Gennaio 5th, 2015 Riccardo Fucile
DA NETANYAHU ALLA FAMIGLIA BLAIR
«Inderogabili esigenze in connessione con l’esercizio di funzioni istituzionali» e «indisponibilità
di mezzi alternativi e di voli di linea».
Sono queste, oltre alle ovvie esigenze legate alla sicurezza, le regole standard stabilite dai governi di mezzo mondo per l’utilizzo dei «voli di Stato» da parte delle massime autorità dei rispettivi Paesi.
L’Italia non fa eccezione.
Anche da noi – ben prima che scoppiasse la polemica sulla vacanza a Courmayeur del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, volato con la famiglia da Roma ad Aosta, via Firenze, a bordo di un Falcon 900 dell’Aeronautica militare – il fascino per il «volo blu» ha messo nei guai esponenti di centrodestra e di centrosinistra.
In caso di denuncia, le inchieste penali e contabili vengono generalmente archiviate (come, di recente, nel caso del ministro Pinotti denunciata dal M5S) ma l’impatto sull’opinione pubblica rimane.
In Gran Bretagna, dove la Royal Air Force possiede una flotta Vip modesta al servizio della Regina e del governo, non esiste alcun obbligo di servirsi del «volo di Stato» per motivi di sicurezza.
Così nel ’98 scoppiò un caso perchè il premier laburista Tony Blair si era servito della Raf tra Londra e Bologna, portando con sè la famiglia. Blair, incalzato dai conservatori, si difese asserendo che avrebbe saldato il conto del biglietto per moglie e figli ma soprattutto aggiunse che, oltre alla villeggiatura a Villa Strozzi di San Gimignano, lui aveva in programma un pranzo con il collega Romano Prodi.
E anche la prima presidenza di Barack Obama (anche lui, come i suoi predecessori, «costretto» dai servizi di sicurezza a volare sull’«Air Force One») si apriva con una polemica, obbligando la Casa Bianca a rassicurare i contribuenti in occasione di un viaggio in Francia: «La famiglia del presidente raggiungerà Parigi con un jet del governo per evidenti motivi di sicurezza ma verranno rimborsate le spese del volo secondo quelle che sono le tariffe commerciali della tratta».
Negli Usa, poi, al vicepresidente Joe Biden è stato interdetto l’uso del treno che lo riportava a casa nel Delaware perchè la scorta non era in grado di difendere i convogli Amtrak
In Germania, la cancelliera Angela Merkel è libera di usare collegamenti di linea, se vuole.
A Berlino, le regole ferree sull’utilizzo dei velivoli della Luftwaffe (il cui stormo Vip è più asciutto di quello italiano) hanno costretto alle dimissioni l’ex ministro della Difesa Rudolf Scharping perchè nel 2002 si fece aviotrasportare dai Balcani a Palma di Maiorca dove lo attendeva la sua futura moglie.
Ora Palazzo Chigi, dopo la trasferta di Renzi ad Aosta, non si discosta dalla versione fornita al M5S che ha sollevato il caso: «Rispettati i protocolli in linea con quanto avviene per i capi dei Stato e di governo di tutto il mondo».
Il premier ha poi aggiunto: «Quando non sarò più presidente del Consiglio tornerò beato e sorridente alla mia bicicletta. Nel frattempo, rispettando le regole, torniamo alle cose serie…»
Motivi di sicurezza, dunque, hanno convinto il premier ad utilizzare un «volo di Stato» per andare a Courmayeur.
Un po’ la stessa motivazione che però non è servita neanche al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (che in fatto di «obblighi di sicurezza» ha pochi rivali al mondo) quando scoppiò uno scandalo perchè si scoprì che, in occasione dei funerali di Margaret Thatcher, il volo di Stato Tel Aviv-Londra costò al contribuente 100 mila euro (compreso il lettone montato sul velivolo).
E si aggrappò alla sicurezza il ministro della Difesa Ignazio La Russa pizzicato su un «volo di Stato» che utilizzò per poter assistere a una partita dell’Inter.
Nel 2007, il vicepremier Francesco Rutelli e il Guardasigilli Clemente Mastella si fecero trasportare da un Airbus a 48 posti, con moglie il primo e figlio il secondo, da Napoli a Milano per assistere al Gran Premio.
L’allora premier Prodi salvò Rutelli (doveva premiare il vincitore del GP) e varò un regolamento draconiano sui «voli blu» (introducendo, tra l’altro, il biglietto per i giornalisti).
Nel 2009 parte di quelle regole furono ammorbidite da Berlusconi che non lesinava passaggi sulla rotta Roma-Olbia
L’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa (governo Prodi) andava ai vertici di Bruxelles con Easyjet, così come il premier inglese David Cameron usava voli low cost per una vacanza ad Ibiza con la moglie.
La cancelliera Merkel, come ricorda Beppe Grillo (#Renzivolasereno»), «per le vacanze di Pasqua a Ischia del 2012 arrivò a Napoli con un volo separato da quello del marito…».
Ma a guardar bene negli archivi, ci sono altre immagini di presidenti della Repubblica e del Consiglio che vanno in vacanza con mezzi propri: Romano Prodi con la sua non fiammante vettura che arranca sul passo Campolongo, nel 2006; Giorgio Napolitano a Stromboli, in compagnia della moglie Clio, che scende dal «postale» Napoli-Eolie con una borsa a tracolla e la paglietta stretta tra le dita, nel 2010; Enrico Letta che sbarca all’aeroporto di Trieste dal volo Alitalia AZ1365 con moglie e tre figli per andare in vacanza in Slovenia con un’auto presa a noleggio, il 30 dicembre del 2013.
Un anno fa.
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 5th, 2015 Riccardo Fucile
“LA PROVA DELLA PERSECUZIONE CONTRO DI ME: E’ UN MODO PER ATTACCARE IL PATTO DEL NAZARENO”
«Ma davvero Matteo vuole fare marcia indietro su quella norma?» Uno stupore misto a irritazione coglie Silvio Berlusconi quando in tarda mattinata – dopo aver letto i giornali sul polverone del colpo di spugna «involontario» a suo beneficio – gli comunicano dell’intervento di Palazzo Chigi.
Sebbene un ritocco ufficiale del decreto di Natale ci sarà solo tra qualche settimana, l’invio in Parlamento «solo dopo l’elezione del capo dello Stato», come ha precisato Renzi.
Così, la reazione iniziale da Arcore è stizzita: «Mi tirano sempre in ballo, io di questa storia non ne so nulla».
La marcia indietro considerata un «grave vulnus», una vera e propria «norma contra personam»: rivederla solo per evitare che degli effetti si avvantaggi anche il «cittadino Berlusconi».
Lui ripete ai dirigenti che lo chiamano per avere lumi sul caso, che «a riconoscere la mia innocenza e a cancellare gli effetti di quella sentenza sarà la Corte europea dei diritti dell’uomo».
Detto questo, nessuna ritorsione sulle riforme o sul Quirinale all’orizzonte, anzi, ben presto l’irritazione – raccontano – lascia il posto alla fiducia in Renzi, comunque, nonostante tutto.
L’avvocato Ghedini per altro ha continuato a ripetergli che quella norma fiscale non avrebbe mai portato alla sanatoria sperata. Sarà .
Sta di fatto che alla fine nell’ex Cavaliere si fa largo la convinzione che «è stata montata ad arte una campagna per delegittimare il patto del Nazareno, proprio ora che stiamo conducendo in porto le riforme e ci apprestiamo ad eleggere insieme il capo dello Stato».
Qualcuno che «dentro il Pd lavora per sabotare» l’accordo politico-istituzionale tra gli opposti al quale mai Berlusconi verrebbe meno. Troppi interessi in gioco, troppe aspettative in ballo.
Sia Denis Verdini che Gianni Letta infatti suggeriscono prudenza, evitare reazioni, zero commenti.
«La verità è che un processo di pacificazione è già partito, è in atto, che sia questa norma o un’altra che verrà oppure un provvedimento del prossimo capo dello Stato, poco importa, quel che conta è l’obiettivo», spiega uno dei fedelissimi, di casa a Villa San Martino.
La linea ufficiale è quella che il consigliere Giovanni Toti affida a quel Tg4 già diretto in passato: «Di questo provvedimento abbiamo appreso i contenuti solo leggendo i giornali e le polemiche non ci riguardano. Il presidente Berlusconi avrà i propri diritti politici restaurati dalla sentenza della Corte europea. Detto questo, se si ritira un provvedimento per il sospetto che aiuti lui anche se aiuta i cittadini, allora l’Italia è destinata a non cambiare mai».
Si rifà alla storia dei mandanti “occulti” della trappola Daniela Santanchè: «Ogni alibi è buono pur di attaccare l’unico patto oggi in Italia che possa garantire le riforme e cioè il Nazareno. Pur di sabotarlo, gli esclusi dalle decisioni importanti sono disponibili ad inventarsi qualsiasi cosa. La verità è che in Italia i cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge, eccetto Berlusconi ».
Osvaldo Napoli sostiene che Renzi avrebbe dovuto «mantenere il decreto: da oggi è più debole».
Per la deputata Sandra Savino «è la solita ossessione antiberlusconiana, la sinistra, compresa l’attuale nomenclatura, sembra non riuscire a scrollarsi di dosso il pregiudizio. Si è persa un’occasione».
Per il momento, sembra l’abbia persa però il suo leader.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 5th, 2015 Riccardo Fucile
CASERO DELL’NCD NEGA: “ACCUSA LUNARE”
Una norma del decreto legislativo in materia fiscale, approvato dal Consiglio dei ministri il 24
dicembre, ha scatenato un putiferio.
Sotto accusa l’articolo 19 bis che prevede l’esclusione della punibilità «quando l’importo delle imposte sui redditi evaso non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato».
Secondo alcuni giuristi e politici consentirebbe la cancellazione della condanna di Berlusconi a quattro anni per frode fiscale.
In sostanza il Cavaliere potrebbe chiedere l’annullamento degli effetti della legge Severino, cioè l’incandidabilità per sei anni, con il risultato di ottenere la piena agibilità politica
Renzi blocca il decreto
Di fronte ai sospetti e alle polemiche, il premier ha deciso che il provvedimento tornerà al Consiglio dei ministri per essere rivisto.
«Di tutto abbiamo bisogno – dicono a Palazzo Chigi – tranne che dell’ennesimo dibattito sul futuro di un cittadino, specie in un momento come questo dove qualcuno teorizza strampalate ipotesi di scambi politici-giudiziari, anche alla luce del delicato momento istituzionale che il Paese si appresta a vivere».
Il riferimento è all’elezione del nuovo Capo dello Stato.
I 5 Stelle attaccano a testa bassa, parlano di «regalo di Natale» a Berlusconi. Grillo accusa Renzi di proteggere l’evasione fiscale: «Renzi nega, ma la verità è plateale». Attacca anche il leader Salvini. «Il decreto inciucio sul fisco è l’ennesima “renzata”. Un giorno promette una cosa e poi il giorno dopo la smonta e poi ricomincia daccapo. Ha fatto così sull’Irap, tasse, Europa».
Non meno tenera la minoranza Pd che con D’Attorre chiede a Renzi di svelare chi a Palazzo Chigi abbia inserito la norma visto che non è uscita dal ministero dell’Economia.
Il premier reagisce e prova a neutralizzare il sospetto: «Se qualcuno immagina che in questo provvedimento ci sia non si sa quale scambio, non c’è problema: ci fermiamo. La norma la rimanderemo in Parlamento soltanto dopo l’elezione del Quirinale. Dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a Cesano Boscone».
Il Quirinale e Bassanini
Il sospetto riguarda sempre il reale contenuto del patto del Nazareno. Cosa ottiene Berlusconi in cambio dell’accettazione di un candidato proposto da Renzi?
Dentro Fi gira il nome di Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti. Un nome gradito a Renzi perchè non gli farebbe troppa ombra, dicono fonti Fi, e sul quale il Cavaliere potrebbe essere tentato di dire sì.
Ma questa partita, spiegano gli azzurri, non ha nulla a che fare con la norma bloccata da Palazzo Chigi.
Zanetti e Casero
Indice puntato contro il sottosegretario all’Economia Casero, esponente di Ncd, considerato ancora in ottimi rapporti con Berlusconi.
E’ sua la manina che ha inserito l’articolo 19 bis? «Un’accusa lunare: io ho il mandato di seguire il provvedimento in Parlamento. Cosa sia successo a Palazzo Chigi e al Consiglio dei ministri non lo so. Mi sembra una tempesta in un bicchiere d’acqua», dice Casero.
A sollevare pubblicamente il problema è stato l’altro sottosegretario all’Economia Zanetti di Scelta civica.
Ma non perchè ci ha visto una norma salva Berlusconi: non avrebbe inserito la franchigia del 3% per il reato di frode fiscale.
«Questo – dice Zanetti – non vuol dire che l’articolo 19 bis, che fino al 23 dicembre non c’era nel testo che ho letto, è stato inserito per Berlusconi. È stata una scelta legittima del Consiglio dei ministri e non me ne frega niente se avvantaggia anche Berlusconi. Non è possibile fare politica sempre sotto la spada di Damocle del sospetto».
Ame. Lam.
(da “La Stampa“)
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Gennaio 5th, 2015 Riccardo Fucile
MA I SUOI ACCUSANO IL VICEMINISTRO DEL TESORO: IL REGALO A SILVIO SCARICATO SU CASERO… FORZA ITALIA CI RESTA MALE
Si cambia verso: “Ci fermiamo”.
Matteo Renzi torna sui suoi passi e blocca l’incredibile norma che avrebbe riabilitato Silvio Berlusconi.
Un cavillo infilato nel decreto di Natale (e bocciato dal Tesoro), rivelato dal Fatto : quello che cancella i reati di evasione e frode fiscale se le tasse sottratte al fisco sono inferiori al 3 per cento del reddito dichiarato.
Come primo effetto l’ex Cavaliere avrebbe potuto chiedere la revoca della sentenza di condanna per frode fiscale nel processo Mediaset, quella che lo ha fatto decadere da senatore per la legge Severino, cancellando così anche la pena accessoria e l’interdizione che gli avrebbe impedito la ricandidatura fino al 2018.
Andiamo con ordine.
Dopo una mattinata di polemiche feroci, il premier decide di non trasmettere alle Camere il testo (attuativo della delega fiscale) approvato il 24 dicembre scorso, e modificato all’ultimo da Palazzo Chigi.
“Se è così (se salva Berlusconi, ndr) ci fermiamo. Non facciamo norme ad personam”, spiega al Tg5: “Non c’è inciucio. Ne riparleremo dopo l’elezione del Quirinale, quando Berlusconi avrà completato i servi sociali”.
Tutto per fugare i dubbi sulla curiosa tempistica (a poche settimane dal voto su Colle e Italicum) di una norma che non compariva nel testo elaborato dal Tesoro, e rimasto tale fino all’ultimo giro di boa, quello che precede il Consiglio dei ministri.
Le polemiche sono scattate subito. “Mi tirano sempre in mezzo”, confessa Berlusconi ai suoi. Il Movimento 5 Stelle, però, ci va giù duro: “È il regalo di Natale a Berlusconi, una delle cambiali del Nazareno”, spiega il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, membro del direttorio M5S.
“Il decreto si è scritto da solo”, ironizza Pippo Civati, voce della minoranza dem, che si fa sentire anche con Stefano Fassina: “Di — ca chi ha voluto la norma”.
Ed ecco il punto. Di chi è la manina che l’ha infilata?
Per tutta la giornata le veline di Palazzo Chigi fanno filtrare un nome: Luigi Casero, viceministro al Tesoro in quota Ncd.
“Uno che Renzi ascolta come pochi altri e che spesso fa anche partecipare al Cdm”, fanno sapere ambienti della Presidenza.
Uno che, di fatto, permette di scaricare la colpa sul ministero. Lui, Casero, non commenta — è in vacanza dal 19 dicembre (prima dell’approvazione del testo) — ma al momento opportuno si immolerà per evitare imbarazzi.
Ma c’è un però: la confessione dello stesso premier.
“La norma l’ho fatta inserire io, ma avevo ricevuto rassicurazioni tecniche da avvocati e magistrati”, confida Renzi al Fatto .
Tra i consulenti interpellati, però, c’è chi dice di non averla vista. Non sono i soli.
Dal Tesoro filtra il nervosismo per un pasticcio combinato all’insaputa degli uomini del ministro Pier Carlo Padoan.
Roberto Garofoli, lettiano capo di gabinetto del ministero, per dire, è furibondo. Preoccupazione anche ai vertici dell’Agenzia delle Entrate.
Sbalordito è invece il presidente emerito della Consulta Franco Gallo, a capo della commissione del Tesoro che ha elaborato il testo, quello senza modifica.
A colpire, però, è soprattutto la tempistica. La norma del 3%,infatti, non è spuntata nel pre-consiglio, la riunione che di norma prepara e vaglia i testi che passano al Consiglio dei ministri, e a cui avrebbero partecipato —come da prassi —anche uomini del Tesoro.
La modifica è stata invece inserita nel lasso di tempo che ha preceduto il cdm, con l’avallo del dipartimento affari giuridici della Presidenza, guidato dalla renziana Antonella Manzione, ex capo dei vigili urbani di Firenze.
Il vertice legislativo di Palazzo Chigi risponde solo a due personeil premier e il suo uomo ombra, il sottosegretario Luca Lotti. In conferenza stampa, poi, il siparietto: il premier chiede di distribuire il testo ai giornalisti ma gli dicono che non c’è.
“Ma la so a memoria, abbiamo letto gli articoli uno per uno”, assicura.
Tempistica si diceva. Ecco il secondo punto.
Il 7 gennaio l’Italicum arriverà in aula al Senato. Non è un mistero che Renzi prema per un’approvazione prima del round sul Colle, che inizierà a fine del mese.
Ma la campana di vetro che protegge il passo di marcia delle riforme, il patto del Nazareno, scricchiola.
Berlusconi è in affanno, la fronda interna di Raffaele Fitto vuole far saltare tutto. La norma, così, risolve diversi problemi.
È il “segnale” promesso nei giorni scorsi da Denis Verdini — il garante per Arcore del patto — all’ex Cavaliere: la tanto evocata “agibilità politica”.
Messaggio ricevuto. Se va male, pazienza.
Così è stato. “Ogni alibi è buono per attaccare il patto”, ha tuonato ieri la berlusconiana Daniela Santanchè.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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