Destra di Popolo.net

INTERVISTA AD ALDO BOZZI: “SEPPELLIRE LA PORCATA MI È COSTATO DIECIMILA EURO”

Dicembre 5th, 2013 Riccardo Fucile

L’AVVOCATO CHE HA FATTO RICORSO E’ NIPOTE DEL VECCHIO LEADER LIBERALE

L’avvocato Aldo Bozzi ha seppellito il Porcellum in punta di diritto.
Con altri venticinque cittadini, il nipote dell’omonimo leader liberale ha scardinato il sistema elettorale più impopolare della storia repubblicana. Fino al trionfo.
Avvocato, si rende conto che è nei libri di storia?
«Eh eh… Non so, sono contento. Molto contento».
E basta? Lei è l’uomo che ha sconfitto il Porcellum. Sui social network è già  un eroe.
«Sono felice per la decisione della Consulta. Ha accolto entrambe le censure. Ma io non ho fatto nulla di particolare».
Per anni i partiti hanno rinviato. Lei ha vinto una sfida storica.
«Rispetto alle forze politiche ho un vantaggio, perchè mi rendo conto che i partiti hanno difficoltà  a fare quello che vorrebbero. Se io fossi in Parlamento, non avrei una vita così facile».
Una curiosità , senza nulla togliere al valore ideale della battaglia: quanto le è costato lo scalpo del Porcellum?
«Ho fatto un primo ricorso al Tribunale di Milano, mi hanno dato torto e sono stato condannato a pagare le spese processuali. Poi un altro alla Corte d’Appello, e di nuovo mi hanno dato torto. In tutto ho pagato 7 mila e cinquecento euro allo Stato. Ho intignato e dopo un anno ho iniziato un nuovo giudizio, finchè qualcuno si è reso conto».
Quantifichiamo: addio al Porcellum con soli diecimila euro?
«Piò o meno, tutto sommato. Perchè ci sono anche i viaggi a Roma… ».
Di certo ha movimentato il quadro politico. Secondo lei si avvicinano o si allontanano nuove elezioni?
«Certamente non si può fare finta di nulla. Secondo me rivive la legge precedente. È una mia idea, però. Anche perchè non ci dovrebbe essere un vuoto legislativo: una pronuncia della Consulta non può provocarlo».
Quindi secondo lei si andrà  a votare subito?
«Napolitano trarrà  le conseguenze, ma penso di sì».
Ci racconti l’attimo esatto in cui ha saputo che aveva vinto.
«Ho ricevuto un colpo di telefono. Mi hanno detto: «È andata bene!». Poi ho controllato su internet: era vero».
Si è mai chiesto perchè nessuno ha pensato prima di lei a fare un ricorso?
«Non saprei. Io ho preso coraggio e ho detto “vediamo che succede”».
L’ha chiamata qualche politico, nel frattempo?
«Nessuno, non ho contatti».
Magari ora lo faranno, per candidarla. Si impegnerebbe?
«Non ci ho pensato. Ma, come si dice, il futuro è nelle mani del Signore».
A chi dedica questo momento?
«Ho sentito la grande attenzione degli amici. E c’è un popolo che era contro il Porcellum. Adesso non sono più sudditi. E comunque mi fa davvero piacere, anche considerando la supponenza dei primi giudici. Ora avranno capito… ».
E ora che fa, brinda?
«Stavamo appunto andando…».

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)

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ECCO PERCHE LA CORTE NON HA RIPRISTINATO IL MATTARELLUM

Dicembre 5th, 2013 Riccardo Fucile

LA SPIEGAZIONE DI COSA PUO’ ACCADERE DOPO LA DECISIONE DELLA CONSULTA

E adesso che succede? Ma anche: che cosa ha veramente deciso la Consulta?
E perchè lo ha fatto? Ha terremotato il Parlamento stesso e le basi della sua legittimazione giuridica e politica? Ha imposto il suo potere di primo giudice delle leggi a dispetto di Camera e Senato, in spregio ai partiti, in contrapposizione con palazzo Chigi e con il Colle?
La sua è una sentenza giusta o, come dice Berlusconi, una sentenza politica «di sinistra»?
Si riempiranno, di qui a venire, pagine e pagine di libri di diritto per interpretare la decisione della Consulta sul Porcellum.
Cerchiamo qui, in pillole, di elencare le domande più importanti e le possibili risposte.
Che succede adesso? Cade il Parlamento? Chi ne fa parte decade automaticamente? Non si può più neppure votare?
Bocce ferme. Non succede nulla di tutto questo. Come pure paventa Grillo e più di un disfattista. Alla Consulta l’interrogativo se lo sono anche posto. I giudici ne hanno brevemente discusso. Si sono dati una risposta, dal loro punto di vista, tranquillizzante. Per noi, una risposta autorevole. Dopo i tagli dei premi di maggioranza e l’aggiunta del voto di preferenza si può tranquillamente andare a votare. Certo, non c’è più il Porcellum. C’è un proporzionale puro. Ma non c’è un vuoto nè legislativo, nè del sistema elettorale.
Ma giuridicamente esiste ancora una legge elettorale?
Prendiamo a prestito l’opinione del costituzionalista Massimo Luciani: «Se il dispositivo fosse esattamente quello indicato nel comunicato della Corte, avremmo un sistema elettorale perfettamente proporzionale. Però è ovvio che avrebbe bisogno di un intervento applicativo per definire le circoscrizioni, senza le quali nessuna legge elettorale può essere applicata».
Se si volesse votare domani con la legge che resta lo si potrebbe fare?
Insisto, dice sempre Luciani, «bisognerà  leggere nel dettaglio il dispositivo. Tuttavia è ragionevole immaginare che resterebbe un impianto di legge perfettamente proporzionale».
E se si votasse che Parlamento salterebbe fuori?
Si può rispondere con la preoccupazione del costituzionalista Stefano Ceccanti: «Qui si restaura il sistema della preferenza unica con un sistema proporzionale che risale agli anni ’91 e ’92. Nessuno vince le elezioni. C’è una garanzia di ingovernabilità . Si crea un sistema che tende alla “grande coalizione permanente”».
La Corte ha pesato fino in fondo il suo passo e ne ha valutata l’eventuale portata distruttiva?
A sentire “Radio Corte” pare proprio che gli alti giudici abbiano ragionato soprattutto su questo. Si sono chiesti se il loro intervento era invasivo al punto da lasciare il Paese senza uno strumento per andare a votare, visto soprattutto che forze politiche e Parlamento non si sono dimostrati affatto efficienti. La Corte si è risposta che sì, con il Porcellum che resta si può votare. Certo, non si è data una risposta in termini “politici”, su quale Parlamento salterebbe fuori. Ma questa preoccupazione sì che sarebbe stata anomala.
Non era più semplice azzerare del tutto il Porcellum per far “rivivere” in pieno il Mattarellum?
Per certo il Mattarellum non rivive per deliberata scelta dei giudici. Soprattutto perchè per arrivare fin lì, la Corte avrebbe dovuto allargarsi rispetto ai due quesiti posti dalla Cassazione e avrebbe dovuto applicare il principio «dell’illegittima consequenziale». I due quesiti bocciati avrebbero dovuto trascinare nel baratro tutto il Porcellum. La Corte si è fermata sul ciglio del baratro e il Porcellum è rimasto in vita.
Il Porcellum azzoppato che conseguenze comporta? Ha ragione Grillo quando dice che bisogna sciogliere il Parlamento, mandare a casa il governo e Napolitano?
Nient’affatto. Anche qui risponde lucidamente Massimo Luciani: «I parlamentari rimangono al loro posto, nè la loro elezione è inficiata». Quanto a governo e capo dello Stato neppure a parlarne, visto che non sono stati neppure “votati” col Porcellum.
E i 200 deputati eletti, ma non ancora convalidati alla Camera dalla giunta per le Elezioni?
Ancora Luciani: «Se il principio fosse questo, allora dovrebbero saltare non solo i 200 deputati non ancora convalidati, ma l’intero Parlamento, il che non è possibile per il principio di continuità  degli organi costituzionali».
E come mai la giunta delle Elezioni presieduta dal grillino Giuseppe D’Ambrosio non ha convalidato ancora l’elezione?
Senza fare dietrologia, si segnala un’anomalia e si mettono in fila i fatti. L’esponente di M5S non si scalmana per convalidare i risultati. È noto che alla Consulta è in bilico il Porcellum che invece dovrebbe spingere ad accelerare la convalida. Grillo adesso vuole tutti a casa.
Solo un nuovo Parlamento, dice sempre Grillo, potrà  cambiare la legge elettorale? È vero?
No, è falso, le attuali Camere possono tranquillamente cambiare la legge elettorale.
Nel momento in cui salta il premio, si mette in crisi l’attuale Parlamento?
Luciani: «Politicamente sì, giuridicamente no, perchè il premio è stato applicato».
E l’imposizione delle preferenze?
Vale lo stesso principio.
Un Parlamento eletto sulla base di una legge incostituzionale che deve fare?
Ancora Luciani: «Giuridicamente non ci sono effetti immediati, ma politicamente deve adottare una nuova legge elettorale perchè la sua posizione politica è diventata particolarmente difficile».
Quando dovrà  agire il Parlamento?
Quando lo ritiene opportuno, meglio prima delle motivazioni della sentenza.
La Consulta ha “commissariato” il Parlamento per la legge elettorale?
La Consulta ha fatto la sua parte, adesso il Parlamento, nella sua piena autonomia, faccia la sua.

Liana Milella
(da “La Repubblica“)

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COERENZA A CINQUESTELLE: QUEL NO DEI GRILLINI ALLA LEGGE TAGLIA-POLTRONE

Dicembre 5th, 2013 Riccardo Fucile

CANCELLEREBBE 32 NOMINE, MA IL MOVIMENTO HA PRESENTATO CONTRO UN MIGLIAIO DI EMENDAMENTI

Messaggio su Twitter del capogruppo grillino nel consiglio regionale del Lazio Davide Barillari: «Il Pd è alla frutta. Mi incrocia Vincenzi e dice: “Tanto la legge la portiamo a casa”. Si, ma ad aprile».
La legge che il suo collega democratico Marco Vincenzi vuole portare a casa è quella con cui la giunta di Nicola Zingaretti ha deciso di fondere in una sola le cinque società  direttamente controllate da Sviluppo Lazio, tagliando 32 poltrone.
Con un risparmio, dicono, di 3 milioni.
Operazione che dovrebbe essere seguita da fusioni analoghe nella giungla delle partecipazioni regionali, con il risultato di falcidiare i posti di consiglieri di amministrazione e revisori
La cosa va avanti da sei mesi, su e giù fra giunta e consiglio.
«Evviva!» si penserebbe che debbano gridare quelli del Movimento 5 Stelle.
Tutto il contrario, invece.
Perchè ora che si è arrivati al dunque, sulla legge all’esame definitivo dell’assemblea regionale si è abbattuta una valanga di 1.300 emendamenti: un migliaio dei grillini, uniti in un’apparentemente surreale alleanza con le truppe dell’ex governatore Francesco Storace, che al proliferare di quella giungla societaria aveva già  dato un fattivo contributo.
L’ostruzionismo è feroce, sia pure con motivazioni distinte.
Il centrodestra si oppone allo smantellamento della sua creatura, i grillini temono che con le fusioni arrivino potentissimi supermanager. E minacciano una guerra di posizione che può durare mesi.
Poco importa se le fusioni in sequenza si dovrebbero risolvere in una riduzione di 75 poltrone: da 88 a 13.
Poco importa se quelle società , a cominciare dal gruppo di Sviluppo Lazio, siano zeppe di bubboni.
Tanto da far pensare che ai consiglieri del Movimento 5 Stelle impegnati a scavare le trincee sia sfuggita la relazione nella quale il procuratore della Corte dei conti Angelo Raffaele De Dominicis sancisce lo stato fallimentare della Regione Lazio, dedicando passaggi ustionanti a certi modi discutibili con cui venivano coperte le perdite delle aziende regionali.
Perchè le società  partecipate di perdite ne avevano eccome.
Da quando la nuova giunta è arrivata, otto mesi fa, ha dovuto sborsare 50 milioni per tappare i loro buchi.
Le partecipazioni dirette e indirette in società  di capitali sono 103, cui si devono aggiungere agenzie ed enti vari.
Per un totale, reggetevi forte, di 7.361 dipendenti.
Numero più che doppio rispetto a quello del personale in forza alla stessa Regione, pari a 3.613 unità : il rapporto con gli abitanti è superiore del 91% rispetto ai 3.371 impiegati della Lombardia.
Come si è arrivati a quelle cifre è presto detto.
Basta ricordare il caso di Lazioambiente, società  creata nel 2011 con il solo obiettivo di riassumere i 487 dipendenti di un gruppo di società  ambientali fallite che facevano capo a una cinquantina di comuni laziali.
Spesa secca, 20 milioni.
E poi ci sono le perdite, su cui ha acceso il faro la Corte dei conti.
Per esempio i 10,3 milioni di rosso accumulati nel solo 2012 dall’Azienda strade Lazio, cui si sommano i 400 mila di Autostrade per il Lazio.
Per esempio, l’emorragia di 71.120 euro al giorno dell’azienda di trasporto Cotral, che a fine 2012 aveva un patrimonio netto negativo per 15 milioni.
O la voragine dell’Arsial, l’agenzia agricola regionale, commissariata da mesi con 17 milioni di debiti.
Un decimo dei quali sul groppone di un ristorante aperto dalla Regione nel 2003 a via Frattina, nel cuore di Roma, che è riuscito nella missione impossibile di aprire un buco di 1,7 milioni. Anche grazie a centinaia di pasti somministrati gratis a politici e assessori.
Ma la rogna più impellente è ora quella di Sviluppo Lazio.
Nella sua pancia ci sono 76 pacchetti azionari, fra cui quello di Banca impresa Lazio (Bil), costituita anni fa per garantire prestiti concessi alle piccole imprese dalle quattro banche che ne sono anche azioniste di minoranza: Intesa, Unicredit, Bnl e Banca di credito cooperativo.
Lavoro analogo, praticamente, a quello che dovrebbe svolgere Unionfidi Lazio, anch’essa partecipata da Sviluppo Lazio.
Una duplicazione assurda.
Nell’estate 2012 gli ispettori di Bankitalia hanno fatto a pezzi la Bil. La spesa media procapite per il personale è doppia rispetto ai concorrenti, dirigenti e quadri sono il 73,6% del totale, ogni pratica costa sei volte il prezzo di mercato, e ciascun dipendente lavora 29 pratiche l’anno contro 120.
Poi c’è la Filas, la finanziaria «di sviluppo». Dove sviluppo significa mettere un po’ di soldi in imprese private prendendo quote di minoranza. Ne ha 47. Ma 3 sono in società  pubbliche. Altre 5 sono in liquidazione o concordato preventivo, mentre ben 12 sono fallite.
E 7, invece, non hanno nemmeno sede nella Regione o comunque svolgono attività  fuori dei confini regionali.
Nell’arcipelago dei soci privati della finanziaria non mancano nomi di un certo spessore.
Uno su tutti, per l’incarico pubblico ora ricoperto: quello dell’attuale amministratore delegato di Atac Danilo Broggi, titolare del 24% della società  di ricerca KA4, di cui la Regione ha il 13%…

(da “il Corriere della Sera“)

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IL CLAN POLITICO DI CL SI ATTOVAGLIA PER SPARTIRSI LA TORTA DELL’EXPO

Dicembre 5th, 2013 Riccardo Fucile

DOPO LITIGI E TRADIMENTI, L’ESPOSIZIONE RIUNISCE IL MINISTRO MAURO E IL SOLITO FORMIGONI

Un miliardo 300 milioni di euro valgono una pace.
Il clan politico di Comunione e liberazione si è ricompattato con un obiettivo chiaro: Expo 2015. Dimenticati gli attriti degli ultimi anni, le inchieste giudiziarie e le spaccature create in Cl, Roberto Formigoni, Mario Mauro e Maurizio Lupi sono tornati a lavorare come un sol uomo.
Ciascuno ha il suo ruolo e gioca la sua parte. Formigoni, per dire, tiene ancora le redini del potere lombardo, ma con l’assenso suo e di Mauro è Lupi a mostrarsi in pubblico con il neogovernatore Roberto Maroni, intento a offrire un’immagine di spaccatura tra la sua Regione e quella un tempo guidata dal plurindagato Celeste.
I tre, se necessario, fanno squadra.
Quando nel 2011 l’impero politico di Silvio Berlusconi era in procinto di crollare, i tre andarono a palazzo Grazioli a parlare con il Cavaliere.
Ma prima si erano spartiti i ruoli: Formigoni invocava le dimissioni dell’allora premier, Lupi invece lo sosteneva, Mauro moderava. Nessun vincitore, nessuno sconfitto.
Strategie decise il lunedì sera al ristorante milanese a’ Riccione, dove i tre attovagliano quelli su cui scommettono. Serate per pochi intimi.
Al massimo una dozzina di persone, tra cui spesso si accomoda anche Angelino Alfano. Ma non da quando è nato il Nuovo Centrodestra, nel quale Formigoni e Lupi hanno confluito e dove arriverà  a breve anche Mauro; ma ormai da due anni, quando Alfano aveva bisogno di leccarsi le ferite del balletto di Silvio sulle primarie e il passaggio di mano definitivo del Pdl.
E Formigoni, condannato pubblicamente “il nostro governatore lombardo a vita” da Berlusconi e costretto così ad accantonare i suoi sogni romani da presidente del Senato , sa bene come lenirle.
Così ha portato Alfano all’ovile, a’ Riccione, con gli amici Lupi e Mauro. Che in questo periodo gli hanno dato sostegno e coraggio.
Il clan politico di Cl, quando opera, è chirurgico. Certo ci sono stati anche attriti. Creati dall’attuale ministro alle Infrastrutture che tradisce il compito a lui assegnato: andare a Roma per preparare l’ascesa nella Capitale del Celeste.
E invece Lupi scalza Formigoni e diventa il referente di Berlusconi per la Lombardia. Nel 2007 per quasi tre mesi non si presenta alle cene di a’ Riccione. Il rapporto si era incrinato. Mauro, come sempre, mediò.
E il tempo fece il resto, portando nuovi obiettivi comuni. Expo su tutti.
Quando Milano vinse l’esposizione contro Smirne, a Palazzo Chigi siedeva Romano Prodi, Formigoni era tra i promotori e Lupi era amministratore delegato di Fiera Milano Congressi, incarico che ha conservato dal settembre 1994 al maggio 2013.
E i due si sono ritrovati al volo, come l’Expo e la Fiera. Con la benedizione, inutile dirlo, di Mauro.
I tre si conoscono dai primi anni Novanta. Don Giussani e Comunione e liberazione “presenta” Formigoni a Mauro, Lupi fa il suo ingresso nel 1990 reclutato da Formigoni nel settimanale cattolico Il Sabato, che il Celeste aveva fondato nel 1977 con le solite modeste ambizioni: spezzare il duopolio Panorama-L’Espresso. Formigoni adotta Lupi, lo porta in Cl e ne guida l’esordio politico.
Assessore a Milano nella giunta Formentini prima e con Albertini poi, infine il salto a Roma. Nel 2001. Formigoni era già  presidente della Regione Lombardia e aspirava al Palazzo dove manda Lupi a preparargli la strada. Con l’approvazione di Mauro, che nel frattempo aveva raggiunto Bruxelles.
Per legare ulteriormente l’alleanza i tre nel 2006 danno vita anche all’associazione Rete Italia. Una vetrina per le loro attività  e quelle di Cl, a cominciare dalla fondazione Sussidarietà  presieduta da Giorgio Vittadini, tra gli ideatori della Fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli (Meeting di Rimini), nonchè fondatore della Compagnia delle Opere.
Vittadini, insieme a Giancarlo Cesana e all’ex deputato democristiano Nicola Sanese, rappresenta il vero nucleo di potere di Cl.
Sono loro a trattare con il premier. Loro, per dire, decisero di inviare Mauro a dare una mano a Mario Monti. E quando Lupi si mette di mezzo tra il loro volere (portare Formigoni a Roma) e le sue aspirazioni personali, bloccano tutto. Avviene nel 2008. Berlusconi vince. Cl vuole due cose: Formigoni presidente del Senato e Lupi ministro. L’allora premier non accetta la prima condizione e i seguaci di Don Giussani fanno saltare tutto. Lupi se la lega al dito, Formigoni pure.
Poi arriva l’Expo. Un affare che sulla carta vale 1,3 miliardi di investimenti di cui 833 milioni direttamente dalle casse dello Stato.
In particolare ministero delle Infrastrutture, dove ora siede Lupi. Che ora è anche il referente politico di Cl. O meglio, appare. Perchè Formigoni è indagato, ed è leggermente impresentabile.
E anche all’ultima cena gliel’hanno ripetuto: “Roberto non esporti troppo”. Lui a volte disobbedisce. Ma sa che il clan c’è. È una garanzia.
Come l’Expo.

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DALL’AFFLUENZA AL TASSO DI INFEDELTA’, I NUMERI CHE AGITANO LA CORSA DEL SINDACO

Dicembre 5th, 2013 Riccardo Fucile

LA SOGLIA DEI VOTANTI ALLE PRIMARIE PD SI ABBASSA ANCORA: ORA SIAMO A 1,8 MILIONI

Una previsione che è quasi un sillogismo, un-due-tre e via: Matteo Renzi ha vinto tra gli iscritti; il sindaco è più forte tra i non tesserati; la sua vittoria finale sarà  maggiore che nei circoli.
Queste le proiezioni che circolano mentre si avvicinano le primarie dell’8 dicembre. Troppo semplice, si dirà : nessun bookmaker pagherebbe troppo il successo del sindaco.
Più fruttuoso allora puntare a indovinare il risultato: capire in che misura e come. Sull’exploit del favorito, infatti, incombono diverse questioni.
La prima è l’affluenza: indice di buona salute del Pd e misura di legittimazione del segretario.
«Se vota meno di un milione e mezzo di persone è una sconfitta. Se votano 2 milioni è un bel risultato», continua a dire Renzi. È atteso un calo.
Il trend è in costante discesa: «Dai 4,3 milioni nel 2005 alle primarie vinte da Prodi si è arrivati ai 3,6 milioni di Veltroni e ai 3,1 milioni di Bersani nel 2009 e 2012», dice Fulvio Venturino, dell’ateneo di Cagliari, coordinatore con Luciano Fasano, dell’Università  di Milano, di Candidate & Leader Selection (gruppo di studio della Società  italiana di Scienza politica che da diversi anni effettua analisi e rilevazioni sulle primarie).
E la discesa continuerà , l’elenco dei motivi è lungo: «Sono primarie di partito; si viene dal caos tessere e il Pd non ha dato grande immagine di sè; non siamo in campagna elettorale come nel 2012».
E, cattivo presagio, i dati in picchiata arrivano anche dalla prima linea dei militanti: 300 mila voti nei circoli contro il mezzo milione del 2009.
La previsione è quindi che ai gazebo si presentino intorno ai 2 milioni o meno (1,8 milioni).
Poi, al di là  dell’affluenza , vincere non basta: bisognerà  superare la metà  delle preferenze.
Altrimenti i primi due candidati andranno al ballottaggio nell’assemblea nazionale: qui siedono i 1.000 delegati eletti l’8 dicembre (in misura proporzionale ai voti dei tre candidati), 100 tra senatori, deputati ed europarlamentari, i 20 della commissione congresso e i segretari regionali.
Il quorum sarebbe quindi a 571 e sono possibili accordi tra secondo e terzo classificato.
Ma, per le proiezioni di C&LS, il sindaco supererà  la soglia: prenderà  tra il 58%, nel peggiore dei casi, e il 68%. «In tutte le scorse primarie la proporzione tra iscritti e non iscritti è sempre stata la stessa: un tesserato ogni 4 elettori delle primarie, i “selettori”», indica Venturino.
Ipotizzando 1,8 milioni ai gazebo, quindi, gli iscritti saranno 450 mila: «Renzi può contare sulla metà  di questi, in base al risultato del voto dei circoli (45,3%, più l’endorsement di Pittella)».
Un anno fa Renzi fu sconfitto da Bersani: 36% a 45% al primo turno.
Ma se tra gli iscritti fu una batosta (20% contro 74%), tra i non iscritti la spuntò il sindaco (41% contro 38%).
«E oggi non affronta il leader del Pd ma personaggi meno noti, e con un partito che, anche per opportunismo, ha in parte cominciato ad appoggiarlo. Tra i non iscritti prevediamo che raggiunga il 75%». Più di un milione di elettori che, con oltre 200 mila preferenze tra gli iscritti, lo farebbero balzare al 68%.
«Ma, anche con una performance bassa tra i non iscritti come il 60%, il risultato finale non va sotto il 58%».
I nodi, però, non sono ancora sciolti del tutto. Perchè alle primarie, a differenza delle Politiche, conta anche chi ha perso. Si vota il segretario, certo, non il candidato premier: questa sarà  battaglia del dopo congresso.
Intanto ci si può chiedere: i sostenitori degli sconfitti, voterebbero il vincitore in caso di elezioni? Il tasso di «infedeltà » è in aumento: sempre più «quote consistenti di supporter dei candidati sconfitti tenderebbero successivamente a rifugiarsi nell’astensionismo o nella defezione (il voto per uno schieramento concorrente)», nota Fasano (ricerca condotta con Mariano Cavataio).
E questo «anche tra iscritti e veterani», tradizionalmente fedelissimi.
Gli «infedeli» erano, tra i non iscritti, il 6,1% nel 2007, sono lievitati al 11,3% nel 2013 (il 55,4 è certo di votare comunque il vincitore).
Tra gli iscritti: si passa dal 2,6% al 5,7%.
La conquista di partito ed elettori dovrà  andare in scena anche dopo le primarie.

Renato Benedetto
(da “il Corriere della Sera“)

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