Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
LE COLOMBE TORNANO A VOLARE: “NON SI POSSONO PIU’ TOLLERARE CRITICHE DISTRUTTIVE E PERMANENTI, SIAMO AL GOVERNO”… IL FALCO BONDI: “E’ UN CORRENTE ORGANIZZATA”
Una nota congiunta di 24 senatori del Pdl contro gli attacchi ai ministri del partito e in difesa
dell’esecutivo guidato da Enrico Letta. “Non è più possibile tollerare la critica distruttiva e permanente” di parte del centrodestra “alla legge di stabilità e all’operato del governo di cui cinque nostri ministri fanno parte e a cui abbiamo riconfermato la fiducia meno di tre settimane fa su indicazione dello stesso presidente Berlusconi“, hanno scritto.
Parole contro le quali interviene Sandro Bondi visto che segnano un “fatto gravissimo in quanto espressione di una corrente organizzata, attraverso cui si pretenderebbe di limitare in modi e toni inusuali il libero e legittimo confronto sulla legge di stabilità ”. Un confronto che, puntualizza, “dovrà proseguire in occasione della riunione del gruppo parlamentare e degli organi del partito, in attesa dei quali ogni parlamentare può esprimere liberamente le proprie opinioni come del resto ho fatto anch’io”.
Bondi, quindi, non dubita che “il segretario Alfano e il capogruppo Schifani vorranno stigmatizzare la dichiarazione di 24 senatori”.
“Con riferimento alle dichiarazioni della collega senatrice Bonfrisco“, proseguono, “non è tollerabile che i toni e il linguaggio del dibattito politico dentro il Pdl degradino fino al livello utilizzato oggi nei confronti di Quagliariello e in questi giorni nei confronti di coloro che hanno espresso determinate posizioni”.
I 24 si riferiscono alle dichiarazioni della senatrice Pdl Anna Cinzia Bonfrisco, componente della commissione Bilancio che ha definito Quagliariello “apprendista stregone”.
Secondo la parlamentare è grave che il ministro “non prenda atto che le critiche a questa legge di Stabilità sono diffuse tra una larghissima parte di italiani e pressochè tra tutte le categorie economiche produttive. In special modo tra quel blocco sociale di ceto medio sempre più tartassato, fatto di lavoro autonomo professionale e imprenditoriale che il Pdl vuole continuare a rappresentare per difenderne le ragioni”. E aggiunge: ”Non credo che stavolta agli italiani, già stremati da troppi sacrifici, possa bastare l’alambicco dove il professor Quagliariello si esercita da apprendista stregone per produrre stantie formulette paleo-politiche. Non convince noi, figuriamoci gli italiani!”.
Secondo gli autori della nota, “il confronto nel nostro gruppo e nel nostro partito deve riacquistare correttezza. In caso contrario, i reiterati richiami all’unità suonerebbero come moneta falsa, dietro la quale si cela la volontà di determinare una incompatibilità di fatto”.
I firmatari della nota sono i senatori Piero Aiello, Andrea Augello, Antonio Azzollini, Laura Bianconi, Giovanni Bilardi, Antonio Stefano Caridi, Federica Chiavaroli, Riccardo Conti, Francesco Colucci, Luigi Compagna, Nico D’Ascola, Claudio Fazzone, Roberto Formigoni, Antonio Gentile, Carlo Giovanardi, Marcello Gualdani, Giuseppe Marinello, Bruno Mancuso, Paolo Naccarato, Giuseppe Pagano, Maurizio Sacconi, Francesco Scoma, Salvatore Torrisi, Guido Viceconte.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
“ASSASSINI” HA URLATO LA FOLLA A FINE CERIMONIA CONTRO ALFANO: COSTRETTO A LASCIARE IL MOLO
Ad Agrigento il vice-premier e ministro dell’Interno Angelino Alfano ha interrotto le interviste per la contestazione di alcuni eritrei e attivisti: «Assassini… assassini, basta con la Bossi-Fini», gli hanno urlato mentre parlava coi cronisti alla fine della cerimonia per le vittime di Lampedusa.
La sicurezza ha fatto un cordone attorno al ministro portandolo via.
Dovevano essere dei funerali di Stato quelli di oggi ad Agrigento, e invece sono stati una commemorazione dei 366 migranti naufragati al largo di Lampedusa lo scorso 3 ottobre. Assenti, per protesta, sia il sindaco dell’isola Giusi Nicolini, oggi a Roma per incontrare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e il primo cittadino di Agrigento, Marco Zambuto, che ha definito la giornata una ”passerella per politici”.
E di passerella, anzi, di “beffarda passerella” ha parlato anche don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo che da anni rappresenta un punto di riferimento per i profughi in arrivo in Italia.
Ma proteste ci sono state anche nel Cie di Lampedusa da parte dei 150 eritrei che sono sopravvissuti al naufragio e ai quali non e’ stato possibile partecipare alla cerimonia.
Molti altri connazionali invece sono arrivati da tutta Europa per portare dei fiori sulle bare.
Per le istituzioni italiane hanno preso parte alla commemorazione i ministri Angelino Alfano (interni), Mario Mauro (Difesa) e Cecile Kyenge (Integrazione), che ha preferito non parlare con i cronisti.
Mauro invece ha detto che «L’Italia è commossa, siamo qui per ricordare le tante vittime che hanno sperato di trovare un futuro migliore e sono morte»’.
Sulla decisione di svolgere le esequie a Agrigento piuttosto che a Lampedusa, il ministro della Difesa ha risposto ai giornalisti che la «domanda va fatta a chi ha la responsabilità diretta di questa cerimonia. La dimensione della commozione ci accomuna comunque al di là della logistica».
Sulla polemica relativa alla mancata celebrazione dei funerali di Stato, è intervenuto anche Alfano, prima di essere scortato via tra le proteste. «Il governo ha assicurato un’assistenza ai superstiti e una degna sepoltura ai morti».
Il ministro Kyenge ha provato a distendere gli animi: “E’ un momento – ha detto – in cui unirsi tutti insieme per riconoscere l’importanza del fatto che per la prima volta si sono fatti i funerali di Stato e che sono state riconosciute in una cerimonia ufficiale persone nate altrove e che non hanno nazionalità italiana”. “Credo che il messaggio molto forte – ha aggiunto Kyenge – sia anche il fatto che molte confessioni religiose si sono unite insieme con calma senza violenza e che la pace e la non violenza superano ogni cosa”.
Quelle dei sindaci e dei migranti non sono state le uniche voci polemiche nei confronti di una cerimonia ben diversa da ciò che lo scorso 9 ottobre aveva annunciato il presidente del Consiglio, Enrico Letta, e cioè veri e propri funerali di Stato.
Anche don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo che da anni rappresenta un punto di riferimento per i profughi in arrivo in italia, ha parlato di “beffarda passerella”.
E Foad Aodi, presidente del Co-mai, la Comunità del Mondo Arabo in Italia – ha espresso rammarico e disaccordo per le modalità previste per la cerimonia: “Dovevano essere funerali religiosi, con i rappresentanti di tutte le confessioni, per dare una svolta in più al dialogo interreligioso e al rispetto dei diritti umani e dare un segnale all’Europa”.
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
OTTOCENTOMILA EURO NELL’89 E LUI AMMETTE: SUCCEDE, NEL CONTRATTO SCRIVI 10 E INVECE E’ 20
Impossibile non fare un salto sulla sedia quando Denis Verdini ammette davanti alla telecamera di
aver ricevuto un pagamento in nero.
Ottocentomila euro per un terreno venduto a un muratore di Palermo trapiantato a Campi Bisenzio, alle porte di Firenze.
«Un’operazione», dice, «che per fortuna risale a tantissimi anni fa». Il 1989, quando il protagonista di questa vicenda non era ancora uno degli uomini politici più potenti d’Italia, senatore e coordinatore del partito di Silvio Berlusconi.
E poi, si giustifica, «come si fa normalmente nella vita, se tu nel contratto scrivi dieci e invece è venti…».
Anche se proprio normale non è, soprattutto se poi i soldi il suo debitore li prende dalla banca della quale il senatore in questione è anche il dominus, il Credito cooperativo fiorentino.
Come non è normale che un signore al centro di mille misteri e con seri precedenti penali dia 800 mila euro al senatore in questione come contributo per il suo giornale claudicante.
Si chiama Flavio Carboni, e in quel momento ha in ballo un investimento eolico in Sardegna che incontra difficoltà perchè il governatore pidiellino Ugo Cappellacci ha deciso di cambiare le regole. «Era interessato ad aprire le pagine in Sardegna», dice il coordinatore del Pdl.
«Ma cosa me ne fregava? Chiamavo frequentemente Verdini perchè insistesse su Cappellacci per, diciamo così, applicare la legge. La legge del suo predecessore», è la versione di Carboni. Che adesso vuole il denaro indietro.
Sono due frammenti del lungo servizio di Sigfrido Ranucci che stasera va in onda su Rai tre per Report di Milena Gabanelli nel quale si ricostruisce l’incredibile scalata di Verdini ai vertici del potere politico.
È lui che nel partito stabilisce nomine e incarichi. È lui che decide chi occupa un seggio in Parlamento grazie al famigerato Porcellum che porta anche il suo marchio, essendo copiato dalla legge elettorale della rossa Toscana frutto di un accordo fra Verdini e la sinistra.
È lui che s’impegna per difendere Berlusconi dall’«assedio» dei magistrati
Viene da una famiglia povera e nessuno lo aiuta. Ma nella capacità di creare cortocircuiti fra la politica e gli affari è quasi imbattibile.
In pochi anni mette insieme una fortuna, dalle attività editoriali alle proprietà immobiliari: ne ha pure in Svizzera, a Crans Montana.
Tutto ruota intorno a una piccola banca, il Credito cooperativo di Campi Bisenzio.
Da quel piccolo istituto arrivano i soldi per gli imprenditori amici e soci di Verdini impegnati negli appalti pubblici, quale il costruttore Riccardo Fusi, che sarà coinvolto nelle inchieste sulla Cricca.
Arrivano anche i finanziamenti per i compagni di partito in difficoltà , come il senatore Marcello Dell’Utri.
E arrivano anche i denari per alimentare le attività dell’editore Verdini. Al punto che quando interviene la Vigilanza salta fuori che fra i più esposti con la banca della quale è presidente da tempo immemore c’è proprio lui.
Dodici milioni di euro, per l’esattezza.
«Deve rientrare», commenta Milena Gabanelli, «e qui si mobilita l’esercito della salvezza. Il compagno di partito Antonio Angelucci ha fatto partire dal suo conto in Lussemburgo circa 10 milioni e in pegno si prende le due ville in Toscana. Si mobilita anche Riccardo Conti, il parlamentare Pdl diventato noto per aver comprato il palazzo di via della Stamperia a Roma per 26 milioni, rivenduto nella stessa giornata a 44, e in quello stesso giorno stacca anche un assegno alla signora Verdini per un milione 150 mila euro. Sette milioni e mezzo invece arrivano da Veneto Banca. Ma chi garantisce?».
Le garanzie, spiega Ranucci, vengono nientemeno che da Berlusconi
Vi chiederete: com’è possibile che un senatore in carica gestisca una banca, che per giunta presta quattrini a lui stesso, ai politici e a discussi imprenditori?
La legge in effetti lo vieta, ma siccome c’è una deroga per le cooperative, e quella di Campi Bisenzio è una coop pur essendo una banca commerciale a tutti gli effetti, non ci sono ostacoli formali.
Una sovrapposizione di ruolo inconcepibile in qualunque Paese normale, che lui però non fa nulla per nascondere. Anzi. È proprio quella la sua forza.
Per i cento anni del Credito di Campi Bisenzio organizza perfino una grande festa con un testimonial d’eccezione: Rosario Fiorello.
Qualche mese dopo l’istituto viene commissariato.
E il Fondo di garanzia delle Bcc tappa il buco.
Milena Gabanelli ricorda che i commissari hanno chiesto ai manager del Credito cooperativo un risarcimento danni di 44 milioni. E i guai sono appena cominciati.
Domani è prevista l’udienza preliminare del procedimento per presunta truffa allo Stato nel quale è coinvolto Verdini per i finanziamenti pubblici incassati dal gruppo editoriale del suo «Giornale della Toscana» .
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
PREFIGURA BERLUSCONI PADRE NOBILE E ALFANO ALLA GUIDA DEL PARTITO, APRENDO A SCELTA CIVICA.. MA PER NITTO PALMA “LE SUE AFFERMAZIONI SONO ELEMENTO DI DIVISIONE”
Nonostante la tregua armata nel partito e gli appelli all’unità , non si fermano le schermaglie tra le varie anime del Pdl.
A riaccendere le tensioni all’interno del partito di Silvio Berlusconi è Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme costituzionali e annoverato nelle fila delle “colombe” pidielline, che accusa i fedelissimi del Cavaliere di non avere i numeri per potere minacciare il governo.
Le sue parole hanno suscitato l’immediata reazione dei “falchi” del partito e, in particolare, di Francesco Nitto Palma, che le ha bollate come “nuovo forte elemento di divisione” nel Pdl.
“Da mercoledì 2 ottobre, giorno della fiducia a Letta, non si torna indietro”, ha affermato Quagliariello in un’intervista al Messaggero.
“Se qualcuno puntasse di nuovo alla crisi, si ritroverebbe gli stessi numeri a favore dell’esecutivo. Anzi: forse anche qualcuno di più”.
E passa all’attacco di Daniela Santanchè, che domenica aveva dato del “traditore” al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Sento usare la categoria del tradimento in modo folle: contro Alfano, dentro Scelta civica, ora persino contro Napolitano… Fermiamoci. Ragioniamo di linee politiche e di persone che le sostengono”.
Gli scossoni interni a Scelta Civica, con le dimissioni del presidente Mario Monti e un possibile avvicinamento al nuovo progetto di centrodestra di Alfano, sono accolti con favore dalla “colomba” Pdl: “Quel che sta accadendo in Scelta Civica è una grande opportunità da cogliere. Partendo dalle scelte concrete di governo”.
E torna a lanciare affondi nei confronti dei “falchi” del partito. “Chi nel Pdl chiede l’azzeramento delle cariche è contro il progetto di un centrodestra inclusivo, moderato e in sintonia con quel popolo che lo vota — ha affermato il ministro per le Riforme — se il centrodestra vuol tornare a vincere all’interno di uno schema bipolare deve andare da Alfano a Casini, con Silvio Berlusconi capo carismatico e Angelino Alfano alla guida del partito”
Questa visione del nuovo centrodestra non piace ai fedelissimi di Berlusconi, in particolare a Francesco Nitto Palma: “Prendo atto che il ministro Quagliariello, di cui ignoravo sia le capacità divinatorie che quelle di interpretazione del nostro elettorato, ha già definito i futuri assetti del centrodestra e del Pdl-Forza Italia, in particolare relegando il presidente Berlusconi al ruolo di padre nobile. Tanto da riaffermare che, in caso di azzeramento, la cui concretizzazione può passare solo ed esclusivamente dalla decisione del presidente Berlusconi, non entrerà in Forza Italia”.
L’ex ministro della Giustizia risponde al collega di partito anche sulla “sfida” lanciata sui numeri all’interno del partito: “Ciò che però mi preoccupa è che Quagliariello affermi che se qualcuno volesse aprire la crisi i numeri del 2 ottobre sarebbero gli stessi, se non di più. Solo per capire: e se quel qualcuno fosse il presidente Berlusconi, magari con l’avallo dell’ufficio di presidenza, il ministro Quagliariello e altri aderenti al Pdl non si adeguerebbero?”
E ancora: “Personalmente penso che le affermazioni di Quagliariello siano chiarissime, in sintonia perfetta con quanto affermato dal senatore Zanda il 2 ottobre, e costituiscono un nuovo forte elemento di divisione“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
TRA GLI “ACAMPADOS” DI VIA NOMENTANA: “LORO LA CASA E LA MACCHINA CE L’HANNO”
Hanno deciso di stare ai patti, dopo aver registrato il successo del lungo corteo del sabato che ha
attraversato lento e corposo il centro di Roma. Hanno attutito i guai previsti. Hanno abbandonato alle imprese luddiste i violenti d’attitudine e i disperati crescenti (sempre più giovani, va registrato).
Quelli di Porta Pia, i post-indignati, gli occupy per sempre, restano a presidio di una piazza simbolica, ma oggi non paralizzeranno il traffico della Nomentana.
Hanno inviato i fax in questura: tredici tende e due gazebo restano ai piedi del ministero delle Infrastrutture, li hanno già spostati, però, nell’area parcheggio liberando l’incrocio.
Quelli di Porta Pia parlano sempre più ad alta voce di rivoluzione – «il giorno che non ci sarà polizia, il giorno che non ci sarà bisogno di un Parlamento e la politica la faremo tutti noi» –, ma tengono la luce accesa sull’obiettivo quotidiano.
Sono riusciti a contenere i danni collaterali della marcia più pericolosa dell’anno, necessità primaria per sopravvivere, e, quindi, a portare all’attenzione del paese una questione sommersa eppure urgente: il problema della casa (di chi non ce l’ha, di chi l’ha occupata, di chi, ceto medio andato in pensione con 2 milioni e 800 mila lire e 400 mila lire d’affitto da pagare, ora che la pigione è passata a 1.200 euro al mese è in morosità e sotto sfratto).
Quelli di Porta Pia, metà sono stranieri, africani, sudamericani, manovali dell’Est, si mettono in fila per la pasta al sugo con il pecorino preparata dalle madri delle organizzazioni.
Leggono i giornali in tenda, commentano acidi lo spazio offerto agli assalti dei black bloc quando l’assedio del corteo voleva essere duro, non violento.
Poi alzano lo sguardo verso gli interventi al microfono sul piedistallo della statua dei bersaglieri. Una ragazza, ha preso una manganellata durante le cariche all’Economia, racconta: «A quei centocinquanta che chiamano black bloc non glie ne frega niente di noi e delle nostre lotte, molti hanno casa, macchina e garanzie »
Non erano solo centocinquanta, in verità . E molti sono sottoproletari urbani.
Rivela ancora la ragazza: «Durante la manifestazione un poliziotto si è spostato dal suo contingente, mi ha preso da parte e mi ha detto: “In un’altra situazione ti avrei chiesto il numero di telefono”.
“Agenti, abbiamo bisogno di voi, venite a difenderci. Difendete i cittadini a cui hanno tolto i diritti». Metà piazza applaude, metà intona canzoncine sulla “malattia polizia”
Lo scarto degli antagonisti dai luddisti questa volta c’è stato, in parte è riuscito.
Il movimento dei movimenti – dicitura riecheggiata ieri, ma il copyright è del Casarini no global del 2001 – ci aveva provato due anni fa, a San Giovanni.
Allora la carica rabbiosa fu prepotente, il numero dei casseur impressionante e chiara l’organizzazione dei centri sociali belligeranti.
Due anni fa Askatasuna, ora al centro delle lotte No Tav, fu protagonista militare, ieri ha partecipato senza guidare nulla. Così il temuto Acrobax romano. A cinque attivisti fiorentini, ancora, la polizia ha consegnato il foglio di via al casello di Roma Nord, a corteo iniziato.
«Io li ho visti in faccia, i vendicatori, quando hanno tirato giù le maschere », racconta Angelo Fascetti, storico leader dell’Asia, movimento romano per la casa.
«Ho provato a parlare con loro, ma parlavo con un muro: c’era solo rabbia, voglia di spaccare».
Andrea “Tarzan” Alzetta, fuori dal Consiglio comunale di Roma per le sue condanne da strada, fondatore di Action, racconta: «Abbiamo respinto le teste di c… perchè qui c’è gente che lotta per cose concrete »
Sul piano formale il movimento deve restare unito, e allora «non ci sono buoni e cattivi tra noi». Oggi, dopo le prime solidarietà sotto il carcere di Regina Coeli, ci sarà un presidio rumoroso in piazzale Clodio, dove i pm si sono presi 48 ore per valutare le prove offerte dalla polizia per i sei arrestati (tre donne, un cinquantenne anarchico di Genova, poi un sedicenne denunciato). Uno dei sequestri è la mappa con il percorso e i tre obiettivi per l’assedio (ministero Finanze, Cassa depositi e prestiti, ministero Infrastrutture) trovata in una tasca, ma quella fotocopia è stata distribuita a tutti i corteanti alla partenza di piazza San Giovanni
Una nuova manifestazione, sempre a Porta Pia, è stata convocata per domani, un’ora prima dell’incontro alle Infrastrutture con il sindaco Marino e il ministro Lupi.
Le richieste «non sono negoziabili »: blocco degli sfratti e della vendita del patrimonio pubblico, un piano di politiche abitative pubbliche, no alle grandi opere e ai grandi eventi, ritiro della Bossi-Fini e cittadinanza per i rifugiati.
Gli antagonisti si infilano tra le contraddizioni delle larghe intese al governo.
Il movimento assedierà a Firenze il ministro dell’Interno, Angelino Alfano (tra il 24 e il 26 ottobre), e organizzerà una nuova assemblea a Roma il 9 e 10 novembre.
«Porta Pia è stato l’inizio, l’assedio continua, è l’ora della vendetta».
Corrado Zunino
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
IL GOVERNO CONFERMA IL BLOCCO PER IL QUINTO ANNO: IN BUSTA PAGA LO STATO SI E’ FREGATO IL 10,5%
La legge di stabilità varata la scorsa settimana non risparmia neanche loro.
Per i dipendenti statali il provvedimento del governo prevede infatti la conferma per il quinto anno consecutivo del blocco degli stipendi.
Cumulando gli effetti dal 2010, quando per la prima volta è stato deciso il congelamento, l’effetto complessivo del mancato aumento varrà una sforbiciata del 10,5% in busta paga.
I conti li ha fatti oggi Il Sole 24 ore, spiegando che il mancato ritocco coinvolge una platea di circa 6-7 milioni di lavoratori.
Dalla scuola ai dipendenti delle regioni, dalla magistratura alla sanità .
E le sorprese non sono finite perchè il governo per la prima volta non esclude che il blocco degli aumenti possa estendersi anche al 2015 e al 2016.
In questo caso, il taglio comulativo potrebbe valere fino al 14,6% dello stipendio.
Gli esempi.
Il quotidiano fa i conti delle conseguenze del provvedimento su varie categorie di lavoratori
Un impiegato ministeriale, per esempio, guadagna in media (dati della Corte dei conti, come specificato nel grafico) qualcosa meno di 27.500 euro lordi, e ha già visto sfumare per mancati aumenti 2mila euro nel 2010-2012, ne ha persi altri 411 nel 2013 e deve rinunciare ad altrettanti nel 2014 (l’indice Ipca su cui si calcolerebbero gli aumenti contrattuali, è analogo per quest’anno e il prossimo).
In tutto fanno 2.879 euro all’anno a regime, che diventano 4.003 se lo stop ai contratti fosse confermato per 2015 e 2016.
Salendo i gradini della gerarchia ovviamente la perdita nominale cresce, e arriva a 8.902 euro per un dirigente di seconda fascia, e sfiora i 19mila per un ministeriale apicale.
Per la dirigenza di prima fascia negli enti pubblici non economici (Inps, Inail, Aci, Istat e così via), dove si incontrano i valori stipendiali più alti, i mancati aumenti a regime superano i 21.200 euro all’anno nel 2014, e arriverebbero vicini ai 30mila euro con blocco fino al 2016.
I docenti universitari perdono tra i 4.500 euro e i 9.500 a seconda dell’inquadramento, e i medici del servizio sanitario rinunciano a 7.550 euro.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE LANCIA FITTO (UN CONDANNATO), LE ALTERNATIVE SONO SCHIFANI E ROMANI
Berlusconi non si arrende alla decadenza da senatore, punta i piedi e il governo di nuovo finisce
ostaggio e vittima della “trattativa”.
Per il Cavaliere ormai è una questione di vita o di morte, tanto che i falchi — silenziati per un po’ dopo la disfatta del 2 ottobre — sono tornati ieri alla carica contro l’esecutivo.
E ancora una volta il più falco di tutti è Berlusconi: «La finanziaria deve cambiare, la nuova Tarsi — fa filtrare da Arcore — è anche peggio dell’Imu. Così non possiamo votarla, nemmeno con la fiducia».
Una linea che scardina l’accordo faticosamente raggiunto tra il Pd e le colombe del Pdl e manda in fibrillazione l’esecutivo ancora prima che la manovra sia arrivata in Parlamento.
Eppure Berlusconi, almeno finchè non si arrivi al voto in aula sulla decadenza, ha bisogno di tutta la forza disponibile e di un partito unito.
Così, per congelare la guerra interna tra “lealisti” e “innovatori”, da un paio di giorni è iniziata a circolare un’ipotesi di riassetto dei poteri che metta pace tra le due fazioni.
Angelino Alfano, a patto di restare vicepremier e, soprattutto, effettivo numero due di Forza Italia (con poteri non ornamentali), avrebbe infatti espresso la sua disponibilità a dimettersi dal Viminale.
«Quella è una poltrona che scotta – riflette del resto un fedele alfaniano – e con la manifestazione di sabato per fortuna è andato tutto bene. Ma poteva anche andare diversamente: serve qualcuno che stia al ministero 24 ore su 24».
Se Alfano lasciasse, l’idea del Cavaliere sarebbe quella di una “staffetta” interna al Pdl, anche per dare rappresentanza a quella parte del partito cheora a livello ministeriale è del tutto scoperta.
Così un “lealista” o un mediatore andrebbe al ministero dell’Interno – magari Renato Schifani, oppure Paolo Romani visto che Raffaele Fitto ha una condanna in primo grado – e il cerchio sarebbe chiuso con il rientro della superberlusconiana Michaela Biancofiore come sottosegretario.
Una soluzione che si scontra tuttavia con la netta opposizione di Enrico Letta all’idea di mettere mano alla squadra di governo.
Il premier infatti teme che spostando anche solo una casella possa venire giù tutto. Già dentro Scelta Civica i parlamentari montiani, che sono in maggioranza, chiedono la testa del ministro Mario Mauro «perchè non ci rappresenta più».
Andare a toccare il Viminale per Letta, ma anche per Napolitano, sarebbe un volo senza paracadute.
Senza contare che lo scontro interno al Pdl è lungi dal trovare una soluzione concordata. Al momento i “lealisti” sono infatti all’offensiva su tutti i fronti, in particolare reclamano a gran voce che tutti i poteri vengano tolti ad Alfano e passati al Cavaliere.
«Noi – ha dichiarato ieri sera Raffaele Fitto a Che tempo che fa – abbiamo un obbligo morale che è quello di metterci intorno alla figura di Berlusconi e con lui ripartire. Lui deve riprendere in modo pieno il Pdl. Non immagino che Alfano non possa non condividere. Oggi la priorità è ridare l’idea unitaria di partito intorno al Cavaliere senza richieste personali».
E tuttavia Alfano ha già messo in chiaro con lo stesso Berlusconi che lui non intende fare alcun passo indietro o avallare alcun azzeramento di cariche senza garanzie sul futuro e sulla linea di sostegno pieno al governo.
La richiesta degli “innovatori” è quella di procedere con la nascita di Forza Italia tenendo Berlusconi come presidente (carica onoraria) e Alfano come vice (con le deleghe operative). Ma su questo è stallo totale, tanto che l’ufficio di presidenza che avrebbe dovuto dare il via libera al passaggio da Pdl a Forza Italia non è stato nemmeno convocato.
Non è chiaro come far fluire i finanziamenti pubblici, nè come avere certezze che il Ppe non sollevi obiezioni.
Anzi, persino su quale debba essere l’organismo deputato a sancire il “trapasso” del Pdl la nebbia resta fitta.
Gli esperti si sono infatti accorti che, da statuto, dovrebbe riunirsi il Consiglio nazionale.
Ma quell’organismo – costituito da centinaia di membri di diritto – è stato convocato talmente raramente che nessuno ha la certezza di cosa possa accadere una volta che sia chiamato a votare il passaggio da Pdl a Forza Italia.
Tanto più che una norma impone una maggioranza dei 2/3 dei consiglieri per le modifiche statutarie.
Un quorum che ormai nemmeno Berlusconi, a meno di un accordo interno fra le correnti, appare più in grado di raggiungere.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
QUALCUNO DICA CHE QUEL GIOCO NON È UN GIOCO
Ce l’avete, ce l’avete avuta una figlia di sedici anni?
Che si veste e si trucca come la sua cantante preferita, che sta chiusa in camera ore e a tavola risponde a monosillabi, che quando la vedete uscire con il nero tutto attorno agli occhi pensate mamma mia com’è diventata, ma lo sapete, voi lo sapete che è solo una bambina mascherata da donna e vi si stringe il cuore a vederla uscire fintamente spavalda. Dove va, a fare cosa, con chi.
Ve li ricordate, i vostri sedici anni? Quando Facebook non c’era e passavate pomeriggi al telefono fisso a dire no, sì, ma dai…, e poi quando vostro padre vi diceva ora basta, libera quel telefono vi chiudevate in camera, anche voi, a scrivere a penna su quaderno chè il computer non c’era, e se c’era era uno solo, enorme, sempre spento, inaccessibile.
Ecco, fate lo sforzo di ricordare perchè una ragazza di sedici anni è quella cosa lì, da sempre e per sempre anche se cambiano i modi e le mode, i vestiti e le canzoni, i modi di parlarsi perchè con la chat si fa più in fretta ma è uguale, in fondo.
È come stare pomeriggi interi al telefono, a canzonare il tempo a prenderlo in contropiede e ingannarlo.
Una ragazza di sedici anni è una persona a cui la vita deve ancora succedere e non lo sa, e ha un po’ paura e un po’ fretta, e molto desiderio che passi veloce il momento e che arrivi quello, alla meta dei diciotto, in cui “nessuno mi può obbligare, ora”
Io non lo so, nessuno lo sa tranne lei e quelli che erano lì, cosa è successo alla ragazzina di Modena che — dicono gli investigatori, i parenti, ora anche gli adulti che rivestono incarichi pubblici — una sera d’estate a una festa di compagni di scuola è stata violentata da cinque, sei, non è sicuro quanti amici. Amici, attenzione.
Nessun livido, nessun graffio, nessun segno di violenza che segnali la sopraffazione fisica in senso proprio. Erano compagni di scuola. Alcuni maggiorenni da poco, varcata l’agognata meta dei diciotto, altri, almeno uno, no.
Aveva bevuto lei, avevano bevuto probabilmente tutti perchè come sa chi si guarda intorno gli adolescenti, oggi, bevono. Superalcolici, moltissimo. Costano meno delle droghe, spesso si trovano nelle case già disponibili all’uso. Shortini, alla mescita. Pochi euro a bicchiere, nessuno chiede la carta d’identità .
Bevono i quindicenni come i trentenni, uguale.
Io non lo so com’è andata, quella sera, in una casa della più rassicurante delle città emiliane, la Modena delle scuole modello degli imprenditori che non si arrendono al terremoto, delle donne imprenditrici che vendono figurine nel mondo, dei ristoranti celebrati oltreoceano.
Uno faceva il palo, scrivono gli agenti di polizia, gli altri a turno nella stanza “avevano rapporti sessuali completi” con la ragazzina.
Non c’è niente di più algido di una relazione, niente di meno adatto a descrivere il tumulto, il disordine, lo sgomento, la resa. Lei cosa pensava, come stava, cosa voleva, cosa diceva? Non si sa, nessuna relazione può raccontarlo.
Dicono, i verbali, che erano tutti ragazzi “incensurati e di buona famiglia”. Aggiungono, le cronache, che sono passati quasi due mesi dall’evento e che nessuno — nessuno — ha fatto un gesto o ha detto qualcosa, nè a scuola nè in famiglia, nelle molte famiglie coinvolte, che somigliasse alla presa d’atto di un reato, o quanto meno di una vergogna, di una colpa, di un dispiacere. Niente, silenzio.
Il sindaco ieri ha detto che “inquieta che questi ragazzi non distinguano il bene dal male”. Inquieta, certo.
Pone il problema della responsabilità . È loro, che geneticamente, naturalmente non sanno distinguere o è della generazione che li ha cresciuti, e non gli ha fornito i ferri essenziali per l’opera di elementare distinzione? È dei figli o dei padri, la colpa
Anni fa, a Niscemi, Caltanissetta, un gruppo di minorenni massacrò di botte, strangolò con un cavo di antenna e gettò in una vasca di irrigazione una coetanea, Lorena Cultraro, 14 anni. Era incinta, rivelò l’autopsia.
Uno degli assassini, quindicenne, chiese al giudice, dopo aver confessato l’omicidio: “Ora che le ho detto cosa è successo posso tornare a casa?”. A vedere la tv, a giocare alla play. Tornare a casa.
Era il 2008, cinque anni fa. Si scrissero articoli sgomenti, intervennero psicologi di fama, dissero che certo in quelle zone del Paese, al Sud, è tutto più difficile. Zone d’ombra, povertà di mezzi e di sapere, l’adolescenza sempre un enigma.
Ora, cinque anni dopo, siamo a Modena. Emilia culla di bandiera di democratica civiltà e di sapere. Certo questa ragazzina non è morta, per sua fortuna.
Forse non ha nemmeno lottato per evitare quel barbaro rituale che chissà , magari era proprio quello che l’avrebbe fatta diventare grande, finalmente. Forse per qualche tempo ha pensato: è stato quello che doveva essere.
Però arriverà , deve arrivare, il momento il tempo e il luogo in cui qualcuno di molto molto autorevole senza essere per questo canzonato e dal coro irriso dica no, non è quello che deve, non è questo che devi accettare per essere accettata.
Non devi fare silenzio.
Verrà il giorno in cui questo tempo avariato scadrà e sarà buttato come uno yogurt andato a male e ricominceremo tutti, dalle case, dalle televisioni, dai giornali, dalle scuole elementari a dire alle bambine: quando ti chiedono di stare al loro gioco, digli di no. È un gioco sbagliato, non è il tuo gioco. Non è nemmeno un gioco.
Verrà il giorno in cui capiremo l’abisso in cui siamo precipitati pensando che fosse l’anticamera del privè del Billionaire, che fortuna essere ammessi all’harem, e sapremo di nuovo dire, come i nostri nonni ci dicevano: è una trappola, bambina. Quando ti chiedono di mostrargli le mutande non è vero che si alza l’auditel, come dice la canzone scema.
Quando te lo chiedono vattene, ridigli in faccia e torna a casa.
Conchita De Gregorio
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 21st, 2013 Riccardo Fucile
“MI CHIESE DI RENDERE IMPOSSIBILI LE INTERCETTAZIONI, GLI DISSI DI NO: SE OGGI E’ UN PREGIUDICATO E’ GRAZIE ANCHE A ME”… NEL LIBRO SI DICE DELUSO DAI COLONNELLI
Nei prossimi giorni, uscirà il nuovo libro di Gianfranco Fini, “Il Ventennio. Io, Berlusconi e la destra
tradita” (Rizzoli).
Ecco alcune anticipazioni di Francesco Borgonovo su “Libero”
Quale sia la posizione di Gianfranco Fini sul centrodestra e su Silvio Berlusconi si evince dalla quarta di copertina del suo nuovo libro.
Nella sua biografia si legge che è stato deputato dal 1983 al 2013, che ha fatto il vicepresidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e il presidente della Camera. Che è stato segretario del Msi, che ha fondato Alleanza Nazionale e Futuro e libertà . Il Pdl non compare nemmeno per sbaglio, come se non valesse la pena nominarlo.
Come sempre, sono le assenze a fare notizia.
Quando, nel 2010, Fini pubblicò il saggio Il futuro della libertà , non citò nemmeno una volta il nome di Berlusconi. In quest’ultimo libro, invece, il Cavaliere è sostanzialmente il protagonista.
Appare quasi in ogni pagina e, come prevedibile, non viene trattato con i guanti. Ma ce n’è anche per ex amici ed ex camerati, nemici vari e eventuali.
Gianfranco ammette di aver fallito con Fli, e ovviamente sostiene di aver fatto bene a imbarcarsi in quell’avventura.
Ecco, in sintesi, alcuni dei contenuti del volume.
Casa di Montecarlo
Se ne parla in un paio di pagine, in cui Fini riassume così la vicenda: un piccolo appartamento di Montecarlo, lasciato in eredità ad An, era stato venduto, anche perchè fatiscente, a una società offshore ed era stato affittato dal signor Giancarlo Tulliani. Fini sostiene di esserne uscito senza macchia, nonostante i tentativi della stampa berlusconiana di infangarlo. Tutto qui.
Angelino Alfano
Fini cerca in qualche modo di solidarizzare con lui. Dice di essere positivamente colpito dalla presa di coscienza da parte dei, così li definisce, dirigenti più responsabili del Pdl sulla vicenda della fiducia a Letta. Scrive che, come da copione, i ribelli sono stati bollati come traditori e associati a lui. Gianfranco dice di apprezzare il comportamento di Alfano, Quagliariello, Cicchito, Lupi e altri poichè per la prima volta hanno anteposto l’interesse generale a quello del loro leader. Dice che contro di loro è stato utilizzato il metodo Boffo e che hanno potuto vedere in che modo l’intimidazione e la calunnia vengono spacciati per diritto di cronaca.
Alessandro Sallusti
Fini lo definisce il capobranco dei cani da guardia del Giornale, che abbaiano per ricondurre all’ovile i traditori.
Vittorio Feltri
Il fondatore di Libero ed ex direttore del Giornale viene identificato come responsabile della campagna stampa contro di lui dal 2009 in poi. Fini sostiene che fosse in atto una pianificata strategia denigratoria, ovviamente per volere di Berlusconi. Del resto, spiega, il Giornale non è certamente un quotidiano indipendente nè un giornale di partito, ma è il giornale di famiglia e i suoi attacchi sono in linea con l’idea proprietaria che Berlusconi ha del Pdl. Sono, dice, purghe mediatiche.
Maurizio Belpietro
In quanto direttore di Libero, secondo Fini è tra i maggiori responsabili della macchina del fango che ha agito contro di lui, assieme perfino al Tg1 spudorato di Augusto Minzolini. La macchina del fango lo avrebbe linciato, sottoposto al metodo Boffo e avrebbe violato la sua privacy.
Daniela Santanchè
Viene nominata solo una volta. Fini dice che, nel 2008, da candidato premier della Destra, attaccò Berlusconi per farsi notare, salvo poi cambiare idea. Le improvvise conversioni sulla via di Arcore, sostiene con ironia, sono eventi miracolosi, imperscrutabili e soprattutto sinceri e disinteressati.
Pier Ferdinando Casini
Fini dice di essere legato a lui da grande amicizia. E confessa di essere dispiaciuto per quel che accadde al momento di fondare il Pdl. Gianfranco si vide con Berlusconi e diede il suo via libera, senza informare Pier. Il quale, saputa la decisione, rimase senza parole. Dopo mesi di incomunicabilità e gelo, tuttavia, pare che il suo risentimento si sia attenuato. Fini dice che questa cosa lo fece sentire sollevato, perchè sepeva di essere in torto verso di lui. Sensazione mai provata nei confronti di Berlusconi.
Gianni Letta
Fini spiega che non ha mai voluto entrare in Parlamento per coerenza con se stesso, poichè una volta messo piede in un’aula non potrebbe agire senza vincolo di mandato. Il suo vincolo indissolubile – dice – è rispettare e attuare le volontà e le decisioni di Berlusconi (ecco perchè è l’uomo di cui il Cav si fida di più), sempre e comunque, anche quando le reputa sbagliate.
Mario Monti
Fini lo definisce un buon presidente del Consiglio, che ha aiutato l’Italia soprattutto grazie alla sua personale credibilità . Ma lo considera anche un pessimo candidato premier, in quanto digiuno di politica e incapace di trasmettere le emozioni che hanno un ruolo importante in campagna elettorale. In più, era circondato da troppi soloni convinti di sapere tutto e incapaci di convincere anche un solo elettore, familiari compresi.
Maurizio Gasparri
Quando nel luglio 2010 Fini arrivò al redde rationem col partito e fu giudicato incompatibile dall’ufficio di presidenza (con un comunicato degno degli Apparatnik comunisti, dice), non si meravigliò affatto dell’atteggiamento di Gasparri (che, si capisce leggendo, gli voltò le spalle). Secondo lui, i rapporti erano già deteriorati al tempo del caso Eluana, quando Gasparri dimostrò zelo da teocon neofita.
Ignazio La Russa
Gianfranco dice di essersi addolorato per come si comportò La Russa. Eravamo amici da trent’anni, racconta, e pensavo che fosse meno remissivo. Gianfranco dice di sapere che il colonnello del Pdl aveva posizioni molto diverse dalle sue, ma non si aspettava che si sarebbe piegato ai diktat berlusconiani.
Giorgia Meloni
Anche su di lei parole dure. Fini dice di averla nominata, appena entrata in Parlamento, vicepresidente della Camera. Ma, al momento del suo addio al Pdl, lei rimase in silenzio e si comportò come una giovane all’anagrafe con la prudenza e la tattica di un Matusalemme.
Gianni Alemanno
Fini si dice dispiaciuto per il fatto che Alemanno non battè ciglio al momento del suo addio al Pdl, benchè come sindaco di Roma potesse godere di una certa autonomia.
Italo Bocchino
Nel libro non si fa cenno ai passati dissidi tra Fini e il suo ex braccio destro. Gianfranco lo presenta come il motore che lavorò infaticabilmente per raggiungere l’obiettivo e mettere in piedi Futuro e Libertà e sostiene che fu il primo a sperimentare l’esistenza della macchina del fango. Fini racconta che un giorno un esponente forzista del Pdl avrebbe detto a Bocchino: se quello continua, vedrai che attacco farà il Giornale alla sua famiglia.
Altero Matteoli
Fini lo descrive come un uomo tradizionalmente filogovernativo, naturalmente in sintonia con la leadership del momento, ma comunque corretto nei rapporti personali.
Giorgio Napolitano
Fini lo definisce un presidente esemplare. Dice che si è davvero sacrificato accettando la rielezione e che attualmente è l’unico punto di riferimento per garantire credibilità alla Repubblica.
Silvio Berlusconi
Dal libro emerge come il vero traditore della destra italiana. Fini comincia parlando della fiducia conferita da Silvio – con farsesca disinvoltura – al governo Letta, spiegando che egli agisce soltanto per tutelare a qualsiasi costo il suo personale interesse.
Sostiene che il Cav non è finito. Anzi, ipotizza che accentuerà sempre più la polemica contro tutto e tutti accusando il governo Letta di ogni colpa. Sarà ogni giorno in campagna elettorale e la sua demagogia non avrà limiti. Si vedrà allora se Alfano dirà ancora di essere «diversamente berlusconiano».
Lo definisce un uomo spregiudicato, oltre che pregiudicato.
E sostiene che, se è stato condannato, è un po’ anche grazie a lui. Ricorda un incontro avvenuto nel 2010, in cui il Cav gli chiese di convincere Giulia Bongiorno, allora presidente della Commissione giustizia alla Camera, a uniformarsi alle proposte del Pdl che, dice, avrebbero reso quasi impossibili le intercettazioni telefoniche.
Se nella primavera 2010 avessi fatto quel che mi chiedeva Silvio – spiega Fini – quasi certamente il primo agosto 2013 non ci sarebbe stata nessuna sentenza della Cassazione e nessuna condanna definitiva. In sostanza, dice, il motivo per cui le loro strade si sono separate è la differenza di vedute sulla giustizia”.
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