Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
ALTRO CHE INCIUCI E SCENEGGIATE GRILLINE, OCCORRONO INTERVENTI CONCRETI NEL SOCIALE E SOSTEGNI ALLE AZIENDE CONDIZIONATI AD ASSUNZIONI… SONO 495.000 AL SUD, 303.000 AL NORD, 157.000 NEL CENTRO ITALIA
Quasi un milione di famiglie è senza reddito da lavoro.
Tutti i componenti ‘attivi’ che partecipano al mercato del lavoro sono disoccupati.
E’ quanto emerge da dati Istat sul 2012.
Nel dettaglio sono 955 mila le famiglie con tutti i membri appartenenti alle forze lavoro in cerca di occupazione, in rialzo del 32,3% sul 2011.
In un solo anno le famiglie ‘senza lavoro’ sono aumentate di 233 mila.
Ed ecco come sono ripartite: 234 mila single, 183 mila monogenitore, 74 mila coppie senza figli e 419 mila coppie con ‘prole’ a cui se ne aggiungono 45 mila che l’Istat definisce di “altre tipologie”.
A livello territoriale oltre la metà (51,8%), 495 mila, si trova nel Mezzogiorno, seguono il Nord (303 mila) e il Centro (157 mila).
In generale si tratta di famiglie con seri problemi di disoccupazione e quindi di disagio economico.
Case dove non c’è alcun reddito, o ci sono entrate che però non arrivano dal lavoro dipendente o autonomo, come possono essere le rendite da pensione.
In altre parole nuclei dove regna la disoccupazione assoluta, tutti sono a caccia di un posto, o dove alla disoccupazione magari si associa la pensione o un’altra rendita ad esempio può essere il caso di una famiglia dove il padre è pensionato, la madre casalinga con uno o più figli disoccupati; o dove uno o entrambi i genitori sono alla ricerca di un impiego e i figli ancora piccoli vanno a scuola; o ancora tutti i membri soffrono la mancanza di un posto.
Non si esclude ci possa essere qualche caso più fortunato di chi può permettersi di vivere senza lavorare, contando su rendite immobiliari o da capitale, i cosiddetti rentier.
Ma con tutta probabilità , non è la condizione che associa questo milione di casi.
Un numero lievitato durante gli anni di crisi.
Basti pensare che nel 2007 le famiglie che corrispondevano all’identikit di nuclei con tutte le forze lavoro in cerca di occupazione erano solo 466 mila.
Ecco che in cinque anni la loro cifra è più che raddoppiata (+104,9%).
(da “La Repubblica“)
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
LE DICHIARAZIONI ESILARANTI DI GRILLO, UN GRANDE COMICO… IL COMUNICATORE MESSORA POLEMIZZA CON LA LOMBARDI PER LA DISORGANIZZAZIONE TOTALE
Da concittadini, una cosa a Grillo dobbiamo riconoscere: è un grande comico.
Da quando si interessa di politica, alle battute previste dal copione ne unisce molte involontarie che sono insuperabili.
Per mesi caccia i giornalisti italiani, li insulta e li maltratta (specie se sono giovani precari) come il marchese del Grillo (“io sono io, voi non siete un cazzo”) e poi una mattina convoca una conferenza stampa-monologo.
Riesce di pomeriggio a parlare di golpe, a annunciare la sua marcia su Roma per sera, a farsela sotto per l’ora di cena e a dare buca per imprecisati impegni dopocena.
Il giorno dopo indice una manifestazione per le 15 in una piazza troppo piccola, senza palchetto e senza amplificazione, arriva e innesta subito la retromarcia.
E qui raggiunge l’apice della comicità involontaria.
Ecco cosa dice intervenendo su ‘La Cosa’, la web tv del M5S: “Alla piazza sono arrivato. è lunga e stretta e non riuscivo ad entrare. Di nuovo le tv mi hanno circondato e non sono riuscito ad entrare. La Digos ha detto che c’era un caso di pericolo, che un signore è caduto dalla bicicletta. La Digos ha voluto che andassi via e sono tornato in albergo“.
La situazione di pericolo era forse un armeno armato e incazzato o un pidiellinosenzaelle che voleva darsi fuoco per protestare contro i dirigenti Pd e che avrebbe seminato il panico in piazza?
O un misterioso nemico dei Cinquestelle che voleva lasciare Crimi e la Lombardi vedovi del loro vate?
No, era un signore che era caduto dalla bicicletta.
La Digos ha voluto che si allontanasse?
Ma se poco prima la polizia aveva voluto precisare che per loro non c’era alcun problema.
Se Grillo avesse voluto, sarebbe bastata una scorta di dieci agenti e avrebbe raggiunto il punto in cui fare la sau arringa senza problemi.
Certo, senza palco e senza amplificazione sarebbe stato un po difficile…
Ma chi avrebbe dovuto provvedere?
Pesanti malumori nella sezione del M5S di Roma, incaricata dell’organizzazione del comizio.
Lo staff della comunicazione, subito dopo la partenza del leader ‘stellato’, ci tiene a prendere le distanze: “Non l’abbiamo organizzato noi -replicano ai cronisti- chiedete ai romani che hanno voluto Beppe qui”.
“Sì, chiedete pure a Lombardi…”, si lascia sfuggire Claudio Messora, a capo della comunicazione M5S, al Senato.
In piazza non era stato organizzato alcun palco per far sì che Grillo potesse salutare i simpatizzanti accorsi.
Si tratta, tra l’altro, del secondo appuntamento che Grillo salta in meno di 24 ore.
A questo punto il M5S invita i manifestanti a dirigersi verso il Colosseo e Grillo chirisce che si tratta di “una camminata” dei simpatizzanti a cui lui non parteciperà . “Una cosa pacifica, una passeggiata, si fa perchè Roma è splendida” dice Grillo.
Insomma una scampagnata, lui forse non avrà le scarpe adatte o soffrirà di calli, chissà .
Giunti al Colosseo, un gruppo di manifestanti si raduna un pò polemico sotto l’Arco di Costantino e chiede di proseguire per il Quirinale.
“Ora la manifestazione è finita — avverte il cittadino-deputato Di Battista poco prima delle 19 -, abbiamo fatto una bellissima passeggiata per via dei Fori imperiali arrivando al Colosseo manifestando pacificamente, ora andare al Quirinale non ha senso”.
La scampagnata è finita, i golpisti possono dormire sonni tranquilli.
La rivoluzione è rinviata alla prossima gita fuori porta.
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
IN MATTINATA IL CAPOCOMICO, DOPO AVER RIFIUTATO PER MESI CONTATTI CON I GIORNALISTI, LI CONVOCA IN CONFERENZA STAMPA PER RIDURRE IL GOLPE A GOLPETTINO… DOPO AVER AIZZATO LA FOLLA ORA SI TRAVESTE DA POMPIERE
«Ieri ho detto “golpe”, ma intendevo “golpettino istituzionale furbo”, giocato sulla semantica». Esordisce così Beppe Grillo il giorno dopo la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Quando domenica mattina il leader dei Cinque Stelle entra in sala, alla Città dell’Altra Economia, nel quartiere del Testaccio, a Roma, tra i grillini è standing ovation.
Lui parla, in piedi, suda, durante una conferenza stampa che assomiglia più a un comizio.
Alla sua destra c’è Roberta Lombardi, a sinistra Vito Crimi.
«Ieri sera potevo venire in piazza, ma avevo paura che la mia presenza potesse favorire la violenza», ha spiegato subito l’ex comico genovese, commentando la sua rinuncia a partecipare alla manifestazione di fronte a Montecitorio, inizialmente convocata sabato sera.
Peccato che le sue parole sul golpe avessero invece aizzato gli animi.
«Non voglio entrare in questi giri», taglia corto.
Poi affonda su Bersani, «parte dello sfacelo di questo paese»: «Non ho mai sentito il riconoscimento del nostro movimento, primo partito in Italia, ci chiamano grillini e dilettanti allo sbaraglio, ma stiamo lavorando”.
Parlando del prossimo governo però, un punto è chiaro: «Se i candidati sono Amato o Letta, non ci sarà nessuno spazio per collaborare», spiega Roberta Lombardi, capogruppo alla Camera dei Cinque Stelle. Ed è sicuro anche che «se ci metteranno in un angolo, resteremo in un angolo», aggiunge Grillo.
«Siamo seduti su una polveriera: senza crescita ci sarà una sollevazione popolare».
«Sto calmando gli animi, dovreste ringraziarci tutti», ha detto ancora Grillo. «Stiamo tenendo la calma. La gente ci parla dei fucili e noi stiamo calmando gli animi. In francia c’è Le Pen, in Grecia c’è Alba Dorata. Qui ci siamo noi, i grillini».
Appunto, siamo a posto.
Intanto, al suo arrivo in piazza Santi Apostoli, dove era previsto la manifestazione dei Cinque Stelle contro la rielezione di Napolitano al Quirinale, Grillo è stato subito assediato da fotografi e giornalisti.
Lui è salito sopra la sua auto e ha gridato «Arrendetevi».
Un saluto brevissimo.
Manifestazione annullata.
Ci si chiede come si possa essere così sprovveduti da scegliere per un comizio una piazza cosi piccola e senza neanche predisporre un palchetto.
Se questi devono governare l’Italia come sanno organizzare una manifestazione siamo sistemati.
Dopo due ore dal presunto comizio la gente aspetta ancora di sapere se Grillo tornerà o meno: la polizia fa sapere che per loro problemi non ce ne sono.
La farsa continua.
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
“MI DOVEVO TOGLIERE DI MEZZO, ADESSO SONO PIU’ LIBERO DI FARE POLITICA”
«Basta con queste lacrime, guardate che mi arrabbio ». 
Ma il primo a commuoversi è stato lui quando Napolitano ha superato il quorum.
Le mani davanti agli occhi, ha chinato il capo, ha ceduto alla tensione degli ultimi 55 giorni.
Un lungo tragitto che doveva portarlo a Palazzo Chigi e invece è terminato con le dimissioni. È l’ultimo giorno da segretario di Pier Luigi Bersani.
Adesso sorride solcando il corridoio che lo porta nella stanza del dramma, quella alle spalle dell’emiciclo di Montecitorio dove sono state vissute le sconfitte di Marini e di Prodi, quella dove ha deciso di gettare la spugna.
Lo seguono a un passo le donne del suo staff Chiara Muzzi, Paola Silvestri, il direttore di Youdem Chiara Geloni.
Hanno gli occhi lucidi. Ancora dietro il portavoce Stefano Di Traglia che gli annuncia la presenza della conduttrice di Telecamere Anna La Rosa nel suo studio. «Mamma mia, e che ci fa lì?». Un saluto, risponde Di Traglia.
Allora Bersani mima il gesto di un abbraccio ampio e avvolgente. «Le darò un bel bacio».
La sera di venerdì, dopo il discorso durissimo contro i traditori all’assemblea del cinema Capranica, ha chiesto ai capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda, a Enrico Letta, a Maurizio Migliavacca e Vasco Errani di risolvere assieme a lui il rebus del Quirinale.
Sapendo che l’unica soluzione era il bis di Giorgio Napolitano.
In un ristorante di Testaccio, la war room bersaniana si è riunita l’ultima volta con il leader. «Serviva una scossa. E adesso io sono più libero di fare politica e sono più responsabili i parlamentari di fronte agli eventi. Soprattutto di fronte alla scelta di eleggere un presidente della Repubblica»
Il segretario uscente spiega che sulla sua figura si sono scatenate le tensioni interne e le conseguenze della mezza vittoria.
Nel tritacarne sono finiti Marini e Prodi.
Ma l’altro bersaglio grosso era lui. E la sua poltrona.
«In questi 55 giorni difficilissimi, il peso delle scelte del Pd è finito tutto su di me. Normale che fosse così. Mentre tentavo una strada complicata e cercavo di dare una risposta a un risultato elettorale impazzito, però, è venuta meno la solidarietà minima che dovrebbe esistere in un partito.
Gli altri pensavano alle loro manovre, anche quando in gioco c’erano le istituzioni». Non è stato tanto il problema di «sentirsi solo. Ma alla fine il cerino finiva sempre nelle mie mani. Intanto, gli altri facevano i giochini».
Per sbloccare la partita del Colle dunque erano necessarie, obbligate le dimissioni. «L’atteggiamento irresponsabile dei parlamentari andava assolutamente bloccato. Bisognava fermare lo scaricabarile. Siccome il barile principale ero io, mi dovevo togliere di mezzo. Dovevo farlo per arrivare a una soluzione, per eliminare gli alibi di gruppi e gruppetti».
Poi, certo, Bersani ha preso atto degli schiaffi in faccia, della sua gestione faticosa e carente della crisi politica.
Poteva forse coinvolgere di più Matteo Renzi, farlo entrare nella stanza dei bottoni che in un modo o nell’altro il sindaco di Firenze aveva già conquistato agli occhi dell’opinione pubblica e soprattutto del partito.
Se non altro per il risultato corposo delle primarie.
«Renzi però – spiega Bersani – ha cominciato a mettere veti sapendo che dopo toccava a noi risolvere i problemi. Marini e Finocchiaro erano due nomi su cui stavamo lavorando da tempo, poi è arrivato lui con il suo no. E noi dovevamo ricominciare daccapo».
Renzi, dopo un iniziale feeling che neanche la sfida per la premiership aveva intaccato, è diventato un avversario interno.
Aggressivo, spregiudicato, senza freni.
«Negli ultimi giorni forse ha capito che stavamo per chiudere sul nostro schema. Lui invece doveva accelerare il voto perchè sentiva che il suo treno passava adesso».
Ma ci sarà tempo per le rese dei conti e per la battaglia. Bersani non sparirà .
A metà mattina fa chiamare Cristina Ferrulli dell’Ansa, Mara Montanari dell’Adnkronos e Sabina Bellosi dell’Agi per annunciare: «Che farò adesso? Non andrò all’estero…».
È il modo per dire che non sparirà dal dibattito, ma è anche il regalo di una piccola esclusiva alle colleghe delle agenzie di stampa che lo hanno seguito costantemente nei quattro anni della sua segreteria, aspettandolo sotto la sede di Largo del Nazareno con il solleone e con la neve.
Un congedo affettuoso.
Ai parlamentari che lo raggiungono al suo banco dell’aula durante la votazione finale ripete come un mantra che le sue dimissioni erano inevitabili.
Ai più giovani consiglia ancora una volta di «spegnere ‘sto telefonino ogni tanto.
Non potete fare politica solo con Twitter e Facebook ».
Per il futuro del Partito democratico vede il pericolo dell’irrilevanza se non viene rifondato su nuove basi.
«Dall’opposizione e durante il governo Monti siamo riusciti a tenere insieme il Pd. Arrivati al momento di un confronto con la cultura di governo siamo implosi. Su questo dovrà riflettere il centrosinistra».
Alla fine della giornata, c’è il volo per Milano pieno zeppo di parlamentari del Pdl. Loro trionfanti, al centro del gioco politico. Lui dimissionario e con un partito distrutto.
Alcuni lo salutano, altri si danno di gomito.
Per fortuna, a un’ora di macchina c’è Piacenza e il ritorno a casa.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
CANDIDATI SONO SERRACCHIANO (PD), TONDO (PDL), GALLUCCIO (M5S), BANDELLI (CIVICA)… I RISULTATI PRECEDENTI UTILI PER UN CONFRONTO
Al via il voto in Friuli Venezia Giulia. Urne aperte dalle 8 di mattina per l’elezione del presidente del Consiglio regionale e degli organi elettivi di governodella provincia di Udine e di 13 comuni della stessa Regione.
AFFLUENZA IN CALO L’affluenza alle urne rilevata alle ore 12.00 è stata del 10,09 per cento, in calo del 6 per cento.
Nel 2008, infatti, l’affluenza allo stesso orario era stata del 16,05 per cento. I votanti sono stati 70.607 su 1.099.334 aventi diritto.
I CANDIDATI Sono 4 i candidati alla presidenza della Regione.
Franco Bandelli, imprenditore di 52 anni, che ha dato vita alla lista con cui è candidato, “Un’altra Regione“, dopo l’uscita dal Pdl.
Il suo è uno slogan in stile social network, “#ladifferenza“.
Saverio Galluccio, 41 anni, è il candidato del Movimento 5 Stelle. E’ il direttore commerciale di un’azienda della bioedilizia e, fino alla campagna elettorale, è rimasto estraneo alla vita politica.
Il suo slogan è “Vota il vero cambiamento“. Beppe Grillo è sceso in campo per sostenere la sua campagna. Con il suo camper ha girato le piazze della Regione per una settimana, “incontrando i cittadini con il candidato”.
Anche il candidato del Pdl, Renzo Tondo, ha ricevuto il sostegno del leader del suo partito, Silvio Berlusconi, che è intervenuto con un comizio, in piazza San Giacomo, dove è stato contestato.
Tondo è un albergatore di 56 anni. Lo slagan della sua campagna, sostenuta da Lega Nord, Pensionati, la civica Autonomia responsabile, Pdl, Udc e la Destra è “Autonomia responsabile“.
La candidata del centrosinistra è Debora Serracchiani. Avvocato del lavoro, ha 42 anni ed è nata a Roma.
Il suo slogan è “Torniamo a essere speciali“. I partiti che la sostengono sono Slovenska Skupnost, Sel, Pd, Cittadini per Debora Serracchiani Presidente e Idv.
OPERAZIONE DI VOTO
Gli elettori interessati, secondo il Viminale, sono oltre un milione (531.958 maschi e 574.092 femmine). Le sezioni elettorali sono 1.374.
Le operazioni di voto per le consultazioni elettorali e referendarie si svolgeranno oggi fino alle 22 e domani dalle 7 alle 15.
Lo scrutinio delle schede avrà inizio domani subito dopo la chiusura delle votazioni. Per le elezioni provinciali e comunali l’eventuale turno di ballottaggio avrà luogo nei giorni di domenica 5 e lunedì 6 maggio.
RISULTATO DELLE REGIONALI 2008
Renzo Tondo 53,8%
Pdl 33,0
Lega Nord 12,9
Udc 6,1
Partito Pensionati 1,6
Riccardo Illy 46,2%
Pd 29,9
Sinistra Arcobaleno 5,7
Cittadini X il Pres 5,1
Idv 4,5
Slovenska Skupnost 1,2
RISULTATO ELEZIONI POLITICHE 2013 FRIULI
Partito Democratico (Pd) 26,5%
Sinistra ecologia e libertà (Sel) 2,4%
Centro Democratico 0,4%
Totale coalizione – Pier Luigi Bersani 29,3
Il Popolo della libertà (Pdl) 19,4%
Lega Nord 6,9%
Fratelli d’Italia 1,8%
La Destra 0,6 %
Totale coalizione – Silvio Berlusconi 28,8%
Con Monti per l’Italia 12,3%
MoVimento 5 Stelle – beppegrillo.it 25,5%
Rivoluzione Civile 1,7%
Fare per Fermare il Declino 1,5%
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
“NON SI FANNO ACCORDI CON CHI NON LI HA MAI RISPETTATI”
C’è stato un solo «no» contro il Napolitano bis nell’assemblea del Pd. Era di Corradino Mineo, l’ex
direttore di RaiNews24, che poi lo ha votato.
Perchè?
«Perchè non ho nulla contro il presidente Giorgio Napolitano. Anzi ho molto apprezzato la generosità del suo gesto».
Sotto quale punto di vista?
«Dopo tutte le battaglie politiche che ha fatto nella sua vita venire a salvare una banda di dilettanti allo sbaraglio è stato un gesto molto generoso. E gliene do atto».
E allora?
«Il problema non è la sua persona. Per questo l’ho votato. Ma il modo in cui è nata la sua elezione».
Ovvero?
«Con un patto con un uomo come Silvio Berlusconi che non ha mai rispettato un patto: lui compra. Ma lo dico con rispetto».
Beh, non sembrerebbe.
«È il suo modo di far politica».
Non è la politica delle larghe intese invocata da Napolitano?
«Le parole nel corso degli anni cambiano il loro significato. Le larghe intese del 1976 erano quelle della Dc e del Pci che insieme avevano l’80% dell’elettorato. Non sono quelle di Pd e Pdl che hanno perso 9 milioni e mezzo di voti, si sono sempre tirati pietre su tutto e ora fanno l’inciucio».
Voleva che il presidente fosse Stefano Rodotà ?
«Dei grillini si può dire tutto il male del mondo, ma non che non siano riusciti dove altri hanno fallito. Secondo me bisognava convergere sulla loro proposta invece di provare l’accordo con partiti che non sono coniugabili e tentare la carta perdente Franco Marini».
Lei è stato tra i franchi tiratori di Romano Prodi?
«No. Prodi l’ho votato. Quando il partito si è arroccato ho sentito il dovere di farlo. E poi Prodi era garanzia di non inciucio».
Nichi Vendola ha annunciato che collaborerete a un nuovo soggetto politico. Quale?
«Non lo so. Ma qualcosa nel Pd ora deve cambiare».
Virginia Piccolilli
(da “il Corriere dell Sera“)
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
IL LEADER DEL PD BERSANI E IL VOTO DELLA EX FEDELISSIMA PORTAVOCE
La disfatta politica e umana di Bersani contempla anche un parricidio simbolico, uno psicodramma luttuoso: Ale, la fedele Alessandra Moretti, il volto nuovo e accattivante della Nuova Era Bersaniana, è stata la prima a non rispettare gli ordini di scuderia sul voto a Franco Marini.
La scusa? Banale: «Ho votato scheda bianca. La ricerca di un’ampia intesa parlamentare non può dividere il Pd, nè ignorare la voce del Paese reale».
Il Paese reale è quello abitato dalla società civile, il paese dei balocchi.
È in quel preciso istante che Bersani deve aver capito che tutto era perduto, anche l’onore, anche la segreteria.
Splendida quarantenne, madre e sposa felice, vice-sindaco di Vicenza e avvocato specializzato in diritto di famiglia, Ale fa parte della Direzione nazionale del Pd ed è stata chiamata da Bersani quale portavoce nella campagna per le primarie.
I meriti? Televisivi, innanzitutto, come quelli della Polverini.
Ma lei buca meglio lo schermo, con quell’aria da «sciuretta» rassicurante, sempre appropriata, mai originale.
Sono le infide inezie le armi più affilate.
Il suo faticoso apprendistato politico passa per le ospitate: Gruber, Floris, Formigli, Vespa, Del Debbio…
Dal telecomando arriva l’investitura dello Smacchiatore: «Mi ha telefonato: ci ho pensato, fai tu il portavoce. E io, senza riflettere, ho detto sì. Che potevo fare? È un uomo autorevole dalla straordinaria normalità ».
Per incoraggiarla, le dicono che sembra Carole Bouquet.
Lei ricambia: «Bersani è bello come Cary Grant».
Era appena l’altrieri. Ale non piaceva a tutti, la cooptazione da parte del vertice del Pd evocava i metodi del centralismo democratico, che però, alla prova dei fatti, si è sciolto come neve al sole.
L’accusavano anche di fare errori sulla carriera politica del suo Capo (gaffeuse, ma con garbo), di aver appoggiato, anni fa, la candidatura dell’ex coordinatore regionale veneto di Forza Italia, Giorgio Carollo.
Acqua passata, niente di fronte ai rancori, ai tradimenti, alle congiure che hanno affossato il Pd, corroso da voluttà autodistruttiva.
Per Ale vale solo la maledizione di Porta a porta: ieri portaborse, oggi portavoce, domani portacenere.
Le ceneri di Gramsci.
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
“NO A VENDOLA, IL PD ANCORA UN PUNTO DI RIFERIMENTO”… “PD, TANTI ERRORI MA STIAMO UNITI”
Fabrizio Barca, ministro uscente della Coesione territoriale e neo iscritto al Pd, ieri è stato
protagonista della giornata che ha portato alla rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale.
Con un tweet in cui definiva «incomprensibile» la scelta del Pd di non appoggiare Stefano Rodotà e di non proporre Emma Bonino.
Non le è parso il suo un intervento tardivo, quando ormai i giochi erano fatti?
«Ho ritenuto di scegliere una finestra temporale molto stretta dopo lunga meditazione, per evitare che un ministro di un governo di emergenza potesse in alcun modo interferire nelle decisioni. Al contempo, ho voluto parlare prima di sapere se la straordinarie e inedite pressioni sul presidente Napolitano affinchè facesse ciò che egli aveva chiesto che non avvenisse, avessero una risposta. Un attimo prima sarebbe stata un’interferenza, un attimo dopo un giudizio. Ma volevo dire che il Pd aveva in mano tre carte straordinarie, Prodi, Bonino e Rodotà , per evitare di dover chiedere questo passo a Napolitano. La generosità del presidente nulla toglie alla gravità della richiesta che gli è stata fatta. E mi chiedo: perchè il Pd è arrivato a questo?».
In passato, sostengono alcuni osservatori, le votazioni per il Colle si sono trascinate molto più a lungo, anche in presenza di forti tensioni sociali. Forse non c’era tutta questa fretta di chiudere alla sesta votazione…
«Sono perfettamente d’accordo. Il Pd poteva ben presidiare altre votazioni, come è avvenuto anche in momenti ben più drammatici di questo. Ma allora il partito di maggioranza relativa, la Dc, era tenuto insieme da convincimenti e da una volontà così profonda di stare insieme da riassorbire le tensioni e i risentimenti. Evidentemente oggi quella colla non viene avvertita dal gruppo dirigente».
Dunque il Pd avrebbe dovuto muoversi diversamente?
«Constato che il gruppo dirigente ha ritenuto di non poter reggere oltre. Eppure Prodi, Rodotà e Bonino rappresentano le tre grandi culture del Pd, quella liberale, quella socialista e quella cristiano sociale. Perchè non si trovata un’intesa su uno di questi nomi? Evidentemente hanno prevalso i personalismi, come si è visto nell’irraccontabile voto su Prodi».
Su Rodotà il Pd ha ritenuto di non poter essere subalterno ai grillini. Condivide?
«Trovo politicamente straordinario che un movimento di opposizione come il 5 stelle si sia ritrovato su tre figure importantissime dell’area democratica. E non si è incassato su uno di questi tre nomi il risultato? In qualunque Paese davanti a una situazione analoga i dirigenti avrebbero deciso di convergere a razzo mettendo in difficoltà l’avversario politico».
Cosa succederà adesso al Pd? Vede rischi di scissione?
«Cercherei di ripartire in positivo. Il Pd ha le carte in regola per essere ancora un punto di riferimento, le sue culture fondative sono forti e apprezzate dal Paese e anche da un movimento di opposizione come i 5 stelle. Il Pd può ripartire da qui, ha le carte dentro di sè, nella convergenza delle sue grandi culture, ogni divisione sarebbe insensata».
Bersani, dopo aver tentato il dialogo con i grillini per settimane, ha dunque sbagliato nel non credere fino in fondo a quella ipotesi?
«Sarebbe davvero ingiusto, auto-assolutorio, mettere in carico a Bersani le responsabilità che sono di un vasto gruppo dirigente che non ha saputo essere orgoglioso e forte di questa triade di nomi».
Che critica muove invece ai Cinque stelle? Parlo delle grida di Grillo al golpe.
«Certamente sono inquietanti. Ma quel movimento ha intercettato un ribellismo e una voglia di rottura di cui ora amplifica la voce. Non dobbiamo stupirci».
Insisto: che rischi corre ora il Pd?
«Bisogna essere consapevoli dei rischi per evitarli. Una separazione sarebbe insensata, una iattura»
Il Pd sopravviverà al varo di un governo di larghe intese?
«Il partito deve trovare la forza di separare una soluzione di governo, qualunque essa sia, dalla riflessione sulla propria configurazione, sul gruppo dirigente e sulla sua linea di medio-termine».
Oggi Vendola con il suo no alla larghe intese ha lanciato la costituente di una nuova forza di sinistra.
«Nelle prossime settimane dovremo avere un minimo di leggerezza, fare ogni sforzo per non sovrapporre gli eventi correnti alla prospettiva di medio termine. È possibile che si abbiano voti differenziati, che non dovranno per forza influire con l’assetto futuro dei partiti. In fondo Sel e Pd si sono già divisi durante il governo Monti, e poi si sono ritrovati. Ora il punto è maturare un progetto per l’Italia per i prossimi 10-15 anni, un ragionamento che deve restare separato dalle vicende di un possibile nuovo governo di emergenza nazionale. Il Pd deve curare se stesso, sarebbe suicida far dipendere il nostro destino e le prospettive di ricostruzione dalle vicende dei prossimi giorni».
Sel però lancia una nuova sinistra.
«Io sono iscritto al Pd e non cambio idea, anche perchè non mi ha sorpreso la sbandata del gruppo dirigente. Anzi, in quello che è successo vedo con amarezza la conferma di alcuni dei sintomi che ho evidenziato nel mio documento: un partito che non discute dei propri convincimenti, che non ha un legame profondo e quotidiano con il territorio, dove i nomi sono slegati dai disegni e c’è un distacco rispetto ai giovani».
Ha visto in queste ore uno scontro generazionale nel Pd?
«È come se i giovani e gli anziani non capiscano più quelli della generazione di mezzo, e cioè quelli che hanno il maggiore potere e sono invischiati in meccanismi rancorosi. Vedo una fortissima distanza tra tanti ottimi e giovani amministratori locali e il gruppo dirigente nazionale»
Come valuta l’atteggiamento di Renzi sulla partita Quirinale, l’immediata archiviazione del nome di Prodi?
«Una reazione nervosa. Spero che la mia piccola adesione al Pd non abbia contribuito a questo, perchè abbiamo il dovere di essere molto sereni. Nei prossimi giorni una serie di giovani sindaci e governatori potrà dare un segnale forte sulla vitalità del Pd. Nel breve termine 4-5 di questi amministratori, che appartengono a tutte le culture del Pd, saranno determinanti nel gestire la fase di transizione, trasmettendo un senso di sicurezza agli iscritti».
E in una prospettiva di lungo termine?
«Serve un confronto forte sui principi che ci spingono a stare insieme, sull’Italia che vogliamo per i prossimi 10 anni, sulle politiche per arrivarci e sulla forma partito. Le agende non si improvvisano».
Ci sarà una sua candidatura al congresso?
«Vorrei dare un contributo da iscritto girando il Paese, la reazione più importante al mio documento sono stati gli inviti da decine di circoli per discutere. Nei grandi partiti del passato non c’era questa connessione tra l’avvio di una riflessione e l’ambizione alla guida del partito. E non ci deve essere neppure oggi».
Andrea Carugati
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Aprile 21st, 2013 Riccardo Fucile
SEL E IL MINISTRO DELLA COESIONE SI OPPONGONO ALLE LARGHE INTESE
Nel nome di Stefano Rodotà .
Se a sinistra nascerà una nuova formazione il simbolo non potrà che essere lui.
Volente o nolente, l’ottantenne giurista rappresenta la bandiera sotto la quale proveranno a rifugiarsi coloro che vogliono smarcarsi dal Napolitano bis e dal governo che ne verrà .
Il primo a muoversi è stato Nichi Vendola che ieri ha provato a gettare un’esca al malumore del Pd.
“Noi — ha dichiarato il presidente di Sel — siamo impegnati a ricostruire una nuova sinistra di governo” senza puntare “alla scissione” del Pd.
“A quello ci sta pensando qualcun altro” dice Vendola dando appuntamento l’8 maggio (ma potrebbe essere il 10 o l’11) per un meeting o un convegno.
Per far capire che l’obiettivo è parlare ai mal di pancia democratici, Vendola annuncia che Sel accelererà la richiesta di adesione al socialismo europeo.
“Non vogliamo ricostituire una Sinistra arcobaleno” spiega al Fatto Nicola Fratoianni, deputato e già assessore della giunta pugliese. Non si tratta, insomma, di una mossa che guarda a Antonio Ingroia o ad altri settori di sinistra.
Il problema sono però gli interlocutori reali.
Ieri, l’intervento di maggior rilievo è stato quello, via Twitter, di Fabrizio Barca, un candidato alla segreteria del Pd.
Nel tweet Barca dice di non comprendere come mai il Pd non abbia votato per Rodotà o per Emma Bonino (che non sono propriamente la stessa cosa).
Una dichiarazione sufficiente a ricevere l’accusa di “alto tasso di populismo” da parte di Stefano Fassina, uno dei “giovani” bersaniani a sinistra nel Pd. Barca ha precisato di non voler parlare pubblicamente e di essere orientato solo a una battaglia interna al partito. Ma comunque non ha smentito il suo tweet.
E Vendola, oltre a elogiarne ruolo e intelligenza, si è detto entusiasta di una sua possibile partecipazione all’iniziativa di maggio.
“Se nel gruppo dirigente non si muove granchè” spiega ancora Fratoianni, “a livello locale la situazione è davvero caotica”.
Nei giorni scorsi si è visto il fenomeno “#OccupyPd”, composto soprattutto da giovani delusi dallo spettacolo parlamentare.
Ma finora solo Michele Emiliano, sindaco di Bari, spara sul quartier generale e potrebbe essere uno degli interlocutori di Vendola.
I deputati, invece, restano più abbottonati. Il coraggio di Pippo Civati, ad esempio, ieri non è andato oltre la scheda bianca nel voto sul Quirinale.
Altri movimenti avvengono a lato della politica.
A nessuno è sfuggita, ieri, la dichiarazione congiunta di Sergio Cofferati e Maurizio Landini, ex segretario Cgil, attualmente europarlamentare Pd, il primo e segretario della Fiom, il secondo, a favore di Rodotà , “una candidatura di alto profilo”.
La mossa mira a parlare anche all’interno della Cgil che, invece, non intende offire sponde a operazioni di distinguo e si limita a congratularsi con Giorgio Napolitano per l’elezione.
Ma prima dell’appuntamento di Sel, il 30 aprile a Bologna si terrà un convegno della Fiom che a giudicare dagli ospiti potrebbe rappresentare un passaggio importante negli attuali rimescolamenti: insieme a Landini, infatti, parleranno Cofferati, Barca, Marco Revelli e, ancora, Rodotà .
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »