Febbraio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ALFANO REPLICA: “DA SOLA FORZA ITALIA NON CE LA FA”
«Si scordino la riedizione della Casa delle libertà ». Alfano che pretende di tornare in squadra dettando condizioni gli piace poco o nulla.
Figurarsi Casini che indossa i panni del figliol prodigo giusto ora, parecchi anni dopo lo strappo. «Se vogliono allearsi con noi e rientrare, bene, facciano pure, ma devono passare attraverso il riconoscimento della mia leadership» spiega serafico e risoluto Silvio Berlusconi ai pochi dirigenti sentiti da Arcore.
Ritiro in relax, il giorno dopo il bagno di folla a Cagliari, non si muoverà da Villa San Martino prima di mercoledì. E da lì, testa ora sugli affari del partito, cercherà di riportare la calma tra i lealisti in agitazione.
Nelle prossime ore, forse già oggi – dicono – potrebbe nominare l’ufficio di presidenza da 36-40 membri con tutti dentro, per fare «tutti contenti » e sedare i vari Fitto, Gasparri, Romano in fibrillazione per l’ascesa di Giovanni Toti.
Ma quel movimento al centro, tiene a far sapere il Cavaliere, lo lascia del tutto «indifferente»: «Non hanno capito che io punto già ad altro, la legge elettorale chiusa con Renzi non lascia spazio ai giochetti».
E soprattutto, va ripetendo, «noi corriamo da soli per puntare al 37, chi vuole salga sul carro, ma io non mi faccio più ricattare da nessuno».
Tanto meno, lascia intendere, dall’ex pupillo Alfano. L’innalzamento dello sbarramento al 4,5 per cento, se non fosse stato chiaro, è stato pensato apposta per lui. Altro che primarie, altro che condizioni per rientrare.
Eppure le ha proprio dettate, il leader Ncd nell’insolita conferenza stampa domenicale. Convocata per dire che il suo partito «è decisivo per la vittoria e Forza Italia da sola non può pensare, col 20 per cento, di mangiare tutti gli altri partiti».
L’obiettivo semmai è allearsi e «puntare al 37 per cento in un nuovo centrodestra, con un nuovo programma e primarie di coalizione per la scelta della leaedership: siamo noi il principale partito del centrodestra futuro e Forza Italia senza di noi non sa dove andare».
Un’alzata di scudi che suscita immediate reazioni stizzite.
Raffaele Fitto, guida dei lealisti berlusconiani, rinfaccia tanto per cominciare al ministro degli Interni la «grave pugnalata» inferta al leader con la scissione e gli sbarra la strada: nessun rientro «finchè sta al governo con la sinistra, facendo la stampella».
Il deputato pugliese ne ha anche per il neo consigliere del capo, Toti, che non riconosce affatto come futuro leader. «Ne abbiamo solo uno ed è Berlusconi, qualsiasi ipotesi successiva sarà determinata da strumenti e regole democratiche » dice, alludendo anche Fitto a probabili primarie alle quali lui stesso (in assenza del leader) difficilmente si sottrarrebbe.
Ma anche falchi come Michaela Biancofiore non gradiscono le sortite di Alfano: «Non dia per scontata una riedizione della Casa delle libertà ed eviti di attribuirsi vittorie non sue sulla legge elettorale. Forza Italia può conseguire il 37 per cento con Berlusconi».
Gianfranco Rotondi apprezza invece il rilancio delle primarie fatto da Alfano, «tra un mese rilancerò la mia candidatura» fa sapere il dc forzista.
Nel “Mattinale”, organo di propaganda del gruppo, si registra la brusca virata alla quale è stato costretto il suo ispiratore, Renato Brunetta. Se due giorni fa si plaudiva al ritorno di Casini sostenendo che con lui si volerebbe «oltre il 38», ieri il ripensamento, sulla scia del Berlusconi «indifferente »: «Siamo in grado di superare quota 37 da soli», si legge.
Il leader Udc, ad ogni modo, ripete al Tg5 quanto dichiarato nell’intervista a Repubblica: «La presenza di Grillo e il suo populismo, ormai al 25 per cento, rende necessario che le grandi famiglie europee si organizzino anche in Italia. Ci sono il Pse, con Renzi e Vendola, e il Ppe. E l’area moderata è la mia casa».
I ministri alfaniani lo accolgono a braccia aperte. «Siamo contenti che stiano tornando a casa, ora devono tornare anche gli elettori» dice Gaetano Quagliariello, responsabile Riforme.
Ma al centro tutto è in movimento. «Fermare il declino» di Michele Boldrin, ad esempio, lavora per le Europee a una progetto liberal democratico che si ispira all’Alde di Guy Verhofstadt.
Ma su tutte le liste più piccole incombe la ghigliottina del 4 per cento.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
DOPO IL VOLTAFACCIA DI CASINI IL CENTRODESTRA CON IL 37,9% VINCEREBBE AL PRIMO TURNO
Pier si alza sulle punte, compie qualche passetto verso destra e si prepara all’esercizio preferito:
la piroetta.
Il Pd ha voluto l’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza al 37% e il Cavaliere sta facendo la collezione di alleati per battere sul filo Matteo Renzi. L’ultimo sondaggio Ipsos lo conferma: Forza Italia e Udc insieme porterebbero il centrodestra al 37,9 % dei consensi (leggi) con il risultato di vincere al primo turno“Se siamo credibili, prendiamo un voto più degli altri. Certo, se per farci paura basta uno starnuto di Pier Ferdinando Casini, allora ‘Houston abbiamo un problema’”. Matteo Renzi, intervistato da La Repubblica, si mostra sicuro.
L’ultima piroetta di Pierferdinando Casini, dato in avvicinamento (di nuovo) a Silvio Berlusconi, non lo spaventa. “Siamo il Pd, noi. Dobbiamo dire qual è la nostra idea di società . Non basta più essere contro Silvio Berlusconi – spiega il segretario Pd – Se vogliamo il bipolarismo non mi stupisce che Casini stia di là ”, ma una vittoria del Pd “non dipende dal sistema di voto, vinci se affascini gli italiani con le tue idee, non se pensi di farti la legge su misura“.
Alle urne i democratici si presenteranno con un’alleanza “con forze di centro e di sinistra”, ma il punto “è impedire il potere di ricatto dei piccoli partiti”.
Eppure l’ultimo sondaggio Ipsos fa sapere che un’alleanza tra Fi e Udc porterebbe il centrodestra ad ottenere il 37,9% dei consensi, affermandosi al primo turno e, con il premio di maggioranza, a conquistare 326 seggi.
Insomma, la legge elettorale partorita da Renzi e Berlusconi potrebbe produrre uno scenario potenzialmente pericoloso per il Partito democratico.
Secondo il sondaggio sono due le ipotesi che si delineano nell’orizzonte politico italiano.
Nella prima, antecedente la decisione di Casini di rientrare nella coalizione di centrodestra, si renderebbe necessario il turno di ballottaggio giacchè nessun partito o coalizione raggiunge la soglia del 37%: il centrosinistra otterrebbe il 36%, il centrodestra il 34,8%, il M5s 20,7% e il Centro il 5,4%.
Il secondo scenario prevede l’ipotesi di un’alleanza dell’Udc con il centrodestra che in tal caso raggiungerebbe il 37,9%, affermandosi al primo turno, conquistando il premio di maggioranza e ottenendo 326 seggi (di cui 259 a FI e 67 a Ncd), rispetto ai 185 del centrosinistra (tutti al Pd) e ai 106 del M5S.
Reagisce all’accusa di trasformismo il diretto interessato, Casini: “Ho scelto di allearmi con il centrodestra non per far rivivere i partitini e le nomenclature del passato — assicura parlando a La Telefonata di Belpietro, su Canale 5 — ma per dar vita ad un programma serio e innovativo. Fa bene Matteo Renzi a non meravigliarsi di questa mia scelta politica che ha come obiettivo anche la riorganizzazione del Ppe“. D’altra parte, ribadisce Casini, “il progetto centrista è fallito, anche perchè l’area del terzo polo è stata occupata da Beppe Grillo, un populista pericoloso”.
Certo, il ritorno a casa non sembra profilarsi proprio come indolore: “Per noi c’è una pre-condizione per rientrare, ovvero il riconoscimento della leadership di Berlusconi — dichiara Laura Ravetto ad Agorà , su Rai Tre — E non l’ho ancora sentito pronunciarsi su questo. Non è questione di tornare sui ceci, se ci fosse un riconoscimento della leadership ben vengano tutte le persone che possono contribuire alla vittoria del centrodestra”.
Ma anche nell’altra parte dell’ex polo di Monti ci sono movimenti: “Casini non è una sorpresa — dichiara Stefania Giannini, segretario di Scelta Civica — mi sembra coerente con una posizione politica che si è sempre basata sul tatticismo, sulla ricerca di una collocazione migliore per la propria sigla”,
Scelta civica invece si prepara a un’alleanza di centrosinistra.
E Andrea Romano, capogruppo montiano, conferma: “Finchè in campo rimarrà Berlusconi nel centrodestra non c’è alternativa al berlusconismo. Ma il vero potenziale di cambiamento è sull’altro versante dove Renzi ha scardinato il fronte della sinistra tradizionale e conservatrice”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
“LA LEGGE ELETTORALE NON SI TOCCA, GOVERNO FINO AL 2018 SE FA LE RIFORME”
Il centrosinistra può vincere anche senza i centristi di Casini. La legge elettorale si può modificare solo con l’accordo di tutti. Il rimpasto lo deve decidere Letta e la legislatura può andare avanti se si fanno le riforme. Grillo si sta sgonfiando come un palloncino ma gli atti di questi giorni sono squallidi e squadristi.
Il segretario del Pd Matteo Renzi rilancia.
È sicuro che la strada imboccata può portare a disegnare un nuovo assetto istituzionale e politico. Confermando il bipolarismo e restituendo al fronte progressista la chance di guidare il paese «senza larghe intese».
«Se vogliamo il bipolarismo – avverte –, non mi stupisce che Casini stia di là . Anzi io assegno all’Italicum la forza di aver salvato questo principio. E ha messo a tacere i cantori della Prima Repubblica».
Ma non teme che Berlusconi si rafforzi? Mette insieme tutti i centristi, riunisce un bel po’ di listine e batte di nuovo il centrosinistra.
«Ma la nostra vittoria non dipende dal sistema di voto. Sarebbe il fallimento della politica se affidassimo il nostro successo alla legge elettorale e non alla qualità delle proposte e delle leadership. Vinci se affascini gli italiani con le tue idee, non se pensi di farti la legge su misura».
Lei quando si tornerà alle urne si presenterà da solo o con un’alleanza?
«È chiaro, con un’alleanza. Ma adesso siamo un passo indietro. C’è un accordo siglato da forze politiche diverse. Non accadeva dal 1993, ossia dalla fine della Prima Repubblica. Da quel momento le riforme le hanno fatte tutti a maggioranza. Riguarda anche il Senato e il Titolo V. Il dibattito non può essere allora come ci si presenterà alle elezioni. Anche se è evidente che faremo un’alleanza con forze di centro e di sinistra. Il punto però è impedire il potere di ricatto dei piccoli partiti».
Va bene. Ma prendiamo Sinistra e Libertà di Vendola. Perchè dovrebbe allearsi con lei se sa di non arrivare al 4%?
«Dovranno fare uno sforzo per superare lo sbarramento. Sarebbe strano non muoversi in questa direzione. Di certo non è accettabile che chi prende una percentuale minimale poi faccia il bello e il cattivo tempo. Ricorda il 2006 e l’agonia del governo Prodi causato proprio dai partitini?».
Nel 2008 invece Veltroni ottenne un buon risultato di partito ma perse le elezioni inseguendo la vocazione maggioritaria.
«Se siamo credibili, prendiamo un voto più degli altri. Certo, se per farci paura basta uno starnuto di Casini, allora “Houston abbiamo un problema”. Siamo il Pd, noi. Dobbiamo dire qual è la nostra idea di società . Non basta più essere contro Berlusconi. Dobbiamo salvare l’Italia e cambiarla a 360 gradi. E allora discutiamo se si fanno investimenti per la scuola e per la pubblica amministrazione. Parliamo della società , dei meriti e dell’uguaglianza».
Questo sembra uno slogan usato negli anni ’80 da Claudio Martelli.
«Ma a un giovane che non sa chi sia Martelli, gli devi dire se vanno avanti i figli di papà o chi ha merito. Se non lo fai, allora è conservazione»
È un modo per rispondere anche a Grillo?
«Per la prima volta rincorre, è in difficoltà . Se la politica fa le cose che promette, lui si sgonfia come un palloncino».
Ora però c’è qualcosa di più, gli insulti, i libri bruciati, l’assalto alle istituzioni, la violenza. Non vede una strategia del caos, un disegno eversivo?
«Sono tutti atti tecnicamente squadristi. Alcuni di loro sono dei bravi ragazzi, ma quando scendono Grillo e Casaleggio la linea è chiara. Sperare nel fallimento e aizzare il caos. Adesso i teorici dello streaming e della trasparenza si sono ridotti a chiedere il voto segreto come un partitino da prima Repubblica. Dovevano rendere il palazzo una casa di vetro, ma scommettono sui franchi tiratori».
Nella prima Repubblica il presidente della Camera non avrebbe mai ricevuto quegli insulti.
«Che sono squallidi. Del resto quando il pregiudicato Grillo ha l’insensibilità di dire cosa fareste in macchina con la Boldrini… Detto questo il questore Dambruoso dovrebbe dimettersi, perchè non bastano le scuse dopo quello che abbiamo visto. La presidente della Camera avrebbe potuto gestire meglio l’ultima settimana anche nelle calendarizzazioni. Ma questo non può giustificare la volgarità e lo squallore dei grillini».
Lei considera il bipolarismo un elemento fondamentale. Quindi la riforma elettorale non si tocca?
«Nessun sistema elettorale è perfetto e le correzioni sono sempre possibili. È fondamentale però salvaguardare il bipolarismo, appunto, e il ballottaggio. Ma nessuno può pensare di imporre le proprie modifiche agli altri. Si cambia solo se si è tutti d’accordo».
Eppure una parte del Pd vuole intervenire sul testo anche senza l’accordo di Forza Italia.
«Condivido nel merito alcune preoccupazioni della minoranza. Ma non posso non riconoscere che Fi ha fatto un passo avanti grandissimo accettando il ballottaggio. Non si può rischiare a colpi di emendamenti di far saltare tutto. Abbiamo fatto un accordo e non accetto piccole furbizie. Berlusconi per adesso ha mantenuto gli impegni e non sarà certo il Pd a venire meno alla parola data, visto che la nostra direzione si è espressa. Siamo un partito, non un club di liberi pensatori».
Magari i forzisti non ne sono così sicuri.
«Non si preoccupino della nostra compattezza. Il 92% del gruppo democratico era in aula al momento del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità . Quelli di NCD il 68%, quelli di scelta civica il 57%. I deputati Forza Italia erano il 77%. Semmai mi preoccupa la loro compattezza».
In che senso?
«La Lega non ha partecipato al voto e Salvini continua a dire che non è interessato alla norma di salvaguardia regionale. Come pensano sia possibile che votiamo quell’emendamento se provoca tanto disgusto nel segretario leghista? Non sia mai che offendiamo la sua spiccata sensibilità ».
Lei dice che va salvata l’Italia. Ma ci dovrebbe pensare anche il governo.
«Tocca al presidente del consiglio decidere cosa fare. Se pensa che questo governo vada bene, ok. Se pensa che non vada, dica cosa vuol cambiare e quali ministri vuole sostituire. Ma non si usi l’alibi del Pd per evocare un rimpasto o per mettere dei renziani. Questo schema mi inorridisce. Io sono il segretario del Pd e non dei renziani. Non voglio partecipare a vecchie liturgie da Prima Repubblica. Faccia lui. Non sarò mai un “vetero-cencelliano”».
Nel senso del manuale Cencelli?
«L’altro giorno nella mia stanza è venuto il capogruppo di Italia Popolare, una persona perbene come Dellai. Con lui si è presentato un deputato del suo schieramento e mi ha detto: “Se volete il nostro accordo, a noi cosa date?”. Gli ho chiesto di uscire dalla stanza. Siamo al governo del Paese, non al mercato del bestiame. Io mi occupo di cose concrete, dei cantieri da aprire in mille scuole, della riforma di una pubblica amministrazione barocca, della necessità di non doversi rivolgere a un capo di gabinetto per sbloccare una pratica, degli investimenti stranieri su cui tutti devono riflettere».
Perchè?
«In un anno il loro valore è dimezzato. Un Paese che non attrae è un Paese spacciato. Dobbiamo recuperare appeal. Farli venire e farli restare in Italia».
Proprio oggi Letta parla di una ripresa già avviata.
«Non ho letto le dichiarazioni del presidente del consiglio. Ci sono segnali di ripresa a livello internazionale, il Pil negli altri paesi cresce. È interessante per l’Italia non sprecare l’inizio di questa ripresa. Ma non c’è ripresa senza occupazione. C’è ancora molta strada da fare».
E Letta fino a quando andrà avanti?
«Basta con il quanto dura! E un governo, non un iphone. Questa legislatura può durare fino al 2018, ma deve affrontare con decisione i problemi veri».
Si arriva al 2018 anche se si fa un nuovo esecutivo e lei va a palazzo Chigi.
«Il problema non è il nome del premier, che per quel che mi riguarda si chiama Enrico Letta, ma le cose da fare. Io mi occupo di queste, non di altro».
Claudio Tito
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
INIZIAMO CON LUIGI DI MAIO: STIPENDIO DI OTTOBRE 11.718,19 (3.108,61 DI BASE PIU’ 8,609,58 DI RIMBORSI SPESE)
Siamo tra i pochi blog di destra (quella vera) che fin dall’inizio della farsa grillina sugli stipendi
parlamentari (“prenderemo solo 2.500 euro”) avevano denunciato l’inganno, dati alla mano, sostenendo che in realtà i parlamentari Cinquestelle avrebbero incassato uno stipendio intorno agli 11.200 euro invece che i 13.700 dei loro colleghi.
Poichè nell’area di destra esiste anche la categoria dei disinformati (oltre a quella dei creduloni, per non parlare degli imbecilli), pubblichiamo lo stipendio accreditato a Luigi Di Maio ad ottobre, pari a 11.718,19 euro.
A scanso di equivoci precisiamo che la fonte è ufficiale e ricavata dal sito Cinquestelle.
On. Luigi Di Maio (M5S)
Stipendio base mensile € 3.108,61 + € 8.609,58 (rimborsi spese)
per un Totale di € 11.718,19 (Ottobre 2013)
Se poi qualcuno vuole rovinarsi la giornata può approfondire di seguito il dettaglio spese fornito dallo stesso Di Maio
€ 1.000,00 Alloggio a Roma, locazione e utenze [sembra significhi affitto dell’appartamento, bollette di acqua, luce, gas, ecc. che pare paghiamo noi
€ 913,10 Alloggio altro [non si sa, si sarà rotta la lavatrice]
€ 362,80 Trasporti Roma [un po’ cari ma i mezzi pubblici costano, tanto glieli paghiamo noi]
€ 495,95 Vitto [paghiamo sempre noi tranquillamente]
€ 136,80 Bar/Mensa Camera [un caffettino ogni tanto per stare svegli aiuta a lavorare meglio. Paghiamo sempre noi.]
€ 298,11 Altro [non si sa]
€ 1.212,42 Consulenze [imprecisate]
€ 120,00 Consultazione dati [costi della politica, che ora costa]
€ 1.495,60 Convegni (perch’ dovremmo pagarli noi?)
€ 829,49 Gestione ufficio [qualche cosuccia per lavorare]
€ 170,00 Ricerche [vedasi voce “costi della politica”]
€ 1.575,31 Eventi sul territorio [perchè dovremmo pagarlo noi?]
Fonte:
http://www.tirendiconto.it/trasparenza/rendicontazione.php?user=47&mese=10&tipo=D
(1 – continua)
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Febbraio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
NO A UN GOVERNO DI SCOPO PD-FI… LE RIFORME VANNO BENE MA SOLO SE RIGUARDANO GLI ALTRI
Solitamente la prima fase di vita dei governi è sostenuta da un elevato consenso, la cosiddetta luna di miele, seguita da una flessione.
Il governo guidato da Enrico Letta non fa eccezione: nei primi mesi di vita veniva apprezzato da circa il 60% degli elettori mentre oggi esprime gradimento il 45%, con una netta prevalenza di voti positivi tra gli elettori del Pd (64%) e ancor più tra quelli centristi e del Nuovo centrodestra (72%), mentre tra quelli di Forza Italia, M5S e tra gli indecisi e gli astensionisti prevalgono i giudizi negativi.
L’apprezzamento del governo risulta più elevato tra le persone con più di sessant’anni e in particolar modo tra i pensionati e possessori di titolo di studio basso. Particolarmente critici con l’esecutivo risultano invece i lavoratori autonomi e le casalinghe, i primi alle prese con una congiuntura economica molto difficile, le seconde con la quadratura dei bilanci familiari.
Le ragioni della diminuzione del consenso nei confronti dell’esecutivo sono da attribuire prevalentemente a due motivi: il primo riguarda l’uscita dalla maggioranza di Forza Italia, che attualmente rappresenta il secondo partito nelle intenzioni di voto; il secondo riguarda l’annoso problema delle riforme: nella situazione di perdurante crisi economica aumentano le aspettative di interventi che favoriscano la crescita, l’occupazione, la riduzione della pressione fiscale e il miglioramento del potere d’acquisto.
Le misure finora adottate dal governo, sebbene apprezzate da molti, sono giudicate insufficienti e si vorrebbero interventi più incisivi.
Ma il tema delle riforme è accompagnato da una grande contraddizione nell’opinione pubblica: la maggior parte le reclama a gran voce purchè riguardino «gli altri»; le riforme, infatti, sono impopolari perchè obbligano i cittadini a mettere in discussione le loro abitudini, i loro diritti acquisiti.
Non è un caso che gli interventi sulle pensioni e sul mercato del lavoro promossi dal ministro Fornero nel 2012 abbiano determinato nel breve volgere di qualche mese un brusco calo di consenso (circa 20%) nei confronti del governo Monti che risultava sostenuto, al suo esordio, dall’apprezzamento del 64% degli elettori.
Riguardo agli scenari politici futuri le opinioni si dividono: 54% auspica la permanenza del governo Letta (16% il più a lungo possibile, 38% almeno fino all’approvazione delle principali riforme istituzionali) mentre il 42% vorrebbe andare al più presto al voto (32% non appena approvata la nuova legge elettorale e 10% immediatamente, con quel che resta del Porcellum).
Particolarmente favorevoli ad una prosecuzione del governo Letta, oltre agli elettori Pd (69%) e agli elettori centristi e del Nuovo centrodestra (79%), anche i pensionati (68%) e commercianti e artigiani (69%).
Questi ultimi pragmaticamente auspicano che il governo faccia tutte le riforme necessarie prima di andare al voto (65%).
Al contrario propendono per un rapido ritorno al voto gli operai (55%), i disoccupati (49%) e le persone intenzionate a votare il M5S (70%).
Riguardo alla possibilità di un governo di scopo guidato da Matteo Renzi e sostenuto da Pd e Forza Italia prevalgono gli oppositori (il 39% paventa contrasti continui tra i due partiti) e gli scettici (il 33% ritiene che non cambierebbe molto rispetto ad oggi), mentre i sostenitori di questa ipotesi (24%) rappresentano una minoranza tra tutti gli elettorati con l’eccezione di quelli di Forza Italia che intravedono in tal modo la possibilità di andare al governo, far valere il proprio peso ed approvare più speditamente le riforme istituzionali.
L’analisi del rapporto tra opinione pubblica e governo negli ultimi anni evidenzia un’elevata ciclicità : all’entusiasmo per il governo degli ottimati presieduto da Monti ha fatto seguito il desiderio di mettere da parte il governo dei tecnici per tornare ad un governo «politico»; a seguire, le «larghe intese» sono state considerate una scelta necessitata dal risultato elettorale (che imponeva un’alleanza per poter costituire una maggioranza di governo) e sono state inizialmente vissute con atteggiamenti positivi, come un’occasione per voltare pagina, lasciarsi alle spalle la dura contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra degli ultimi vent’anni e mettere al centro l’interesse del Paese e la ricerca di punti di mediazione, di compromessi alti; oggi ciò che resta delle larghe intese mantiene comunque un consenso elevato, benchè minoritario, ma prevale la percezione che si tratti di una convivenza obbligata, tenuto conto dell’attuale composizione delle Camere.
All’orizzonte si intravvede una prospettiva di cambiamento, con nuovi protagonisti e nuove proposte: chi è fuori dalla mischia risulta sempre avvantaggiato, ma è opportuno considerare che l’aumento delle aspettative dei cittadini va di pari passo con la durata del consenso che ha tempi sempre più brevi.
È il paradosso della politica moderna: rincorre il consenso evocando cambiamenti e riforme che, se adottate, determinano il rischio di vederlo evaporare.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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