Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
EMILIA ROMAGNA: NELLE 39.000 VOCI DI SPESA DEI GRUPPI CI SONO PURE UN ASCIUGACAPELLI, UN DIVANO LETTO, BOTTIGLIE DI VINO DA OLTRE 100 EURO, SALAMI, FRUTTA E VERDURA
Dalle briglie da cavallo come avvenuto in Piemonte al cibo per gatti come avvenuto in Liguria senza dimenticare la sega elettrica di Franco “Er Batman” Fiorito o il pranzo di nozze del legista lombardo (che poi ha restituito).
Tra gli scontrini che la Guardia di Finanza ha trovato nei numerosi blitz nei bilanci dei partiti in tutta Italia c’erano le prove che i consiglieri regionali con i soldi pubblici acquistavano davvero di tutto.
L’ultimo caso riguarda i consiglieri della regione Emilia-Romagna.
In questa inchiesta saranno allegati come atti anche gli scontrini dei wc pubblici. Ci sono anche queste spese tra quelle che i politici si facevano rimborsare.
Poi un asciugacapelli, un divano-letto, alcune bottiglie di vino da oltre 100 euro, salumi, frutta e verdura, diverse penne, tra cui una da 500 euro e pacchetti di caramelle.
Tra le voci di spesa, certificate da scontrini, trovate nell’analisi dei conti dei diversi gruppi consiliari dell’Emilia-Romagna dalla Guardia Finanza (che ha registrato 39mila voci di spesa) ci sono, appunto, gli scontrini per l’utilizzo di bagni pubblici, dal valore di circa 50 centesimi.
Nove i capigruppo indagati dall’attuale legislatura in consiglio.
L’indagine riguarda le spese dei gruppi consiliari ed è stata aperta nel 2012 dalle pm Antonella Scandellari e Morena Plazzi sotto la supervisione del procuratore Roberto Alfonso e dell’aggiunto Valter Giovannini.
Gli indagati sono i responsabili dei gruppi Pdl (Luigi Giuseppe Villani), Pd (Marco Monari), Lega nord (Mauro Manfredini), Idv (Liana Barbati), M5S (Andrea Defranceschi), Udc (Silvia Noè), Gruppo Misto (Matteo Riva), Fds (Roberto Sconciaforni) e Sel-Verdi (Gianguido Naldi).
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
COMPRAVENDITA SENATORI, ORA BERLUSCONI VEDE NERO: “SULLA DECADENZA IL PD NON MI DARA’ SCAMPO”
“È un assedio. Non si fermeranno finchè non avranno il mio scalpo”. Adesso la morsa si stringe davvero. 
Silvio Berlusconi è provato. Colpo dopo colpo anche la rabbia lascia il posto alla paura. Perchè l’impatto politico di Napoli è devastante.
Quello politico, prima ancora di quello giudiziario dal momento che la prescrizione dovrebbe scattare a settembre del 2015 ed è complicato che per quella data si arrivi al terzo grado di giudizio.
Anche se non è tutto lineare e immune da rischi.
Gli avvocati del Cavaliere temono che l’impianto accusatorio sia costruito con l’obiettivo di “incastrare” Berlusconi nel corso del dibattimento.
E che per questo non hanno calato da subito gli assi che hanno in mano: “Se Berlusconi fosse già decaduto — è la tesi della cerchia ristretta — lo avrebbero già arrestato”.
Ma è il corno politico della vicenda l’incubo vero.
Perchè Napoli è un processo che brucia ogni speranza sulla questione della decadenza. Anzi sposta le lancette dell’orologio già a dopo il voto: “Se mi salvo col voto segreto — è l’analisi dell’ex premier — Renzi farà saltare il banco il minuto dopo. Ma vedrete che il Pd sarà compatto. Non mi daranno scampo ”.
Già , compatto. Perchè di tutti i processi quello di Napoli sulla compravendita di senatori è quello a più alto impatto politico.
Per il Pd è complicato giustificare il fatto che le larghe intese si fondano sulla convivenza con colui che ha organizzato una gigantesca operazione di corruzione di senatori per far cadere Prodi.
È diverso rispetto alle altre accuse che pendono sulla testa di Berlusconi. Gravissime, come nel caso dei due filoni del processo Ruby.
O come nel caso della condanna su Mediaset.
Ma che comunque non riguardano i rapporti col Pd. Ora la sinistra è al governo con il proprio killer del 2007.
E’ questa consapevolezza che spinge Berlusconi al pessimismo più cupo sulla questione della decadenza: “Non ci concederanno niente pur di farmi fuori”, ripete. L’ex premier ha deciso che farà ricorso in Cassazione sull’interdizione.
Ma è la partita del Senato a rappresentare un piano inclinato.
Le notizie che arrivano da palazzo Madama sono ansiogene: oltre alla seduta del 29, al massimo il Pd ne concederà un’altra per discutere di voto segreto o palese, poi l’affaire piomba in Aula.
È praticamente impossibile andare oltre l’ultima settimana di novembre o al massimo la prima di dicembre.
È in questo vortice che non c’è un solo elemento che dia al Cavaliere un appiglio di speranza.
Il calendario dice pure che a metà novembre arrivano le motivazioni della condanna in primo grado sul processo Ruby, per concussione e prostituzione minorile.
Altra benzina su un assetto già in fiamme. E sulla voglia di rompere della maggioranza del Pd, come emerso dalla votazione su Rosi Bindi all’Antimafia.
È un appuntamento che assomiglia sempre di più a una ghigliottina, il voto sulla decadenza: “Se Berlusconi si salva ed è difficile — dicono nell’inner circle — a quel punto lo tira giù il Pd il minuto dopo. Se non si salva e lo tira giù lui c’è la questione dei traditori pronti a stare con Letta”.
Una questione non banale. Perchè la verità è che il Pdl non è più un partito. Sono due. Va malissimo il “faccia a faccia” chiesto da Berlusconi a Fitto e Alfano.
Con Angelino che rimane su posizione filo-governative e Fitto che non retrocede dalla sua richiesta di azzeramento dei vertici: “Non sono d’accordo — scandisce — sull”idea di un Pdl subalterno alla sinistra”.
In serata arrivano separatamente a palazzo Grazioli. Ma non c’è intesa.
Neanche nel momento più difficile.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL PROCESSO INIZIERA’ L’11 FEBBRAIO, IL CAVALIERE IMPUTATO PER CORRUZIONE… LA DIFESA DI LAVITOLA: “ANCHE SE AVESSI EFFETTUATO I PAGAMENTI, ERO INCONSAPEVOLE”
E’ arrivato il primo punto giudiziario sulla vicenda della compravendita dei senatori.
Silvio Berlusconi e Valter Lavitola saranno processati dai giudici della IV sezione penale di Napoli a partire dall’11 febbraio 2014.
Per Sergio De Gregorio il giudice per l’udienza preliminare Amelia Primavera ha ratificato il patteggiamento a 20 mesi.
Prima però c’erano state le mezze verità del giornalista corruttore a sua insaputa.
Cuore del processo il versamento dell’ex presidente del Consiglio di 3 milioni di euro a De Gregorio perchè cambiasse schieramento e contribuisse a determinare la crisi del governo Prodi dopo le elezioni del 2006.
La procura di Napoli aveva chiesto il giudizio immediato nei confronti del leader del Pdl, dell’ex senatore dell’Idv e dell’ex direttore dell’Avanti, ma il gip aveva respinto e si è quindi celebrata l’udienza preliminare.
Lavitola, nelle sue dichiarazioni spontanee davanti al giudice, aveva sostenuto di non sapere di essere stato solo il veicolo della corruzione: “Sono stato corriere inconsapevole. Mi si accusa di avere portato mezzo milione di euro a De Gregorio in un pacchettino. Io ho dato questi soldi black (in nero, ndr), ma sono stato solo un postino, non conoscevo la ragione del pagamento”. La sua deposizione, però, è stata a tratti ambigua, ed è stato difficile distinguere le ammissioni di Lavitola dalle citazioni tratte dalle carte dell’accusa.
Dopo questa frase nella quale l’ex direttore dell’Avanti sembrava ammettere quindi di aver portato mezzo milione in contanti al senatore De Gregorio per conto di Berlusconi, anche se da mero “corriere inconsapevole”, nel prosieguo delle sue dichiarazioni spontanee ha lasciato un velo di ambiguità : “Anche ammesso che io abbia effettuato questi pagamenti, sono stato un corriere”.
Le sue dichiarazioni sono state interrotte dai pm in alcuni passaggi, ma Lavitola ha potuto comunque dare sfogo alla sua verve nei confronti dell’avvocato Niccolò Ghedini sulla cui professionalità ha usato parole pesanti e anche nei confronti di sua moglie: “Per fortuna mi hanno arrestato, la convivenza stava diventando impossibile”.
Nell’udienza è stata ufficializzata anche la nomina del parlamentare Pdl Maurizio Paniz, celebre per aver sostenuto alla Camera che Berlusconi fosse davvero convinto della parentela di Ruby, la giovane marocchina protagonista del processo che ha visto l’ex premier condannato in primo grado per concussione e prostituzione minorile, con l’ex presidente egiziano Mubarak.
L’avvocato di Silvio Berlusconi, Michele Cerabona, ha poi voluto precisare che Lavitola non ha fatto “ammissioni”, come riportato da “alcuni organi di stampa”, ma ha parlato per via “ipotetica”.
L’avvocato Cerabona ha preannunciato inoltre che la sua linea sarà quella di sostenere che il reato di corruzione non si configura, dal momento che i parlamentari sono liberi di esercitare le loro funzioni.
Lavitola ha anche affermato di avere consegnato a De Gregorio consistenti somme di denaro provenienti dal finanziamento al quotidiano L’Avanti!, dei quali entrambi erano soci, e che parte del denaro era stato in precedenza prestato da De Gregorio allo stesso Lavitola.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL 73% DELLE AZIENDE NON LI VUOLE
Enrico Letta l’ha presentato come un fiore all’occhiello. Ma secondo i Consulenti del Lavoro, il bonus per
l’assunzione di giovani lavoratori è stato “un flop”.
A inviare la richiesta all’Inps, nel tanto sbandierato “click day”, infatti, è stata solo “un’azienda su quattro”.
Questo, almeno, è quanto emerge dal sondaggio della Fondazione Studi sui Consulenti del Lavoro che, da Nord a Sud, si sono cimentati con l’applicazione del bonus assunzioni voluto dal governo lo scorso agosto.
Il 73 per cento degli intervistati ha riferito che “le imprese che assistono non hanno sfruttato il bonus occupazione” e “la maggior parte delle imprese che hanno snobbato l’agevolazione risiedono al Sud” cioè proprio dove sono state concentrate le maggiori risorse.
Enrico Letta ha fatto il numero di 11.800 domande inviate all’Inps per usufruire degli sconti del cosiddetto bonus Giovannini — un terzo della retribuzione lorda per 18 mesi a chi assume giovani dai 18 ai 29 anni senza diploma e disoccupati da almeno sei mesi — parlando di un grande successo per l’esecutivo da lui presieduto.
Non ha però precisato che la cifra si riferisce alle domande di incentivi presentate dalle imprese — circa 600 euro al mese per un anno e mezzo, difficile rinunciarvi — e che le risorse messe a disposizione dal decreto dello scorso agosto ammontano a 150-200 milioni di euro per l’anno.
L’equivalente di circa 20 mila assunzioni.
Dal sondaggio della Fondazione Studi emerge invece che le imprese gradirebbero una riduzione del cuneo fiscale e contributivo anzichè incentivi a termine.
Risultato prevedibile, visto che il problema di fondo dal lato della produzione è la ricostruzione di sbocchi ai prodotti e quindi la riattivazione di una domanda durevole. Cosa che gli incentivi a termine non possono garantire.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO: “MEGLIO TEMPI LUNGHI”, IN MODO DA SALVARE LA FINANZIARIA
Ormai il braccio di ferro è sui tempi. Voto palese o segreto che sia, il Pdl è convinto di non farcela.
Quindi, sulla decadenza di Berlusconi dal Senato, vuole giocare fino in fondo una partita dura: o far saltare il voto, con la pretesa di anticipare quello sull’interdizione dei giudici; o comunque imporre – pena la minaccia di dare forfait sulla legge di stabilità – che il Cavaliere resti al suo posto il più a lungo possibile.
Berlusconi continua a ripetere: «Se mi fanno decadere, salta la manovra ».
E i suoi avvocati decideranno se ricorrere in Cassazione contro i due anni di interdizione stabiliti dalla Corte di appello solo «dopo» aver letto le motivazioni, che dovrebbero esser pronte tra 15 giorni.
Se il Cavaliere non ricorre alla Suprema corte l’interdizione è definitiva, e il Pdl pretenderà che prenda il sopravvento sulla legge Severino.
In questa direzione insiste soprattutto il gruppo di Alfano che vuole salvare il governo. Ovviamente, poichè l’interdizione deve fare la stessa trafila della Severino – prima la giunta per le Immunità , poi l’aula – andremmo sicuramente all’anno nuovo, guadagnando mesi per la campagna elettorale in vista delle Europee e sfruttando pure
i tempi lunghi per la procedura di affidamento al servizio sociale.
All’opposto, anche il Pd ha un problema di tempi, che vanno in rotta di collisione con quelli lunghi del Pdl.
I Democratici li vorrebbero ristretti al massimo. I senatori continuano a ricevere mail, lettere, sms in cui li si sollecita a chiudere una volta per tutte questa partita con Berlusconi.
Il leit motiv è «mandatelo a casa».
Per certo il Pd non si può permettere un voto che vada oltre l’8 dicembre, la data del suo congresso.
Ma quella più “comoda” per il Pd – e cioè entro la metà di novembre, prima che la legge di stabilità vada in aula – rischia davvero di mettere in crisi il governo Letta e di lasciare il Paese senza la manovra economica.
La ragione è semplice: solo al Senato il Pdl è determinante per garantire la maggioranza, mentre alla Camera il Pd ha i numeri sufficienti per fare da solo, quindi lo scoglio del voto al Senato va superato a tutti i costi, anche garantendo al Pdl i tempi lunghi che chiede.
Il compromesso che si palesa è quello di fissare la seduta sulla decadenza di Berlusconi a fine novembre, dopo il voto sulla manovra.
Ma, come abbiamo visto, il trucchetto del Pdl potrebbe essere quello di incassare il rinvio e poi si rovesciare il tavolo sull’interdizione.
Tutto pur di bloccare la Severino, un «pericoloso precedente» secondo Raffaele Fitto. Soprattutto per lui visto che a Bari ha una condanna in primo grado per corruzione e finanziamento illecito e alla fine del processo potrebbe ritrovrarsi, se condannato, come Silvio. .
Se il dipanarsi dei tempi è questo, si amplia pure il margine per affrontare la questione sul tipo di voto, se segreto oppure palese.
Questione che sta assai a cuore ai Dem, tant’è che il capogruppo Luigi Zanda, quando una settimana fa si è riunita la giunta per il Regolamento di cui fa parte, uscendo dall’incontro ha detto ai giornalisti: «Il voto palese garantisce in modo migliore la trasparenza delle decisioni».
Non è un mistero che anche il presidente del Senato Pietro Grasso, al vertice della giunta per il Regolamento che dovrà dirimere la querelle, sembra propendere per il voto palese. Diceva ieri a New York, dov’è il visita ufficiale: «Se il voto sarà segreto bisognerà vedere se sarà davvero un voto di coscienza o se dipenderà piuttosto da interessi diversi. Se invece sarà palese, tutto sarà più chiaro».
La giunta si riunisce martedì 29. I due relatori Francesco Russo (Pd) e Anna Maria Bernini (Pdl) stanno lavorando alle rispettive tesi.
Voto palese il primo, segreto la seconda. Si raccolgono i precedenti.
Si fa il confronto con la Camera dove sui casi di decadenza da interdizione il voto è palese. Si raccolgono pareri di giuristi, come Alessandro Pace e Stefano Ceccanti. I voti sono ballerini: sul fronte voto segreto per certo 3 Pdl, 1 Lega, 1 Gal; incerti Zeller (Svp) e Lanzillotta (montiana). Dall’altra 3 Pd, 1 Sel, 2M5S.
Chiarezza, trasparenza, no alle fumisterie. L’esigenza è questa.
Liana Milella
(da “la Repubblica”)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL NOSTRO RESTA IL SECONDO DEBITO PUBBLICO UE PIU’ ALTO DOPO LA GRECIA
Debito pubblico record per l’Italia nel secondo trimestre del 2013. 
Secondo l’Eurostat è arrivato al 133,3%, in crescita del 3 punti percentuali rispetto ai primi tre mesi dell’anno quando era al 130,3%.
Il nostro, resta il secondo debito pubblico Ue più alto dopo la Grecia (169,1%) e con uno dei maggiori incrementi tra primo e secondo trimestre di quest’anno.
EUROZONA
Ma anche il debito pubblico aggregato dei 17 paesi dell’eurozona è salito nel secondo trimestre passando al 93,4% del Prodotto interno lordo e segnando un incremento di 1,1 punti percentuali rispetto al primo trimestre dell’anno.
Rispetto al secondo trimestre del 2012, è cresciuto anche il debito pubblico aggregato della zona euro (+3,5 %) mentre quello dell’Ue è salito di 2,1 punti percentuali.
MADRID
Nel frattempo la Banca centrale spagnola ha fatto sapere che è uscita dalla recessione: dopo oltre due anni si prevede una crescita del Pil dello 0,1% nel terzo trimestre del 2013.
Un aumento che «dopo nove trimestri consecutivi di cali», si accompagna a un miglioramento sul fronte dell’occupazione, ha osservato l’istituto centrale stimando che la disoccupazione raggiungerà , nel terzo trimestre, il dato meno negativo dall’inizio della crisi, dopo aver segnato il 26,3% nel secondo trimestre.
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA CARRIERA DELL’EX MACELLAIO: DAI FINANZIAMENTI DELLA BCC FIORENTINA A CARBONI E DELL’UTRI
L’inchiesta Bianco, rosso e Verdini di Sigfrido Ranucci, trasmessa da Report, ci consegna un copione per una serie televisiva, anche a puntate, più documentario che finzione.
Il protagonista è un ragioniere, settore macelleria, di Campi di Bisenzio, paesone in provincia di Firenze: “Quelli che sono bravi a scegliere le parti migliori di una bestia”. Un signore con la scorza dura e le maniere dure che, in vent’anni o poco più, è diventato un uomo d’affari, un banchiere ricercato, un editore multiplo, un politico influente, coordinatore Pdl e selezionatore di candidati.
E in vent’anni o poco più ci sono milioni di euro che girano, passano di mano e in mano e tornano al mittente; 800.000 euro in nero da un costruttore siciliano emigrato (e lui ammette), Ignazio Arnone; 800.000 euro di un faccendiere Flavio Carboni per il giornale (in realtà , l’eolico in Sardegna), che taglia di sbieco la storia d’Italia; le solite garanzie finanziarie di Silvio Berlusconi (7,5 milioni), una fideiussione; il soccorso di Angelucci (10 milioni).
E ancora: lo scoperto infinito sui conti di Marcello Dell’Utri, centinaia di milioni di euro distribuiti tra i soliti imprenditori di area, e soprattutto a Riccardo Fusi per le sue operazioni immobiliari nei comuni toscani.
Il teorema Denis Verdini è semplice: da banchiere seleziona gli imprenditori da finanziarie e li porta agli amministratori che da politico ha fatto eleggere.
E poi se c’è un affare ci si infila.
Il Giornale della Toscana e il Credito Cooperativo Fiorentino sono falliti, ci sono dei processi in corso.
E non stupisce che, soltanto 4 anni fa, per i 100 anni di una banca creata per offrire liquidità ai toscani, ci fosse l’ignaro Fiorello a spegnere le candeline con Verdini, allora insospettabile, allora come oggi, un potente.
A cantare, a scherzare, a subire una battuta che rende benissimo il personaggio Denis: “Grazie a Fiorello. Vedrà quando l’assegno è scoperto! Ride meno! Noi a volte lo facciamo, agli amici, solo agli amici”.
La genesi di Denis, racconta Ranucci: “L’ascesa politica di Verdini comincia nel ’90, quando da semplice commercialista, diventa presidente del Credito cooperativo fiorentino, una banca nata a Campi Bisenzio nel 1909, come cassa rurale. Verdini in poco tempo apre filiali, anche a Firenze, che vengono inaugurate dall’allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini”.
Le accuse di Banca d’Italia: 100 milioni di euro di finanziamenti senza adeguate istruttorie. Risposta: “Una cazzata”.
Tra i sindaci che dovevano controllare c’erano i legali e il commercialista di Verdini.
La fonte di Ranucci rivela la natura dei legami tra Verdini e Giuliano Ferrara e tra Verdini e Marcello Dell’Utri.
L’ex senatore Pdl, l’amico Marcello del Cavaliere, voleva fare un centro benessere: “Una legittima aspirazione che s’infrange, però, contro l’ennesimo procedimento penale. Dell’Utri è rimasto coinvolto nel crac della banca di Verdini. Il coordinatore Pdl gli ha concesso un fido di oltre 3 milioni di euro, nonostante fosse esposto con il sistema bancario per oltre 7 milioni. Ma perchè Verdini invece di far credito agli imprenditori toscani, aiuta l’ex senatore che ha interessi a Milano?”.
Aveva aiutato anche Ferrara per la candidatura al Mugello nel 1996 e aveva adottato il Foglio.
Il Credito Cooperativo Fiorentino raccoglieva 418 milioni di euro e ne erogava 410. Ma non per sollevare l’economia locale: no, i soldi erano divisi tra 50 (e fortunati) nomi.
Per avere credibilità e nobiltà , Verdini ha coinvolto nell’impresa editoriale il principe Strozzi.
L’incontro tra Ranucci e la principessa Irina è meraviglioso, una via di mezzo tra Fantozzi e Woody Allen. A Irina Strozzi quel Denis non piaceva, non voleva che il padre e le loro diagonali generazionali con Guicciardini e la Gioconda si confondessero con l’ex macellaio.
La carta, finchè non l’hanno inquisito, era l’eldorado di Verdini: “Il banchiere Verdini ha finanziato il Verdini editore per circa 12 milioni di euro. Per accedere al massimo dei contributi statali, avrebbero gonfiato fatture e tiratura così per 10 anni avrebbero ingannato la presidenza del Consiglio, raccogliendo circa 22 milioni di euro”.
Verdini forgia gli uomini per la Toscana, il collaboratore Massimo Parisi è stato spedito a Montecitorio e pare che il porcellum, esportazione toscana, fosse un patto tra la sinistra e la destra che condizionava pure le nomine al Monte dei Paschi.
Anche la parte di Ettore Verdini, il fratello, è sublime: gestisce un patrimonio immobiliare per circa 30 milioni di euro, a Prato, ne affitta uno a Equitalia per 220.000 euro l’anno.
Verdini ha esteso i suoi interessi, tre appartamenti a Crans Montana.
I prelievi e i bonifici sono frequenti, dà segnalare 166.000 euro per le perdite del Foglio. Ma chi paga la morte del Credito Cooperativo? Parla Augusto Dell’Erba, presidente del fondo di garanzia Bcc: “Noi ci siamo accollati 15 milioni di sbilancio patrimoniale, 78 milioni di partite anomale (…) abbiamo anticipato 25 milioni di imposte differite che sono crediti fiscali (…) e poi abbiamo dato garanzie alla banca cessionaria per un pezzo di certi crediti di incerta definizione per 32 milioni”.
Verdini è ancora lì, a palazzo Grazioli, a fare e rifare i conti.
E spesso, come nel giorno della sfiducia a Enrico Letta, gli riescono male.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
ADDIO DETRAZIONI, LA TASI AVRA’ UN EXTRA-COSTO DI 100 EURO NELL’IPOTESI PEGGIORE
Sarà il match più duro della legge di Stabilità . 
Si pagava di più con la vecchia Imu, o con la nuova Tasi, la tassa sui servizi indivisibili?
La Uil servizio politiche territoriali ha sfornato le sue prime proiezioni complete: nel confronto con l’Imu 2012, la Tasi sarà vincente solo se i Comuni terranno le aliquote inchiodate all’1 per mille.
Se invece, come sembrano orientate molte grandi città , le aliquote saliranno al tetto massimo del 2,5 per mille, la mancanza di detrazioni di base e per i figli sarà decisiva, e si rischiano aumenti del 96 per cento.
Le due tasse sono «cugine»: hanno la stessa base imponibile, ovvero la rendita catastale.
Ma la somiglianza finisce qui.
Le aliquote sono diverse: 4 per mille l’Imu, aumentabile fino al 6 dai Comuni e 1 per mille per la Tasi, aumentabile dai Municipi fino al 2,5 per mille.
La Tasi, dunque, costa meno in termini di aliquote, ma non concede la possibilità ai contribuenti di beneficiare delle detrazioni di base di 200 euro e di quelle per i figli. Ovvero, quello che si guadagna con l’aliquota più bassa si può perdere per la mancanza di detrazioni, visto che la base imponibile è la stessa.
Non tutti ritengono tuttavia il ritorno delle detrazioni familiari la soluzione giusta: «Solo legando la Tasi al reddito Isee si potrà avere maggiore equità », dichiara Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil che fa riferimento a single e pensionati
Il rapporto della Uil servizio politiche territoriali rileva che solo mettendo a raffronto l’Imu 2012 con la Tasi ad aliquota-base, cioè al netto dell’intervento dei Comuni, ci si può aspettare un vantaggio.
La simulazione è fatta sulla media delle abitazioni A/2 e A/3, la tipologia di appartamenti più diffusa (in queste categorie ci sono 15 milioni di abitazioni) e si considera una famiglia con un figlio a carico.
Ebbene se si confronta l’aliquota media effettiva del 2012 dell’Imu, compresa la maggiorazione municipale (ovvero il 4,43 per mille totale) con una Tasi che rimane inchiodata all’1 per mille, il vantaggio per il 2014 è del 21,8 per cento (20 euro in media).
Tuttavia se i Comuni porteranno l’aliquota al 2,5 per mille, la famiglia media che pagava 101 euro dovrà pagare quasi il doppio, 198 euro.
Il confronto città per città è più variegato: di fatto nei Comuni dove l’Imu era bassa (Milano e Bologna) se si applicherà il tetto massimo del 2,5 per mille si conferma che con la Tasi si pagherà di più; solo dove l’aliquota era alta ci saranno dei vantaggi.
L’altra differenza Imu-Tasi riguarda le finalità della tassa: l’Imu è una semplice patrimoniale, la Tasi invece è statutariamente destinata a finanziarie i «servizi indivisibili», cioè anagrafe e illuminazione.
Questo aspetto è importante: i «fan» della Tasi fanno notare che la nuova tassa non si deve confrontare con la sola Imu, ma anche con quella piccola parte già destinata a finanziare i servizi indivisibili (30 centesimi al metro quadrato) che era stata «aggiunta» alla tassa sui rifiuti e che per quest’anno dovremo pagare.
Dunque si dice: non solo la Tasi è più leggera ma evita anche di pagare il «balzello» sui servizi annesso ai rifiuti
Un confronto più omogeneo si può fare con il 2013 (senza considerare che l’Imu è stata congelata) ma prendendo l’aliquota media effettiva deliberata dai Comuni (4,63 per mille) e tenendo conto, soprattutto, del peso della parte servizi della Tares.
Anche in questo confronto “virtuale”, tuttavia, la nuova Tasi vince solo se l’aliquota resta all’1 per mille, se sale niente da fare.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
I PENSIERINI DELLA SERA DI MATTEO, MENTRE CIVATI SI PRENOTA SUO VICE
Dobbiamo”, “serve”, “occorre”: la fiera dei buoni propositi è finalmente sul piatto. Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Giuseppe Civati e Gianni Pittella, i quattro cavalieri dell’apocalisse di se stessi, hanno presentato le loro mozioni.
Ovviamente Renzi è il più sintetico (18 pagine) e altrettanto ovviamente Civati il più prolisso (70).
Cuperlo si ferma a 22 e Pittella a 24. Summe post-brezneviane, praline dell’ovvio, supercazzole maanchiste.
È un profluvio di fioretti politichesi quello che inonda il povero elettore del Pd.
La mozione è la versione aggiornata del pensierino della sera quando si era bambini.
Dal “Prometto che mangerò tutta la minestra e non dirò bugie”, sussurrato alla mamma mentre ti rimboccava le coperte, al “vogliamo cambiare verso a questo anno cambiando radicalmente non solo il gruppo dirigente che ha prodotto questa sconfitta, ma anche e soprattutto le idee che non hanno funzionato, le scelte che hanno fallito, i metodi che ci hanno impedito di parlare a tutti”.
Un pensiero (farraginosissimo) che non vuol dire nulla, e infatti l’ha scritto Renzi. Significativi i verbi più ricorrenti: “Dobbiamo”, “serve”.
Ovvero qualcosa che rimanda puntualmente a un futuro agognato, più esattamente a “una terra promessa e a un mondo diverso dove crescere i nostri pensieri” (che non è Renzi, ma Eros Ramazzotti).
L’eterno accenno al “dovere” e al “servire” caratterizza da sempre la comunicazione della sinistra istituzionale.
Giovanilismi a parte, le mozioni di adesso potevano essere scritte venti anni fa.
I quattro cavalieri del pensierino deboluccio tradiscono quella cristallizzazione che rende passatista (più che nostalgica) qualsiasi analisi del gruppo dirigenziale riformista.
Una cristallizzazione evidente in Cuperlo, ma percettibile anche in chi come Renzi ha messo al centro della weltanschauung la rottamazione. Il poker di mozioni tradisce un lessico vetusto, unito al-l’ammicco garbato.
La sintesi estrema, comunque a tutti i candidati, è la medesima: votami e sarai salvato.
“Rivoluzione della dignità ”, “cambiare verso”, “le cose cambiano, cambiandole” (apoteosi del civatismo), “ci meritiamo di più”, “abbiamo bisogno di una lettura sincera della sconfitta”.
Ieri era tra la via Emilia e il West, oggi sembra piuttosto tra la frignatina collettiva e il volemosebenismo confuso.
Il Pd deve, gli elettori devono. Dunque, insieme, “dobbiamo”.
Sì, ma “dobbiamo” cosa? Quello che vi pare.
L’importante è dovere, verbo che rimanda al-l’ottimismo della volontà gramsciana ma pure al pessimismo della ragione.
“Dobbiamo da subito costruire il cambiamento. L’orizzonte politico del Pd non sono le larghe intese come strategia, nè un neocentrismo esplicito o camuffato”.
Quindi? Quindi niente.
Però come fosse Antani, possibilmente con scappellamento a sinistra (almeno quello).
“A cosa serve il Pd?”, si chiede — in un pericoloso surplus di autoanalisi — Civati. Dubbioso se rispondere “a nulla” o “a tenere in vita Berlusconi”, il dissidente modello del Pd preferisce ricorrere all’ennesimo equilibrismo dialettico: “Serve se si decide, insieme”. Ah. Poi: “Un partito che non teme il futuro: è “al futuro” ed è al futuro, non al passato, che si affida”.
Chiaro, no? No.
Renzi ammette di inseguire i voti dei delusi da Grillo e Pdl, con un impeto tale da dimenticarsi di inseguire nel frattempo i delusi dal Pd.
“Si vince recuperando consensi in tutte le direzioni: centrodestra, Grillo, astensioni”. Recuperare tutto per non recuperare nulla.
Dire niente ma dirlo bene: la zuppa del casato, o del Renzi.
Civati, però, è sicuro e alla Zanzara dice: “Io vice di Renzi, se me lo chiedesse direi di sì”.
Pittella verga pagine vibranti, che però nessuno mai leggerà , si presume neanche lui.
E Cuperlo? “Il Pd, dunque, deve cambiare il suo modo di stare tra le donne e gli uomini che sceglie di rappresentare”. Quindi (anzi “dunque”) il Pd non deve essere il Pd.
I quattro ardimentosi sfidanti hanno reso pubbliche le loro preghierine della sera. Sembrano soddisfatti e sereni.
Ora, non senza una certa misericordia, gli elettori possono rimboccargli le coperte.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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