Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
PER EVITARE CHE LA RISSA PER UNA POLTRONA DEGENERASSE, IL PREMIER COSTRETTO AD ANTICIPARE I TEMPI DI 48 ORE… TRE SARANNO SCELTI DA LUI, TRE ANDRANNO A LISTA CIVICA E 34 SPARTITI TRA PDL E PD
Il premier Enrico Letta sfodera il piglio decisionista e nomina i sottosegretari del suo governo con una
improvvisa convocazione del Consiglio dei ministri, dopo una giornata all’insegna delle pressioni da parte dei partiti per allargare il numero della squadra.
Per evitare che la situazione degenerasse da una ressa ad una rissa, il Presidente del Consiglio ha anticipato i tempi di 48 ore.
La decisione, poi, consentirà di formare anche le Commissioni Parlamentari di Camera e Senato ed eleggerne i 28 presidenti martedì prossimo.
La lista dei nomi dei sottosegretari risponde al classico Manuale Cencelli per bilanciare non solo i partiti ma anche le correnti interne.
La mossa compiuta da Letta è avvenuta al termine di una estenuante giornata in cui si sono susseguiti colloqui e incontri avuti, assieme al ministro per i rapporti con il Parlamento Dario Franceschini, con il reggente del Pdl, Denis Verdini, e i capigruppo di maggioranza di Camera e Senato.
Gli interlocutori, specie Verdini, hanno premuto per allargare il numero dei sottosegretari, fissato a 40 (massimo 45).
Ma da questo orecchio Letta non ci ha voluto sentire: l’attuale legge, indica con chiarezza in 63 il numero massimo dei componenti del governo, e i ministri più lo stesso Letta e il sottosegretario alla presidenza Patroni Griffi sono già 23. L’allargamento della squadra, ha sottolineato il Presidente del Consiglio, sarebbe un segnale negativo all’opinione pubblica che vuole vedere tagliati i costi della politica. Viste le insistenze e la difficoltà ad accontentare tutti si è deciso di chiudere prima del week end, per evitare uno sfilacciamento della situazione.
Dei 40 sottosegretari, il premier Letta ha chiesto di riservare a se tre nomi, e altrettanti andranno a Scelta Civica, mentre i restanti 34 saranno divisi equamente tra Pd e Pdl. A complicare il puzzle ci si sono messe le correnti, specie quelle del Pd, la necessità di prevedere la presenza di donne, nonchè quella di trovare in ciascun dicastero almeno un sottosegretario di un partito diverso rispetto a quello del ministro. Inoltre nei dicasteri retti da tecnici (Economia, Giustizia, Lavoro) entrambi i partiti hanno chiesto un loro sottosegretario e meglio ancora un viceministro.
Il Pdl intende privilegiare i propri esponenti che non sono entrati in Parlamento, con poche eccezioni, come Luigi Casero candidato al Tesoro.
In attesa della lista che sarà diffusa in nottata sono circolati i nomi delle due deputate Deborah Bergamini e Annagrazia Calabria, e di ex parlamentari come Osvaldo Napoli, Maurizio Paniz, Teresa Armosino, Giuseppe Marinello, Enrico Pianetta e Maurizio Castro.
Nel Pd dal gioco delle correnti si sono autoesclusi i “lettiani” per far entrare più esponenti delle altre aree e blindare così il Governo.
I “bindiani” hanno discusso fino all’ultimo se entrare o meno, viste le riserve della stessa Bindi sul governo.
Le altre correnti dovrebbero avere circa tre sottosegretari a testa: tra i nomi che circolano quelli dei ‘renzianì, Roberto Reggi e Andrea Sarubbi, i ‘franceschinianì Sergio D’Antoni, Lapo Pistelli e Pier Paolo Baretta, gli ex popolari Gero Grassi e Giampiero Bocci, il ‘fassiniano’ Emanuele Fiano, mentre Stefano Fassina potrebbe essere viceministro del Lavoro.
Per Scelta Civica si parla di Roberto Occhiuto (Udc) e Mario Giro (vicino all’ex ministro Andrea Riccardi).
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA DELLA REGIONE LOMBARDIA SI RENDA UTILE: RIMBORSI PIUTTOSTO I 4 MILIARDI CHE I CONTRIBUENTI ITALIANI HANNO DOVUTO PAGARE AL POSTO DEI LADRONI PROTETTI DALLA LEGA
“Una giovane ragazza beneventana”, che è da sabato scorso il ministro delle Politiche agricole, non può rappresentare “al meglio” gli interessi della Lombardia in sede europea.
Specie nelle trattative sul latte.
Quindi, è più utile che la Regione negozi direttamente con la Ue.
A parlare così di Nunzia De Girolamo è Gianni Fava, assessore regionale leghista all’Agricoltura in carica da qualche settimana in più del neoministro, che si è preso le reprimende soprattutto delle parlamentari del Pdl.
In una nota ufficiale in cui la Regione racconta di una sua visita in un’azienda di Trescore Cremasco (Cremona), Fava non fa il nome dell’esponente del Pdl (partito di maggioranza nella giunta di Roberto Maroni), ma il riferimento è inequivocabile. Benchè affondato fra le righe.
“I problemi del settore e la loro specificità – ha dichiarato l’assessore lombardo – ci spingono a intervenire direttamente nel processo di negoziazione in ambito europeo, senza più alcuna mediazione”.
Non è un mistero che la Lega punti a maggiori autonomie decisionali.
Ma dal discorso politico, che si spinge a invocare un ruolo alla pari fra Regione e Ue, l’assessore è passato nella riga successiva a quello personale sul ministro: “Non possiamo pensare che una giovane ragazza beneventana possa conoscere meglio di noi le vicende del latte e ci rappresenti al meglio a Bruxelles”.
Per Fava, che ha 44 anni ed è nato a Viadana (Mantova), la De Girolamo non è affidabile per il settore agricolo lombardo non solo perchè la giunta maroniana vuole un ruolo decisionale differente, ma anche perchè nata 37 anni fa a Benevento.
Il deputato pd Ernesto Carbone, che è stato funzionario del ministero, ha ricordato che al consiglio Ue partecipano i ministri, non gli assessori: “Non capisco – ha poi aggiunto – nella complessa esegesi leghista se sia piu ‘razzista’ la ‘giovane ragazza’ o ‘beneventana’, magari l’assessore Fava ce lo può chiarire”.
La deputata pdl Elvira Savino ha invece osservato che Fava, per la Lega, si occupava di sviluppo economico ma non di agricoltura: dunque sia “più prudente nelle sue dichiarazioni”, visto che il ministro De Girolamo “è in grado di rappresentare al meglio in ambito comunitario tutto il settore agricolo italiano”.
Per un’altra parlamentare del Pdl, Barbara Saltamartini, l’assessore è solo “un po’ spaccone” e quindi “l’ultima persona che potrebbe mediare con chicchessia”.
Nessun commento, per ora, della diretta interessata.
Fava, che ha subito postato su Twitter le agenzie che riprendevano le sue dichiarazioni, non ha voluto invece aggiungere altro.
Un altro personaggio indegno di rappresentare il nostro Paese.
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
PREVISTE COMPENSAZIONI PER GLI ESCLUSI DAI MINISTERI… PER LA CONVENZIONE PER LE RIFORME SALGONO LE QUOTAZIONI DEL LEGHISTA GIORGETTI
Sarà pure che non c’era alternativa a questa alleanza, come ha avuto modo di ribadire sempre Enrico
Letta al Senato prima di ricevere l’ultimo voto di fiducia, ma è altrettanto vero che la partita a scacchi della divisione del potere della nuova legislatura è tutt’altro che finita.
E s’incrocia con i problemi interni a Pd e Pdl, ciascuno a suo modo dirimente per la gestione di questa delicata fase di “inciucio” destinata a culminare con la nomina dei sottosegretari.
Una partita che dovrà compensare quello che è rimasto sbilanciato nella composizione della squadra governativa di prima fila, ma nella quale è destinato ad entrare molto di più; vendette trasversali e rese dei conti interne ai due schieramenti avranno un peso notevole nella spartizione di seggiole, poltrone e strapuntini.
Nel mirino sono già in molti.
Il primo — parrà strano — è Angelino Alfano.
Già , il numero due del Pdl e del governo. Ecco, Alfano è da giorni il bersaglio più gettonato dell’inner circle del Cavaliere. Che ha cominciato a fargli la guerra.
Troppe tre cariche (ministro, vicepremier e segretario del partito) nelle mani di un uomo solo per quanto plenipotenziario di Silvio in persona.
Ad altri, per giunta, non piace neppure la china “democristiana” che sta imponendo al Pdl, nel nome del buonismo delle larghe intese, che a qualcuno, lunedì alla Camera, ha fatto rispolverare — con sarcasmo — quel vecchio progetto di parito popolare che ora potrebbe tornare buono e che invece è sempre stato rigettato dai “falchi” del partito quasi con disprezzo.
Una delle avversarie più nette dell’idea è da sempre Daniela Santanchè.
Che ha digerito male, malissimo l’essere stata esclusa da qualsiasi incarico di livello nel governo; si aspettava, quantomeno, un ministero di seconda fila.
Malumori a cui la divisione della scacchiera del sottogoverno dovrà dare qualche risposta, anche se — nello specifico — per la Santanchè sarebbe pronta un’altra poltrona, quella di vice presidente della Camera dopo le dimissioni di Maurizio Lupi, passato al governo delle Infrastrutture.
Forse la nomina “la terrà buona”, dicevano lunedì nel Pdl, ma la fronda nel partito contro Alfano viene comunque considerata “da non sottovalutare affatto”; gli “sgambetti”, si faceva notare con malizia, “non li sanno fare bene solo nel Pd, anche noi siamo bravissimi…”.
Partita delicata, dunque. Anche se poi, certo, quando si vince poi tutto diventa più semplice da gestire e le divisioni si stemperano.
Eppure, annusati gli umori, uno come Fabrizio Cicchitto ha sentito il bisogno di esporsi personalmente con Berlusconi consigliandolo di mettere subito un punto a quest’onda di malumore attraverso nomine ad hoc che accontentino tutte le anime in modo da non temere contraccolpi in fasi (come quelle che verranno) dove l’unità del partito dovrà essere un fondamento ineludibile.
Ecco, quindi, che a fare la trattativa per i sottosegretari è stato chiamato il solito Denis Verdini.
CASA PD
Per il Pd la partita è nelle mani di Dario Franceschini. Si pensa di trovare la quadra entro oggi, dopo che Letta sarà tornato dalla Germania e dopo un primo maggio di attento lavoro di tessitura.
Martedì, probabilmente, il giuramento.
Il numero massimo dei componenti della seconda fila non potrà andare oltre i quaranta, quota fissata dalla legge che pone all’esecutivo un tetto di 63 componenti.
La lista parziale del Pd prevede allo Sviluppo economico Paola De Micheli, lettiana di ferro, all’Interno Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd, agli Esteri Lapo Pistelli, anche lui uomo del premier, quindi Marianna Madia (ex veltroniana) al Lavoro, Guglielmo Epifani all’Economia come viceministro, la bersaniana Roberta Agostini alle Comunicazioni, il renziano Matteo Richetti ai Beni culturali, Ermete Realacci all’Ambiente, Antonello Giacomelli (franceschiniano) alla Coesione territoriale, Massimiliano Manfredi, che ieri ha chiesto a Letta più spazio per il Sud nella squadra, dovrebbe andare a un ministero economico.
CASA PDL
Più frastagliata la pattuglia del Pdl. Si parla di Enrico Costa o di Jole Santelli alla Giustizia, e ancora Micaela Biancofiore e Anna Grazia Calabria forse per lo Sviluppo Economico, ma anche di Mariella Bocciardo, cognata di Berlusconi, prima moglie di Paolo da piazzare in qualche dicastero, forse in quello della Cultura ora sotto l’occhio attento del dalemiano “re della taranta” Bray.
Ieri a palazzo Grazioli si è rifatta viva pure la Brambilla per ottenere una delega al Turismo, ma la poltrona sarebbe già stata occupata da Bernabò Bocca, leader di Federalberghi.
Comunque, per mettere a tacere i molti mal di pancia, nel Pdl si starebbe anche pensando di dirottare gli ex ministri del governo Berlusconi alle presidenze delle Commissioni che spettano al partito di via dell’Umiltà , ma la decisione finale non è stata ancora presa.
Si tratterà anche di giorno di festa, si diceva, pur di chiudere l’intera questione il prima possibile.
TUTTI I NOMI
C’è anche Marco Minniti in predicato come viceministro o sottosegretario all’Interno, così come per il ruolo da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, incarico gia’ ricoperto con i governo D’Alema, quando ebbe anche la delega ai servizi segreti.
Ma per i Servizi, si da’ per possibile anche una riconferma di Gianni De Gennaro. All’Interno si fa il nome anche di Emanuele Fiano. Al ministero dell’Economia, Giovanni Legnini, un uomo di grande spessore sul fronte dei conti, potrebbe collaborare con Fabrizio Saccomanni.
Nella lista dei possibili aspiranti a un posto nei dicasteri economici anche Giampaolo Galli e Carlo Dell’Aringa.
Possibili anche nomine per l’altra lettiana Alessia Mosca, ma direttamente a palazzo Chigi. Se poi dovessero essere accolti anche ex parlamentari nella compagine, si parla di un ritorno di Enrico Morando a un ministero economico e di Oriano Giovannelli magari alla Coesione territoriale.
Al Lavoro si fanno i nomi dell’ex Damiano, se non dovesse diventare presidente di commissione. Particolarmente delicato per i rapporti con il Pdl e’ poi il ministero delle Infrastrutture, che ha anche competenza sulle telecomunicazioni.
Possibile un profilo come quello di Raffaella Mariani, oppure potrebbe essere ripescato uno dei ‘saggi’ esclusi dal governo come Filippo Bubbico.
Di primo piano sarà poi il ruolo dei sottosegretari chiamati a seguire il cammino delle riforme: si fanno i nomi di Pino Pisicchio e Gianclaudio Bressa, sempre che quest’ultimo non vada a presiedere la commissione Affari costituzionali della Camera se in Senato non dovesse essere nominata per la prima commissione Anna Finocchiaro.
In alternativa, possibile un ingresso di Sesa Amici.
Ai rapporti con il Parlamento, con Franceschini, sarebbe gradita da molti la conferma di Giampaolo D’Andrea. Alla Cultura potrebbe andare Emilia De Biasi, mentre alla Salute Giovanni Burtone. Per la Difesa, in lizza Rosa Villecco Calipari, Roberta Pinotti e Federica Mogherini.
Colomba Mongiello potrebbe andare all’Agricolta, mentre Francesco Garofani all’Editoria.
Molti anche i renziani che potrebbero entrare nella rosa, da Francesco Carbone ad Andrea Marcucci a Matteo Richetti, come si diceva, che ha al suo attivo un’esperienza di amministratore locale.
Nel novero dei sottosegretari dovranno entrare anche il montiano Della Vedova e Carlo Calenda (braccio destro di Montezemolo), ma la destinazione ancora non è chiara.
LA CONVENZIONE DI B.
Il Cavaliere, intanto, sembra vedere nel governo delle larghe intese molte opportunità per se stesso e per il suo partito. Anche se sembra allontanarsi da lui, nonostante i desiderata espressi pubblicamente senza pudore, la guida della Convenzione per le riforme.
Che dovrebbe nascere entro maggio dopo che ne avrà delineato la forma e i contenuti il ministro Quagliariello attorno a metà mese.
L’organismo al quale Letta nel suo discorso ha dato grandissima importanza, parlandone anche come un’opportunità di «scongelamento» delle opposizioni, fa gola al centrodestra. E per non rompere subito un’alleanza che, comunque, non si sa bene quanto potrà durare, ma per non dare le redini di un giocattolo così delicato proprio a Berlusconi, sono in salita le quotazioni di Giorgetti, un leghista molto gradito al Capo dello Stato, un “saggio” che potrebbe così consentire a Letta di agganciare anche il Carroccio che ieri ha abbandonato ogni pretesa sulle commissioni di garanzia dando, di fatto, in pasto ai grillini la Vigilanza Rai.
Ma la cosa non piace per nulla al Cavaliere.
Che anche lì (più che mai) ha intenzione di dire l’ultima parola.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
LE VERSIONI EDULCORATE DELLA STAMPA ITALIANA…MA IL “DIE WELT” TITOLA: “ANCORA UN ITALIANO CHE NON VUOLE RISPARMIARE”
Grande attenzione da Angela Merkel.
Piena sintonia con Franà§ois Hollande.
Disponibilità e incoraggiamento dai presidenti delle istituzioni europee, Herman van Rompuy (Consiglio) e Josè Barroso (Commissione).
E, lunedì, già aspettatevi sintesi dell’incontro con Mariano Rajoy simili a quelle dell’incontro con Hollande.
Il tour europeo dell’ancora neo-premier Enrico Letta è una favoletta già raccontata almeno una volta: andatevi a prendere articoli e considerazioni che accompagnarono l’analogo giro dell’allora neo-premier Mario Monti nel novembre 2011, anche se in Francia c’era Nicolas Sarkozy e non Hollande e la Spagna aspettava l’esito delle elezioni.
E, poi, leggetevi il titolo di Die Welt, “Ancora un italiano che non vuole risparmiare”, o quello di Der Spiegel, “L’Ue chiede nuove misure d’austerità al governo italiano”; e confrontateli con quello che vi sentite raccontare alla radio, in tv, sui giornali nostrani.
Per carità !, non che Die Welt o Der Spiegel o qualsiasi altro media tedesco e internazionale siano la bibbia.
Ma è un fatto che la favoletta non la raccontano, questa volta, i politici, ma gli organi di stampa: le frasi della Merkel e di Hollande, di Van Rompuy e di Barroso, dello stesso Letta non sono melassa; lo diventano, spesso, nei resoconti giornalistici.
Guardiamo all’ultima tappa del premier Letta, Bruxelles, ieri sera e questa mattina. Van Rompuy gli dice: sì alla flessibilità , ma con in conti in ordine.
E Barroso si dichiara fiducioso sull’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo, ma — nota — l’Italia deve accelerare sulla via delle riforme e continuare a ridurre il debito.
E Letta chiarisce che è venuto ad annunciare ai suoi interlocutori che vuole spingere la crescita e mantenere gli impegni, senza ancora spiegare come; ma poi ammette che dovrà “presto dire” come farà a conciliare — ad esempio — tagli delle entrate ed aumenti delle uscite col rispetto del limite del 3% del deficit e del ritmo di riduzione del debito.
Perchè l’Italia, finora, non ha chiesto eccezioni nè sull’uno nè sull’altro fronte, anche se magari poi lo farà .
Del resto, come puoi aspettarti che la Commissione chiuda la procedura d’infrazione per mancato rispetto del 3%, se già le chiedi di sforare?
Un’altra favoletta del racconto giornalistico è il ‘fronte della crescita’ (Francia-Spagna-Italia-Belgio e chi ci sta) pronto a premere sulla Germania al Consiglio europeo di fine giugno.
Ma davvero Hollande e Rajoy, Letta e Di Rupo possono pensare che il momento giusto per chiudere nell’angolo la cancelliera Merkel sia l’ultimo vertice prima delle elezioni tedesche del 22 settembre?
Lì, la Merkel guadagnerà voti (a casa sua) se s’arrocca, mica se cede.
Di qui all’autunno, sul fronte dei conti in ordine, c’è poco da contare su arrendevolezze tedesche.
Si potrebbe, piuttosto, puntare su passi in avanti per l’unione politica, che la cancelliera si dice pronta a fare.
Perchè, a giudicare dal discorso europeista del premier Letta, sta bene pure a noi, meno alla Francia; e anche un po’ per vedere il bluff di Angela, se c’è bluff; e per creare il clima per una minore rigidità nell’autunno europeo.
Che potrebbe essere una primavera.
Ad arrivarci, con l’Imu che già minaccia intese evidentemente non così larghe.
Giampiero Gramaglia
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
DALL’ORGANISMO EUROPEO PAROLE CHIARE DI FRONTE A PROPOSTE DEMAGOGICHE
Rallenta la crescita italiana, ma con le giuste misure la recessione potrebbe finire alle spalle già
quest’anno.
Eppure non si può allentare la presa fiscale, ma si devono consolidare gli sforzi di riduzione del debito e continuare le riforme strutturali sulla scia di quanto fatto nel 2012.
Così l’Ocse entra nel vivo del dibattito sull’economia italiana e punta il dito contro le ipotesi di modifica o eliminazione dell’Imu.
Stop all’eliminazione dell’Imu.
“Considerando che il forte vincolo di bilancio dell’Italia va rispettato, bisogna stabilire delle priorità . Noi riteniamo che la scelta fiscale coerente con queste condizioni e con le priorità indicate dal governo sia la riduzione delle imposte sul lavoro. Altre scelte si potranno fare più avanti e andranno garantite le coperture”, spiega chiaramente il capo economista Pier Carlo Padoan.
Il segretario generale Angel Gurrìa aggiunge che “è la tendenza generale nel mondo e nei Paesi Ocse quella di tagliare le tasse sulle imprese e sul lavoro compensando con imposte sui consumi, su proprietà immobiliari e su emissioni di gas serra”.
Sulla tassa sulla casa si era espresso anche l’ex premier Mario Monti, che proprio dalla presentazione del rapporto Ocse ha bollato la questione come un “tema non degno dell’attenzione quasi morbosa” di questi giorni.
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
“IL VOSTRO PIL SCENDERA’ ANCORA: MENO 1,5%”… “SISTEMA BANCARIO ESPOSTO A RISCHI SISTEMICI”
Per l’Italia, la priorità resta «la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico», perchè «con un rapporto debito/Pil vicino al 130% e un piano di ammortamento del debito particolarmente pesante», il Paese «rimane esposto ai cambiamenti improvvisi dell’umore dei mercati finanziari». Lo scrive l’Ocse nel suo rapporto sull’economia italiana.
Secondo l’Ocse il rapporto deficit/pil dell’Italia salirà al 3,3% nel 2013 e al 3,8% nel 2014: «L’indebitamento netto – spiega l’Ocse nel rapporto sull’Italia presentato oggi – risulta peggiore rispetto alle stime del governo a causa delle prospettive di crescita più deboli».
Nel quadro macroeconomico contenuto nel Def presentato in aprile, il governo stima un deficit al 2,9% del Pil nel 2013 e all’1,8% del Pil nel 2014
In Italia «è impossibile per il momento ridurre in modo significativo il livello complessivo dell’imposizione», ma l’eliminazione delle agevolazioni fiscali senza giustificazioni economiche permetterebbe di aumentare la base imponibile e quindi ritoccare le aliquote marginali «senza impatto sulle entrate».
Nel suo rapporto sull’economia italiana, l’Ocse rivede di nuovo al ribasso le stime sul Pil per il 2013, prevedendo una contrazione dell’1,5%, contro il -1% previsto nell’outlook del novembre scorso.
Il ritorno alla crescita non è previsto prima del 2014, per cui l’organizzazione stima un +0,5%. Per l’Ocse l’economia italiana «potrebbe frenare» nei prossimi mesi e «non dovrebbe iniziare a crescere prima del 2014».
Secondo l’Ocse «gli effetti positivi della serie di ampie riforme dal lato dell’offerta adottate a partire dalla fine del 2011, richiederanno tempo per materializzarsi, a causa del clima di scarsa fiducia, del ritmo lento della ripresa negli altri paesi e della necessità di proseguire sulla strada del consolidamento fiscale. Il piano annunciato ad aprile 2013 di ridurre significativamente i debiti arretrati della Pubblica Amministrazione è benvenuto. L’impatto sulla crescita però è incerto, per cui in queste previsioni è inclusa una stima conservativa».
In Italia, «sebbene il sistema bancario si sia rivelato complessivamente solido, diversi istituti di credito hanno incontrato gravi difficoltà e il settore finanziario resta esposto a rischi sistemici». L’Ocse consiglia quindi al nostro Paese di «incoraggiare le banche ad aumentare gli accantonamenti per perdite e continuare a incitarle a soddisfare le loro esigenze di capitale tramite le emissioni di nuove azioni o la cessione di attività non strategiche»
Il settore finanziario italiano, spiega l’Ocse, «ha resistito meglio di molti altri Paesi alla prima ondata della crisi», ma «nel periodo 2011-12, il sistema bancario è divenuto vulnerabile al contagio proveniente dalle preoccupazioni internazionali circa il livello del debito pubblico».
Attualmente, «secondo gli indici di bilancio, le banche italiane registrano in media un indebitamento inferiore ai loro omologhi europei. Tuttavia, con il persistere della recessione, il livello già elevato di crediti in sofferenza è in aumento e rimane un’importante fonte di preoccupazione».
L’Italia «ha avviato un ambizioso programma di riforme», che insieme alle misure intraprese dall’eurozona «hanno ridotto i rischi di rallentamento economico, e potrebbero aiutarla a uscire dalla recessione già nel corso del 2013».
Lo scrive l’Ocse, nel suo ultimo rapporto sull’economia italiana. Gli effetti benefici di questi interventi, sottolinea però l’organizzazione, «richiederanno tempo per materializzarsi, a causa del clima di scarsa fiducia, del ritmo lento della ripresa negli altri Paese e della necessità di proseguire sulla strada del consolidamento fiscale».
(da “La Stampa“)
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
LA FINE DEL MOVIMENTO E’ STATA SANCITA DA UNA NOTA CONGIUNTA DEI SEGRETARI DEI VARI PARTITI
Era nata per le elezioni, aveva cambiato nome dopo il pessimo risultato alle urne e ora, a distanza di
neanche un anno dalla sua nascita, è stata sciolta per sempre, con una nota a firma dei suoi soci fondatori.
Il riferimento è a Rivoluzione Civile, il movimento che vedeva nel pm Antonio Ingroia il leader ed ex candidato alla presidenza del Consiglio.
Un ricordo lontano, quello della campagna elettorale, specie alla luce di quanto comunicato oggi alla stampa: ”I soggetti che hanno dato vita a Rivoluzione Civile hanno deciso all’unanimità di considerare conclusa questa esperienza. Il risultato insoddisfacente delle elezioni politiche del febbraio scorso ha indotto ognuna delle componenti a una riflessione profonda della nuova fase politica al proprio interno”.
La nota, firmata da Antonio Ingroia (Azione Civile), Angelo Bonelli (Verdi), Luigi De Magistris (Movimento Arancione), Oliviero Diliberto (Pdci), Antonio Di Pietro (Idv), Paolo Ferrero (Prc) e Leoluca Orlando (Rete2018), prosegue sugli stessi toni: “Si è preso atto che le scelte strategiche future dei singoli soggetti sono incompatibili con la prosecuzione di un progetto politico comune, quanto meno nell’immediato”.
In poche parole: ognuno va per conto suo.
Rottura totale, quindi, anche se “resta intatta la stima reciproca tra tutte le forze che hanno dato vita a RC e la volontà di mantenere comunque interlocuzioni finalizzate al profondo cambiamento politico, culturale e sociale dell’Italia”.
Poi le recriminazioni: “Resta inoltre forte il convincimento che nel nostro Paese la presenza in Parlamento di rappresentanti delle forze unite attorno a Rivoluzione Civile avrebbe portato un arricchimento importante al dibattito per la realizzazione di una legislazione avanzata sul terreno dei diritti sociali e civili, della legalità , dell’etica nella politica e di un nuovo impianto istituzionale. Il contrario — conclude la nota — di quanto purtroppo è avvenuto”.
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
IL CONFRONTO CON LA GERMANIA DEL 2005 NON REGGE: LA MERKEL SI PRESENTO’ AL BUNDESTAG CON UN PROGRAMMA PRECISO IN CUI GLI OBIETTIVI ERANO SUPPORTATI DA RISORSE GIA’ INDIVIDUATE
Il paragone corre da giorni lungo l’intero emiciclo parlamentare: “Abbiamo fatto una coalizione come quella che in Germania nel 2005 portò al governo Angela Merkel e mise le basi per il boom economico tedesco”.
La voce rimbalza orgogliosa da destra a sinistra: dal Pd al Pdl ci si sbraccia per nobilitare il governo di larghe intese varato dal neo premier Enrico Letta.
Ma, alla prova dei fatti, il parallelo ha poca ragion d’essere.
Mentre il presidente del Consiglio non spiega con quali fondi finanzierà la sospensione dell’Imu e le altre misure annunciate, all’epoca la GroàŸe Koalition tedesca si presentò all’appuntamento con il Bundestag con un programma dettagliato su cosa fare e da dove prendere i soldi.
Il patto che teneva uniti Cristiano-democratici (35,2% alle urne), Socialdemocratici (34,2%) e Cristiano-sociali venne chiamato “Insieme per la Germania. Con coraggio e umanità “.
C’erano voluti tempo e logoranti trattative per partorirlo, ma alla fine, l’11 novembre 2005, 11 giorni prima che la Merkel fosse eletta cancelliera dal Bundestag, il documento era lì a tracciare il solco lungo il quale il nuovo governo si sarebbe mosso: crescita, occupazione, meno spesa pubblica, innovazione, fondi per scuola e ricerca.
La prima parte, intitolata Maggiori opportunità per innovazione e lavoro, prosperità e partecipazione, è dominata dal tema del lavoro.
Con il tasso di disoccupazione a quota 11,6%, bisognava incentivare le piccolo e medie imprese ad assumere.
Così “Cdu, Csu e Spd si impegnano — si legge a pagina 28 — a garantire che i costi salariali del lavoro (i contributi sociali) verranno ridotti al di sotto del 40%. Il contributo per la disoccupazione dal 1° gennaio 2007 scenderà dal 6,5% al 4,5%”.
Come verranno compensati i mancati introiti? Per un terzo attraverso l’aumento dell’Iva, che “passerà dal 16% al 19%”.
Gli altri due terzi di quest’ultima misura andranno a rafforzare il consolidamento delle finanze pubbliche. “Allo stesso tempo, il contributo alla pensione obbligatoria aumenta dal 19,5% al 19,9%”.
Al punto 2.6, pagina 34, il documento spiega come Merkel e soci intendano intervenire sugli ammortizzatori sociali.
Il programma si chiama Hartz VI, nato nel 2002 con le profonde riforme dell’Agenda 2010 attuata da Gerhard Schroeder: garantisce ai disoccupati un assegno mensile (in media 374 euro per un singolo, 337 più 229 per ogni bambino se si hanno famiglia e figli) e un contributo per l’affitto (300 per chi vive solo, 550 per i nuclei).
Lo scopo annunciato nel programma della coalizione è risparmiare 3,8 miliardi.
In questo modo: ponendo “un limite di 25 anni di età per la fruizione dei benefici (0,5 miliardi)”; migliorando “le procedure amministrative e la struttura organizzativa di Hartz IV (1,2 miliardi)”; diminuendo i benefit per i più giovani (0,1 miliardi); riducendo “il sussidio minimo obbligatorio da 78 a 40 euro al mese (2 miliardi)”.
La seconda parte del programma riguarda il “consolidamento dell’economia“.
A pagina 78, punto 1.4, si discute delle misure di sviluppo.
“Per rafforzare l’innovazione, gli investimenti, la crescita e l’occupazione e aumentare la fiducia dei consumatori daremo impulsi specifici in 5 settori chiave (tra questi scuola e ricerca, ndr) per un totale di 25 miliardi”. Da dove arriveranno?
“Metà della spesa supplementare sarà finanziata attraverso il Future Fund, alimentato dalla vendita di asset dello Stato”.
Altri soldi sarebbero dovuti arrivare dai ricchi. Il programma aumentava del 3% l’aliquota massima dell’imposta sul reddito, che passava dal 42% al 45% per i singoli con un reddito superiore ai 250 mila euro e per le coppie con oltre 500 mila euro sulla dichiarazione.
Una cura d’austerità che porterà ossigeno nelle casse dello Stato, ma anche all’innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni entro il 2010.
Nulla di rivoluzionario, nel complesso: un programma denso e pieno di chiaroscuri, in cui da un lato si dice basta ai pesanti deficit (obiettivo 3% entro il 2007) ma dall’altro non si dà il via a riforme profonde.
Ma certamente un’idea di cosa fare e, soprattutto, di come farla. Il programma si instradava (altra differenza con il nuovo governo Pd-Pdl-Scelta Civica) nella scia tracciata da quell’Agenda 2010, fatta di lacrime e sangue e firmata dal precedente governo Schroeder, cui la Bundesbank ha attribuito il vero merito del boom economico tedesco.
E in Italia? Il governo di larghe intese è sì nato dopo trattative più o meno lunghe, ma su temi politici e non tecnici (o pratici che dir si voglia). E soprattutto non immediatamente dopo le elezioni, ma con due mesi di ritardo e a seguito del lavoro del gruppo di dieci saggi voluti da Napolitano (quindi non eletti da nessuno) che hanno messo sul tavolo una serie di cose da fare poi inglobate nel programma dell’esecutivo Letta (con tre saggi divenuti ministri).
Al di là delle battute (“Chiederò consulenza alla Cancelliera su come si guida una grande coalizione”, ha detto il premier tra il serio e il faceto ai giornalisti in Germania), una domandina alla Merkel su come si fanno i programmi delle GroàŸe Koalition, il neopremier non farebbe male a farla.
Marco Quarantelli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 2nd, 2013 Riccardo Fucile
IL BOTTINO DEI TECNICI, L’ASSEGNO-SPERANZA PER LE CANDIDATURE, IL SOSTEGNO DELLE IMPRESE…. ASPETTANDO LA MANNA DEI RIMBORSI ELETTORALI
I rimborsi ai partiti esistono ancora, anche se Enrico Letta vuole tagliare e controllare. Non vi
preoccupate: a luglio sarà staccato il primo assegno per la prima rata a chi l’ha chiesto: tutti, tranne il Movimento Cinque Stelle.
La torta di 91 milioni — tra spese per la campagna elettorale e finanziamenti ai gruppi — sarà divisa per porzioni più grosse.
La legge prevede che al sostegno pubblico si affianchi il contributo privato: vanno dichiarate le donazioni oltre i 4.999 euro.
Il 27 aprile è scaduto il termine per presentare la rendicontazione, all’appello mancano Scelta Civica, Pdl e Pd.
La Lega Nord, visti i trascorsi dell’ex tesoriere Belsito, ha inviato quattro faldoni da migliaia di pagine.
Queste spese saranno pubbliche quando verranno convalidate da un comitato nominato all’interno della Corte dei Conti.
Ma prima di mostrare le carte, gli stessi di Scelta Civica, Pdl e Pd hanno chiesto di avere la parte spettante dei 91 milioni.
Per adesso, potete divertirvi a capire come Mario Monti sia riuscito a raccogliere oltre 2 milioni di euro profittando di imprenditori-candidati e di tecnici generosi come Enrico Bondi.
Vi abbiamo risparmiato l’elenco dei deputati e senatori che versano una quota al partito (spesso detratta dall’indennità ), fissata in circa 9.600 per il Pdl e quasi il doppio per il Pd: conviene, perchè la somma procura un beneficio per l’Irpef con sconti sino al 19%.
Ma un giovane candidato, che non dispone di questi soldi, come fa? Viene inserito lo stesso nei listini bloccati grazie al Porcellum?
In attesa di una risposta, si può dire che ci sono bonifici curiosi, come quelli che puntuali arrivano dall’imprenditore Alfredo Romeo, che sostiene il democratico ex dalemiano Nicola Latorre.
La frangia democristiana del Pd dovrà ricordarsi, quando sarà , se sarà , il momento di una scissione, che gli ex comunisti nelle regioni rosse garantiscono liquidità con l’apporto di decine e decine di cooperative.
Non fosse per una grande azienda di Bologna — e dove, sennò? — e per un gioiello di Prada, il Pd dovrebbe sperare nei lauti rimborsi per sopravvivere ai bilanci prima che con all’avvento di Renzi.
Le solite imprese di costruzioni partecipano al carico elettorale per la propaganda: perchè lo fanno? Simpatia o cosa?
Vanno incrociate le sigle per interpretare il grande aiuto che riceve sempre l’Udc di Pier Ferdinando Casini, seppur ormai estinta.
E fa sorridere il ricco Pdl del ricco Cavaliere che conquista ossigeno finanziario con i 5 milioni degli ex di Alleanza Nazionale.
E cosa dire del povero Antonio Di Pietro, escluso da tutto e da tutti, che si svena per la Rivoluzione Civile di Ingroia?
Avranno ragione i pionieri Gianpiero Samorì e Alfonso Luigi Marra che se la cantano e se la suonano, si pagano l’esperienza elettorale e salutano senza lasciare traccia.
Come Umberto Bossi, che non dà un euro al Carroccio guidato da Maroni.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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