Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
PIACE A BERLUSCONI E POTREBBE INCARICARE SUBITO RENZI
“Ma sì, voteremmo anche D’Alema. Perchè no? Per noi l’importante non è il nome, ma che ci sia
l’accordo. Per un governo di larghe intese”.
Parola di Daniela Santanchè, vicinissima di Berlusconi.
D’altra parte, la linea l’ha data lui, il Caimano. “Siamo pronti a votare anche un pd al Colle”.
In cambio, chiaramente di “un governo di larghe intese”.
Dice in un’intervista a Repubblica.
Mentre toglie persino il salvacondotto come condizione dal tavolo della trattativa. Dunque, un pd. Come tattica di disturbo, Berlusconi ha già lanciato Bersani. Il quale ha smentito di essere in corsa.
C’è da crederci: forse al segretario democratico piacerebbe anche, ma si sta giocando un’altra partita.
Franco Marini? Lo vogliono i Fioroni e i Franceschini, ma Bersani no.
E neanche Renzi.
Prodi, che i renziani sarebbero pronti a indicare se non c’è accordo già dalla quarta votazione? Non va bene a B.
Ecco allora, qualcuno meno ostile: Giuliano Amato, Luciano Violante, già endorsato da Cicchitto, Anna Finocchiaro, che in quanto donna corrisponde all’ultima indicazione del segretario Pd.
Presso B. garantisce Violante. Ma regola e consuetudine vogliono che i nomi che si fanno, si bruciano.
E allora, perchè non D’Alema, che nel toto-Quirinale arriva agli ultimi posti in lista? Al Caimano potrebbe andare bene (hanno già fatto la Bicamerale insieme), a favore delle larghe intese s’è pronunciato pure nella direzione del Pd post-voto, è preda di un nuovo attivismo (giovedì ha visto Renzi, ieri Bersani).
Anche Cicchitto fa intendere che la questione è aperta, sempre in chiave di “un accordo politico”.
Le voci su D’Alema in gara per il Colle sono balzate agli onori della cronaca con la sua visita al sindaco di Firenze.
Che i due si sian detti qualcosa di importante si è visto soprattutto dal silenzio in merito dell’ex Rottamatore.
A Renzi non conveniva ostentare questo rendez-vous.
Ma gli sarebbe bastato partire per Roma alla volta degli studi tv un paio d’ore prima per evitarlo.
E dunque, cosa aveva da offrire il Lìder Maximo al giovane Matteo?
Raccontano i renziani che l’ex premier è andato a dirgli che Bersani sta sbagliando tutto, che l’idea del governo di minoranza è folle, frutto di una strategia non lucida.
E ad assicurargli che il futuro è lui.
Quando inizia il futuro? In un retroscena su Libero, ispirato a un pezzo di Keyser Soze, pseudonimo di un insider democratico su Panorama, si raccontava che mentre D’Alema era a casa di Vissani, il suo cuoco preferito, qualche giorno fa, avrebbe telefonato a Matteo proponendogli di andare subito a Palazzo Chigi.
Un incarico che gli darebbe lui stesso. Suggerendo un patto.
Tutti, vicini e lontani, sono pronti a negare che D’Alema si stia giocando questa partita. Ma chi sarebbe pronto a confessarlo, in uno scenario così incerto?
Per dirla con l’insider succitato “il sindaco di Firenze teme di fare la fine dell’eterna promessa”.
E infatti Renzi si dibatte tra una lucida coerenza (non esce dal Pd neanche se lo cacciano a calci, ha detto, e non fa il premier perchè vuole una consacrazione popolare) e la paura di essere fregato ancora una volta dall’apparato democratico insieme all’ambizione sfrenata, venata da senso di responsabilità .
“Matteo vuole fare il premier ora? No, ma se proprio glielo chiedono… ”, dicevano i suoi prima del pre-incarico a Bersani.
D’Alema dal canto suo 7 anni fa al Quirinale non c’è arrivato per un soffio: alla fine fu lui a spendersi per Napolitano.
Ma a quell’ambizione non ha mai rinunciato.
D’altra parte ha fatto tutto: il segretario del partito, il direttore de l’Unità , il presidente del Consiglio (due volte), il ministro degli Esteri, il vicepresidente dell’Internazionale socialista, il presidente del Copasir, il presidente della Bicamerale…
Nell’identikit condiviso del nuovo capo dello Stato dovrà essere “una figura di livello, dotata di credibilità internazionale”.
Anche qui ci siamo: tra viaggi negli States e conferenze organizzate da Italianieuropei con tutti i leader socialisti del continente, D’Alema ha tessuto la sua tela.
E poi è nato nel 1949: vuoi mettere un presidente così giovane in tempi così bui?
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
IN CORSA I DUE EX POPOLARI, ENTRO MARTEDI’ UN SOLO NOME
La pista per il Quirinale curva adesso verso il nome di un cattolico.
Della “rosa” avanzata ieri con i petali Giuliano Amato, Pietro Grasso, Anna Finocchiaro e Franco Marini rimane solo quello dell’ex segretario del Ppi ed ex presidente del Senato.
«Una traccia debole», confidano gli ambasciatori del Partito democratico.
Ma l’unica sulla quale è possibile intavolare una trattativa col centrodestra. Marini è gradito al Pdl. Con qualche riserva.
Ecco perchè il lavoro, ieri, è continuato esaminando anche il profilo di Sergio Mattarella, giudice costituzionale, 72 anni, fuori dal Parlamento da due legislature.
Bersani ha visto ieri Massimo D’Alema e Pier Ferdinando Casini.
Colloquio guardingo il primo, più disteso il secondo.
A tutti il segretario, quando si parla dei candidati già in campo, continua a ripetere il suo mantra: «Sono perfetti. Manca forse la novità e un pizzico di fantasia».
Con D’Alema ha speso il nome della Finocchiaro, una candidata donna alla quale è difficile dire di no per l’ex presidente del Copasir.
Con Casini invece, tirando fuori un foglietto e una penna, hanno esaminato i pro e i contro dei mille papabili finiti nel toto-Colle.
Nell’ottica della larga condivisione, visto l’interlocutore.
«Guarda che sarebbe una follia eleggere il presidente della Repubblica con la maggioranza semplice. In questa situazione? Ma ti rendi conto», ha spiegato il leader dell’Udc.
Bersani ha risposto: «Come sai, farò di tutto per una scelta gradita alla quasi totalità delle Camere». L’impressione ricavata da Casini, però, è che il segretario democratico giochi a carte coperte.
Questa impressione sta agitando il Pd e preoccupando Silvio Berlusconi che attraverso i suoi contatti con l’altra sponda si è fatto una certa idea sulla «novità » bersaniana.
Il Cavaliere teme di veder rispuntare Romano Prodi.
Un candidato che certo non rappresenta le larghe intese. Semmai, una spaccatura parlamentare.
Ma che nell’ottica del Pd può servire, in caso di mancata intesa, ad attrarre i voti del Movimento 5stelle.
D’Alema, che si sente in piena corsa (e i placet non gli mancano), ha fatto capire a Bersani qual è la posta in palio: non solo la possibilità di dare un governo al Paese, anche la tenuta del Pd che da giorni sembra sul punto di esplodere.
«È una partita che non ammette errori», è la posizione dell’ex premier.
Il quale ha invitato Bersani a prendere atto che il suo tentativo di formare un governo oggi non è solo congelato, ma più debole.
Anche Casini ha parlato del futuro esecutivo con il segretario.
«Più il capo dello Stato è marcato a sinistra, più sarà complicata la tua impresa di andare a Palazzo Chigi». Per questo si è virato sul nome di un cattolico. Ma anche Prodi lo è.
In una prospettiva del tutto diversa da quella caldeggiata dal capo dell’Udc, però.
I fedelissimi di Bersani, del resto, non abbandonano i contatti con i grillini.
Per verificarne la febbre interna sulla fiducia.
E per sondarne gli umori sull’elezione del capo dello Stato.
Ieri si è affacciato, in qualche conciliabolo, il nome dell’ex leader referendario Mario Segni.
Il “rottamatore” della Prima repubblica piace a Gianroberto Casaleggio, con il quale si sente spesso. È pronto a firmare i punti programmatici che i grillini hanno consegnato a Bersani nella fase delle consultazioni.
Ma Pd e Pdl frenano: «Non è un’ipotesi realistica», dicono in coro. Sapendo che il vero candidato di Casaleggio e Grillo, “quirinarie” a parte che servono a indicare il nome di bandiera, rimane il Professore di Bologna.
Per il momento, Grasso appare bruciato per la sua inesperienza politica.
La fase è troppo complicata per farla gestire al presidente del Senato entrato in Parlamento per la prima volta 40 giorni fa.
Finocchiaro sconta i dubbi del Pdl che le preferiscono D’Alema.
Ma ieri il suo nome è stato rilanciato da Bersani sia nell’incontro con l’ex presidente del Copasir, sia nel faccia a faccia con Casini.
Su Amato invece pesano i veti incrociati interni ai partiti.
Martedì sarà il giorno decisivo per il patto sul nome condiviso, a 48 ore dall’inizio del voto nella seduta comune. Quella è la data limite.
Alla fine, giura chi vive da dentro il Pd la partita, rimarranno solo due candidati: uno per le larghe intese, l’altro per la resa dei conti della Seconda repubblica.
L’eterna sfida a sinistra di questa stagione.
D’Alema contro Prodi, Prodi contro D’Alema.
Goffredo de Marchis
(da “La Repubblica“)
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
CASALEGGIO DA’ IL PERMESSO E RIVOTANO IN APPENA 48.282… I DIECI PRESCELTI SONO BONINO, PRODI, GRILLO, CASELLI, FO, GABANELLI, RODOTA’, IMPOSIMATO, STRADA E ZAGREBELSKY… E I GRILLINI GIA’ SI DIVIDONO
Come preannunciato via “social” da Beppe Grillo, a mezzogiorno in punto sul blog del leader del
Movimento sono apparsi, assieme a un “combo” fotografico, i nomi e i ritratti dei dieci candidati alla carica di presidente della Repubblica selezionati sulla base del secondo voto online degli iscritti al M5S al 31 dicembre 2012 con documenti digitalizzati.
Gli aventi diritto al voto, 48.282 persone, hanno votato nel corso della giornata di ieri.
I dieci candidati scelti sono, in ordine alfabetico:
– Bonino Emma
– Caselli Gian Carlo
– Fo Dario
– Gabanelli Milena Jola
– Grillo Giuseppe Piero detto Beppe
– Imposimato Ferdinando
– Prodi Romano
– Rodotà Stefano
– Strada Luigi detto Gino
– Zagrebelsky Gustavo
Nel comunicato non si fornisce alcuna informazione relativa alla “classifica”, ovvero sul numero di preferenze ottenute da ciascun candidato selezionato, nè sulla suddivisione dei votanti per regione o per genere.
Lunedì 15 aprile gli stessi iscritti al M5S potranno votare tra questi nomi il loro candidato al Quirinale, che sarà proposto in aula dai parlamentari del Movimento.
Anche ieri, afferma il blog di Grillo, sono stati effettuati numerosi attacchi al sito, così come nel giorno precedente, durante il quale una “anomalia” aveva portato all’annullamento del primo scrutinio online.
Questa volta, invece, non è stato possibile alterare la validità dei voti.
Subito dopo la diffusione della lista, il vicecapogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera, Riccardo Nuti, ha rivolto un monito agli iscritti via Facebook: “Informatevi sulla Bonino e Prodi, di aspetti negativi ne hanno tantissimi come ha ricordato Travaglio”.
Il professor Paolo Becchi, considerato uno degli ispiratori del movimento, su Twitter: “Confesso che avrei preferito un secondo attacco hacker. Se il nuovo che avanza nel M5S è Romano Prodi allora siamo messi male, molto male”.
Ed ecco le perplessità della deputata Giulia Di Vita, stupita dalle scelte emerse dalla consultazione online: “Soprattutto perchè provenienti dalla Rete. Bastava sfogliare un quotidiano dei tanti per leggere gli stessi identici nomi – scrive su Facebook -. La Bonino e Prodi sono poi espressioni tipiche della sinistra, la sinistra malinconica. Grillo è incandidabile. Dario Fo e Milena Gabanelli hanno già detto di no in svariate occasioni”.
Di qui l’appello finale: “Usiamola questa rete, per il voto di lunedì prepariamoci per bene su ognuno di essi e poi votiamo con consapevolezza!”.
Richiamo del deputato Giuseppe D’Ambrosio su Facebook: “Vorrei avvisare tutti i tifosi del m5s (Avete capito bene…Parlo degli interni) che criticare i nomi che sono usciti dalle quirinarie, vuol dire che non si è capito nulla di quello che rappresentiamo. Il m5s è democrazia diretta dei cittadini, di tutti i cittadini, quindi se quei nomi sono espressione degli stessi, va rispettato il loro volere”.
Manlio Di Stefano, deputato a 5 stelle, ancora su Facebook: “Non dirò chi preferisco ma vi esorto a studiare i loro profili ricordando che: Emma Bonino è donna di vecchia politica, Grillo non ha i requisiti del non-statuto, Dario Fo ha già declinato l’invito per problemi fisici e Romano Prodi è un po’ troppo a sinistra per avere la fiducia del Parlamento intero”.
Chi è particolarmente irritato è Vittorio Bertola, capogruppo a Torino del M5S. “Se becco chi di voi ha votato Prodi alle ‘Quirinarie’ gli tolgo il saluto! E sappiate che se per caso scegliessimo Caselli poi non potremmo più farci vedere in Valsusa…”, scrive su Facebook facendo riferimento alle contestazioni dei No Tav contro il magistrato per gli arresti di manifestanti in Val Di Susa.
Le idee chiare della deputata Mirella Liuzzi: “Lunedì sceglierò uno tra Zagrebelsky e Rodotà “. Lo scrive su twitter.
Romano Prodi: “Io sono fuori”.
Quasi a interrompere il flusso di pensieri negativi provenienti dagli esponenti a 5 stelle sul suo conto, Romano Prodi annuncia: “Nessuna mia candidatura al Quirinale, io sto semplicemente a guardare”. E, concludendo il suo discorso a un’iniziativa a Lucca, il Professore ribadisce: “Per il resto io sono fuori”.
“Questa si chiama trasparenza e democrazia. Chiunque dovesse vincere le votazioni online, come da nostro regolamento, verrà sostenuto da me e da tutto il gruppo parlamentare del movimento cinque stelle. Benvenuti nel futuro!”.
Lo scrive su Facebook Roberto Fico, deputato del Movimento 5 Stelle, commentando i risultati del primo turno delle Quirinarie.
(da “La Repubblica“)
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
SONDAGGIO MANNHEIMER: PD 28,6%, PDL 24,5%, M5S 23,7%, SCELTA CIVICA 6,5%, SEL 2,7% RIV. CIV. 2%, UDC 1,9%, LEGA NORD 3,9%, FRAT. ITALIA 2%
Solo una minoranza degli italiani vorrebbe nuove elezioni a breve.
La maggior parte auspica la celere formazione di un governo, dividendosi tra chi chiede una «grande coalizione» e chi preferirebbe ancora l’accordo Pd-M5S. Ciononostante, la prospettiva di tornare alle urne continua ad essere all’ordine del giorno.
Secondo molti osservatori, anche il nuovo presidente della Repubblica non riuscirà a dipanare la matassa e sarà costretto a indire nuovamente le consultazioni per il Parlamento.
Come si comporterebbero gli elettori in questo caso?
Nessuno può saperlo con precisione, in quanto molto conterebbe, ancora una volta, la campagna elettorale.
Come si sa, sempre più cittadini elaborano la loro scelta in relazione a quest’ultima. Non a caso, in occasione del voto di febbraio, più di un terzo (35%) degli italiani ha dichiarato di avere formato la propria decisione nell’ultima settimana, influenzati anche dalla propaganda di questo o quel partito.
È possibile, tuttavia, avere un’indicazione dell’evoluzione degli orientamenti intervenuti dal momento delle elezioni a oggi, basandosi sulle più recenti inchieste di opinione.
Uno dei trend più significativi, sul quale ci siamo già soffermati, è il progressivo decremento di consensi per il M5S.
Dopo avere avuto un forte exploit subito dopo le elezioni, il Movimento di Grillo ha fatto registrare, settimana dopo settimana, una flessione, che si è confermata anche in questi ultimi giorni: il M5S si colloca, per la prima volta, sotto il 24%, con un regresso di quasi il 2% rispetto all’esito del voto di febbraio.
Si tratta, beninteso, di una erosione modesta, ma, dato il suo andamento costante nel tempo (solo nell’ultima settimana, si registra un calo dell’1%), significativa di uno stato di insoddisfazione che caratterizza sempre più una parte del seguito di Grillo.
Una larga quota dei consensi persi dal M5S è andata a favore dei partiti maggiori: il Pdl e, specialmente, il Pd.
In qualche modo, parrebbe che un segmento dei voti «in libera uscita» giunti a Grillo, motivati spesso dalla protesta, stiano, sulla base dell’esperienza di queste settimane, tornando ai partiti di origine.
Il Pd, in particolare, ha visto, rispetto all’esito elettorale, un accrescimento di più del 3% e si attesta oggi poco sotto il 29%.
Il buon risultato del partito di Bersani può apparire sorprendente, a fronte dei crescenti conflitti interni e dello scarso successo sin qui dei tentativi del segretario di formare un governo.
Con tutta evidenza, questi fattori non hanno impedito il «ritorno» di un certo numero di consensi dati alle elezioni da un verso al M5S (i voti dati a Grillo e tornati oggi al Pd costituiscono l’8% del seguito attuale del partito di Bersani) e dall’altro, in misura però nettamente minore, a Scelta civica di Monti (analogamente, i voti dati a Monti oggi passati al Pd rappresentano il 4% dell’elettorato di quest’ultimo).
Anche il Pdl di Berlusconi fa registrare un aumento di consensi, che il Cavaliere non manca di far rilevare in ogni suo intervento.
Oggi il suo partito sfiora il 25%, a fronte di poco meno del 22% ottenuto a febbraio, con un incremento di quasi il 3%.
I «nuovi» elettori che oggi scelgono il Pdl provengono da diversi partiti, specie dal centro, ma anche dalle forze minori di centrodestra e dal M5S.
Si assiste dunque a una sorta di polarizzazione dei consensi, con un incremento contemporaneo di entrambe le forze politiche maggiori.
Come se gli italiani tornassero a preferire la presenza di due grandi partiti e auspicassero una sorta di semplificazione del quadro politico.
Ciò avviene a scapito sia, come si è detto, del M5S, ma anche, in misura rilevante, delle forze collocate nel centro.
In particolare, la lista Scelta civica, capeggiata da Mario Monti, subisce un netto arretramento, attestandosi oggi al 6,5%, con un calo, rispetto al risultato elettorale, di quasi due punti.
Questo andamento è dovuto, oltre che a una sorta di «delusione» frequentemente sentita nei confronti delle forze di centro, anche al fatto che la comunicazione originata da queste ultime si è, in queste settimane, molto attenuata, se non scomparsa, mentre quella delle due forze politiche maggiori sembra inalterata anche rispetto alla campagna elettorale
Il quadro di insieme ci comunica uno spostamento di lieve entità , ma di grande importanza, rispetto all’esito del voto di febbraio.
Come si ricorderà , quest’ultimo ha visto il centrosinistra prevalere, seppur di poco (0,4%) e conquistare così il decisivo premio di maggioranza alla Camera.
Oggi la situazione è all’inverso: secondo i nostri dati, il centrodestra prevale per lo 0,3%.
È un esito confermato in diversa misura anche da tutte le altre ricerche pubblicate in questi giorni.
Dunque, se queste intenzioni di voto trovassero conferma nei comportamenti effettivi (ma su questi, come si è detto, conta la campagna elettorale) la maggioranza dei deputati sarebbe appannaggio della coalizione guidata da Berlusconi.
Ma l’esiguità della differenza da noi rilevata non comporterebbe necessariamente un analogo vantaggio al Senato.
Riproducendo probabilmente l’attuale situazione di ingovernabilità .
Di qui, una delle prime esigenze della nuova legislatura, sempre ricordata, ma, significativamente, mai attuata: la revisione dell’attuale pessima legge elettorale.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL DESTINO E’ SEGNATO DA TEMPO, BOSSI ASPETTA SOLO I SOLDI
“La scissione? Non ci penso neanche”. Umberto Bossi smentisce non solo la nascita ma persino la
volontà di dare vita a una nuova Lega Nord, un contenitore politico che ospiti i tanti cacciati dalle scope di Roberto Maroni e i militanti di fedele ortodossia bossiana che non si riconoscono nel nuovo corso pdlizzato del Carroccio maronita. Eppure non solo gli atti sono pronti da tempo, come già scritto la settimana scorsa da Il Fatto, ma sono stati anche firmati e depositati da un notaio a Varese, lo stesso di fiducia a cui la famiglia Bossi si rivolse anche per la compravendita della cascina agricola dei figli Roberto e Renzo.
L’ex senatore Giuseppe Leoni prima e lo stesso Bossi hanno però smentito.
Il motivo lo spiega un altro fedelissimo del Senatùr, cacciato dal movimento, ed ex consigliere del Capo nella gestione economica di via Bellerio.
E il problema è uno: i soldi.
“Il percorso è avviato da tempo — confida — ma prima di presentarlo ufficialmente dobbiamo avere la certezza di una cassa per partire”.
Come? “Umberto non a caso a Pontida e dopo ha ricordato che la Lega è arrivata qui mica grazie a chi la guida ora ma all’opera sua e di altri. Quindi parte dei fondi potrebbero spettare a chi eventualmente darà vita a una scissione”.
Che la storia del Carroccio possa finire tra carte bollate e avvocati sembra essere una facile previsione.
Pontida è passata, Maroni non ha fermato le epurazioni dei bossiani doc come Marco Reguzzoni ma anzi annuncia di voler andare avanti.
E Bossi ha detto di essere pronto ad andarsene.
Il nuovo partito a quanto pare non deve ancora essere ufficializzato.
Ma in via Bellerio la coda fuori dall’ufficio di Bossi si allunga.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Commento del ns. direttore
Ricordate il sassofonista Maroni, accompagnato dalla “cappella Votiva”, quando accusava Bossi di perseverare nell’alleanza con Berlusconi senza tenere conto del volere della base che del Cavaliere non voleva più saperne?
Bossi è stato sconfitto anche sulla base di questa istanza, ma che fa poi Maroni, una volta conquistata la ambita poltrona da segretario?
Si allea caso strano proprio con Berlusconi, garantendo al Cavaliere decine di deputati al Nord che altrimenti non avrebbe mai preso.
In cambio Berlusconi si vende anche la Lombardia, dopo Piemonte e Veneto, e l’avvocato della Avon sale al Pirellone.
Ma se non si fosse alleato, Maroni avrebbe corso un altro pericolo: Berlusconi era pronto a finanziare la scissione di Bossi e per Bobo sarebbe stato il requiem.
Sarebbe interessante, per spiegare l’attendismo di Bossi, conoscere un altro piccolo dettaglio che emerge dal commento di un militante maroniano oggi su “Repubblica”: “Bossi non se ne andrà mai finchè la Lega spende centinaia di migliaia di euro l’anno per mantenere lui e la sua famiglia”.
Insomma, i soldi muovono anche la Padagna, non solo il mondo.
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
“E ADESSO CHE FACCIO?” CHIEDE ALLA BASE GRILLINA… MOLTI RISPONDONO: “NIENTE RICEVUTE, NIENTE RIMBORSO”
Molti hanno già sottolineato che la capogruppo trimestrale Cinquestelle alla Camera, Roberta Lombardi, non è proprio un monumento alla simpatia.
Il suo modo di fare accentratore ha generato più di una critica all’interno del Movimento, anche se il guru Casaleggio l’ha ripresa per il motivo opposto: “parli troppo con i deputati”.
La sua mail inviata ai parlamentari “Casaleggio mi ha cazziata perchè parlo troppo con voi” e passata da qualcuno di loro alla stampa ha alimentato lazzi e frizzi verso di lei anche in rete.
Stamane però l’appello lasciato su Twitter ha i toni drammatici: “Ieri sera mi hanno rubato il portafoglio che “conteneva anche ricevute di spese da rendicontare per circa 250 euro”.
Di qui l’appello: “E adesso che faccio?”.
Tra le risposte, più di qualcuna è un secco: “Niente ricevute, niente rimborso”.
Altre, più scherzose, invitano la Lombardi a stare più attenta perchè probabilmente “te l’hanno rubato in Parlamento”.
Per i più pazienti la speranza che i due mesi che devono ancora trascorrere prima della sua scadenza dalla carica passino presto.
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA LEGA VENETA FINISCE IN RISSA TRA AMBULANZE E CARABINIERI…. I BOSSIANI PROTESTANO CONTRO I “TRADITORI” MARONI E TOSI
Raffica di espulsioni decise dal Consiglio nazionale della Liga Veneta riunito a Noventa Padovana: 35 i
provvedimenti varati dal parlamentino veneto, che riguardano altrettanti bossiani, fra cui nomi di spicco come l’ex parlamentare Paola Goisis, il consigliere regionale Giovanni Furlanetto e molti dirigenti veneziani.
Tensione per tutta la mattinata, fino al punto che l’ex segretario veneziano Pizzolato (fra gli epurati) e il deputato veronese Bragantini si sono messi le mani addosso.
Il veneziano finisce a terra, denuncia e arrivano i carabinieri.
Portato via in ambulanza.
Tosi è stato costretto a lasciare la riunione scortato dai carabinieri.
Al termine della riunione il presidente della Regione Luca Zaia ha confermato le 35 espulsioni fra cui quella di Furlanetto.
“Io non ho diritto di voto – ha detto Zaia – altrimenti avrei votato contro”.
ll segretario veneto Flavio Tosi è stato accompagnato fino all’auto dai carabinieri intervenuti dopo le forti tensioni: Tosi si è allontanato tra gli insulti di un centinaio di “ribelli”.
La protesta inizia in mattinata.
In 150 bossiani hanno manifestato fin dal mattino in silenzio, con cerotto alla bocca e la sciarpa verde con il simbolo del Carroccio al collo, il proprio dissenso contro l’ipotesi di “purghe” che il Consiglio Nazionale Veneto della Lega doveva discutere nell’assemblea di Noventa Padovana.
I leghisti, quelli più vicini a Umberto Bossi, con l’ex parlamentare Paola Goisis in primis, si sono dati appuntamento davanti alla sede del Consiglio Nazionale.
Il silenzio che si erano imposti è stato però rotto con l’arrivo del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che nei giorni scorsi ha sempre suggerito una linea morbida, acclamato a gran voce e indicato dai manifestanti come loro guida. «Vogliamo la lista Zaia, sei il migliore» è stato il coro quasi unanime.
Desiderio svanito sul nascere dallo stesso Zaia che ha sottolineato ai giornalisti il desiderio di un esito positivo della vicenda.
«Penso – ha sottolineato – che questo non sia da evidenziare. Magari se fossi da un’altra parte mi avrebbero accolto con gli spintoni».
«Spero che questa situazione – ha detto – si risolva nella maniera migliore, facendo uscire una Lega compatta. I provvedimenti disciplinari non risolvono questo problema».
Zaia partecipa alla riunione ma senza diritto di voto.
Se Zaia è stato ricevuto quasi con una standing ovation, il segretario nazionale Flavio Tosi al suo arrivo è stato accolto da gelidi sguardi e da un fischio e da un solo buuuh, sfuggito per errore dai “ribelli” che avevano deciso di fare una protesta costruttiva e silenziosa.
Il Consiglio nazionale è a stragrande maggioranza tosiana, essendo la risultanza dell’ultimo congresso regionale (nazionale nel gergo leghista) vinto dal sindaco di Verona.
A mezzogiorno riunione ancora in corso, è uscito l’assessore regionale Marino Finozzi ed è stato insultato da un drappello di bossiani che resiste davanti alla porta.
Dal Lago: “Chi usa violenza ha sempre torto”.
«Ha sempre torto chi usa la violenza, un sistema che non è mai entrato nella storia della Lega». Lo ha detto l’ex parlamentare del Carroccio Manuela Dal Lago, candidata sindaco alla prossime amministrative di Vicenza, commentando gli scontri tra leghisti a Padova.
«C’è anche da dire però – ha proseguito Dal Lago – che chi va avanti a espulsioni, invece di trovare punti di convergenza in un partito diviso, sbaglia».
Secondo l’esponente del carroccio «è necessario ricucire e riappianare gli animi»
(da “il Mattino” di Padova)
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
METTERE IN CIRCOLO I 40 MILIARDI DI PAGAMENTI DELLA P.A. ALLE IMPRESE NON SARA’ FACILE… LE CRITICHE DI RETE IMPRESE ITALIA
Il decreto governativo per i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese si avvia a diventare una sorta di tela di Penelope.
Già la sua gestazione è stata tutt’altro che facile e adesso il nuovo test è rappresentato da un cammino parlamentare con un discreto tasso di imprevedibilità .
I primi a chiedere che il decreto fosse emendato dalle Camere sono stati quelli di Rete Imprese Italia che ne hanno sottolineato da subito alcune incongruenze e farraginosità , chiedendo implicitamente di introdurre nel test una clausola di salvaguardia.
Ovvero se l’iter previsto dai ministeri competenti incontrasse degli intoppi scatterebbe la possibilità di compensare debiti/crediti oltre la soglia dei 700 mila euro previsti dal decreto. Nelle prime ore post decreto Rete Imprese Italia era rimasta quasi isolata, via via però i dubbi avanzati dal portavoce Carlo Sangalli sono stati condivisi anche dalla Confindustria e dall’Alleanza delle Cooperative.
Nel complesso gioco dei giudizi ad incastro nessuno però aveva valutato con attenzione la posizione del Pdl.
È vero che sin dalle prime battute il portavoce Daniele Capezzone aveva cominciato a prendere le distanze dal decreto ma gli atti successivi sono stati più espliciti.
I maliziosi possono arguirne che il centrodestra si sente già ingaggiato in campagna elettorale per rimontare nei confronti del suo elettorato tradizionale (i Piccoli) che nell’ultima tornata li ha traditi.
Come che sia, il Pdl ha garantito alle associazioni d’impresa il massimo di appoggio per modificare in Parlamento il decreto Grilli.
«Così com’è il provvedimento ha i contorni di una beffa – ha dichiarato ancora Capezzone dopo l’incontro con la delegazione della Confindustria – promette ma non può mantenere. Siamo impegnati ad un’azione emendativa profondissima». Più chiari di così si muore.
Dal canto suo il Pd ha mostrato comprensione nei confronti dei rilievi avanzati da Rete Imprese Italia, anche se si è complessivamente tenuto su una linea più prudente rispetto al Pdl.
Il Pd pensa di poter formare ancora un governo a sua guida e quindi sta più attento nel formulare promesse.
Ma anche Giuliano Poletti, presidente della Lega Coop, ieri ha ribadito che le imprese si aspettano «procedure di erogazione certe, obbligatorie e veloci» e ha anche sostenuto la necessità di poter compensare debiti e obblighi fiscali.
Un punto comunque il Pd lo ha portato a casa con la designazione a relatore del decreto a Montecitorio di Giovanni Legnini, parlamentare apprezzato dai Piccoli
Cosa accadrà , dunque, è difficile dirlo.
Le imprese stanno limando le proposte con l’intento di non compromettere l’iter del decreto ma puntando a migliorarlo sensibilmente.
Anche perchè, secondo un calcolo della Cna, il testo «nasconde» un appesantimento degli oneri burocratici e amministrativi sulle imprese e i cittadini quantificabile in 10 miliardi di euro.
Qualche timore c’è anche per il gran numero di delibere attuative (Il Sole 24 Ore ha parlato di ben 36), che interessano livelli diversi dell’amministrazione.
Mettere in circolo i 40 miliardi stanziati non sarà dunque una passeggiata e durante il percorso ci saranno stop, accelerazioni e inevitabili conflitti.
Dario Di Vico
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI FIRENZE E’ LA SPERANZA DI UN NEW DEAL, UN NUOVO INIZIO CHE PIACE SIA AL POLITICO CHE ALL’IMPRENDITORE
Pier Ferdinando ha guardato Matteo come “l’anticristo” per molto tempo: troppo cattolico, bipartisan
e sorridente per non essere una sua copia ringiovanita.
Una rottamazione indiretta che ha scatenato la crisi, sommata alla sconfitta politica. Non c’è stata partita questa volta, figuriamoci la prossima.
A meno di non giocare nella stessa squadra.
Archiviata la liaison con Monti, che ha cannibalizzato l’Udc, ora ci sono da recuperare gli amministratori locali più giovani (alcuni governano già con il Pd) per riprovare a dare linfa, e consensi, allo scudo crociato.
O per marciare uniti alla truppa renziana in cambio di una nuova legittimazione personale e magari un futuro incarico.
Certo, il sogno sarebbe una bella scissione di Matteo dal partito d’origine, ma anche in caso contrario bisogna aprire uno spiraglio.
Un’idea che dicono non dispiacere affatto a Francesco Gaetano Caltagirone. Che avrebbe già scelto il suo cavallo vincente, Matteo da Firenze.
Il Messaggero, giornale di proprietà , lo marca a uomo.
L’imprenditore sa di trovare un valido interlocutore: Renzi è l’anti “ammucchiata” a sinistra, un moderato che guarda con più interesse ai voti di Berlusconi che a quelli di Vendola.
All’attivo anche un amico comune, Davide Serra, che di economia e finanza se ne intende.
Quelle che Caltagirone spera di veder ripartire, grazie a una politica più spregiudicata di Renzi una volta insediato a Palazzo Chigi.
Del resto le cose a Roma non si sono messe bene.
Ignazio Marino, il candidato sindaco di centrosinistra, è quello più lontano dai sogni dell’imprenditore, che puntava su David Sassoli.
Il mercato immobiliare della Capitale è fermo e le case in-vendute sono tassate dall’Imu.
Dilagano le occupazioni dei nuovi palazzi, vero incubo dei costruttori, come ricordato da un editoriale ieri in prima pagina sul Messaggero.
Se a vincere poi fosse il grillino, gli uomini forti dell’edilizia sarebbero le prime vittime del nuovo sistema.
Non resta che sperare in una novità : all’orizzonte c’è solo Matteo.
Caterina Perniconi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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