LOTTI E MANZIONE, MANINE DEL GIGLIO MAGICO
I DUE FEDELISSIMI DEL PREMIER SONO GLI UNICI CHE POSSONO AVER INFILATO IL SALVA-SILVIO NEL DECRETO FISCALE
La manina di Firenze. Nel balletto di attribuzioni poi smentite e ammissioni di paternità dell’ormai nota norma salva Berlusconi, una certezza c’è: è figlia del Giglio magico. Solamente due persone, ovviamente con il consenso del premier, avrebbero potuto infilare a Consiglio dei ministri concluso quelle poche righe che garantiscono la riabilitazione a Silvio Berlusconi: il responsabile del Dipartimento degli Affari giuridici di Palazzo Chigi, Antonella Manzione, o il fidato sottosegretario tuttofare di Renzi, Luca Lotti.
Capo dei vigili urbani di Firenze e direttore generale di Palazzo Vecchio, la 50enne Antonella Manzione, sorella di Domenico, ex magistrato oggi sottosegretario agli Interni, è arrivata a Roma poche settimane dopo lo sbarco di Renzi.
Per averla al governo il premier l’ha dovuta imporre alla Corte dei conti: la magistratura contabile, infatti, aveva bocciato l’incarico di Manzione a capo del Dipartimento Affari giuridici e legali di Palazzo Chigi perchè non aveva i requisiti.
L’incarico quindi è stato “congelato” ma Renzi, in risposta, lo ha confermato mandando un nuovo contratto alla Corte dei conti.
Imposta dunque nel cuore normativo del governo, Manzione è uno dei dirigenti di massima fiducia dell’ex sindaco. Già nel 2011 Renzi, allora sindaco, intervenne in difesa della donna contro il Pd che sollevò dubbi di incompatibilità tra l’incarico di capo dei vigili urbani e quello di direttore generale. E tutto filò secondo i desiderata renziani.
Il curriculum di Manzione, come quelli di buona parte dei renziani sbarcati a Roma, non offre grandi sorprese.
Una laurea magistrale in Giurisprudenza, l’abilitazione da avvocato e una lunga carriera nell’amministrazione pubblica e in particolare nel corpo dei vigili urbani a Pietrasanta, Livorno, Verona, Lucca e, infine, Firenze.
Nel 2006 diventa protagonista di un arresto: un esposto firmato nel 2002 dall’allora comandante della polizia locale della Versilia portò dietro le sbarre Massimo Mallegni, all’epoca sindaco di Pietrasanta eletto con il Pd.
Il primo cittadino, accusato di ben 51 reati diversi, si fece 39 giorni di cella e altri 120 ai domiciliari. L’ordine d’arresto fu firmato da Domenico Manzione, fratello della vigilessa, in quegli anni magistrato presso il Tribunale di Lucca.
Mallegni però dopo anni fu assolto con formula piena perchè i fatti non sussistono.
Non solo, la Cassazione ha anche giudicato illegittimo l’arresto e condannato al risarcimento dei danni Mallegni.
L’ex sindaco ora fa l’albergatore. I fratelli Manzione, invece, sono a Palazzo Chigi con l’amico di Rignano d’Arno. L’ha ammesso la stesso Domenico Manzione, in un’intervista, di essere stato nominato sottosegretario già nel governo Letta “in quota renziana”.
L’ASC di Luca Lotti, invece, è interamente scandita dalla benevolenza dell’amico Matteo. Per lui oggi cura i rapporti con le forze dell’ordine, i servizi segreti e il livello riservato degli uffici romani.
È talmente fedele da essere stato inserito nel cda della fondazione Open, la cassaforte del fu rottamatore, insieme a Elena Maria Boschi, Marco Carrai e Alberto Bianchi.
Figlio del primo direttore della banca di Cambiano Marco Lotti e nipote del terracottaio Gelasio, Luca è cresciuto a Samminiatello, piccola frazione di Montelupo, con la passione del calcio.
La sua prima occupazione è stata allenatore della squadra femminile del paese. Frequentando gli scout ha conosciuto Renzi e da allora i due non si sono più separati.
Nel 2004, con in tasca il diploma, diventa capo dello staff dell’amico Matteo eletto presidente della Provincia.
Nel 2009 Renzi diventa sindaco e Lotti è assunto a chiamata come responsabile della segreteria del primo cittadino e nove giorni dopo viene assunta anche la moglie Cristina Mordini.
Nel 2011 diventa responsabile dell’ufficio di gabinetto del sindaco. Eletto nel 2013 alla Camera, a dicembre entra nella segreteria nazionale del Pd nel frattempo “scalato” dall’amico Matteo che poi lo nomina sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria.
Si spiega facilmente, dunque, come la sua libertà d’azione sia limitata ai desiderata di Renzi. Matteo ordina, lui esegue.
Come ai tempi di Palazzo Vecchio quando l’amico Matteo lo chiamava nel suo ufficio mentre era con degli ospiti o con alcuni dei suoi assessori, che ricordano alla perfezione la scena perchè frequente. Matteo lo chiamava: “Luca ce li fai du’ caffè? Ma boni, eh”. Ecco, magari al governo i due caffè sono diventati tre righe da infilare in una norma per salvare Berlusconi.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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