Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
DISPOSTO A CONFRONTO ESCLUSIVAMENTE CON BERSANI, PERCHE’ “SOLO I PRIMI DUE PARTITI DEVONO ANDARE UN TV”… MA ALLORA CON BERSANI INVITINO GRILLO, LUI CHE C’ENTRA?
È di nuovo il tema del confronto tv ad incendiare gli ultimi giorni di campagna elettorale.
Il Pdl attacca la Rai: “Al direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, che si fa portavoce di Monti proponendo formalmente, attraverso il dottor Vespa, un confronto televisivo a tre, e si fa anche portavoce, in seconda istanza, di Bersani per un confronto non più a tre ma a sei, rispondiamo: perchè il dottor Gubitosi non prende in considerazione anche la proposta più volte avanzata invano dal presidente Berlusconi per un confronto faccia a faccia tra i due esponenti delle uniche coalizioni che hanno la possibilità di vincere queste elezioni, come avviene nelle democrazie occidentali più avanzate?” si legge in una nota del portavoce di Berlusconi e membro di commissione vigilanza della Rai, Paolo Bonaiuti.
Sulla necessità di un confronto tv tra le forze in campo, ritenuto un dovere di tutte le democrazie mature, è tornato anche oggi Mario Monti, mentre Berlusconi declina l’nvito di chi non reputa un avversario temibile.
Poi, dicendosi convinto della vittoria al conduttore Fulvio Giuliani, che gli chiedeva quale, tra i suoi rivali politici, sia più meritevole di stima, ha risposto: “Mi sa che andiamo molto male. Nessuno può paragonarsi a me per capacità e inventiva”.
Lega.
Silvio Berlusconi alla platea di Confindustria a Monza ha voluto spiegare che se vincerà le elezioni il suo governo potrà fare molte cose e che se la Lega facesse difficoltà , si potrebbero far cadere le tre Giunte di Veneto, Piemonte e, in caso di vittoria al Pirellone, Lombardia, che hanno un presidente leghista.
“Potremmo far cadere le Giunte delle tre Regioni – ha spiegato – se ci fossero difficoltà al governo e quindi credo che avremmo mano libera”.
Un botta e risposta a distanza continuo, quello tra il premier e il Cavaliere: Mario Monti, ribattendo a Berlusconi, che lo ha accusato di essere un “professorino che non capisce l’economia e la guarda dal buco della serratura”, ha detto: “Di economica ne ho praticata meno di lui, perchè non sono imprenditore, ma ne ho vista enormemente più di lui anche attraverso meccanismi della concorrenza che lui forse ama meno”
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Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
CHE STRANO: SUL “CORRIERE” SI PARLA DI 50 PERSONE AD ASCOLTARE FINI, MA NON SI DICE QUANTI ERANO LO STESSO GIORNO DALLA MELONI E DA ALFANO
Facciamo una premessa: questa nota non è finalizzata a dimostrare alcuna tesi precostituita atta a
difendere o attaccare qualcuno.
Quando lo facciamo usiamo argomenti politici e ci mettiamo la faccia in prima persona.
Tutto nasce da una nostra cuoriosità : stamane il “Corriere della Sera” ha pubblicato l’articolo qua a lato dal titolo “Sala vuota ad Agrigento. Flop per l’incontro con Fini (e lui ci resta male)”.
Ovviamente gli ambienti Pdl si sono sentiti realizzati nel far girare la notizia.
Poco dopo arriva una precisazione di Fabio Granata: “l’articoletto vergognoso, ispirato da un solerte fotografo della città di Alfano che ritrae la sala di Agrigento un’ ora prima l’inizio della manifestazione,e pubblicato dal Corriere rappresenta l’ennesimo patetico tentativo di sminuire Fli.”.
Da esperti notiamo due particolari: la foto ha un taglio “ad escludendum”, va cioè lateralmente e non in profondità e Fini, più che contrariato per le poche presenze in sala, sembra più intento a leggere un sms.
A questo punto ci procuriamo, grazie alla testata locale AgrigentoOggi.it che ringraziamo, una trentina di foto della manifestazione: ne pubblichiamo due che ampliano la sala in profondità e la coprono per due terzi in larghezza.
Risultato: i presenti erano almeno 120 e non “poco meno di 50”.
Non ci interessa se siano pochi o tanti, non entriamo nel merito, ma quasi tre volte quelli dichiarati sul Corriere.
Ma andiamo a vedere un altro partito, dato vicino al 2%, quante persone ha portato in sala ad ascoltare la loro leader.
Eh si, perchè lo stesso giorno ad Agrigento c’era anche Giorgia Meloni, con analoga mobilitazione dei militanti di Fratelli d’Italia.
Valutate voi la sala nella quarta foto: eppure non è uscito un articolo su un “flop della Meloni”, chissà come mai.
Dimenticavamo: lo stesso giorno ha parlato ad Agrigento anche Angelino Alfano, ma non in piazza, bensì al Grand Hotel dei
Templi.
Considerando che è la sua città , come mai non ha scelto di parlare nella piazza principale davanti a migliaia di concittadini festanti, ma si è rinchiuso in una sala d’hotel capace di contenere al massimo 300 persone?
Tutte domande che giriamo al Corriere certi che la par condicio del tarocco in futuro sarà rispettata sia in casi di Fli-p che in quelli di Flop.
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Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI DIVENTA VARENNE, BERSANI IL CARDINALE DI PIACENZA
Nelle segrete stanze del Vaticano o al trotto sulla pista dell’ippodromo, le percentuali dei partiti su
Internet si camuffano così.
Dalla mezzanotte del 9 febbraio è scattato il divieto di pubblicare sondaggi, ma la legge non ha fermato quei siti online patiti di dati e organizzati di conseguenza.
L’ultimo report di youtrend.it , ad esempio, riguarda la conquista del Nordest, con il post del 13 febbraio «Voci dal Conclave: rilevazione sui candidati in Veneto»: i protagonisti «porporati» sono «il bonario cardinale di Piacenza» (Bersani), «il vulcanico cardinale di Monza e Brianza» (Berlusconi), «il sobrio cardinale di Milano, decano uscente del collegio cardinalizio» (Monti), «l’irruente camerlengo di Genova» (Grillo), «l’imperturbabile grand’Inquisitore del Sant’Uffizio di Palermo» (Ingroia) e «l’estroso ecclesiarca di Mirafiori» (Giannino).
Ecco i risultati sul Veneto, «il patriarcato di Venezia»: il distacco tra Monti e Berlusconi «si sarebbe più che dimezzato, attestandosi intorno ai 2-3 voti (era pari a 9 cardinali 2 settimane fa).
A guadagnarci sarebbero l’ecclesiarca di Mirafiori e ancor più il camerlengo pentastellato di Genova, che avrebbe superato di gran lunga quota 20 secondo gli ultimi conteggi».
L’IPPODROMO
Su notapolitica.it , invece, gli aggiornamenti arrivano dall’«Ippodromo San Nicola» e anche qui la decrittazione è immediata, con Bersani primo, Berlusconi secondo e Monti terzo: «La scuderia Bien Comun chiude agevolmente prima, distanziando di 4,8 lunghezze la rivale Maison Libertè. Molto buona la prova di Fan Idole che corre il miglio in 30 secondi netti.
Varenne non va malissimo ma è lontano dalla forma dei giorni migliori: con 20 secondi traina la sua scuderia ma manca dello sprint finale per coronare la rimonta. Al centro della pista svetta Ipson de la Boccon: 10 secondi il suo tempo al traguardo».
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Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
APERTA GRAZIE AI FINANZIAMENTI DELLA REGIONE CAMPANIA E DEL COMUNE DI AVELLINO, VIENE UTILIZZATA PER BALLI DELLE DEBUTTANTI, PRESENTAZIONI DI LIBRI E RIUNIONI POLITICHE
Nel cuore dell’Irpinia del post terremoto nasce “Noi con loro”. Una associazione che, sulla carta, ha lo scopo di integrare e accogliere i portatori di handicap nella città di Avellino.
Il progetto è tanto caro alla famiglia De Mita ma, soprattutto, alla moglie di Ciriaco, Anna Maria Scarinzi.
In un momento storico in cui il nome dell’ex presidente del Consiglio (ministro per ben tre volte, senza contare gli incarichi regionali e locali che il “padrino della Dc” ha avuto) ha un certo peso nel panorama nazionale, arrivano una pioggia di finanziamenti, anche in forma di donazioni per il centro che via via assume dimensioni faraoniche.
Tanti soldi dalla Regione Campania, tanti soldi dal Comune di Avellino che mette a disposizione una superficie di 30 mila metri quadrati (dove sorge il centro) per 87 anni e impiega due dipendenti comunali nelle attività di gestione.
Nulla di male? Bè, il punto è che, ad oggi, i disabili di Avellino non vogliono neppure sentir parlare dell’associazione.
Non solo non sono stati integrati ma, chi ha alzato la voce, è stato messo alla porta.
Per trovare l’integrazione sperata hanno messo in piedi la Consulta comunale per i disabili.
“Io non ho mai visto Noi con loro — esordisce la presidente Marinella Pericolo — I diversamente abili, nonostante i nostri sforzi non sono veramente integrati ad Avellino. Quelli che conosco io non hanno contatti con l’associazione”.
Nella struttura che accoglie una mega palestra si fa sport e pure la ginnastica artistica. Inutile dire che ai disabili poco importa.
Nel 2001 il centro è anche una scuola paritaria e una materna e, per non lasciare spazio a polemiche, sul sito viene scritto: “Le scuole d’Italia e di tutti i paesi del mondo non sono scuole per diversamente abili. Nessuno prepara una scuola per diversamente abili. Sarebbe un ghetto mostruoso. La scuola materna parificata “Flora Baccari School” (Flora Baccari è madre della Scarinzi, ndr) è come tutte le scuole materne di Avellino e del mondo”.
Certo, peccato che la mission del centro non era quella di fare una scuola come tutte le scuole del mondo, altrimenti perchè qualcuno avrebbe dovuto elargire tanto denaro?
Ma andiamo per ordine, la questione è lunga.
Il Comune di Avellino e l’associazione, firmano la convenzione nel 1998.
I soldi arrivano in tempi rapidissimi e vengono in soccorso anche il Banco di Napoli, l’istituto bancario San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Popolare Pescopagano e l’ACRI (associazione casse risparmio italiane).
La signora De Mita ha bisogno però di professionisti e, per questo, l’anno dopo si affianca all’Aias (Associazione italiana assistenza spastici) di cui diventa vicepresidente. Mentre il presidente della sezione provinciale di Avellino, Ciro D’Argenio, viene messo alla porta e destituito dall’Aias nazionale in meno di sei mesi, a seguito delle discussioni avute con la presidente e dopo che lo stesso ha contribuito al completamento della struttura con 5, 8 miliardi.
Come dire, oltre il danno, la beffa.
Per agevolare iniziative finanziarie di diversa natura (anche relative al pagamento del fitto da parte dell’Aias) viene di volta in volta cambiato anche lo Statuto.
Nel 2005, Noi con loro diventa una onlus che può fare qualsiasi cosa.
Il gioco è semplice, basta inserire un “non”.
Esempio, all’articolo 1 si legge: “Essa persegue finalità di solidarietà sociale e di impegno civile […] dei disabili e non” e così via.
Fino a un certo punto, grazie a questi escamotage, l’associazione della signora De Mita rappresenta il 40% dell’intero capitolo di bilancio regionale. Tanti, tantissimi progetti. Dopo il Ballo delle debuttanti, la presentazione di libri e i convegni che oggi sostituiscono le attività “di integrazione” “magari anche qualche riunione politica”, suggeriscono i bene informati.
Nel dicembre dello scorso anno, Ciriaco ha presentato la sua ultima fatica “La storia d’Italia non è finita” proprio nei locali di Noi con loro.
Nemmeno la sua, in effetti.
Il nipote infatti è in corsa per un poltrona alla Camera, in quota Udc, nel collegio Campania 2.
L’onorevole De Mita non ha mai lasciato solo Giuseppe, che si è fatto strada proprio grazie a lui. Ciriaco fu per questo accusato di nepotismo, quando lo nominò presidente del Consiglio regionale.
“Oggi al disabile di Avellino — spiega Ciro D’Argenio, che si muove ancora nel mondo dell’associazionismo di categoria — serve molta trasparenza, una amministrazione che abbia buon senso, tenendo presente la legislazione in materia. Bisogna non aver paura del diverso perchè è uguale a tutti. Chi amministra dovrebbe trattare il disabile come un cittadino”.
Fatto sta che il centro è diventato così tanto “altro” da quello per cui era nato che la signora De Mita ha prodotto il film di Giannini, “La seconda vita” presentato nei locali dell’associazione irpina lo scorso dicembre.
Perchè accontentarsi? “Vivere nel bello è anche dignità — dice la signora De Mita orgogliosa della sua creatura — non ci sono parole per descrivere quant’è bello”.
A parere suo tanti sono i disabili che frequentano il centro. Sono talmente tanti che “non so dire quanti, dipende anche dal tempo. Ora c’è la neve e stanno a casa”.
“Non abbiamo finanziamenti — aggiunge — teniamo una convenzione col Comune di Avellino che ci dà luce, acqua e riscaldamento”.
E già , la storia d’Italia non solo non finisce, ma è sempre la stessa storia.
Angela Corica
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA’ IN VIA D’AMELIO
In via D’Amelio, stasera, l’unico lembo autentico di memoria è l’albero, adornato con messaggi e ricordini
dei viaggiatori.
Disegni stesi da una mano di bambino, visi di ragazze in scatti depositati sulle radici come ex voto, fazzoletti di boy scout ad avvolgere il silenzio di fondo che dal diciannove luglio del ’92 non si è mai spento.
In quel silenzio, dopo l’esplosione, rimasero arsi e congelati il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
L’alberello accanto al portone che il giudice non riuscì mai ad attraversare, mentre si accendeva una sigaretta, li protegge.
Il resto è marketing.
E’ marketing politico il breve comizio — Fabio Granata la definisce addirittura un’orazione civile — che Gianfranco Fini ha scelto di tenere in uno dei santuari del rispetto trasversale per la legalità .
Così via D’Amelio dovrebbe essere nelle buone intenzioni di tutti. Ma non lo è mai.
E non lo è, perchè svela la cicatrice di un furto continuato.
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone subiscono un saccheggio, da destra e da sinistra, pressochè quotidiano.
I ladri sono le maschere del potere che strappano, piegano e umiliano per mera propaganda un bottino di esempi e di amore verso le istituzioni che i due magistrati nutrirono fino all’ultimo senza ricevere nulla in cambio.
Marketing politico e partitico.
Hanno un resistente e affannato argomentare i colonnelli di Fli, uniti in falange accanto al ritornello che abbiamo ascoltato in questi giorni: non ci saranno bandiere di partito, solo il tricolore.
Vero, però la scenografia è tipicamente da comizio.
Il tricolore, appunto. La musica del ‘Signore degli anelli’, patrimonio acustico della destra dura e pura. Un paio di bimbi con cartelli inneggianti a ‘Libertà e Futuro’.
Il mimetismo non riesce. Gianfranco Fini è qui per rivendicare, come capo di Fli, un legame esclusivo e identitario con l’insegnamento di Paolo Borsellino, più volte citato nei suoi passaggi celebri.
Un capolavoro di retorica in copia conforme. L’ennesimo atto di invasione di campo che ha uno scopo predefinito: dichiarare la preminenza del marchio, mettere il cappello sopra “un posto dell’anima” (sintesi di Fabio Granata) conservato gelosamente nel cuore dei siciliani di buona volontà .
Non è però la consueta retorica dei diciannove luglio, su cui noi cronisti abbiamo versato ettolitri di cattiva coscienza, scrivendo pezzi che titillavano l’enfasi, non spiegando niente.
E’ la campagna elettorale del 17 febbraio, a sette giorni dall’ora del giudizio.
E’ il riflesso di paura di una formazione che ha paura di non vedere tornare i conti.
E’ il gigantesco terrore, la strizza di chi detiene le leve del comando e sa che presto sarà costretto a cederle.
Allora rimane una strada disperata: aggrapparsi ai vettori d’emozione e d’impatto — via D’Amelio, Capaci, le mamme, gli arcobaleni di un esagitato Bersani vociante in Lombardia, gli occhiali fiduciosi di Monti, la corte dei miracoli di Berlusconi —, tentare la presa di un salvagente che ritardi l’inevitabile annegamento.
Marketing. Infatti c’è pure la scuola di ballo che si presenta con lo striscione, il numero di telefono e le specialità della casa. Dal liscio all’hip hop.
Domanda ai ragazzi che reggono la reclame: perchè siete qui.
Risposta: per Paolo Borsellino. Per chi altrimenti?
Con la pubblicità che muove al sorriso, visto che si mostra innocente nella sua mostruosa evidenza. Almeno non finge.
Non si tenta di sviare il discorso. Sì, piccolo spazio pubblicità . In via D’Amelio.
L’orazione civile del presidente della Camera è stanca.
Fini è ancora uno dei migliori oratori parlamentari della vicenda repubblicana. Tuttavia, stavolta, l’eloquio è chiaro, eppure gelido.
La gestualità non coinvolge. Lo sguardo non incalza.
E’ un passaggio fulmineo dalla “terra che sarà bellissima, quando saprà liberarsi dai condizionamenti” ad altri motti di scuola.
Non manca la campana del “per battere la mafia, si garantisca il lavoro”.
Siamo nello specchio senza alibi. Nell’epicentro della nostra vecchia politica terremotata.
Così, mentre Gianfranco e Fabio se ne vanno, tra scorta e flash, non c’è che l’alberello per recuperare un sorso di dolcezza.
Non c’è che ripercorrere la strada di Paolo, Emanuela, Agostino, Vincenzo, Walter e Claudio.
Dalle macchine al portone. Senza ritorno.
Non c’è che mormorare una preghiera per il fantasma di una sigaretta.
Roberto Puglisi
(da “Sicilia Live“)
FINI IN VIA D’AMELIO: “LA LEGALITA’ DEVE ESSERE UNA PRATICA QUOTIDIANA”
«La legalità dev’essere un valore condiviso da tutti, una pratica quotidiana». Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini sul palco montato in via Mariano d’Amelio, a Palermo, dove il 19 luglio ’92 avvenne la strage che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e 5 poliziotti della scorta, in una manifestazione «non elettorale ma politica» è stato detto per ricordare i valori incarnati da Borsellino. Prima di giungere in via D’Amelio Fini si è recato dalla vedova del magistrato, Agnese, e dal figlio Manfredi, per «rendere loro omaggio».
«Per battere la mafia – ha detto Fini – dobbiamo garantire lavoro».
Con lui vi erano anche gli esponenti di Fli Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Nino Lo Presti, Alessandro Aricò, e Tina Montinaro vedova di un agente di polizia morto nella strage di Capaci.
Nella strada non vi erano bandiere di partito o manifesti elettorali ma solo bandiere col tricolore.
Il vice coordinatore di Fli, Fabio Granata, ha detto: «Siamo in via D’Amelio con Fini e la nostra comunità militante non per un comizio ma per rinnovare un giuramento e l’impegno solenne per la costruzione di una forza politica legalitaria e radicalmente antimafiosa, distante anni luce dal berlusconismo e dai suoi maggiordomi».
«Una forza che parli di patria, coesione sociale e unità nazionale: i valori per i quali siamo nati nel luglio del 2010 in via D’Amelio e sui quali molti hanno perso per sempre il diritto alla parola. Per tenere alta la bandiera di Paolo Borsellino», ha concluso Granata.
(da “Il Giornale di Sicilia“)
Il commento del ns. direttore
Sono tra coloro che ritengono che i “buoni maestri” vadano ricordati nella prassi politica di ogni giorno, possibilmente anche nello stile di vita personale.
Non amo le commemorazioni “obbligate” e i riti di chi, a sinistra come a destra, a distanza di decenni, porta ancora in processione icone a cui genuflettersi.
Se qualcosa Paolo Borsellino ha insegnato a tutti gli italiani è la coerenza fino al sacrificio, la sobrietà e la dignità di chi serve lo Stato oltre ogni compromesso.
Le polemiche sulla manifestazione di Fli in via Amelio a pochi giorni dal voto, con una parte dei familiari che tirava la coperta da un parte, i vertici di Fli dall’altra, al centro un’altra parte silente, penso che Paolo non le avrebbe apprezzate.
Proprio perchè nel manifesto di Fli delle origini è forte il richiamo alla legalità , non ritengo fosse necessario marcare il territorio proprio in campagna elettorale, atteggiamento semmai più tipico di quelle parti politiche che amano speculare sulle vittime della criminalità organizzata in prossimità del voto.
Chi “semina legalità ” non ha bisogno di organizzare la mietitura, il raccolto viene da sè se il percorso è stato lineare.
In politica conta anche lo stile che viene percepito dagli elettori più di quanto possano immaginare tanti aspiranti parlamentari, “stile di vita” in cui Paolo fu maestro.
Come conta la coerenza tra principi e prassi politica.
Ha ragione Fini quando afferma che “la legalità deve essere un valore condiviso, una prassi quotidiana”.
Chi crede in questi valori dovrebbe applicarli in primis nelle scelte politiche quotidiane del partito di cui fa parte, poco importante se segretario, dirigente o semplice militante.
Non ci sembra che nell’appoggiare in passato tante leggi ad personam il percorso politico di molti sia andato in questo senso: a titolo personale chiunque avrebbe potuto dissociarsi.
Magari gli sarebbe costata la riconferma in Parlamento, ma chi si richiama a Paolo e al suo sacrificio estremo, come può fermarsi di fronte a una piccola rinuncia personale?
Se Paolo si è opposto alla trattativa Stato-mafia, dettando la sua condanna a morte, altri avrebbero potuto impedire leggi vergognose rinunciando (forse) semplicemente a un seggio.
Ma giustamente si può anche sbagliare nella vita, soprattutto quando si sta all’interno di una alleanza.
Meno giustificabile quando si crea un partito ex novo, non un “nuovo partito”, ma un “partito nuovo”, come sottolineò giustamente Fini a Bastia Umbra, un partito fondato (anche) sulla legalità .
Ma è evidente che per poter parlare di legalità all’esterno, occorre in primis dimostrare di saper applicare l’etica politica all’interno del proprio mondo, senza compromessi.
Se questo fosse stato fatto, oggi Fli non sarebbe ridotto a quello che è.
Se in tante regioni non fossero stati fatti allontanare i dirigenti migliori per dare spazio a intrallazzoni, se di fronte a personaggi equivoci si fosse seguito l’insegnamento di Paolo, ovvero di accompagnarli alla porta, se si fossero “dati esempi” invece che “silenzi omertosi”, oggi Fli avrebbe quella credibilità che ha invece perso per strada.
E la credibilità non si riacquista con i pellegrinaggi e gli ex voto.
Occorrevano fatti e decisioni nette e coraggiose, troppi “ultimi tram” sono stati fatti passare con leggerezza.
Il mondo cambia, ma qualcuno non se n’è accorto.
Ed è rimasto solo alla fermata.
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Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
LE PLANCE ELETTORALI NASCONDONO ALLA VISTA LA ROMA ARCHEOLOGICA: “PERCHE’ LE SOVRINTENDENZE NON INTERVENGONO?”… “CITTADINANZATTIVA” PORTA IN PROCURA DOSSEIR CON 110 FOTO
Cartelloni selvaggi elettorali a ridosso di molti monumenti di Roma.
Archeologia trattata come sfondo della cartellonistica più sfacciata e spesso abusiva che non risparmia niente.
«Perchè non intervengono le soprintendernze?»: lo chiede la sezione romana di Italia Nostra che ha immortalato alcuni scempi elettorali.
Spiegano a Italia Nostra: «E’ un imperversare di cartelloni e manifesti per lo più selvaggi, non si risparmiano ovviamente i monumenti. In questi giorni Roma è sempre più deturpata da un numero, in continuo aumento, di manifesti elettorali abusivi incollati dovunque sapendo benissimo che, anche se saranno multati, godranno probabilmente della solita sanatoria votata, come ogni volta, dal nuovo Parlamento».
EMENDAMENTO TRUFFALDINO
E in effetti risale soltanto allo scorso gennaio l’ultimo «condono» tentato a favore di partiti di ogni colore, ma poi fermato dal Governo Monti dopo le polemiche sollevate da un emendamento bipartisan che tentava di abbuonare le multe ai politici: un provvedimento dal sapore truffaldino per milioni di elettori e contribuenti.
Ciò nonostante, a Roma «appaiono plance in luoghi dove le Soprintendenze, sia quelle statali che quella comunale, non dovrebbero aver dato il permesso – denuncia Italia Nostra -: a via Baccelli, a ridosso delle Terme di Caracalla e a via del Circo Massimo e intorno sia a Castel Sant’Angelo che in altri monumenti vincolati nascondendo le visuali e creando degrado con tutti i manifesti strappati».
SPETTACOLO INDEGNO
«Se non altro questo è un gran brutto spettacolo per una Capitale – ripete Italia Nostra -. Perchè le Soprintendenze non denunciano allora quanto sta accadendo?». Cittadinanza Attiva e l’Iica (Istituto internazionale per il consumo dell’ambiente) hanno provveduto intanto a inviare una diffida al Comune per la rimozione dei casi più vistosi e hanno presentato un esposto alla Procura allegando 110 foto.
E invitano gli elettori a consultare anche «la ricca rassegna di altri impianti contestabili che si possono vedere sul sito Bastacartelloni.it».
PRECEDENTI DA DIMENTICARE
Quel che le associazioni non citano, almeno per ora, sono gli irritanti dati relativi ad irregolarità e abusi commessi da chi – per conto di vari candidati – affiggeva manifesti durante le passate tornate elettorali.
Perchè basta scorrere proprio quell’emendamento malandrino e i verbali rigorosamente bipartisan contro le affissioni di politici stilati dalla polizia municipale della Capitale per capire la portata del fenomeno: nel 2010, ai candidati delle elezioni regionali nel Lazio vennero comminate multe bipartisan per 140 mila euro.
Il Campidoglio era stato costretto a mettere in campo 18 squadre speciali per ripulire la città e segnalare le affissioni abusive.
Nel dettaglio, nel corso dei primi 10 giorni del febbraio di tre anni fa, i vigili avevano redatto 383 verbali (molti diretti ad alcuni candidati di punta di entrambi gli schieramenti) da 400 euro l’uno.
TENTATIVI DI SALVATAGGIO
Anche quelle sanzioni sarebbero state cancellate se fosse passato l’emendamento bipartisan al Decreto Milleproroghe che proponeva di prorogare i termini del condono al 29 dicembre 2012.
Con la reazione forte dell’opinione pubblica venne approvato un altro emendamento che sopprimeva la norma salva-partiti e decadde definitivamente (si spera) il condono delle affissioni politiche, approvato tra le polemiche nel 2008, prorogato di anno in anno e quindi scaduto il 31 dicembre 2011.
Paolo Brogi e Luca Zanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 18th, 2013 Riccardo Fucile
L’ACCUSA PER IL LEADER DELLA SUDTIROLER: AVER PRODOTTO UN DANNO ERARIALE DI 1,6 MILIONI DI EURO IN 17 ANNI DI SPERPERI
Sulle sponde altoatesine dell’Isarco, dove tutto è sempre ordinato e quieto, sta per arrivare un
improvviso scossone.
Dopo quattro mesi d’indagine, il giovane procuratore contabile Robert Schà¼lmers ha infatti depositato in questi giorni un pesantissimo atto d’accusa contro l’uomo più potente dell’Alto Adige, Luis Durnwalder, leader della Sà¼dtiroler Volkspartei e incontrastato presidente della ricca provincia di Bolzano da quasi un quarto di secolo.
Gli contesta 17 anni di illecita gestione del cosiddetto fondo per spese riservate, cioè quel tesoretto pubblico previsto ogni anno dalla legge finanziaria e destinato al presidente per l’esercizio dell’attività istituzionale.
Non tre denari: in tutto 1 milione e 653 mila euro che secondo la procura regionale della Corte dei Conti è il danno erariale procurato dal governatore nel corso degli anni in varie forme e per le spese più diverse, elencate in circa duecento pagine di «invito a dedurre», il documento conclusivo dell’inchiesta.
«Una cadenza quasi quotidiana – scrive il procuratore – utilizzando il denaro contante custodito all’interno della cassaforte e incaricando spesso una delle tre segretarie o gli uscieri di fare l’acquisto».
Si va dalle spese «tassative» come l’Ici sulle sue abitazioni, il canone Rai fin da quando si pagava in lire o la quota annuale di iscrizione all’albo dei giornalisti, a quelle «affettive» tipo i 1.510 euro del 2011 di biglietti aerei per Vienna a favore di Angelika, la sua attuale compagna, il fondo pensione di Heike, la precedente compagna, le bollette e l’Ici di Gerda, l’ex moglie.
Ricorrono poi yogurt, frutta, assicurazioni dei vari anni, fazzolettini Tempo, lucido da scarpe, ombrelli, caramelle, scatole di aspirine, Aulin, mazzi di fiori, spumante, permessi per la caccia, e poi 10 schiaccianoci per 1.250 euro, un campanaccio da pecore, un bersaglio con inciso il suo nome regalato agli Schà¼tzen e costato nel 2001 4,3 milioni di lire, un ritratto fotografico personale pagato nel ’97 un milione, una foto gigante di lui vestito da Schà¼tzen, fino al recente ritratto della figlia più piccola fatto dall’artista Sigrid Trojer e pagato il 18 maggio scorso 3.500 euro.
Insomma, migliaia di acquisti per decine di pagine, dal 1995 al 2012.
Una lunghissima e spesso personalissima lista della spesa che per gli investigatori sarebbe del tutto «ingiustificata».
Fra le spese occulte «l’indebito utilizzo del personale per la cura delle faccende personali e domestiche di Durnwalder, con un danno potenziale per l’ente pubblico di 100.322 euro».
La procura si è soffermata su alcune uscite particolari e in particolare su quelle per il partito politico.
Mentre sul fronte delle entrate sottolineano le strane «forme di ringraziamento» dell’imprenditoria locale che lavora con l’ente pubblico.
Fin qui, dunque, l’accusa.
E il governatore cosa dice? «Non ho incassato un solo euro», ha ripetuto in questi mesi. Sostiene che se da una parte utilizzava la cassaforte pubblica, dall’altra compensava con versamenti mensili di tasca sua.
«Quanto agli imprenditori, alle volte capita che qualcuno per il quale abbiamo fatto… mi dice “lei avrà qualche famiglia povera da aiutare, noi li diamo a lei” e poi io li do a loro». Per lui è chiarissimo, per la procura contabile e per quella penale che indaga per peculato un po’ meno: «Mancano i riscontri».
Andrea Pasqualetto
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