talk show sono pieni di giornalisti cattivi servi del sistema pronti a fare il trappolone al povero grillino indifeso.
Ma è vero che se il grillino suddetto dice idiozie, la cosa si nota.
Comincio a pensare che Beppe non abbia alcuna fiducia nei suoi candidati.
Che li consideri semplici pigia tasti che in Parlamento attueranno le direttive impartite da Genova (e dal sempre misterioso Casaleggio).
Che lo slogan “uno vale uno” non sia un’esaltazione dell’uguaglianza e della dignità del singolo, ma un invito un po’ sovietico a evitare di pensare con la propria testa.
Grillo non manda i candidati neppure alle tribune elettorali sulla Rai. Cioè spazi praticamente istituzionali.
Viene proiettato uno spot con le piazze piene (che, almeno in questo caso, non dovrebbero essere la premessa a urne vuote).
Perchè? Che messaggio è?
Davvero qualcuno può credere all’immediata applicabilità della democrazia diretta?
Anche le rivoluzioni richiedono il loro tempo.
In attesa di decidere tutto per referendum, i grillini dovranno andare nelle commissioni parlamentari, presentare emendamenti, fare discorsi in aula, votare.
E io sarei curioso di sapere cosa pensano, di farmi un’idea se sono capaci o no.
I futuri parlamentari di altre liste, più o meno, abbiamo imparato a conoscerli.
E vedere certi candidati della lista Monti in tv ha senza dubbio contribuito a far scendere il Professore nei sondaggi.
Ma coi 5 Stelle non si può giudicare in anticipo.
Bisogna votare a scatola chiusa.
Ed è un peccato.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
L’EMITTENTE: “SI E’ TIRATO INDIETRO SENZA ALCUN MOTIVO”… LA DECISIONE COMUNICATA SU TWITTER: SE IL RISPETTO PER CHI LAVORA E’ QUESTO…
“L’intervista in diretta con SkyTg24, prevista per le 20.30 di oggi da Genova, non si farà ”. Lo scrive Beppe Grillo su Twitter.
Sarebbe stata l’unica apparizione in tv in tutta la campagna elettorale del leader del Movimento 5 stelle. Anche se, in realtà , l’intervista non si sarebbe svolta negli studi di Sky, bensì in collegamento dal camper del comico ligure.
Grillo aveva manifestato la sua volontà di partecipare, l’aveva detto via twitter il 13 febbraio e lo aveva annunciato anche in radio, ma già da ieri sera aveva cominciato a tentennare: secondo quanto riportato da Sky infatti “ieri sera ci è arrivata una comunicazione da parte dello staff del comico in cui si diceva che questo non è più il momento opportuno per fare un intervento televisivo”.
Dopo il tweet con la disdetta il leader M5S ha postato poi un nuovo messaggio sul social network in cui rimanda a un post del suo blog: “Ci sono due modi per fare campagna elettorale — si legge — Il primo serviti e riveriti nei salotti tv, magari con trasmissioni cucite addosso. Noi preferiamo il secondo: nelle piazze, tra la gente. Perchè la politica è delle persone. Per questo il 24 e 25 febbraio Votate per Voi MoVimento 5 Stelle. Ci vediamo in Parlamento, sarà un piacere.”
Immediata la risposta di Sky.
”Beppe Grillo si è tirato indietro. Nonostante l’impegno preso e dopo aver annunciato in diverse occasioni, anche via twitter, il suo ritorno in tv per domenica 17 febbraio su SkyTg24, il leader del Movimento 5 Stelle fa sapere, senza alcun motivo evidente, che questa sera si sottrarrà all’intervista”.
E’ quanto si legge in una nota diffusa dalla rete.
“Il canale all news, diretto da Sarah Varetto — si legge ancora — sarà comunque oggi pomeriggio a Genova con Fabio Vitale, per invitare Beppe Grillo a mantenere il suo impegno e farsi intervistare, come da accordi”.
E intanto, sempre su Twitter, l’account di Scelta civica scrive: “Beppe Grillo non più disponibile all’intervista a SkyTg24, il senatore Monti invece vuole il confronto. Questione di stile”.
Anche Pier Luigi Bersani, dal palco di Piazza Duomo a Milano dove si sta svolgendo la manifestazione del Pd in sostegno del candidato alla regione Lombardia Umberto Ambrosoli, ha commentato la decisione del comico: “Grillo ha detto che in tv non va, perchè là qualche domandina devono fartela..”.
Per esempio, ha continuato il segretario, potrebbero chiedergli come fa “in piazza a Bologna a osare far cenno a Berlinguer e poi stringere le mani a Casa Pound”.
Inoltre, sempre sul suo blog, il leader genovese ha pubblicato un post in cui definisce il Movimento 5 Stelle come ”un movimento senza“. “Senza contributi pubblici. Senza sedi. Senza strutture. Senza giornali. Senza televisioni. Senza candidati pregiudicati. Senza candidati presenti in passato in Parlamento — si legge – Senza faccioni civetta presentati come capilista in tutta Italia. Senza compromessi. Senza inciuci. Senza leader. Senza politici di professione. Senza corrotti. Senza tangenti”.
Per questo, secondo Grillo, M5S ”vola in alto e sopra. E’ leggero, più leggero di una piuma. Imprendibile come l’aria. E arriverà in Parlamento“.
E conclude: “Tutti a Roma in Piazza San Giovanni il 22 febbraio. Nulla sarà più come prima”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX COMICO ATTACCA IL PD: SU MPS UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA… ORMAI SI PUNTA A SUPERARE QUOTA 20%
Il camper di Beppe Grillo si fa strada sotto al palco mentre piazza Castello è già piena. Sono tantissimi, a
Torino, al comizio-spettacolo del leader 5 stelle.
Persone di tutte le età , bambini sulle spalle dei genitori, ragazzi con telefonini e iPad alzati a riprendere tutto per poi postarlo su Facebook e dire: «Io c’ero».
Qualcuno non sa bene cosa aspettarsi: «Parlano di Sanremo. Forse è Crozza».
Oppure, quando annunciano la consigliera comunale Chiara Appendino: «Ah, sì, quella di X Factor».
C’è però chi è lì da prima, chi è venuto per una ragione: Beppe Grillo.
È una fredda giornata di sole con poche bandiere: due no Tav, qualche logo del Movimento, un vecchio drappello arcobaleno.
La gente urla «Fuori, fuori», «Beppe, Beppe».
Lui tarda, mentre a scaldare gli animi si alternano gli attivisti cittadini.
Denunciano scandali di destra e sinistra, dalla piazza arrivano fischi e buu per il sindaco Piero Fassino, per il governatore Roberto Cota.
Un trio di ragazze canta una canzone anticasta.
Grillo scende dal camper mettendo su la faccia sorpresa di chi non crede ai suoi occhi. Era chiuso a fare un’intervista con dei reporter della Bbc, gli unici cui è stato donato un cartellino stampa e che non devono battagliare mezz’ora per stare sotto palco.
Sale di corsa, prende la parola, è un boato.
Parte col repertorio degli ultimi giorni: «Il camper ce lo prestano, ci regalano salumi, formaggi, paghiamo il gasolio col baratto, questi ragazzi che lavorano con me fanno tutto gratis».
Non parla della raccolta fondi sul sito, non invita a donare come fanno i banner sul blog.
Vuole far risaltare la differenza tra i suoi, e gli altri: «Le facce di culo che vediamo in tv», urla subito prima dell’ovazione della folla.
Poi se la prende con la Rai: «Basta un canale, gli altri li vendiamo».
Con i giornali: «Mettono le foto di me che urlo, poi l’Espresso scrive: “Affideresti il Paese a uno così?”».
Chiama Repubblica «il Postal Market del Pd».
«Hanno scritto che invito Al Qaeda a bombardare il Parlamento. Ho ricevuto 252mila e-mail che mi dicevano: “Sì, ti prego, convincili” ».
Poi tocca alla Fiat, a De Benedetti, a Bersani-Gargamella, a Monti-l’esorcista.
Parla di un mondo in cui la paga di un ad non potrà superare più di 12 volte quella di un operaio, in cui basta fare una legge che costringa i produttori di frigoriferi a smaltirli, in cui tutti avranno un reddito di cittadinanza.
Ma non tralascia ricette economiche care alla destra, come la possibilità di uscire dall’euro («Bisogna deciderlo con un referendum») mentre accarezza il popolo delle partite Iva e dei piccoli imprenditori con l’ormai collaudato programma anti-tasse. Batte su Monte Paschi: «Serve una commissione d’inchiesta per i vertici del Pd dal ’95 a oggi», grida a gran voce.
«Il Pd non è andato a votare in massa perchè lo scudo fiscale conveniva anche a loro, per ripulirsi le tangenti ».
Una ragazza col caschetto rosso e la sciarpa a righe annuisce: «Fanno tutti schifo».
Continua con Napolitano: «Avessimo avuto un presidente vero avrebbe detto: “Fuori i nomi”, invece ha accarezzato la scrivania e dichiarato: “Privacy”».
Col Papa: «Ha fatto due twitter e si è accorto che la Chiesa era ferma a mille anni fa, che i preti devono potersi sposare e fare figli».
Con la giustizia, la burocrazia, i costi della politica: «I soldi li troviamo facendoci restituire un miliardo e mezzo di rimborsi elettorali».
La faccia cattiva la usa anche coi cameraman: «Questo è del Tgcom, non riprende la piazza, girala, girala. Ecco, hanno mandato la pubblicità !».
Urla, fischi, buuu.
La faccia buona la mostra invece ai candidati che parlano dopo di lui. E a chi lo aspetta di sotto.
Un uomo invalido gli racconta le peripezie e i problemi con l’Inps: «Ci penso io, facciamo un videino, ti aiutiamo noi».
Accarezza le ragazze, le nonne, i malati, le teste dei bambini.
Si ferma con i cronisti per dire che non c’è una nuova Tangentopoli, è peggio: «Quelli al confronto erano dilettanti. I partiti hanno smembrato tutto. Siamo pieni di macerie». Gli lasciano biglietti sotto al tergicristallo: «Beppe, salvaci tu».
Lui confessa: «Tutti mi chiedono qualcosa, ogni giorno staffilate al cuore».
Poi va via, destinazione Alessandria, terza tappa in un giorno.
Su Twitter mette una foto e scrive: «La piazza che le tv non vi faranno vedere». Continua col vittimismo della stampa che lo oscura, quando è tutta lì, tenuta a debita distanza da staff e servizio d’ordine.
Restiamo con chi smonta il palco: «2000 euro per l’impianto audio, noi candidati abbiamo messo 150 euro ciascuno».
Davide Bono spara alto: «Ci dicono che siamo al 21 per cento, ma vogliamo superare il 30. Di limiti, non ne vediamo più».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
Pubblichiamo l’articolo del Secolo XIX. il maggiore quotidiano ligure, che riprende la denuncia di Liguria Futurista pubblicata sul ns. sito
“Rimangono desolatamente vuoti molti spazi dove dovrebbero essere esposti i manifesti del movimento di Gianfranco Fini, Futuro e Libertà . La crisi degli attacchini ha colpito duramente: non si sono trovati volontari pronti ad adempiere al compito. Così in molti punti della città , accanto ai colori degli altri partiti, sotto quell’insegna non c’è nulla.”
(da “il Secolo XIX”)
Il commento del ns. direttore
Da quasi due anni ormai denunciamo la disastrosa gestione di Futuro e Libertà in Liguria e i loro protettori romani: abbiamo assistito, per dirla stile Rai, a “di tutto di più”, non ci è stato risparmiato in due anni proprio nulla.
In qualsiasi altro partito, a seguito di quanto è accaduto in Liguria, ci sarebbero state espulsioni, commissariamenti, pubbliche scuse verso gli iscritti e la base elettorale.
E si sarebbe affidata la gestione del partito a persone competenti e disinteressate, in sintonia ideologica e comportamentale con le tesi del manifesto di Bastia Umbra.
I vertici nazionali di Fli hanno invece fatto prevalere la loro arroganza e incompetenza, sommando errori ad errori, fino a scendere nel ridicolo.
Come si potrebbe definire una gestione che non riesce neanche a far affiggere 100 manifesti nei 100 cartelloni elettorali ubicati a Genova?
I manifesti a Genova non ci sono?
Andate a prenderli a pochi chilometri da chi ne ha 2000 in cassaforte e non li affigge neppure.
Se volete vi do’ l’indirizzo.
Oppure i manifesti ci sono ma, a causa dello sfascio che avete creato, mancano i volontari per attaccarli? Ci siamo informati: con soli 120 euro per 100 spazi sarebbero coperti tutti i cartelloni in città .
Neanche quelli volete spendere?
E per coprire almeno tutta la Riviera, essendo uno che ha passato nottate ad attaccarli, assicuro che bastano due/tre militanti che vi dedichino una giornata.
Tuto il resto sono balle.
Vergognatevi.
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL PATTO CIVICO: “VIA LA POLITICA DALLA SANITA’ LOMBARDA”, ANCHE A COSTO DI AFFIDARE LA SELEZIONE FUORI REGIONE”
“Testa a testa col centrodestra. Ma quello che si legge sui giornali dà il voltastomaco”. Umberto
Ambrosoli mette da parte la consueta temperanza e attacca a testa bassa i rivali dove sono più vulnerabili, legalità e credibilità .
Il candidato del centrosinistra sta andando a Saronno, tra le roccaforti del leghismo scosse negli ultimi giorni dall’eco della vicenda Finmeccanica.
Incredulo, legge di come il capogruppo della Lega al Pirellone, Stefano Galli, fosse riuscito a piazzare una consulenza da 196mila euro al genero, con la terza elementare, in qualità di “valutatore legislativo”.
“E’ questa la continuità che propone il centrodestra”, attacca Ambrosoli.
“Anche se pubblicamente si riempiono la bocca di promesse sul merito, sulla trasparenza e sul buon governo stanno difendendo un blocco di potere che non ha alcuna intenzione di mollare la presa, a partire dalla sanità che è stato il bancomat del malaffare”.
Non sarà facile togliere le mani della politica da Asl e ospedali, al punto che Ambrosoli vede una sola strada: una selezione fuori regione delle figure-chiave.
Si vedrà , ma intanto mancano dieci giorni all’election-day e nei prossimi sette si gioca il tutto per tutto.
Scatta la caccia all’ultimo indeciso: “Nessuna promessa choc. Chiedo a chiunque abbia a cuore il cambiamento di non rintanarsi in casa ma prendere parte alla mobilitazione per dare certezza della vittoria”.
Certezza di vittoria. Ha qualche sondaggio per le mani?
Le analisi che abbiamo indicano un testa a testa, si decide davvero all’ultimo voto. Lo sanno anche i miei avversari che infatti si affanno a fare promesse irrealizzabili per portare a casa anche un vantaggio risicato. Io non faccio a annunci choc ma chiedo ai lombardi di non perdere l’occasione storica di cambiare strada.
C’è chi lamenta piazze semi deserte ai suoi comizi…
Magari gli inviati di Libero, ma forse hanno sbagliato indirizzo. A Brescia abbiamo riempito piazza Duomo, a Mantova piazza Sordello era stracolma e a Pavia i carabinieri hanno fermato l’ingresso a teatro perchè anche nel locale più grande non c’era posto per ospitare tutti. Invito tutti a guardare le foto del nostro tour su internet per vedere quanta gente si è mobilitata intorno alla nostra proposta. In tempi di antipolitica è un bel segnale.
Pensa che gli scandali in Regione saranno determinanti nelle urne?
Hanno minato la credibilità delle istituzioni e hanno avuto effetti diretti sui lombardi, penso che gli elettori avranno lo stesso voltastomaco che ho io a leggere i giornali in questi giorni. Ma quello che voglio sottolineare è che i denari immessi nel sistema per questioni fraudolente sono risorse sottratte ai cittadini e alle loro prestazioni. Sento Formigoni che tenta di sdrammatizzare e mi chiedo cosa ne penserebbero i suoi elettori se sapessero che il giro di tangenti ipotizzato dalle indagini sulla sanità vale 8 milioni di euro, l’equivalente di 121mila ticket sanitari. C’è poco da ridere.
Andiamo al sodo, come realizza il suo slogan “fuori la politica dalla sanità ”?
Penso a un sistema totalmente nuovo che investa il cuore del problema, il modo in cui il centro-destra ha totalmente lottizzato la sanità piegandola alle logiche d’appartenenza. La nomina politica dei direttori generali di Asl e ospedali. E’ ora di cambiare le regole.
Con Ambrosoli chi li nominerà ?
Proporrò che sia una commissione di esperti estranei al sistema regionale lombardo a selezionare sulla base delle sole competenze il doppio dei candidati di ogni tornata di nomine. Gli organi politici potranno solo scegliere tra due nomi, così finalmente si libera la sanità dalle mani della politica per affidarla al merito e allo stesso tempo si riportano le responsabilità dell’operato in capo ai singoli direttori.
La vicenda Finmeccanica lambisce i vertici della Lega e investe il Varesotto: avrà ripercussioni sull’azienda?
L’eredità del centro-destra rischia di penalizzare realtà industriali di prim’ordine, compresa Finmeccanica. Vedo però la propensione a buttarla in politica, additando toghe rosse e complotti. Questo non aiuta certo le imprese e il sistema industriale.
Alcuni candidati del centro sinistra che la sostengono girano con avvisi di garanzia in tasca. Non era meglio evitare?
Ci siamo trovati a dover difendere non solo le persone al centro delle indagini ma anche la credibilità delle istituzioni. Due piani che non si possono confondere e per questo abbiamo deciso di offrire le massime garanzie possibili, ottenendo quello che in Italia non era mai stato fatto, cioè la garanzia dei candidati a dimettersi in caso di rinvio a giudizio.
Dopo gli endorsment dei montiani per lei, tocca ai cattolici di “Tempi” per Maroni. E’ sorpreso?
Molto. Il direttore del settimanale Luigi Amicone cerca rassicurazioni di continuità sui temi più cari come la famiglia e la scuola nella Lega di Maroni, ma credo sbagli indirizzo. Non solo per i matrimoni celtici che sono colore, ma perchè proprio il Carroccio si è fatto promotore di battaglie che dividono ed emarginano. Ricordate la scuola di Adro che voleva escludere dall’istruzione i bimbi per motivi economici?
La accusano di voler smantellare la scuola privata…
Niente affatto. Ritengo che oggi dobbiamo tornare a parlare di famiglia e scuola in modo non ideologico ma realistico. La nostra linea è di garantire la possibilità di scelta tra istruzione pubblica e privata a chi oggi non può farlo. Per Lega e Pdl è un diritto intoccabile, ma riservato a chi ha un reddito alto. Sono due visioni alternative tra loro.
Quale priorità per la sua giunta?
Il lavoro, la Lombardia deve ripartire di qui. Mentre ci raccontano che il 75% delle tasse dovrebbe restare qui il lavoro se ne andava: tra il 2007-2011 la disoccupazione ha registrato un più 3,3 per cento, Pil pro capite meno 4,7 per cento. Il mio programma punta a rilanciare l’intervento pubblico, con una politica regionale mirata su occupazione e impresa che faccia aumentare il tasso di occupazione dal 65 al 70 per cento, significa 300mila posti di lavoro in più.
E chi il lavoro non lo trova?
I morsi della crisi si sentono anche qui e per rispondere bisogna orientare il welfare diversamente. La Regione può fare la sua parte, introducendo ad esempio un “reddito di autonomia” per dare una garanzia di sostentamento a chi ne è privo e aiutarlo a rientrare nel mondo del lavoro, una somma tra i 400 e i 450 euro.
Ma i soldi dove li troverà ?
Per lavoro e imprese le risorse ci sono, nascono spontanee dal tessuto economico ma si possono anche reperire con un fondo regionale per lo sviluppo capace di attirare la Banca Europea degli investimenti, Cassa Depositi e Prestiti, Regione Lombardia, altre realtà istituzionali, per sostenere il credito e le imprese. Sul versante infrastrutture, la chiave è la regionalizzazione del patto di stabilità con la restituzione di 800 milioni ai comuni per opere e servizi.
Chi sceglierà i suoi assessori, lei o i partiti che la supportano?
Sono sostenuto da partiti e da una componente civica. Quando mi fanno questa domanda pensano di portarmi a indicare un scelta come fossero campi contrapposti. Dico che sceglierò gli assessori in base alle competenze, senza escluderli per la loro provenienza da uno o l’altro dei due mondi che con me si sono incontrati. Ma di nomi non ne faccio perchè sarebbero subito esposti a critiche. In questo momento la garanzia sono io.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
I POTERI E LE ISTITUZIONI NON SONO OGGI DELEGITTIMATI PERCHE’ CADUTI NELL’ILLEGALITA’ MA IL CONTRARIO: L’ILLEGALITA’ E’ COSI’ DIFFUSA PERCHE’ I POTERI HANNO SMARRITO OGNI COSCIENZA DELLA LORO LEGITTIMITA’
La decisione di Benedetto XVI deve essere considerata con estrema attenzione da chiunque abbia a cuore le sorti politiche dell’umanità .
Compiendo il “gran rifiuto”, egli ha dato prova non di viltà , come Dante scrisse forse ingiustamente di Celestino V, ma di un coraggio, che acquista oggi un senso e un valore esemplari.
Deve essere evidente per tutti, infatti, che le ragioni invocate dal pontefice per motivare la sua decisione, certamente in parte veritiere, non possono in alcun modo spiegare un gesto che nella storia della Chiesa ha un significato del tutto particolare.
E questo gesto acquista tutto il suo peso, se si ricorda che il 4 luglio 2009, Benedetto XVI aveva deposto proprio sulla tomba di Celestino V a Sulmona il pallio che aveva ricevuto al momento dell’investitura, a prova che la decisione era stata meditata.
Perchè questa decisione ci appare oggi esemplare?
Perchè essa richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità .
Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perchè essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità ; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.
I poteri e le istituzioni non sono oggi delegittimati, perchè sono caduti nell’illegalità ; è vero piuttosto il contrario, e cioè che l’illegalità è così diffusa e generalizzata, perchè i poteri hanno smarrito ogni coscienza della loro legittimità .
Per questo è vano credere di potere affrontare la crisi delle nostre società attraverso l’azione — certamente necessaria — del potere giudiziario: una crisi che investe la legittimità , non può essere risolta soltanto sul piano del diritto.
L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale.
Il tentativo della modernità di far coincidere legalità e legittimità , cercando di assicurare attraverso il diritto positivo la legittimità di un potere, è, come risulta dall’inarrestabile processo di decadenza in cui sono entrate le nostre istituzioni democratiche, del tutto insufficiente.
Le istituzioni di una società restano vive solo se entrambi i principi (che, nella nostra tradizione, hanno anche ricevuto il nome di diritto naturale e diritto positivo, di potere spirituale e potere temporale) restano presenti e agiscono in essa senza mai pretendere di coincidere.
Per questo il gesto di Benedetto XVI è così importante.
Quest’uomo, che era a capo dell’istituzione che vanta il più antico e pregnante titolo di legittimità , ha revocato in questione col suo gesto il senso stesso di questo titolo.
Di fronte a una curia che, del tutto dimentica della propria legittimità , insegue ostinatamente le ragioni dell’economia e del potere temporale, Benedetto XVI ha scelto di usare soltanto il potere spirituale, nel solo modo che gli è sembrato possibile: cioè rinunciando all’esercizio del vicariato di Cristo.
In questo modo, la Chiesa stessa è stata messa in questione fin dalla sua radice.
Non sappiamo se la Chiesa sarà capace di trarre profitto da questa lezione: ma sarebbe certamente importante che i poteri laici vi trovassero occasione per interrogarsi nuovamente sulla propria legittimità .
Giorgio Agamben
(da “la Repubblica“)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
UN CHIODO FISSO, LA LEGALITA’… UNA RISORSA CHE DIVENTA ANCHE UN LIMITE
Antonio Ingroia, il pm antimafia salito sulle spalle della sinistra-sinistra diventando con Rivoluzione
civile la mina vagante che può far vincere o perdere il Pd, compone le frasi come se facesse una partita a Ruzzle.
Ma senza divertimento, men che meno stupore. Un paroliere tutt’altro che estroso, peraltro: legalità , legalitario, legale, legali, legge.
Inizia a solfeggiare già a mattina, appena sceso a Milano dalla macchina con lampeggiante e scorta, nella giornata in cui batte palmo a palmo la Lombardia, l’Ohio d’Italia, regione chiave degli equilibri del Senato e dove dunque, come in Sicilia, il suo pacchetto di voti può essere decisivo.
Oggi si deve parlare di crisi economica? Bene. «Il motore dello sviluppo può diventare la legalità », annuncia.
Un messaggio che ripete prima per radio, a Cologno Monzese, poi al Palazzo delle Stelline, a un passo da Sant’Ambrogio.
Fuori nevica forte, paralizzati i trasporti di mezza Italia, a Roma il papa sta annunciando le dimissioni.
Ma potrebbe esserci qualunque tempo e qualunque notizia-bomba: per uscire dal tunnel della crisi e riavviare il motore, tira dritto Ingroia, basta dedicarsi con più foga alla confisca dei beni mafiosi, cambiare la legge per poter sequestrare anche i grandi patrimoni frutto di corruzione ed evasione e il gioco è fatto.
Si recupererebbero «grandi quantitativi di denaro», da destinare alla piccola e media impresa, ma anche a garantire un reddito minimo ai disoccupati.
Un uovo di Colombo. Così assicura il pm in prestito alla politica, che in questo genere di discorsi parla sempre per spanne («Da un pezzo», «un numero sterminato», «tra i più bassi d’Europa», «insopportabile lunghezza») e nei numeri precisi non si avventura mai.
Del resto, che accenni al lavoro, al femminicidio, alla disoccupazione, è sempre sulla legalità che finisce.
Programma di governo, centro di gravità permanente, metro del mondo.
Pane che regala a piene mani agli appassionati del genere, a forza di «noi abbiamo le mani pulite», anche se «non siamo migliori degli altri, anzi lo siamo», che «vogliamo azzerare tutte le leggi ad personam» ed «eliminare la mafia», mica solo combatterla o contenerla, come ha fatto il Pd.
E gli ultrà accorsi ad ascoltarlo gli sorridono largo, gli porgono i suoi libri da firmare come se fossero paramenti sacri.
O ne citano i titoli con evocativa deferenza — “Palermo”, “Io so” — così, senza aggiungere altro. Anche se in terra lombarda dimentica Formigoni e il suo scandalo e se la prende col Pd.
Fuori da questo perimetro, quello tradizionale del pm antimafia e dei suoi fan, alberga invece scetticismo.
E un qualche rimpianto per la scarsa presenza in campagna elettorale di Luigi De Magistris, l’arancione con appeal trasversale.
«Ingroia invece sa parlare solo di giustizia, non ha ancora capito che non deve diventare procuratore dell’Oklahoma, ma entrare in Parlamento», sussurrano nelle retrovie del movimento.
E in effetti, a guardarlo girare per incontri pubblici, conferenze stampa, saluti ai gazebo dei militanti, col suo gilet di lana sotto la giacca e i suoi gemelli ai polsi, il suo tono nè piacione nè antipatico, pare Ingroia sempre assai compreso nel suo ruolo, e insieme un po’ a disagio.
Un essere mitologico, metà magistrato e metà leader politico — o forse in questo momento nessuno dei due, esattamente.
Come se — da Borsellino al Guatemala, passando per l’antipolitica in versione società civile — avesse troppi echi di cui tenere conto, e nessuno in modo specifico.
Sarà anche per questo che, tra la gente, c’è anche chi va ad ascoltarlo per decifrarlo: «Il programma di Rivoluzione civile mi piace, lui invece mi è sembrato poco pungente», spiega un informatico di mezza età calato dalle valli bergamasche.
Poco pungente, che paradosso.
Troppo “professore” per fare il tribuno della plebe in stile Di Pietro (non urla mai, per dire), troppo disincantato per fare l’incantatore di serpenti, troppo poco carismatico per fare il visionario alla Bertinotti.
Eppure, adesso, alla guida di un movimento che fra gli altri mette insieme proprio quei partiti (Italia dei Valori, Rifondazione comunista, Comunisti italiani), sommandoli con la società civile dei Sandro Ruotolo e delle Ilaria Cucchi.
Il risultato, anch’esso ibrido, lo si vede per esempio nel dibattito pubblico alla Camera di commercio di Brescia, altra tappa del tour lombardo.
Sul palco, a destra di Ingroia — lato antimafia — c’è Franco La Torre, figlio di Pio, mentre a sinistra — lato sindacal comunista — c’è Maurizio Zipponi della Fiom; in sala, duecento persone, uno strano mix tra giovanissimi incuriositi dal personaggio (il diciottenne che ha letto tutti i suoi libri, la ventiquattrenne che si è appena laureata con una tesi sulle ecomafie, sembra di stare nella Rete di Orlando vent’anni fa) e robusti metalmeccanici o sindacalisti in genere che parlano con passione di fabbrica, di scuola, di sanità , di articolo 18 e riforma delle pensioni.
Gente che, nella foga di raccontare al leader politico le proprie battaglie, finisce per sbattere la fronte contro l’altra metà dell’essere mitologico Ingroia, il magistrato.
Come fa, dal palco, un operaio dell’Iveco: «Perchè per i lavoratori in mobilità nessuno insorge e, invece, quando Giorgio Napolitano è stato attaccato sulla trattativa Stato-mafia è insorto il mondo?», domanda polemico, mentre in sala si fa silenzio tombale e il leader di Rivoluzione civile — titolare dell’inchiesta sulla trattativa — guarda il telefonino e sembra prendere appunti svogliato, come nell’imitazione di Crozza.
Oppure gente da sempre di sinistra-sinistra che, come Anna, spiega quanto le paia assurdo «essere finita a sostenere un giudice, dopo che negli anni Settanta ero contro i giudici» perchè gli appare affidabile.
Puntare a una sinistra un po’ antica, pescare tra gli elettori di Pd e Sel.
È questa la vasca nella quale alla fine Ingroia butta gli ami.
Attaccare Bersani «che rappresenta l’apparato» e la sua «scelta di allearsi con Monti dopo il voto» è l’unica porzione della politica che — tolta la legalità — lo scaldi un po’.
La frase contro il «criminogeno» Berlusconi è articolata quasi controvoglia, a Monti è riservato solo un mezzo affondo: è «un tecnocrate», ma pur sempre incarna «una destra pulita».
Agli avversari naturali di centrodestra, l’ex pm preferisce gli antagonisti di centrosinistra.
Contro i quali è persino capace di dire che «un governo stabile non è un valore assoluto, ma un valore relativo», anche se si è in mezzo alla crisi più nera.
Qual è il suo obiettivo finale? Una poltrona da ministro? Ingroia lo nega, ma certo il suo programma da Guardasigilli ce l’avrebbe già , persino nel dettaglio.
Essendo, naturalmente, contrario alla separazione delle carriere, o a dare più poteri investigativi agli avvocati («Ne hanno già troppi»), ma favorevole a una revisione della legge sulle intercettazioni.
Chissà perchè.
Susanna Turco
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
E NEL PD CI SI CHIEDE QUALE RUOLO PROPORRE AL PROFESSORE IN CASO DI MAGGIORANZA ALLARGATA: SI PENSA ALLA FARNESINA
In politica nulla avviene mai per caso. Men che meno quando un uomo come Giorgio Napolitano, nella sua ultima visita ufficiale negli Stati Uniti, si prende la briga di “difendere” oltre Oceano Mario Monti dagli attacchi che riceve, ormai quotidianamente, “da chi prima l’ha appoggiato”.
Il Capo dello Stato, in realtà , ha voluto dare questo segnale di apprezzamento nei confronti del premier per un motivo molto preciso: rassicurare anche Obama che Monti avrà un ruolo importante anche nel prossimo governo.
Una rassicurazione “in chiave Fiat”.
RUOLO NEL GOVERNO
La questione è all’attenzione delle discussioni più interne a largo del Nazareno, quartier generale del Pd.
Per Monti è stato ipotizzato un ruolo di governo oppure la presidenza del Senato, non volendo Bersani commettere l’errore che fu di Prodi nel 2006, che dopo aver vinto le elezioni per una manciata di voti (24mila) si rifiutò di allargare la maggioranza concedendo al centro di Casini la guida di Palazzo Madama.
Anche stavolta, in verità , quella poltrona è ambita dallo stesso leader Udc, ma concederla a Monti significherebbe togliere al Professore qualsiasi velleità di partecipazione governativa.
Soprattutto evitare che si possa presentare con richieste “imbarazzanti” come il ministero dell’Economia o — peggio — dello Sviluppo economico.
Casomai, si dice al Nazareno, gli si potrebbe concedere la Farnesina, facendo di certo uno sgarbo a D’Alema, ma se non altro lo si terrebbe al riparo da un conclamato “conflitto d’interessi”.
Quale? Quello che, in qualche modo, è andato a difendere Napolitano con Obama: il ruolo della Fiat.
TUTELARE LA FIAT
Ebbene, Mario Monti, agli occhi degli americani e dei vertici della casa torinese, è l’uomo giusto per continuare a tutelare Fiat lasciandogli massima libertà di movimento.
Un governo con Monti dentro, insomma, difficilmente presserebbe oltre misura la prima fabbrica del Paese costringendola a restare saldamente sul territorio nazionale. E ad investire prevalentemente in Italia come invoca invece la Fiom Cgil.
Obama ha un interesse molto preciso in tutto questo gioco, anche se probabilmente non ne ha discusso in questa occasione con Napolitano semplicemente perchè non ce n’è bisogno: Fiat, alla fine del 2013, si è impegnata a comprare il 40% di Chrysler.
Se il nuovo governo dovesse cambiare rotta costringendo la casa torinese a riprendere in mano il progetto di “Fabbrica Italia”, lungamente sbandierato e mai decollato, per la Fiat diventerebbe impossibile tenere fede completamente agli impegni presi con gli americani.
Di qui il nuovo endorsement di Napolitano che non a caso, appena uscito dallo studio Ovale, non ha perso occasione per tessere le lodi di Monti.
Un segnale inequivocabile. Nel Pd masticano amaro, l’esistenza di un problema legato ad un presunto “conflitto d’interesse” di Monti con la Fiat viene sussurrato a mezza bocca, si evitano sapientemente giochi di seggiole e poltrone post elettorali quasi in modo scaramantico.
Ma l’evidenza è tale che poi diventa difficile negare che esista un problema.
D’altra parte, la “passione” di Monti per la Fiat emerge in modo palese anche dalla composizione della lista di Scelta Civica.
Se Luca Cordero di Montezemolo, presidente Ferrari, è il primo sponsor del Professore, tra i candidati ci sono figure come quella del patron della Brembo, Alberto Bombassei, primo fornitore dei freni della Rossa di Maranello e delle ammiraglie della Fiat.
Il dilemma dei democratici, insomma, non è di poco conto.
Il professore serve per l’alleanza nel caso in cui il Senato si riveli a rischio maggioranza, ma si esclude di potergli dare un ruolo di governo che metta pesanti ipoteche sulla futura “linea” di gestione economica del nuovo esecutivo.
A partire proprio dal comportamento da tenere con la Fiat.
La foto di Monti a Melfi, del resto, è forse la prova più pesante di questo intreccio e questo disturba non poco Bersani.
Che ai suoi avrebbe detto, con la sua consueta genuinità contadina, che “prima si pensa a far ripartire l’Italia, poi vediamo di far felici anche gli altri…”.
Ma chissà se Napolitano, al momento di dare l’incarico al prossimo premier, non metterà sul piatto interessi storicamente più importanti dei nostri anche sul suolo patrio…
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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