Dicembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
DATI ALLARMANTI SU TUTTI I FRONTI, DALLA DISOCCUPAZIONE AI CONSUMI… “LA CLASSE DIRIGENTE USA ANNUNCI DRAMMATICI PER RESTARE LA SOLA TITOLARE DELLA GESTIONE”
Fare leva sulle difficoltà degli italiani per salvare le poltrone.
E’ l’accusa rivolta dal rapporto annuale del Censis alla “classe dirigente italiana”, che “tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema, magari partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che hanno la sola motivazione e il solo effetto di far restare essa stessa la sola titolare della gestione della crisi“.
Negli ultimi mesi si sono imposte così nella dialettica sociale e politica “tre tematiche che sembrano onnipotenti nello spiegare la situazione del Paese: la prima è che l’Italia è sull’orlo dell’abisso, la seconda è che i pericoli maggiori derivano dal grave stato di instabilità e la terza è che non abbiamo una classe dirigente adeguata a evitare il pericolo del baratro”.
Criticità che sono confermate all’interno del dossier sulla situazione sociale del Paese, con dati allarmanti su tutti i fronti, dalla disoccupazione record ai consumi tornati indietro di dieci anni.
Italiani infelici, mentre la furbizia è generalizzata
“Non si illumina una realtà sociale con questi atteggiamenti ed è impossibile pensare a un cambiamento”, precisa il rapporto, perchè “la classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla: una tentazione che peraltro vale per tutti, politici come amministratori pubblici, banchieri come opinionisti”. Un atteggiamento che porta a uno “sconforto continuato” tra gli italiani, con conseguenze dirette sulla società , sempre più “sciapa“, dove circola “troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro ed evasione fiscale” e dove si diventa “malcontenti e infelici”, sotto il peso di un “inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali“.
Il rapporto del Centro studi investimenti sociali, guidato da Giuseppe De Rita, dedica un passaggio alla “coazione alla stabilità ”, che “non può certamente coprire lo sconforto collettivo di fronte al permanere dei pericoli di catastrofe” e che ha portato in un momento critico “a una tale paura del conflitto da sfociare in una ‘reinfetazione’ delle forze politiche nelle responsabilità del presidente della Repubblica”, anche se “non si è avuta adeguata coscienza” che una mossa di questo tipo fosse “un grande incubatore di disturbi essenziali e di sistema”.
Di fronte a uno scenario simile, in altri periodi sarebbe scattato l’orgoglio dei cittadini che si ponevano come “soggetto di autonoma responsabilità collettiva”, ma questa volta “sempre più in ombra appare la società civile che verosimilmente ha consumato il suo orgoglio in illusorie ambizioni di una superiorità morale utilizzata come strumento politico”.
L’avvitamento della politica nella spirale della crisi
Il rapporto dedica un paragrafo all’”avvitamento della politica“, sottolineando che “negli ultimi 12 mesi i governi che si sono avvicendati hanno emanato oltre 660 provvedimenti di attuazione delle varie leggi di riforma, mentre la quota di quelli effettivamente adottati è stata pari a circa un terzo”.
Il dossier arriva così alla conclusione che “il paradosso della moltiplicazione degli interventi di riforma, cui però si associa la percezione di un’insufficienza di tali provvedimenti rispetto alla spirale drammatica della crisi economica e sociale, è il segnale di un’incompiuta riconfigurazione della scala e della dimensione d’intervento fra i diversi livelli di governo”.
Non sorprende quindi che “gli italiani sono sicuramente molto meno attivi della media dei cittadini europei per quanto concerne il coinvolgimento nei processi decisionali pubblici”, al punto che “più di un quarto dei cittadini manifesta una lontananza pressochè totale dalla dimensione politica”.
Le spese delle famiglie tornano indietro di dieci anni
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni. I tagli sono evidenti soprattutto al supermercato: il 48,6% dei cittadini dichiara di avere mutato intenzionalmente le abitudini alimentari cercando di risparmiare. E il paragone con gli altri Paesi europei è evidente: il 76% degli italiani dà la caccia alle promozioni, contro il 43% della media europea. Risparmi anche sulla benzina. Oltre il 53% ha ridotto gli spostamenti in auto e moto in 24 mesi e il 68% ha dato un taglio a cinema e svago. Ma i risparmi non bastano ad affrontare neanche le spese più essenziali. Per il 72,8% delle famiglie un’improvvisa malattia sarebbe infatti un grave problema da finanziare, mentre il pagamento delle bollette mette in difficoltà oltre un italiano su cinque.
Il rapporto del Censis conferma che il nodo principale resta l’occupazione. “Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro in Italia”, spiega il dossier, sottolineando che un quarto degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa peggiorerà , il 14,3% prevede un taglio della busta paga e un altro 14% teme di perdere il posto. Il trend, d’altronde, è già evidente.
Sono quasi 6 milioni gli occupati che nell’ultimo anno si sono trovati a fare i conti con “situazioni di precarietà lavorativa“, un’area di disagio che rappresenta oltre un quarto della forza lavoro. A farne le spese sono soprattutto i più giovani, ma anche la fascia compresa tra i 35 e i 44 anni.
Boom di imprenditori immigrati, mentre gli italiani si fanno da parte
Per uscire dalla spirale della crisi il Censis invita a riconsiderare il ruolo degli immigrati, definendoli “un volano”.
“Di fronte alle difficoltà di trovare un lavoro dipendente, costretti a lavorare per restare in Italia, gli stranieri si assumono il rischio di aprire nuove imprese“, spiega il rapporto, sottolineando che gli imprenditori italiani sono calati del 4,4% dal 2009 al 2012, mentre i titolari d’impresa nati all’estero sono aumentati del 16,5 per cento. Sempre per quanto riguarda gli immigrati c’è poi un dato che invece preoccupa il Censis.
Gli extracomunitari di età superiore ai 64 anni sono aumentati del 91% negli ultimi otto anni. Ora rappresentano solo lo 0,7% del totale degli anziani che vivono all’interno del Paese, ma lo scenario è destinato a cambiare: nel 2020 saranno il 4,4% del totale e nel 2040 saranno oltre un milione e mezzo, portando una “significativa richiesta di servizi sociali“.
Cambia quindi la situazione degli immigrati, mentre i problemi del Paese restano i soliti.
A partire dall’istruzione. “L’affanno che gli atenei mostrano nei confronti internazionali è la conseguenza di un sistema universitario per certi versi troppo provinciale”, avverte il dossier.
“Le università italiane stentano quindi a collocarsi all’interno delle reti internazionali di ricerca”, poichè la “prevalente connotazione locale” pesa sulla “reputazione internazionale”. Non c’è da stupirsi, quindi, se i dati sull’istruzione continuano a preoccupare, con il “21,7% della popolazione italiana oltre i 15 anni che ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare”.
Nel frattempo la “fuga” degli italiani all’estero non conosce soste: nell’ultimo decennio il numero di chi ha trasferito la residenza è più che raddoppiato, da 50mila a 106mila. Ma è stato soprattutto nel 2012 che l’incremento ha visto un boom: +28,8% tra il 2011 e il 2012. Sono soprattutto giovani: il 54,1% ha meno di 35 anni.
I problemi irrisolti: dal Meridione ai grandi progetti urbani
Un problema che rimane “irrisolto” è anche quello del Meridione. “Forte è l’impressione che da ogni programma politico la questione meridionale sia stata di fatto derubricata”, avverte il report. I dati parlano chiaro: l’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è scesa di un punto percentuale dal 2007 al 2012, così come i dati occupazionali restano sensibilmente inferiori al Sud, dove sono a rischio povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6 per cento. Al punto che “l’Italia appare tra i sistemi dell’Eurozona quello in cui sono più rilevanti le disuguaglianze territoriali“.
Resta poi il problema del “lungo travaglio dei grandi progetti urbani“, poichè “la difficoltà di portare a realizzare alcune grandi operazioni progettate ormai in un’altra fase storica” costituisce “senza dubbio” una componente importante della fase critica che stiamo attraversando.
Non bisogna infine trascurare il vizio delle mazzette. “l’indice di Transparency International, che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e politico, posiziona l’Italia al 72esimo posto nel mondo su 147 Paesi”, ricorda il rapporto, “e se guardiamo all’Europa l’Italia è in fondo alla classifica, davanti alle sole Bulgaria e Grecia”.
Con un impatto “devastante” anche sull’economia. Secondo la Banca mondiale nel mondo ogni anno vengono infatti pagati più di mille miliardi di dollari in tangenti, una cifra che è di 50-60 miliardi per quanto riguarda l’Italia.
Francesco Tamburini
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Dicembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
I RAPPORTI DIFFICILI CON IL DIRETTORE DELL’AGENZIA AMBIENTE CHE DOVEVA PRESENTARE I DATI SUI VELENI… LE EMAIL CHE L’AZIENDA INVIAVA AL GOVERNATORE
“Non ho mai ricevuto da Vendola nessuna pressione e nessuna intimidazione”. 
È la mattina del 28 novembre 2012 quando Giorgio Assennato, direttore generale di Arpa Puglia, entra nella caserma della Guardia di finanza di Taranto.
I finanzieri — che indagano da due anni sull’inquinamento dell’Ilva — hanno raccolto una mole d’intercettazioni che li ha ormai persuasi: Nichi Vendola, in concorso con i vertici dell’Ilva, ha fatto pressioni su Assennato per “ammorbidirlo”.
In quelle ore, per il governatore pugliese, è sempre più vicina l’accusa di concussione, ma Assennato nega: nessuna pressione.
Neanche il 15 luglio 2010 quando, secondo l’accusa, fu tenuto fuori dalla porta, mentre Vendola discuteva con i Riva, e fu costretto ad aspettare per ore. Eppure un testimone di quella giornata racconta di aver incontrato Assennato con lo “sguardo rassegnato” e “la testa bassa”. Per ricostruire la vicenda, però, è necessario fare un passo indietro.
La guerra contro Assennato
Nell’estate 2010, l’Arpa rileva i dati del Benzo(a) pirene emessi nel rione Tamburi di Taranto: superano il limite previsto e l’Agenzia scrive una relazione durissima: chiede a Ilva di adeguare la produzione alle condizioni meteorologiche perchè l’inquinamento, quando il rione è sottovento, cresce in maniera preoccupante. I Riva temono di dover diminuire la produzione. La guerra di Ilva contro il direttore generale del-l’Arpa diventa furiosa.
C’è posta per Nichi
Archinà , il braccio destro dei Riva, lavora ai fianchi di Assennato. Si lamenta con Vendola degli scienziati che hanno redatto lo studio, Massimo Blonda e Roberto Giua, iniziando a ottenere qualche risultato.
È lo stesso Assennato a chiamare Archinà , ai primi di giugno, per lamentarsi di essere stato “delegittimato”. La ragnatela di Archinà diventa di ora in ora più fitta. Il 22 giugno scrive a Fabio Riva. Sostiene che Assennato è stato sconfessato e descrive la posizione di Vendola: “Per nessun impianto Ilva si deve ipotizzare una sia pur minima restrizione”.
E soprattutto: spiega che ha un accordo con il governatore. La lettera, che Ilva sta scrivendo ad Arpa, deve essere inviata, per conoscenza, anche a Vendola che “al ritorno dalla Cina affronterà direttamente la questione”. Ed effettivamente, tornato dalla Cina, Vendola chiamerà Archinà per ricordargli: “Non mi sono defilato”.
Questione d’immagine
Nelle stesse ore Archinà confida ai suoi: “Vendola è molto arrabbiato perchè gli fanno fare brutta figura con l’opinione pubblica”. E in effetti, per il segretario di Sel, ormai lanciato in una dimensione nazionale, ammettere che l’inquinamento in Puglia sta aumentando, può rappresentare una potente caduta d’immagine. E ora torniamo alle risposte di Assennato agli investigatori
La riunione del 15 luglio
Gli inquirenti mostrano al direttore generale dell’Arpa un’intercettazione: Archinà racconta come andò, il 15 luglio 2010, la riunione tra Vendola e i Riva. “Tieni presente che già psicologicamente, ieri, è avvenuto questo: Assennato è stato fatto venire al terzo piano però è stato fatto aspettare fuori… come segnale forte… ”.
Assennato risponde di non ricordare “nulla, salvo che vi fu una riunione, nella quale ci fu un’anomala attesa da parte mia… non credo di aver partecipato… ma posso escludere qualsiasi pressione”.
La lunga serie di “non ricordo” costa ad Assennato l’accusa di favoreggiamento personale nei confronti di Vendola: con le sue risposte, secondo l’accusa, l’ha aiutato a eludere l’imputazione di concussione.
Il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare due dettagli che arricchiscono il contesto di quelle ore. Le parole di Archinà , su quella riunione del 15 luglio, raccontano qualcosa in più: “Assennato è stato fatto venire al terzo piano, però è stato fatto aspettare fuori, come segnale forte… cosa che poi lui ha fatto trapelare sul Corriere del Giorno… ”.
Cos’è trapelato sul quotidiano locale? E soprattutto: chi l’ha fatto trapelare?
“Testa bassa — scrive il cronista Michele Tursi — sguardo rassegnato. Quello che le veline non dicono riguarda il professor Giorgio Assennato”.
Quel giorno in Regione si tiene la conferenza stampa per il “monitoraggio diagnostico” dell’Ilva. “Strana conferenza stampa convocata, poi revocata e poi di nuovo convocata”, racconta Tursi. “Strana — continua — l’assenza di Assennato nell’incontro con i giornalisti. Strano che fosse stato avvisato all’ultimo momento con un sms e poi lasciato fuori dalla porta… ”.
Il Fatto ha rintracciato il cronista che racconta: “Quella mattina, effettivamente, parlai con Assennato e non era sereno”.
Agli inquirenti Assennato racconta di essere andato via, dopo la riunione tra Vendola e Riva, alla quale non partecipò, mentre il Corriere del Giorno racconta che era ancora in Regione, “rassegnato” e “con la testa bassa”.
Secondo gli inquirenti, le pressioni di Vendola su Assennato, facevano leva sulla riconferma del suo incarico, che scadeva nel marzo 2011
Clima infuocato
E proprio a ridosso di quella data avviene un altro episodio che il Fatto è in grado di ricostruire. Un episodio che non integra alcuna ipotesi di reato ma spiega il clima di quei mesi. “Arpa — racconta una fonte che preferisce mantenere l’anonimato — aveva ultimato le rilevazioni su diossina e benzo(a) pirene, quelle relative al 2010, e Assennato era pronto a diffondere i dati con un comunicato stampa: le emissioni erano ulteriormente cresciute.
Vendola, quando apprese che Arpa stava per inviare il comunicato stampa, convocò una riunione informale, alla presenza degli assessori Nicastro, Fratoianni, Amati, Pelillo, Capone, più il responsabile della comunicazione, Eugenio Iorio.
Vendola era allarmatissimo: telefonò ad Assennato, davanti a tutti, per ricordargli che non poteva diffondere quei dati senza confrontarsi con la Regione.
Non intendeva manipolare nulla. Sia chiaro. Ma redarguì Assennato, con durezza, per dirgli che quel tipo di comunicazione andava assolutamente concordata”.
Una richiesta legittima, certo, poichè l’Arpa è un ente regionale.
Una richiesta che racconta in quale clima, però, è stato vissuto, da Vendola, il monitoraggio dell’i nquinamento targato Ilva.
Francesco Casula, Lorenzo Galeazzi e Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
“GLI ATTI COMPIUTI NON DECADONO”
«La sentenza non provoca uno sfascio istituzionale, ma il Parlamento dovrebbe legiferare prima dell’arrivo delle motivazioni».
Riccardo Chieppa, presidente emerito della Consulta, si dice «lieto che sia caduta una legge tanto illegittima », ma esclude che si aprano «voragini che facciano precipitare nel caos le istituzioni».
È dunque d’accordo con la bocciatura del Porcellum?
«Ho sempre sostenuto che ci fosse un grave dubbio di costituzionalità sul difetto assoluto di esprimere preferenze. Sarei addirittura favorevole che si tornasse all’antico sistema elettorale dei piccoli comuni. Quando da giovane facevo il presidente di seggio, l’elettore poteva cancellare un candidato dalla lista. Era una bocciatura esplicita, un voto di preferenza negativo»
Cosa succede ora dopo la sentenza della Consulta?
«Allo stato attuale, in attesa delle motivazioni, si possono fare solo congetture. I giudici della Corte non travolgono tutto. Le norme di legge non sono più applicabili per il futuro, ma non decadono atti e nomine compiuti dal Parlamento. La dichiarazione di illegittimità può travolgere solo nomine e atti ancora suscettibili di contestazione. Del resto la Consulta si è sempre preoccupata di non creare vuoti nell’ordinamento».
Un Parlamento eletto con legge incostituzionale è illegittimo?
«Dal punto di vista giuridico lo escludo. La questione eventualmente è politica: il Parlamento non è delegittimato dalla pronuncia della Corte, ma semmai dalla sua inerzia».
Le Camere dovrebbero correre ai ripari?
«Il Parlamento ha tutti i poteri e per evitare il rischio che riviva il Mattarellum dovrebbe intervenire prima delle motivazioni».
Quando usciranno le motivazioni della sentenza?
«Dipende dalla discussione: i giudici devono trovare l’accordo non solo sul dispositivo, ma anche sulle motivazioni. Sarebbe auspicabile pure in Italia il sistema tedesco, dove la Corte dichiara l’illegittimità a scoppio ritardato: dà un termine al Parlamento per permettergli di intervenire prima della sentenza».
Che ne sarà dei 148 deputati eletti, ma non ancora convalidati dalla Giunta per le elezioni?
«Su questo la sentenza non influisce, resta indifferente. Se non ci sono altri elementi ostativi, la Camera può convalidarli».
Per Calderoli diventano illegittimi anche i consigli regionali eletti con liste bloccate e premi di maggioranza.
«Non credo. Le regionali hanno norme che prevedono diverse proporzioni nei premi e non sono toccate dalla sentenza».
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE: “DOPO LE MOTIVAZIONI IL PARLAMENTO DECADE”
«La sentenza della Corte costituzionale è retroattiva, dunque annulla la legge elettorale da
quando è stata emanata. Non si tratta di una mera abrogazione, come potrebbe essere nel caso di un referendum».
Piero Alberto Capotosti, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza ed ex presidente della Consulta, considera la sentenza sul Porcellum «un fatto di enorme portata, che non si era mai verificato nelle altre grandi democrazie».
Secondo lei sono a rischio di illegittimità tutti i governi dal 2006, le leggi approvate e anche la doppia elezione di Napolitano al Quirinale?
«Sicuramente no, tutte queste sono situazioni giuridicamente chiuse e dunque non più riesaminabili. Esistono nell’ordinamento alcuni principi, in particolare il principio della certezza giuridica, che mitigano la portata retroattiva della sentenza. Dunque i Parlamenti eletti dal 2006, le leggi e il Capo dello Stato sono situazioni che non si possono cancellare, “irretrattabili”. Discorso opposto per tutti gli atti che questo Parlamento dovesse esaminare dopo la pubblicazione della sentenza sul Porcellum, che avverrà tra qualche settimana. A mio avviso dopo la pubblicazione l’ombra dell’illegittimità costituzionale potrebbe estendersi a tutto il Parlamento, anche se in proposito ci sono diverse scuole di pensiero».
Questo vuol dire che i parlamentari non ancora convalidati rischiano?
«Se non saranno convalidati prima, rischiano di essere illegittimi».
Sta dicendo che anche le norme che il Parlamento approverà dopo saranno illegittime?
«A mio avviso c’è lo stesso rischio, perchè provengono da un organo eletto attraverso una procedura illegittima»
Significa che il Parlamento ha tempo solo fino alla pubblicazione per modificare la legge elettorale?
«Questa è la mia opinione. Sempre che la Corte, nelle motivazioni, non chiarisca esplicitamente che gli effetti della sentenza decorrono solo dall’elezione del prossimo Parlamento. Ma questo differimento degli effetti di una sentenza secondo il modello tedesco -sarebbe un caso eccezionale. Nel passato è successo pochissime volte».
Dunque questo Parlamento ha vita breve e rischiamo di tornare alle urne a breve?
«La mia opinione è che, se non ci sarà un differimento esplicito degli effetti, la Corte abbia dato un ultimatum alle forze politiche: se il Parlamento non dovesse procedere ad approvare una nuova legge, in caso di elezioni anticipate si dovrà votare con quello spezzone di Porcellum che è rimasto in piedi, dunque senza premio di maggioranza e con le preferenze».
Il Parlamento dovrebbe scrivere la nuova legge prima delle motivazioni della Consulta?
«Secondo me per stare dalla parte del sicuro è necessario muoversi prima».
In assenza di una crisi di governo, come si può arrivare allo scioglimento delle Camere?
«Il potere di scioglimento spetta esclusivamente al Capo dello Stato. E tuttavia ricordo che nel 1993, dopo il referendum Segni che abrogava la legge elettorale per il Senato, si arrivò rapidamente a nuove elezioni, dopo aver approvato la legge Mattarella. L’allora presidente Scalfaro disse che il Parlamento non corrispondeva più alla volontà popolare, c’era un vizio di rappresentanza. È una situazione per certi versi analoga a quella attuale: la rappresentanza è viziata dal fatto che i parlamentari sono stati immessi nel loro ufficio in base a una legge incostituzionale».
Ritiene che si possa votare con quello che resta del Porcellum?
«Serve una ricognizione norma per norma. Di certo la Corte, annullando le liste bloccate, non ha introdotto le preferenze. Non è una sentenza autoapplicativa su questo punto. Dunque un passaggio parlamentare per introdurre le preferenze, a mio parere, andrebbe fatto».
Dunque sbaglia chi dice che questa sentenza allunga la vita della legislatura almeno fino al 2015?
«Salvo sorprese nelle motivazioni della sentenza, io vedo una grande urgenza di modificare la legge elettorale per poi tornare al voto».
In che modo andrà modificata la legge?
«Un premio di maggioranza si potrà reintrodurre solo con una soglia minima di accesso. E non ci potranno più essere liste bloccate. L’elettore potrà scegliere il parlamentare con le preferenze oppure con i collegi uninominali. Su questo resta una amplissima discrezionalità del Parlamento».
Un sistema maggioritario con i collegi è ancora possibile?
«Certamente sì. Come è possibile un nuovo premio con una soglia e preferenze».
La legge che esce dalla Consulta è un proporzionale puro. Non è anche questo in contraddizione con la volontà popolare espressa nel referendum del 1993?
«Esiste questo rischio di un ritorno al passato. E tuttavia le sentenze della Corte, pur criticabili, non sono modificabili. La sentenza indubbiamente reca un vulnus per tutto il sistema istituzionale. Non si può fare finta di niente e continuare come se non fosse successo nulla».
Come si può ragionare di un percorso di riforme costituzionali nel 2014 da parte di questo Parlamento? Il ministro Quagliariello ha proposto proprio questo percorso per rispondere alla pronuncia della Consulta.
«Sono consapevole che esiste questa interpretazione, che è diversa dalla mia. Io ritengo che questo Parlamento debba sicuramente fare una legge elettorale quanto prima. Sarebbe opportuno che la legge fosse approvata almeno da un ramo del Parlamento prima delle motivazioni della Consulta. A quel punto si potrebbe sperare in un rinvio della pubblicazione della decisione per consentire l’approvazione definitiva».
Lei disegna uno scenario da tsunami politico-istituzionale…
«È una sentenza di enorme portata, un precedente di peso anche allargando lo sguardo ad altri paesi. È tuttavia sempre possibile che la Corte, nelle motivazioni, mitighi la portata di questa sentenza. Ma non è scontato che ciò accada».
Andrea Carugati
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