Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
OBIETTIVO TENERE IN SCACCO BERLUSCONI…LA MINORANZA PD INSORGE, MA BERSANI TACE
Contro l’ostacolo del ‘salva-Silvio’, piazzato davanti a Palazzo Chigi da una tempesta perfetta e molto oscura sul decreto fiscale, Matteo Renzi guida a tutta velocità .
Il premier compie una manovra spericolata.
Arrabbiato, come lo descrivono i suoi, con chi gli ha servito questo piattino avvelenato, il premier si mette davanti al pc e compone la sua enews.
Nella quale rivendica tutto: sia la norma che depenalizza l’evasione fiscale se è inferiore al 3 per cento del reddito imponibile e sia il fatto che la stessa norma possa cancellare la condanna per frode fiscale di Silvio Berlusconi, interdetto dai pubblici e incandidabile per il processo Mediaset.
Come sa fare soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà , Renzi usa la testa d’ariete. Se ne infischia e va avanti.
Di fronte alla minoranza Pd che gli chiede di correggere subito il decreto in un consiglio dei ministri ad hoc prima della avvelenatissima partita sul dopo Napolitano, proprio per fugare i dubbi, il premier non si ferma.
La norma potrà essere rivista, spiega nella enews, ma non ora, bensì il 20 febbraio.
In quella data l’esecutivo discuterà di tutto il pacchetto di norme fiscali, solo allora e non prima.
Non prima che si sia posata un po’ di polvere sull’elezione del nuovo inquilino del Colle dopo Giorgio Napolitano, non prima che questo passaggio così cruciale si sia concluso.
Tenere Berlusconi in scacco. Fino ad allora, Renzi ha bisogno del sostegno dell’alleato del Patto del Nazareno.
E la mossa decisa oggi serve al presidente del Consiglio per legare l’ex Cavaliere al patto, per costringerlo a mantenere la parola data a cominciare dalla discussione sulla legge elettorale al via in Senato nei prossimi giorni.
Così la spiegano i suoi, senza falsi pudori.
Perchè al Senato, tra trappole e insidie della minoranza Pd e dei fittiani, l’obiettivo di approvare l’Italicum entro la fine del mese, cioè prima dell’elezione del successore di Napolitano, non è assolutamente a portata di mano, ragionano preoccupati i senatori della cerchia renziana.
Il premier, racconta chi lo ha sentito, non ha pensato nemmeno per un attimo di dare ascolto alla minoranza Dem, di convocare subito il consiglio dei ministri per rivedere il decreto fiscale.
Ritrattare ora sull’argomento “avrebbe significato mandare all’aria il lavoro di un anno costruito con Berlusconi a partire dall’incontro a Nazareno del 18 gennaio scorso”, sottolinea una fonte renziana. E dunque ecco qui, la spericolata enews che difende la norma e attacca l’antiberlusconismo della ‘vecchia sinistra’.
La rivendicazione.
Il decreto fiscale, scrive Renzi, è stato “salutato positivamente per giorni, salvo poi cambiare idea quando qualcuno ha avanzato ipotesi che contenesse una norma salva Berlusconi. Ma per evitare polemiche – sia per il Quirinale, che per le riforme – ho pensato più opportuno togliere di mezzo ogni discussione e inserire anche questo decreto nel pacchetto riforme fiscali del 20 febbraio”.
E ancora: “Una legge si adotta se serve agli italiani (in questo caso agli evasori..), non se si immagina che possa servire o non servire a un italiano”
Slitta l’incontro con Padoan.
La tentazione è di rivedere la norma in modo che non riguardi il caso di Berlusconi, magari abbassando la soglia del 3 per cento o eliminando il reato di frode fiscale.
Ma fino all’ultimo non è detto che vada così. E in ogni caso per Renzi il caso è chiuso, se ne riparlerà a febbraio.
Anche l’incontro a quattr’occhi con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, incontro che al Mef avevano segnato in agenda per oggi o domani, alla fine è slittato. Probabilmente il premier riceverà il ministro a Palazzo Chigi nei prossimi giorni, ma con la enews di oggi intanto ha infilato il dossier fisco in fondo al mese di febbraio. Nessuna urgenza. Anche perchè, a guardare il panorama parlamentare, Renzi ha più necessità di imbrigliare Berlusconi piuttosto che la minoranza Pd, ragionano i suoi.
Bersani e i suoi silenti sul ‘salva Silvio’.
Il ragionamento è presto svolto. Il premier è certo di aver ormai acquisito la ‘docilità ‘ di quella parte della minoranza Dem che lo ha aiutato a tirare in porto il Jobs Act, sfilandolo alla tempesta parlamentare pur scatenata da una trentina di frondisti Pd alla Camera.
Insomma, Renzi sa che anche per la partita sul Colle può contare su Pierluigi Bersani e gran parte di Area Riformista. Tant’è vero che l’ex segretario Dem e i suoi sono rimasti muti sul pasticciaccio del ‘salva Silvio’.
Eppure si tratta del caimano, l’avversario delle elezioni del 2013. Bersani e i suoi non hanno attaccato: un atteggiamento che nella cerchia renziana viene interpretato come una conferma ulteriore di disponibilità a lavorare con il governo e non contro.
Ragion per cui, domani, nell’assemblea con i deputati Dem, il premier potrebbe tendere la mano in materia di legge elettorale.
Vale a dire: cento collegi invece che 120 per limitare il numero dei capilista bloccati. Anche di questo parla la enews: “Cento collegi in cui ogni partito presenta un nome sul modello dei collegi uninominali, ma viene introdotta anche la possibilità di votare il proprio candidato con la preferenza. Alla fine due terzi dei parlamentari saranno eletti con le preferenze, un terzo con il sistema dei collegi”.
Gli ‘irrecuperabili’ del Pd.
Invece, il resto della minoranza Pd è irrecuperabile: lavora per sabotare il premier e il Patto del Nazareno.
Così ne parlano i renziani di stretta osservanza, così registra il lavoro di ricognizione condotto dal fedelissimo Luca Lotti per scovare le sacche di franchi tiratori nel Pd.
E dunque, nessuna sorpresa a Palazzo Chigi se la decisione di posticipare la revisione del decreto fiscale a febbraio viene attaccata duramente da Stefano Fassina (“La propaganda del premier è indecente”), da Alfredo D’Attorre (“Decisione sbagliata che rischia di aumentare fortemente polemiche e sospetti anche in vista dell’elezione del presidente della Repubblica”), da Corradino Mineo (“Sbaglia Matteo a difendere la modica quantità per evasori e truffatori. E sbaglia a rinviare a febbraio: sembra un favore a Berlusconi”).
Nessuna sorpresa: “Loro saboterebbero qualunque candidato che Matteo possa proporre alla presidenza della Repubblica”, sottolinea un fonte vicina al premier.
Dunque, la tavola di discussione politica per il mese di gennaio è così apparecchiata. Chi vuole, si siede. Ombre e difetti di chiarezza sul ‘salva Silvio’ restano sotto il tavolo.
Restano oscuri i dettagli intorno al ‘salva Silvio’ eppure la rivendicazione del pasticcio arriva via enews.
Come un delitto di cui non si sappia nulla salvo cadavere e sigla di chi rivendica il misfatto. Renzi va avanti così. La scelta è fatta.
(da “Huffingonpost”)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
LE PAROLE DI COPPI, I MESSAGGI DI ROMANI, RENZI CHE NON CONVOCA IL CDM
http://s23.postimg.org/qqdp34ul7/lotteria.jpgE adesso il “patto segreto” del Nazareno è alla
luce del sole. Illuminato da fatti concreti, dichiarazioni, atti di governo.
Avvolto da un groviglio stretto di ricatti, tra Arcore e palazzo Chigi.
È lo scambio tra la “salva-Berlusconi” che ridia all’ex premier l’agibilità politica e i voti di Forza Italia sul Quirinale. Per Silvio Berlusconi il grande scambio è ancora possibile, anzi regge ancora: “È ancora tutto aperto” ha detto ai suoi.
Ecco perchè il capogruppo Paolo Romani, uscito da un mega vertice ad Arcore, rilascia a Repubblica un’intervista concordata con Berlusconi, che suona come un doppio messaggio a Renzi.
Il primo riguarda la norma “salva-Silvio”: “E’ una norma di civiltà . Sarà il consiglio dei ministri a decidere che fare dopo l’elezione del Quirinale”.
Il secondo segnale riguarda, appunto, il successore di Napolitano: “L’ingiustizia che ha subito il nostro leader colpito da una parte minoritaria e militante della magistratura esige che il vulnus venga sanato. Chi salirà al Colle non potrà che porsi il problema”.
Parole che trovano ancora corrispondenza piena nelle mosse di palazzo Chigi. Dove Renzi va ripetendo ai suoi che considera “chiuso” il caso del decreto fiscale, per sedare le polemiche scoppiate in casa Pd. Chiuso a parole.
Perchè, nei fatti, la “salva-Silvio” è ancora tutta aperta. Approderà , lo ha dichiarato il premier, in consiglio dei ministri a marzo.
I fatti di Renzi corrispondono pienamente ai messaggi di Romani. È per questo che la minoranza Pd, a partire da Cuperlo, chiede a gran voce un consiglio dei ministri che cambi il decreto prima che si aprano le urne presidenziali.
Richiesta a cui si è associata Scelta civica. Senza un atto formale, spiega Cuperlo nella sua intervista, la legge ad personam che annulla per Silvio Berlusconi gli effetti della Severino è ancora sul tavolo.
Anzi, diventa l’elemento principale della trattativa tra Renzi e l’ex premier sul Quirinale visto che Renzi ha annunciato che la norma sarà ridiscussa nel consiglio dei ministri di marzo, a giochi fatti sul Quirinale.
Non solo. Il diavolo, spiegano costituzionalisti vicini al Colle, è nei dettagli.
Per sua natura il provvedimento, essendo un decreto legislativo, è sotto la responsabilità del governo e il Colle si limita a emanarlo.
Il che significa che sarà il prossimo capo dello Stato ad emanarlo e Giorgio Napolitano, nella fattispecie, non avrà più la responsabilità nè politica nè giuridica di leggere una norma che, nei fatti, contrasta con la sua decisione di non concedere alcun provvedimento di clemenza a Berlusconi.
Anzi, è l’opposto della filosofia di questo capo dello Stato poichè fa apparire il condannato Silvio una specie di vittima della cattiva legislazione su frode ed evasione fiscale.
Dunque, del decreto che cambia le norme su frode fiscale ed evasione se ne occuperà il prossimo capo dello Stato. Se sarà espressione del Nazareno, la “salva-Silvio” è tra i primi atti del governo che dovrà emanare il Colle.
Eccolo, dunque, il groviglio di “ricatti”, parola sdoganata sul Mattinale del critico Renato Brunetta, che avvolge la trattativa del Nazareno.
C’è il ricatto di Berlusconi che ha ricominciato a martellare, attraverso in suoi, sulla richiesta di agibilità politica.
E che subordina a un capo dello Stato sensibile al tema i suoi voti.
E c’è quello di Renzi, che ha dato il “segnale” a Berlusconi con la salva-Silvio, ma adesso, pretende il contro-segnale, ovvero che su Colle e riforme Forza Italia si muova con assoluta fedeltà .
Lo dice, senza tanti giri di parole l’avvocato Franco Coppi in un colloquio con Carlo Tecce sul Fatto: “Mi chiede — dice l’avvocato di Silvio Berlusconi – se la polemica sul 3 per cento per i reati fiscali e sul mio assistito Silvio Berlusconi c’entri con la partita per il Quirinale? E io le rispondo di sì, altrimenti perchè Matteo Renzi promette che la pratica sarà rinviata a presidente eletto e dopo la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone?”.
Insomma, la norma della discordia, sospesa ma non stralciata, rinviata a dopo il Quirinale assomiglia anche per il principe del foro alla più classica “carota” evocata da Calderoli fatta vedere al “somaro” per farlo correre nella direzione voluta.
Dove il somaro in questione sarebbe Silvio Berlusconi: “Il provvedimento — prosegue Coppi – appare legato alle trattative per il Quirinale, utilizzato come un messaggio mentre ci avviciniamo all’appuntamento per la successione di Giorgio Napolitano. È scorretto per i cittadini che potrebbero beneficiare della soglia del 3 per cento e per il Berlusconi politico”.
Scorrettezze, ricatti, patti segreti.
La verità è che Berlusconi, uno abituato a giocare duro, ha spiegato ai suoi, in vista dell’approdo della legge elettorale al Senato, che l’asse con Renzi non va assolutamente fatto saltare.
Il segnale della “salva-Berlusconi” ad Arcore lo sapevano in pochissimi. In pochi sanno che in queste ore gli abboccamenti con palazzo continuano.
Di Gianni Letta che ambisce al ruolo di prossimo segretario generale del Colle.
E di Denis Verdini: “Renzi — ha ripetuto a Berlusconi – si è fatto sfregiare per darti un segnale e sta reggendo un casino enorme con i suoi. Mica si può mandare tutto all’aria con uno che si impegna così”. Già .
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
I DUE FEDELISSIMI DEL PREMIER SONO GLI UNICI CHE POSSONO AVER INFILATO IL SALVA-SILVIO NEL DECRETO FISCALE
La manina di Firenze. Nel balletto di attribuzioni poi smentite e ammissioni di paternità dell’ormai nota norma salva Berlusconi, una certezza c’è: è figlia del Giglio magico. Solamente due persone, ovviamente con il consenso del premier, avrebbero potuto infilare a Consiglio dei ministri concluso quelle poche righe che garantiscono la riabilitazione a Silvio Berlusconi: il responsabile del Dipartimento degli Affari giuridici di Palazzo Chigi, Antonella Manzione, o il fidato sottosegretario tuttofare di Renzi, Luca Lotti.
Capo dei vigili urbani di Firenze e direttore generale di Palazzo Vecchio, la 50enne Antonella Manzione, sorella di Domenico, ex magistrato oggi sottosegretario agli Interni, è arrivata a Roma poche settimane dopo lo sbarco di Renzi.
Per averla al governo il premier l’ha dovuta imporre alla Corte dei conti: la magistratura contabile, infatti, aveva bocciato l’incarico di Manzione a capo del Dipartimento Affari giuridici e legali di Palazzo Chigi perchè non aveva i requisiti.
L’incarico quindi è stato “congelato” ma Renzi, in risposta, lo ha confermato mandando un nuovo contratto alla Corte dei conti.
Imposta dunque nel cuore normativo del governo, Manzione è uno dei dirigenti di massima fiducia dell’ex sindaco. Già nel 2011 Renzi, allora sindaco, intervenne in difesa della donna contro il Pd che sollevò dubbi di incompatibilità tra l’incarico di capo dei vigili urbani e quello di direttore generale. E tutto filò secondo i desiderata renziani.
Il curriculum di Manzione, come quelli di buona parte dei renziani sbarcati a Roma, non offre grandi sorprese.
Una laurea magistrale in Giurisprudenza, l’abilitazione da avvocato e una lunga carriera nell’amministrazione pubblica e in particolare nel corpo dei vigili urbani a Pietrasanta, Livorno, Verona, Lucca e, infine, Firenze.
Nel 2006 diventa protagonista di un arresto: un esposto firmato nel 2002 dall’allora comandante della polizia locale della Versilia portò dietro le sbarre Massimo Mallegni, all’epoca sindaco di Pietrasanta eletto con il Pd.
Il primo cittadino, accusato di ben 51 reati diversi, si fece 39 giorni di cella e altri 120 ai domiciliari. L’ordine d’arresto fu firmato da Domenico Manzione, fratello della vigilessa, in quegli anni magistrato presso il Tribunale di Lucca.
Mallegni però dopo anni fu assolto con formula piena perchè i fatti non sussistono.
Non solo, la Cassazione ha anche giudicato illegittimo l’arresto e condannato al risarcimento dei danni Mallegni.
L’ex sindaco ora fa l’albergatore. I fratelli Manzione, invece, sono a Palazzo Chigi con l’amico di Rignano d’Arno. L’ha ammesso la stesso Domenico Manzione, in un’intervista, di essere stato nominato sottosegretario già nel governo Letta “in quota renziana”.
L’ASC di Luca Lotti, invece, è interamente scandita dalla benevolenza dell’amico Matteo. Per lui oggi cura i rapporti con le forze dell’ordine, i servizi segreti e il livello riservato degli uffici romani.
È talmente fedele da essere stato inserito nel cda della fondazione Open, la cassaforte del fu rottamatore, insieme a Elena Maria Boschi, Marco Carrai e Alberto Bianchi.
Figlio del primo direttore della banca di Cambiano Marco Lotti e nipote del terracottaio Gelasio, Luca è cresciuto a Samminiatello, piccola frazione di Montelupo, con la passione del calcio.
La sua prima occupazione è stata allenatore della squadra femminile del paese. Frequentando gli scout ha conosciuto Renzi e da allora i due non si sono più separati.
Nel 2004, con in tasca il diploma, diventa capo dello staff dell’amico Matteo eletto presidente della Provincia.
Nel 2009 Renzi diventa sindaco e Lotti è assunto a chiamata come responsabile della segreteria del primo cittadino e nove giorni dopo viene assunta anche la moglie Cristina Mordini.
Nel 2011 diventa responsabile dell’ufficio di gabinetto del sindaco. Eletto nel 2013 alla Camera, a dicembre entra nella segreteria nazionale del Pd nel frattempo “scalato” dall’amico Matteo che poi lo nomina sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria.
Si spiega facilmente, dunque, come la sua libertà d’azione sia limitata ai desiderata di Renzi. Matteo ordina, lui esegue.
Come ai tempi di Palazzo Vecchio quando l’amico Matteo lo chiamava nel suo ufficio mentre era con degli ospiti o con alcuni dei suoi assessori, che ricordano alla perfezione la scena perchè frequente. Matteo lo chiamava: “Luca ce li fai du’ caffè? Ma boni, eh”. Ecco, magari al governo i due caffè sono diventati tre righe da infilare in una norma per salvare Berlusconi.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLA CONSULTA: “NORMA SBAGLIATA, TENUTI ALL’OSCURO”
Al ministero dell’Economia e delle Finanze lo schema di decreto legislativo che attua la delega
fiscale, al quale in extremis verrà aggiunto il vagoncino della soglia di non punibilità sotto il 3% del reddito dichiarato, ha avuto una gestazione apparentemente tranquilla e trasparente.
Ma ora è su Via XX Settembre che si addensano minacciosi nuvoloni carichi di veleni
La commissione tecnica affidata all’ex presidente della Consulta Franco Gallo e all’ex sottosegretario Vieri Ceriani (governo Monti) viene insediata al Mef a luglio 2014 e già in ottobre consegna un testo scritto al ministro Pier Carlo Padoan.
In quella prima versione, conferma Gallo che è stato ministro delle Finanze nel governo Ciampi e il cui nome circola da tempo anche per la corsa al Quirinale, non c’era traccia dell’articolo 19 bis comparso in corso d’opera il 24 dicembre a Palazzo Chigi.
«Il testo era pulito. Ho avuto notizia dell’introduzione del detto articolo 19 bis, nel testo elaborato dalla commissione da me presieduta, solo dopo la seduta del Consiglio dei ministri del 24 dicembre nel quale è stato approvato, appunto, il decreto legislativo».
D’altronde Gallo, da luglio a ottobre, lavora con magistrati del massimario della Cassazione, ufficiali della Guardia di Finanza e funzionari della Agenzia delle Entrate: e tutti, davanti alle ipotesi teoriche per addolcire la pillola di «un Fisco buono con i contribuenti», escludono la strada della soglia a percentuale della non punibilità . Sintetizza il presidente Gallo, entrando nel merito di quella che già qualcuno definisce «la grazia mascherata per Berlusconi»: «Ovviamente è una scelta politica e noi tecnici non dobbiamo fare altro che consegnare il nostro lavoro alla politica, che poi decide. Però ci vuole trasparenza, e a questo punto non si capisce chi sia stato a Palazzo Chigi a modificare il decreto con un’operazione additiva ed emendativa. Io però quella norma la ritengo radicalmente errata, tecnicamente e in termini di politica legislativa, perchè porta con sè la previsione di una soglia di non punibilità per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante artificio. E questo non è accettabile. Non solo perchè tocca Berlusconi. La frode di per sè richiede una punizione».
Gallo conferma che il testo varato dalla sua commissione è quello trasmesso da Padoan a Palazzo Chigi: «Certo, se gli uffici del Mef su altri aspetti hanno cambiato qualcosa, anche in direzione meno garantista, potevano pure farmi una telefonata…».
Sta di fatto che mentre l’ex presidente della Consulta difende il ministro Padoan, anche i suoi telefoni hanno un sussulto.
Perchè il sito Dagospia spara nel primo pomeriggio la notizia di un presunto vertice in Via XX Settembre per confezionare l’articolo «salva Berlusco ni», inteso come merce di scambio per ottenere i voti di FI nella corsa al Colle di Padoan: «Presenti alla riunione il ministro, l’avvocato del Cavaliere Coppi, il sottosegretario Lotti e il presidente Gallo».
Gallo è il primo a smentire: «Non so se mettermi a ridere. Smentisco nel modo più categorico di aver partecipato alla fantomatica riunione. Lotti poi non lo conosco neanche, il ministro Padoan non lo vedo da mesi, Coppi è un collega di facoltà e al ministero non ci vado da ottobre».
Al professor Franco Coppi, che parla di «notizia falsa», va il primato della migliore battuta: «Io al ministero per suggerire la norma? Se fosse vero, l’avrei scritta certamente meglio. E non temo di essere smentito perchè ora non si riescono a individuare neanche gli autori di una norma che, solo perchè favorirebbe Berlusconi, va cancellata».
Infine arriva la nota del Tesoro: «Notizia destituita di qualsiasi fondamento e frutto esclusivo di fantasia o volontà di diffamazione…».
Il presidente Gallo, ora, ritornerà al Mef già domani per una riunione straordinaria della commissione: «Ci vediamo, così passiamo in rassegna le modifiche apportate rispetto al nostro testo…».
Di sicuro, anche se dallo stesso Renzi è stato annunciato uno slittamento della normativa, la soglia di non punibilità del 3% sarà al centro del dibattito.
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
ROMA, MILANO E NAPOLI DENUNCIANO L’IPOCRISIA DI RENZI… IL PROBLEMA TOCCA UNA FAMIGLIA SU QUATTRO…IL GOVERNO RACCONTA BALLE
Francesca Danese, Daniela Benelli e Alessandro Fucito, assessori alle politiche abitative di Roma, Milano e Napoli, le tre aree metropolitane più grandi d’Italia, chiedono al governo di prorogare il blocco degli sfratti e “scongiurare una situazione altrimenti ingestibile da un punto di vista sociale e da quello dell’ordine pubblico”.
Per la prima volta dopo molti anni, infatti, l’esecutivo ha deciso di non concedere una ulteriore proroga agli sfratti e ora migliaia di famiglie disagiate o comunque con difficoltà economiche rischiano di perdere la casa dove vivono.
Fra le 30 e le 50 mila famiglie, in tutta Italia, sono a rischio di sfratto esecutivo – evidenziano nella nota gli assessori Danese, Benelli e Fucito, che porranno la questione anche in sede Anci.
Dall’inizio della crisi, cinque anni fa, Roma ha registrato oltre diecimila sentenze per fine locazione; 4500 a Napoli e 4mila le sentenze di sfratto a Milano sempre tra il 2008 al 2013.
Il 70% di queste famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori, portatori di handicap) previste dalla legge per la proroga e, comunque, lo stesso Viminale ammette l’incompletezza dei suoi dati – proseguono Francesca Danese, Daniela Benelli e Alessandro Fucito – oltre 70 mila le sentenze di sfratto in Italia alla fine dello scorso anno, più di 30mila quelli eseguiti, il 90% dei quali per morosità , spesso incolpevole.
Il presupposto delle proroghe consisteva nell’impegno del governo di sostenere con adeguati piani i comuni ma questi piani non si sono ancora visti.
Le richieste di intervento della forza pubblica da parte degli ufficiali giudiziari sono state oltre 120mila.
Ogni giorno sono 140 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica. Non esistono statistiche su quelli che avvengono senza la polizia e, più in generale, le cifre ufficiali sono largamente sottostimate. Una sentenza di sfratto colpisce, secondo le statistiche una ogni 353 famiglie.
Ma, escludendo le famiglie proprietarie di case e gli assegnatari di alloggi pubblici, significa che ogni anno in Italia una sentenza di sfratto, quasi sempre per morosità incolpevole, tocca una famiglia su quattro.
Quasi un quinto degli sfratti sono stati eseguiti in Lombardia, il 15% nel Lazio e l’8% in Campania.
“Ecco perchè torniamo a chiedere con forza la proroga del blocco degli sfratti e politiche abitative strutturali che ci consentano di uscire dalla logica dell’emergenza. Su questo sollecitiamo una urgente riunione della consulta casa dell’Anci perchè sia ben chiaro il grido di dolore proveniente dalle città metropolitane dove forte è il disagio”.
Il governo Renzi aveva promesso di stanziare dei fondi per l’aiuto all’affitto e per i morosi incolpevoli.
Ma gli assessori denunciano: questi soldi non sono arrivati ai Comuni, che dovrebbero distribuirli a chi ne ha bisogno.
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
“SE NON AVESSI PRESENTATO SCELTA CIVICA ALLE POLITICHE OGGI AVREMMO SIA UN PREMIER CHE UN CAPO DELLO STATO DI CENTRODESTRA”
“Senza di me, oggi al Quirinale ci sarebbe un esponente del centro-destra, verosimilmente
Silvio Berlusconi”.
Così, in un’intervista a La Stampa, il senatore a vita ed ex presidente del Consiglio Mario Monti rivendica il ruolo avuto da Scelta Civica nella rielezione di Giorgio Napolitano al Colle e, più in generale, nell’allontanamento di un possibile “deragliamento dell’Italia dalla via dell’Europa e del risanamento”.
Monti respinge al mittente le critiche di chi giudica un fallimento la sua “salita in politica”, come la chiamò egli stesso.
“È paradossale. Se non avessi presentato Scelta Civica alle elezioni del febbraio 2013, forse molti penserebbero a me” oggi per il Quirinale, afferma il senatore.
“Ma c’è un piccolo particolare: oggi non ci sarebbe da eleggere un Presidente della Repubblica, perchè nell’aprile 2013, senza Sc, in Parlamento ci sarebbe stata una maggioranza sufficiente a eleggere un nuovo presidente. Un esponente del centro-destra sarebbe stato eletto Capo dello Stato (verosimilmente il senatore Berlusconi) e un altro suo esponente sarebbe diventato capo del governo”.
Quanto all’attuale corsa al Colle, Monti promuove Prodi e Draghi.
“Romano Prodi e Mario Draghi mi pare siano due potenziali candidati di prima grandezza”, dice Monti, secondo cui “al Quirinale deve esserci una personalità nella quale gli italiani riconoscano il meglio di sè, della quale siano fieri. E che il mondo, ma soprattutto l’Europa, vedano come un interlocutore affidabile, autorevole e impegnativo”.
Parlando del governo, “Renzi, che si è mosso fin dall’inizio con grande determinazione, si è concentrato anch’egli su una misura certo popolare ma finanziariamente molto impegnativa (gli 80 euro), che non pare avere sortito gli effetti economici sperati ma ha seriamente condizionato l’insieme delle scelte del governo. E ha ritenuto, in alcuni passaggi, di dare la priorità alle riforme istituzionali rispetto alle riforme economiche per la crescita, a mio giudizio più urgenti”, commenta Monti.
Sul patto del Nazareno, “mi sembra fondamentale che ci si attenga a metodi corretti e trasparenti”, dichiara Monti.
“Nei giorni scorsi si è ipotizzato che uno specifico provvedimento fiscale, con implicazioni di ordine penale ed elettorale, possa essere stato introdotto in ossequio ad un presunto accordo del genere nazareno. Un Paese civile non può convivere con questi sospetti. Il danno alla credibilità dello Stato è enorme”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO DI SILVIO: “IL PROVVEDIMENTO È LEGATO ALLE TRATTATIVE PER LA SUCCESSIONE DI NAPOLITANO”… E IL 24 SERA, DOPO IL REGALO IN CDM, IL PREMIER CHIAMà’ L’EX CAVALIERE
Con maniacale cura nel selezionare le parole più adatte, l’avvocato Franco Coppi fa un’annotazione al momento dei saluti: “Mi chiede se la polemica sul 3% per i reati fiscali e sul mio assistito Silvio Berlusconi c’entri con la partita per il Quirinale? E io le rispondo di sì, altrimenti perchè Matteo Renzi promette che la pratica sarà rinviata a presidente eletto e dopo la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone?”.
Il professor Coppi inizia da lontano, cita Giulio Andreotti, un suo ex cliente: “Mi ripeteva che le notizie non vanno corrette o smentite, è dannoso. Ma io un ragionamento lo voglio fare”.
E allora, avvocato, l’ormai famosa norma salva evasori e frodatori, avrebbe riabilitato il condannato Silvio Berlusconi?
“Occorre valutare, forse sì, adesso non mi sembra più una questione attuale. E vi assicuro che non sono in disaccordo con Niccolò Ghedini (la considerava inutile per B.), difendiamo assieme Berlusconi, altrimenti sembriamo due cretini. E aggiungo che non ho mai incontrato il ministro Pier Carlo Padoan (riferimento a Dagospia). Quel che posso evidenziare è che il Tesoro e Palazzo Chigi non potevano non sapere l’esistenza del codice. E mi domando: perchè ieri ritenevano giusta la legge e oggi è sbagliata? Colpa sempre di Berlusconi?”.
Era smaccatamente un dono infiocchettato per il suo assistito, non tema però, Renzi dice che vuole aspettare l’elezione del capo dello Stato.
“Questo è l’aspetto che mi preoccupa e comprendo chi lo solleva: il provvedimento appare legato alle trattative per il Quirinale, utilizzato come un messaggio mentre ci avviciniamo all’appuntamento per la successione di Giorgio Napolitano. È scorretto per i cittadini che potrebbero beneficiare della soglia del 3% e per il Berlusconi politico. Per fortuna, il problema non mi riguarda”.
Vertice ad Arcore di B. e la telefonata con Matteo
Il professor Coppi offre lo spunto per ricostruire una faccenda con tante comparse ancora ignote — chi ha modificato e valutato il decreto legislativo in materia fiscale e chi l’ha vergato? — e due insigni protagonisti: i contraenti del patto del Nazareno, l’anziano Silvio Berlusconi e il giovane Matteo Renzi.
Per lo scafato Coppi, la mossa del giovane è servita a rassicurare l’anziano. Anche in villa San Martino di Arcore, l’apparizione e la scomparsa dell’articolo 19 bis, che conteneva la scappatoia per l’ex Cavaliere, sono fenomeni che vengono interpretati come un segnale per il capo di Forza Italia.
Un po’ di riguardo, perchè fa intendere che Renzi potrebbe ripristinare completamente l’attività politica dell’alleato del Nazareno. E un po’ sovviene la sensazione che il regalo natalizio, licenziato dal Cdm il 24 dicembre di vigilia, sia stato sfruttato per pressare Berlusconi in vista del Colle.
Non è soltanto una suggestione di Augusto Minzolini, ma un pensiero comune tra i dirigenti forzisti. L’ex Cavaliere, ieri pomeriggio, ha convocato i capigruppo di Camera (Renato Brunetta) e Senato (Paolo Romani), onnipresente il mai defilato Denis Verdini, per delineare le tattiche sul Quirinale e per imbracare questo va registrato, incluso un flebile piano per sostenere Pier Ferdinando Casini al Colle.
Per riconquistare l’agibilità politica, rabbonito da Ghedini, Berlusconi confida nella Corte di Strasburgo, che esaminerà il ricorso contro la Severino.
E poi c’è l’amico di Firenze.
Il ruolo di Lotti e Verdini e gli esecutori a Chigi Nonostante la sospetta generosità che ha spinto Renzi ad assumersi la responsabilità del miracolo natalizio per Berlusconi, prosegue la finta caccia ai responsabili.
Quelli materiali sono facili da individuare: l’ex vigilessa Antonella Manzione, che dirige l’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, e i tecnici che l’assistono. Oltre all’ex sindaco di Firenze, i mandati sono della stessa zona.
È indiscrezione diffusa che le conseguenze del decreto fossero comprese dai toscani Luca Lotti e Denis Verdini, il sottosegretario di Renzi e l’emissario di Berlusconi sono i custodi dell’accordo del Nazareno.
Appena il trucco è stato scoperto, però, è montata (l’artificiosa) armonia tra il Tesoro di Padoan a Palazzo Chigi.
L’articolo 19 bis, imbarcato dal Consiglio dei ministri senza che fosse notato, ora se lo ricordano in Via XX Settembre: “Impianto condiviso, effetti sconosciuti”.
Non conviene allargare la distanza tra l’Economia e Palazzo Chigi, non alle pendici di un mese che sarà una scalata. L’agenda non lo permette.
Il faccia a faccia con i deputati e i senatori
L’esordio per Renzi è un esame con i parlamentari democratici, domani.
L’ordine: timbrare l’Italicum a Palazzo Madama e la riforma costituzionale a Montecitorio. E poi, in coincidenza, tocca al Quirinale.
Gli schieramenti sono i soliti: Lotti a sinistra, Verdini a destra, i franchi tiratori al centro, ovunque.
Questi sono giorni da elenchi fatti e rifatti, mediazioni per raccattare i grandi elettori. Renzi ne dispone circa 450, e molti li perderà . Berlusconi non dà cifre esatte. Quelli di Forza Italia sono 150, così recitano le carte, le somme algebriche, senza contare le truppe di Raffaele Fitto.
Ecco perchè, prima di affrontare il Colle, occorre che Silvio&Matteo siano affiatati. La pendenza per l’ambita residenza va oltre il 3% dell’evasione fiscale.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
NON SOLO SALVA-SILVIO: IL DECRETO E’ UN IMMONDO CONDONO DELLE MEGAEVASIONI
Rassicuriamo subito i colleghi di giornali e tv che, a parte il Corriere, sono ancora a caccia della
“manina” (grazie per la citazione) che quatta quatta, alla vigilia di Natale, ha infilato l’articolo 19-bis, il SalvaSilvio, e altre amenità nel decreto attuativo della delega fiscale licenziato dal ministero dell’Economia poco prima del suo ingresso nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre.
Rassegnatevi: la manina è quella di Matteo Renzi. L’ha detto lui stesso al nostro giornale (l’unico che glielo abbia chiesto), con la spudorata franchezza che gli è propria.
Il che, intendiamoci, non esime da alcuna responsabilità nè lui nè i ministri che l’hanno approvato senza proferire verbo: a cominciare dai più diretti interessati, cioè il titolare dell’Economia Padoan e quello della Giustizia Orlando.
Resta poi da capire chi, materialmente, abbia scritto il codicillo incriminato (il capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, Antonella Manzione, non c’entra: dunque è stato uno degli avvocati e giuristi che Renzi dice di aver consultato? E quale? E per caso difende qualche imputato eccellente per delitti fiscali? Dagospia fa il nome di Coppi, che smentisce. Ma un tecnico molto esperto e interessato ci ha lasciato lo zampino).
È strepitosa la beota ingenuità dei commentatori governativi, disposti a fare i finti tonti e persino a passare per fessi pur di scagionare Renzi: anche dopo che lo stesso premier le ha confessate.
Signore, è stata una svista. Sentite Stefano Folli su Repubblica: “L’operazione era maldestra, tanto maldestra da rendere verosimile che nè Renzi nè Berlusconi fossero i diretti responsabili del pasticcio”, anzi della “buccia di banana” messa lì da chissà chi per far inciampare l’Infallibile Presidente del Consiglio.
La prova? Eccola: “I due avrebbero scelto meglio l’argomento e le modalità , se avessero voluto mettere a segno un colpo di tale rilievo qual è la riabilitazione pubblica del leader di Forza Italia… Nessuno dei due, nè il premier nè il suo semi-alleato del Nazareno, hanno (sic, ndr) il minimo interesse oggi a riaccendere i riflettori su una stagione passata… Quindi è possibile che la norma, che pure era stata infilata nel decreto, sia passata per l’eccesso di zelo di qualcuno, ma senza un coinvolgimento politico ad alto livello”.
Par di sognare: se non fosse stato per i gufi del Fatto Quotidiano, che ha raccolto la denuncia del sottosegretario Zanetti sull’abnormità della soglia del 3% (non solo di evasione, ma persino di frode), nessuno ne avrebbe parlato nè l’avrebbe collegata al caso B. (come han fatto il nostro giornale e altri due giorni fa): il decreto dello scandalo, grazie anche al torpore delle feste, sarebbe approdato alle commissioni parlamentari per il visto finale (non c’è neppure dibattito nè voto: è l’attuazione di una legge delega) e a quest’ora sarebbe già legge dello Stato sulla Gazzetta Ufficiale.
E B. avrebbe già chiesto l’incidente di esecuzione alla Corte d’appello per farsi cancellare la condanna con tutti gli annessi e connessi.
A quel punto tutti avrebbero recitato la parte delle vergini violate: “Oddio, non ce n’eravamo accorti, ma purtroppo cosa fatta capo ha, pazienza”.
Il guaio di Renzi (e di B.) è che esiste ancora qualche sprazzo di libera informazione, che l’ha colto con le mani nel sacco.
Ora comunque il premier può dire al partner Nazareno: “Ehi socio, io ci ho provato, ma i soliti gufi mi hanno sgamato”.
Dove sarebbe dunque l’“operazione maldestra” e quali “argomentazioni e modalità ” sarebbero state “migliori” di quelle usate da Renzi & C.? Mistero.
Il Premier ha sempre ragione.
Sempre su Repubblica anche Gianluigi Pellegrino, in un articolo peraltro severissimo sul contenuto della “riforma” fiscale, ipotizza la presenza di misteriose “serpi covate in seno a Palazzo Chigi che giocano proprie indicibili partite” all’insaputa del povero Matteo, e se la prende con quelli che “non l’hanno avvertito nè messo in campana”. Ragazzi, sveglia: l’ha detto Renzi che la norma l’ha fatta Renzi. Fatevene una ragione, è andata così.
Lo so, è una parola grossa, ma vogliamo usare la logica?
Il governo depenalizza scientemente, consapevolmente, alla luce del sole la frode fiscale sotto il 3% dell’imponibile dichiarato.
Chi vi viene in mente, alle parole “frode fiscale”, con tutto quel che è accaduto a terremotare la politica italiana nell’ultimo anno e mezzo? Silvio Berlusconi, naturalmente, che per una condanna per frode fiscale è decaduto da senatore, è divenuto ineleggibile e interdetto dai pubblici uffici, ha mollato le larghe intese e il governo Letta, ha subìto la scissione dell’Ncd, è finito ai servizi sociali ad assistere i vecchietti a Cesano Boscone, ha tempestato Quirinale, governo, Parlamento, giornali, tv, Consulta e Corti europee per riavere l’“agibilità politica”.
Possibile mai che, cambiando le regole della frode fiscale, nessuno si sia chiesto che ne sarebbe stato della condanna di B.?
Chiunque abbia una laurea in Legge o in Economia (dove si studia il Codice penale, che già all’art. 2 prevede la revoca delle condanne per un reato che non c’è più) sa benissimo che, quando si depenalizza un reato, le relative condanne vengono cancellate.
Ora, Renzi risulta laureato in Legge e Padoan in Economia (Orlando in nulla , però ha dato qualche esame di Giurisprudenza): possibile che non lo sapessero?
E il battaglione dei loro consiglieri giuridici che ci sta a fare: la birra?
Nella migliore delle ipotesi, siamo governati da dilettanti, anzi da ignoranti allo sbaraglio.
L’impronta digitale. Prendiamo sul serio le parole di Renzi al Tg5: “Se qualcuno immagina chissà quale scambio, non c’è problema: ci fermiamo. Questa norma la rimanderemo in Parlamento solo dopo l’elezione del Quirinale e dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a Cesano Boscone, e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano”.
Delle due l’una. O la norma non è stata fatta per B. anche se salva B. — come giura Renzi, appellandosi all’eterogenesi dei fini — e allora non si capisce che c’entrino l’elezione del nuovo capo dello Stato e, a maggior ragione, la fine dei servizi sociali di B.; ergo abbiamo un governo di cialtroni.
Oppure è stata fatta per B. (o anche per B.), e dunque attendere le due scadenze che lo riguardano ha un senso; ma allora abbiamo un governo di bugiardi.
In ogni caso, siamo in buone mani.
Grandi evasori sì, B. no.
Sempre a proposito di logica, tutto il decreto fiscale (non solo il famigerato 19 bis) è improntato alla più selvaggia depenalizzazione delle evasioni e delle frodi.
Con una mano il governo aumenta alcune sanzioni penali e amministrative, per fingere la faccia feroce; ma con l’altra fa in modo che non venga condannato quasi più nessuno col trucchetto delle soglie di non punibilità , aggiunte ai reati che non le prevedevano e alzandole a quelle che già le avevano.
È il sistema-droga: chi evade o froda in modica quantità (si fa per dire) non finisce più sotto processo.
La sintesi di Luigi Ferrarella sul Corriere è implacabile: il decreto rende non punibili “la dichiarazione infedele fino a 150 mila euro, l’omessa dichiarazione fraudolenta mediante artifici fino a 30 mila euro di imposta evasa e 1,5 milioni di imponibile sottratto al fisco o 5% di elementi attivi indicati, e la dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti fino a 1.000 euro l’anno”.
Un gigantesco, immondo condono fiscale che salva dal processo e dalla condanna quasi tutti gli evasori e i frodatori, anche quelli grandi, accontentandosi — quando va bene — di incassare le tasse che non hanno pagato (sai che sforzo: evadi tutta la vita e, la volta che vieni beccato, rinunci a qualche briciola del bottino, semprechè l’amministrazione finanziaria più inefficiente del mondo riesca a sfilartela).
Nessuno, diversamente che per il 19-bis SalvaSilvio, può dire di non averlo saputo. Dov’erano allora i giornaloni, ma anche la sinistra Pd, che oggi s’indignano solo perchè c’è di mezzo B.?
Davvero il colpo di spugna per gli evasori grandi, medi e piccoli è cosa buona e giusta purchè non salvi anche B.?
Sarebbe interessante conoscere il pensiero del premier, dei ministri, dei partiti e dei giornali che li sostengono, ora che il decreto torna indietro per essere modificato (molto meglio cestinarlo e riscriverlo daccapo per mandare evasori e frodatori in galera).
Meno male che Silvio c’è. Vien quasi da dare ragione ai berluscones, che già intonano il pianto greco: “Si rimangiano il fisco giusto. Il governo blocca una norma di buonsenso che depenalizzava la microevasione. Motivo? ‘Avrebbe aiutato il Cavaliere’” (il Giornale).
È triste ammetterlo, ma proprio così, tranne il fatto che la norma non è affatto di buonsenso perchè non sana la microevasione, ma le megafrodi (con le soglie percentuali, più guadagni più puoi evadere impunemente).
Quanti cattivi pensieri ci tocca scacciare. Compreso l’ultimo, l’estremo: che Dio ci conservi B. Senza di lui, il decreto porcata sarebbe già legge.
E nessuno, a parte noi piccoli gufi, avrebbe detto una parola.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 6th, 2015 Riccardo Fucile
MAFIA CAPITALE, LE MINACCE DEGLI INTERMEDIARI CON LA ‘NDRANGHETA… BUZZI DAL CARCERE: “ADESSO NON METTETEVI A LITIGARE”
Minacce di morte, pizzini e regole sulla successione.
Roba da associazione mafiosa, per l’appunto, quella che ieri la procura di Roma ha depositato al tribunale dei Riesame, chiamato a decidere sulla revoca della custodia cautelare di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi calabresi ed entrambi in carcere dall’11 dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale (i giudici si sono riservati).
I due, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, sarebbero il collegamento tra la banda guidata da Massimo Carminati e il clan Mancuso di Vibo Valentia.
Un legame che avrebbe uno snodo centrale in Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative capitoline, considerato dai pm il braccio finanziario del “Cecato”.
Parla chiaro l’informativa che i carabinieri del Ros del 3 gennaio: i legami con i calabresi c’erano eccome, secondo l’accusa.
Il 3 dicembre, giorno successivo ai primi arresti, Rotolo e Ruggiero (in quel momento ancora a piede libero, ndr) non si danno pace.
Commentano gli arresti con gli amici, si preoccupano di fare la stessa fine. E pensano alla gestione futura: già il giorno successivo alla retata, fissano un incontro per decidere che cosa ne sarà della Cooperativa 29 giugno, fino ad allora guidata da Buzzi.
Prima di andare alla riunione Rotolo incontra Franco La Maestra, ex brigatista condannato a 18 anni di carcere e coinvolto nell’omicidio di Massimo D’Antona, e uomo di fiducia di Buzzi.
L’ex terrorista racconta: «Ieri l’ho visto (Buzzi, ndr). C’ha teso a specifica’ a noi de Giovanni (Campennì, ndr). .. ha detto… ”quello non deve…non si deve neanche avvicina’…” le testuali parole so state queste mentre lo portavano via… ”non voglio che Giovanni stia in mezzo ai piedi”… ci ha detto a me e a Salvatore (Ruggiero, ndr) ».
Giovanni Campennì, imprenditore, senoncondo i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli è il collegamento tra Buzzi e la ‘ndrangheta. Non a caso Rocco e La Maestra si stupiscono delle parole di Buzzi e si chiedono se quest’ultimo non avesse appositamente voluto far individuare Campennì dalle forze dell’ordine.
«E se l’è cantatu stu scemo di merda? – chiede Rotolo – I Mancuso u ‘mmazzano».
Sta di fatto che, proprio come nella tradizione mafiosa, Buzzi negli attimi prima di finire in carcere, riesce a dare le indicazioni sulla sua “successione” alla guida delle cooperative.
Vuole escludere Campennì e decidere chi deve prendere il suo posto.
«Mentre andava via – dice ancora La Maestra a Rotolo – m’ha guardato e m’ha fatto: “Me raccomando, non litigate. Tu sei il capo, mi raccomando, non litigate”.
Poi mentre andava via mi ha detto: “Ci vediamo tra due anni”… lui s’è già attrezzato».
Infine i pizzini. I militari del Ros ne hanno sequestrati alcuni a casa di Salvatore Ruggiero. In mezzo a una serie di ricevute di pagamento da parte della Cooperativa 29 Giugno, gli investigatori hanno trovato anche due pen drive, una lettera del 2004 in cui Buzzi invitava i suoi soci e dipendenti a votare Oriano Giovannelli e Nicola Zingaretti al Parlamento europeo e tre pizzini.
Uno con la dicitura “Glok 179.21, uno con scritto “Rosario 29 giugno” e un terzo: “Fasciani”. Probabilmente il riferimento è al clan che da anni gestisce la malavita di Ostia.
Elementi sui quali ora il Ros è al lavoro.
Maria Elena Vincenzi
(da “La Repubblica“)
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