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COLLE, SOLO 190 DEPUTATI PD SONO SICURI PER RENZI

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

SALE LA TENTAZIONE GRASSO CHE LIBEREREBBE LA PRESIDENZA DEL SENATO ALLA FINOCCHIARO… MA LA SCELTA FINALE POTREBBE ESSERE TRA PRODI E VELTRONI

Ormai siamo al meno 3: mercoledì Giorgio Napolitano si dimetterà . Con un atto privato, una lettera.
Da quel momento scattano i 15 giorni necessari per indire i comizi elettorali e poi parte l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Nello studio di Lilli Gruber Renzi ha scommesso che il Parlamento riuscirà  ad eleggerlo al quarto scrutinio. Ma in realtà , la situazione è tutt’altro che tranquilla.
Due deputati renziani, Marco Di Maio e Marco Donati hanno avuto il compito di monitorare il gruppo Pd a Montecitorio.
E anche di cercare di recuperare voti dai Cinque Stelle.
Pier Carlo Padoan è ancora in lizza. Ma potrebbe pagare in prima persona il pasticcio sulla delega fiscale. Tra i nomi sondati, resiste ancora Graziano Delrio. Sta molto coperto Dario Franceschini, ma ci spera.
Tra i politici le preferenze vanno a Walter Veltroni e Romano Prodi.
Rispetto ad entrambi sarebbe difficile per la minoranza dem dire di no. Soprattutto visto che il fondatore dell’Ulivo l’hanno tirato in ballo loro.
Il Professore è super attivo e Renzi stesso potrebbe sceglierlo, magari come male minore. Potrebbe essere determinante l’ultima parola di Berlusconi. Che non sarebbe più così contrario. Anche se preferirebbe Veltroni
La minoranza dem spinge anche Sergio Mattarella: altro nome “teoricamente” adatto e anche di quelli portati avanti per provocare Renzi. Piace molto Pierluigi Castagnetti: provenienza cattolica, ottimo rapporto con il presidente del Consiglio.
E potrebbe non andare male all’ex Cavaliere dovrebbe dire di no? Molti, però, sono pronti a giurare che il premier stia lavorando ancora al colpo secco, al primo voto, anche se non lo dice. Perchè se la minoranza sceglie la strada del caos e non quella della collaborazione potrebbe altrimenti usare i primi tre voti per promuovere dei nomi.
Che poi diventerebbe difficile ritirare.
I deputati sicuri sono 190-200 su 307 dem. I senatori sono un’ottantina.
E con alcuni grandi elettori si arriva a più di 400 voti. In questo momento, le sacche di resistenza principali all’interno del Pd sono bersaniani e cuperliani.
L’attivismo di Bersani in questi giorni è stato letto da molti renziani come un’autocandidatura. Dalla minoranza smentiscono: ha usato toni troppo duri in questi giorni.
Sferzante Miguel Gotor, a proposito di Berlusconi: “Ho fiducia in Renzi, ma due soci normalmente il presidente lo scelgono assieme… ”.
I Cinque Stelle in arrivo verso il premier dovrebbero essere sempre una decina.
E poi, c’è l’asse con Berlusconi. Più che mai si discute di candidati. Anche se con Forza Italia stanno trattando direttamente Matteo Renzi e Luca Lotti.
Tra i nomi che circolano, ieri di nuovo sale quello del presidente del Senato, Pietro Grasso: sarà  in una posizione favorita, visto che farà  le veci di Napolitano.
Potrebbe essere considerato da tutti sufficientemente malleabile. E poi, la sua poltrona la vuole
Anna Finocchiaro.

Luca De Carolis e Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)

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EUROFLOP, SI CHIUDE LA PRESIDENZA ITALIANA SENZA RISULTATI CONCRETI

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

SEMESTRE EUROPEO NEGOZIATO CON GLI USA MA NIENTE FLESSIBILITà€… RESISTE IL TRATTATO DI LIBERO SCAMBIO CON GLI STATI UNITI… E L’UE È PIÙ MORBIDA CON LA RUSSIA

Aveva parlato di una Europa affidata alla “generazione Telemaco” che deve “meritare l’eredità  dei padri”, di una “smart Europe”, della “dignità  della politica”.
Ma soprattutto aveva evocato “flessibilità ” nei conti pubblici.
Era il 2 luglio 2014, a Strasburgo. Martedì il premier Matteo Renzi tornerà  davanti al Parlamento europeo per chiudere il semestre di presidenza italiano, ora tocca alla Lettonia. Ed è quindi il momento di un bilancio.
A guardare i risultati sul dossier principale, quello economico, verrebbe da dire che nulla è successo.
Renzi si prende il merito di una maggiore attenzione alla flessibilità  (sia pure quella “prevista dai trattati”) nei comunicati finali delle riunioni dei Consigli europei.
Ma questi vaghi accenni si leggono da almeno tre anni. E nella pratica regole sono ancora durissime, come dimostra il fatto che la Commissione riconosca a Roma una riduzione del deficit strutturale dello 0,1 per cento invece che lo 0,4 vantato dal governo.
L’Italia si intesta anche il piano di investimenti pubblico-privati da 300 miliardi di Jean Claude Juncker, ma il presidente della Commissione lo ha annunciato in Parlamento il 15 luglio, solo dodici giorni dopo il discorso di Renzi.
Un po’ forzato darne il merito a palazzo Chigi.
Renzi non ha cambiato verso all’Europa, anche perchè da quando esiste un presidente permanente del Consiglio europeo (2009, prima Herman van Rompuy, oggi Donald Tusk) la presidenza semestrale di un Paese membro conta molto meno.
Poltrone e Russia, effetto Mogherini
Però in questi sei mesi sono successe molte cose. Nei documenti interni di Palazzo Chigi tra i risultati concreti c’è la “transizione istituzionale senza intoppi”: in effetti la tigna con cui Renzi ha preteso la poltrona di Alto rappresentante per la politica estera per Federica Mogherini ha contribuito a trovare l’incastro complessivo delle cariche di vertice dopo le elezioni europee di maggio.
Con la Mogherini, del Pd e dunque socialista, sull’unica poltrona della Commissione che pesa anche nel Consiglio (cioè nel coordinamento dei governi), è diventato possibile mandare un popolare alla presidenza del Consiglio anche se già  ce n’era uno alla Commissione. Juncker e Tusk.
Non tutti sono convinti che sia stata la scelta giusta per l’Italia (molto prestigio ma pochi benefici concreti) o per i socialisti (che magari con Enrico Letta avrebbero potuto ambire al Consiglio), ma certamente la nomina della Mogherini è stata importante nella partita delle poltrone.
E anche per ammorbidire la linea dell’Unione nei confronti della Russia di Vladimir Putin: Renzi considera un successo che sotto la presidenza italiana il dibattito si stia spostando da “sanzioni più dure” al dialogo costruttivo.
La Mogherini è andata in Russia (e in Ucraina) all’inizio del semestre, quando era ancora alla Farnesina, e il presidente russo è venuto al vertice coi Paesi asiatici organizzato a Milano.
In quell’occasione Putin ha snobbato la cena di gala per andare dal suo amico Silvio Berlusconi ad Arcore. Ma per Renzi sono dettagli, quel che conta è che l’Italia ha perseguito una Realpolitik decisamente filorussa che ha influito sulla linea europea, pur attenuando i toni visto che la Germania ha spinto l’Europa in direzione anti-Putin.     Salvare il libero scambio con gli Stati Uniti
Il tavolo su cui l’Italia ha pesato di più è stato il negoziato con gli Stati Uniti.
Durante il semestre, più volte la delicata trattativa sul Ttip — il trattato di libero scambio che abbatte le barriere non tariffarie (standard tecnici, controlli, protezioni legali ecc.)     — è sembrata naufragare.
Troppo contraria l’opinione pubblica tedesca, freddi gli americani che sono impegnati anche a negoziare con i Paesi dell’Asia, sempre ostili i francesi protezionisti, poco incisiva la Gran Bretagna di David Cameron.
Renzi ha schierato l’Italia a difesa del trattato, che anche in Italia comincia a suscitare qualche protesta.
E dalla presidenza dei tavoli tecnici dei consigli di settore il viceministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha dovuto tradurre l’input politico.
Prima ha imposto un po’ di trasparenza sul negoziato segreto: serviva l’unanimità  dei 28 Paesi coinvolti, molti erano contrari.
Calenda ha minacciato di rivelare i nomi di quelli che si opponevano, così da attirare su di loro gli strali del movimento anti-Ttip (cos’avranno da nascondere?).
Ora il mandato è pubblico e ci saranno dei report dopo i round negoziali, anche per neutralizzare le frequenti fughe di notizie.
Poi Calenda — sostenuto da Renzi nel Consiglio europeo — ha imposto il principio che o si chiude entro il 2015 o salta tutto.
Questo, almeno per il momento, ha salvato il negoziato dalle resistenze tedesche e dallo scetticismo americano, visto che a Washington sono perplessi dalle oscillazioni dei grandi Paesi europei: tedeschi e francesi avevano chiesto a Juncker di riaprire il mandato negoziale per togliere la clausola Isds (la possibilità  di ricorrere a un foro giudiziale terzo nei contenziosi tra un Paese firmatario del trattato e un’azienda), che dai contestatori è vista come un modo di aggirare le legislazioni nazionali.
Ricominciare da zero avrebbe ucciso i negoziati, l’Italia si è opposta con l’argomento che la clausola è applicata dalla Germania in tutti i suoi trattati bilaterali e toglierla con gli Usa sarebbe un pessimo viatico per successivi negoziati, specie con Paesi dalle leggi incerte come la Cina.
Il pareggio di Galletti sui sacchetti di plastica
Tra le prime mosse della nuova Commissione Juncker c’è stato lo sfoltimento dell’agenda legislativa: il vicepresidente Frans Timmermans voleva cancellare un pacchetto di norme su rifiuti e ambiente che l’Italia, forte della presidenza, ha difeso.
Noi abbiamo una delle leggi più restrittive sui sacchetti di plastica, e le nuove regole in discussione prevedono un massimo di 40 sacchetti a persona entro il 2025 e la possibilità  di bandire le sporte inquinanti o di farli pagare.
Timmermans era determinato ad affondare il pacchetto, giudicato non prioritario.
Il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti si è opposto e, almeno per ora, Timmermans ha desistito.
Molte cose sono successe, anche se non esattamente quelle promesse da Renzi.

Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano“)

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PRIMARIE PD LIGURIA NEL CAOS, COFFERATI: “NON RICONOSCO I RISULTATI, PUO’ INTERESSARSI LA PROCURA DELLA REPUBBLICA”

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

LA RENZIANA PAITA VINCE PER 4.000 VOTI, PERDEVA DI 6.000 VOTI A GENOVA… CASI INCREDIBILI AD ALBENGA E PIETRA LIGURE DOVE LA PAITA VIENE VOTATA DAL 95% DEGLI ELETTORI E RECUPERA 2.000 VOTI

La “renziana” Paita   alla fine delle primarie ha ottenuto 28.916 voti, contro i 24.827 di Cofferati e gli appena 687 di Tovo: a votare sono andate circa 55mila persone.
Poco fa un Sergio Cofferati tutt’altro che rassegnato ha parlato di «un livello alto di partecipazione dei liguri e non solo» e ha detto soprattutto che «non considero concluse queste Primarie» e che «non riconosco i risultati».
Ancora: «Chiedo che la commissione di garanzia esamini tutte le segnalazioni, ci sono segnalazioni su cui dovrebbe intervenire la Procura. Un partito deve avere come obiettivo la buona politica, molto importante è il giudizio sulle modalità  con cui questo voto è avvenuto»
A fare discutere è però il caso di Albenga, dove la Paita ha raccolto quasi 1300 voti e Cofferati appena 200, con testimoni che hanno parlano di numerosi cittadini stranieri, in particolare di origine marocchina, che avrebbero ricevuto i 2 euro per votare: «Se quanto descritto è vero, il voto di quel seggio va annullato», ha detto il segretario del Pd di Genova, Alessandro Terrile.
Cofferati ha denunciato il “voto eterodiretto” di intere comunità  di stranieri e la partecipazione al voto di elettori di centrodestra “pilotati” da esponenti locali .

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SCANDALO PRIMARIE PD LIGURIA, SEL: “NON SOSTERREMO MAI PAITA ALLE ELEZIONI”

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

QUARANTA: “SERVIREBBERO PERSONE AL SERVIZIO DELLE IDEE, NON IDEE AL SERVIZIO DEL POTERE”

“Quello che è successo in questi giorni è il risultato di ciò che è accaduto nei mesi precedenti. Le primarie cui ho sempre partecipato io prevedevano prima un giudizio sull’amministrazione uscente, e questo non è stato possibile, e poi definire i confini della coalizione. Non ho mai partecipato a primarie con alleanze variabili a seconda dei candidati”: così Stefano Quaranta, deputato di Sinistra Ecologia e Libertà , commentano l’esito delle primarie.
“Servirebbero persone al servizio delle idee. Quando le idee sono al servizio delle persone, quando ci sono persone già  candidate a 8 mesi dalle primarie c’è qualcosa che non va. Se sono buoni anche i voti della destra non mi stupisco più di nulla”, prosegue Quaranta, che precisa: “Mi riferisco a Raffella Paita, la candidata che non sosterremo mai alle elezioni”.
Sulle presunte irregolarità  il deputato Sel attacca: “Per fare le primarie così… Dove c’è un voto di opinione c’è un risultato. Dove c’è l’esercizio del potere che deriva dal tuo ruolo, c’è un altro risultato. Questo sistema non ci vedrà  mai coprotagonisti.”

(da “Primocanale”)

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SCANDALO PRIMARIE PD LIGURIA: “VOTANTI CHE CHIEDONO DOVE POSSONO RITIRARE IL COMPENSO”

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

PRESIDI ESTERNI DI ESTRANEI, FILE DI STRANIERI, VOTO INQUINATO, METODI DA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA: LA DENUNCIA DEL CENTRO DEMOCRATICO

“Le notizie che arrivano dai seggi delle primarie del centrosinistra in Liguria sono sconcertanti”.
E’ quanto afferma Angelo Sanza, responsabile dell’ufficio di presidenza nazionale di Centro Democratico, che candida Massimiliano Tovo alle primarie liguri per il candidato alla presidenza della Regione Liguria
“Tra file di cinesi e marocchini, persone che chiedono agli imbarazzati scrutatori dove possono ritirare il compenso che gli è stato promesso per il voto, noti esponenti del centrodestra ai seggi, viene da chiedersi con quale coraggio si continuino a demonizzare le preferenze visto che durante le elezioni politiche esistono controlli e garanzie che non sono nemmeno lontanamente paragonabili ai controlli fai da te delle primarie”, ha sottolineato Sanza.
“Ma davvero – ha concluso – dopo gli scandali che hanno riguardato tutte le regioni, vogliamo continuare ad affidare la scelta dei governatori delle regioni stesse a carnevalate come quella in corso in Liguria?”.

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“HO DETTO ALLE MIE FIGLIE CHE ANDAVO A DIFENDERE LA LORO LIBERTA'”: UNA TESTIMONIANZA DA PARIGI

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

“NON AVRETE LA NOSTRA LIBERTA’, NON AVRETE NULLA, ABBIAMO VINTO NOI, SIAMO TUTTI CHARLIE, SIAMO TUTTI FRANCESI, SIAMO LA VITA, SIAMO INARRESTABILI”

Dov’era finito il mio Paese? Dove ci eravamo persi per strada? L’incubo per tutti noi francesi è iniziato mercoledì.
Per la mia famiglia, in realtà , è stato un ripido scivolare dal paradiso all’inferno in una settimana.
Siamo tornati a Parigi da poco, dopo lunghe peregrinazioni in Europa e gli ultimi 3 anni in Messico per il lavoro di Dario, mio marito.
Con noi le nostre gemelle, Luna e Margo, cinque anni e, loro malgrado e nostra fierezza, simbolo proprio di una multiculturalità  senza confini.
Nate da una parigina e un napoletano, “costrette” sin dalle prime parole a parlare almeno tre lingue: quelle dei genitori e quella del posto dove si sono ritrovate in base ai nostri spostamenti.
Il rientro a Parigi è stato il sogno: pochi giorni prima della follia eravamo finalmente entrati nella nostra nuova casa a sud-ovest della Capitale.
La nostra prima, vera casa: ero e sono finalmente a Parigi, la mia città  adorata.
Ero e sono in Francia, il mio paese amato. E qui sono finalmente tornata a vivere con le “pupine”, come amiamo chiamarle con quel vezzeggiativo in italiano che di generazione in generazione si sono passate le donne della famiglia di mio marito.
E proprio grazie a loro, dopo anni all’estero, il “ritorno a casa” mi ha fatto sentire ancora più fiera della mia cultura.
Orgogliosa di trasmetterla alle mie bimbe in un posto unico dove etnie, generi e religioni che popolano le strade si mescolano naturalmente.
Un posto che emana da tutte le strade di questa città  gli “odori” della Repubblica: laicità , libertà , uguaglianza. L’odore e l’umore di una terra di accoglienza.
E poi l’incubo. Dov’era finito il mio paese? Dove ci eravamo persi per strada?
Ma solo oggi, dopo tre giorni di sangue e oblio sentimentale, ho trovato di nuovo l’esprit di Parigi.
L’ho sentito prima dentro di me, uscendo da quel nichilismo che ha distrutto e logorato le nostre coscienze così poco abituate all’orrore che vince sulla ragione.
L’ho trovato quando ho detto a Margo e Luna: «Mamma va a una manifestazione, ci vediamo dopo».
Hanno domandato cosa volessi dire. Ed è stato quello il momento in cui, guardando i loro occhi curiosi in attesa di una risposta, ho finalmente capito dove era il mio Paese, dove non ci saremmo affatto persi per strada.
Ho spiegato loro: «Mamma va a difendere la vostra libertà : quella di crescere e andare a scuola, studiare, giocare, pensare, ridere. Vado a difendere l’uguaglianza, perchè tutti possano avere opinioni diverse e le possano esprimere senza paura. Vado a difendere la libertà : quella di vivere in un mondo privo di pregiudizi e aperto a tutti». E dopo tutto è stato semplice, anche lasciarsi andare nella marea umana.
Scesa di casa, raggiunta la metro per andare, già  mi sentivo meno marcia, triste, cupa. E via via che velocemente si riempivano le carrozze, riprendevo sempre più speranza, catturata da un’onda di unione collettiva.
Una sensazione che mai prima nella mia vita avevo vissuto.
E ho persino iniziato a sorridere, senza vergognarmene, talmente era bello tutto quello che succedeva intorno a me.
Ecco dove è finito il mio Paese: per le strade della mia Parigi, dove ha sempre avuto la forza di combattere.
Nei volti di vecchi e giovani, famiglie e single, bianchi e neri.
Negli occhi di tutti coloro che urlavano: «Siamo tutti ebrei, musulmani, cattolici e laici».
In quei milioni di corpi l’uno accanto all’altro che dentro pensavano tutti la stessa cosa: non avrete la nostra libertà . Non avrete nulla. Abbiamo vinto noi.
Siamo tutti Charlie, siamo tutti francesi.
Siamo la vita, siamo inarrestabili.

Miranda Mavridis
(da “il Secolo XIX”)

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PRIMARIE PD LIGURIA: I RENZIANI FANNO VOTARE CINESI, MAROCCHINI E ROM

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

OLTRE 22.000 VOTANTI, COFFERATI DENUNCIA INQUINAMENTI DEL VOTO: A SPEZIA DECINE DI CINESI AI SEGGI, A GENOVA VOTANO TANTE FAMIGLIE NOMADI IN VALPOLCEVERA

Svanisce il timore dell’astensionismo per le primarie del centrosinistra in Liguria, dove si vota oggi per scegliere il candidato alla successione di Claudio Burlando nelle elezioni regionali della prossima primavera: alle 14 erano stati superati i 22 mila votanti nei 300 seggi in tutta la regione,
Ma la tensione resta molto alta e le polemiche si fanno sempre più dure con il passare delle ore per quello che Sergio Cofferati, uno dei tre candidati con Raffaella Paita e Massimiliano Tovo, ha denunciato come un rischio di inquinamento del voto per la presenza massiccia di extracomunitari in diversi seggi della Liguria.
A La Spezia il coordinatore provinciale Pd Alessandro Pollio, secondo quanto dichiarato all’emittente Primocanale, ha segnalato una massiccia presenza di stranieri, soprattutto stranieri e nordafricani, ai seggi, in particolare quello allestito pressi il centro Allende, è Sergio Cofferati, all’uscita dal seggio di palazzo Ducale,   a denunciare possibili irregolarità .   “Mi sono stati segnalati numerosissimi casi di violazione esplicita delle regole
“L’inquinamento è in corso, molto pesante e non solo per i voti della destra ma con il voto organizzato di intere etnie, come quella cinese alla Spezia e quella marocchina a ponente”.
Lo ha detto Sergio Cofferati, uscendo dal seggio di Palazzo Ducale dove ha votato per le primarie
“Quello che temevamo si sta verificando – ha detto Cofferati –   in misura ancora più consistente di quella che avevo segnalato come un pericolo. Prendiamo nota di tutto e segnaleremo alla commissione di garanzia e anche alla segreteria nazionale del partito. E’ inimmaginabile quello che sta succedendo in queste ore in Liguria”.
Ma non solo: se nell’imperiese alcuni nordafricani sprovvisti di documenti sono stati allontanato dai seggi – altri, con tutte le carte in regola, hanno potuto votare – a Genova risultano presenze di rom dei campi nomadi della Valpolcevera nei seggi di Bolzaneto e Certosa.
Una situazione su cui i vertici del Pd genovese e ligure stanno assumendo informazioni per meglio valutare
Tensione altissima anche nel giorno del voto, quindi, dopo che le ultime settimane sono trascorse in un crescendo da resa dei conti tra renziani e minoranza dem.
E soprattutto ha alzato i toni dello scontro l’annuncio di Ncd di appoggiare Raffaella Paita.
L’affluenza. Alle 14 avevano votato 7800 persone in provincia di Genova, 6200 a La Spezia, 1620 nel Tigullio, 4087 a Savona, 2340 a Imperia.
Sergio Cofferati ha votato al seggio di palazzo Ducale dove si è visto anche   il presidente uscente della Regione Claudio Burlando, che ha però votato in Albaro. Raffaella Paita si è invece recata al seggio a La Spezia, Massimiliano Tovo a Sant’Olcese.

(da “La Repubblica”)

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PARIGI, UNA PIAZZA IMMENSA PER RICORDARE UNA MATITA SPEZZATA

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

LA FOLLA INVADE PARIGI CONTRO IL TERRORISMO: OLTRE UN MILIONE IN PIAZZA, 45 CAPI DI STATO

Parigi, mondo. Una piazza immensa per commemorare una matita spezzata.
Sfilano Hollande e Sarkozy, il palestinese Abu Mazen e l’israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente ucraino Petro Poroshenko e il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, il re Abdallah II di Giordania con   la regina Rania e il premier turco Ahmet Davatoglu, Angela Merkel e Matteo Renzi, David Cameron e Marano Rajoy, e tante, tantissime persone per ricordare le vittime della strage jihadista al giornale satirico Charlie Hebdo e i poliziotti e gli ostaggi rimasti uccisi durantre il raid e nei due giorni successivi.
Più di un milione le persone in strada per la marcia che è partita da Place de la Republique.
La folla è talmente immensa, che la Prefettura ha chiesto di non marciare verso Place de la Nation, punto di arrivo, dato che i boulevard sono tutti bloccati.
Impressionante il dispiegamento di forze: cecchini sui tetti, 24 unità  della riserva nazionale, 20 squadre della brigata anti crimine della polizia di Parigi, 150 agenti in borghese “incaricati della protezione delle alte personalità  e della sicurezza generale”. Duemila poliziotti e 1.350 militari schierati a Parigi per proteggere gli oltre 45 tra capi di governo e di Stato e i manifestanti.
E’ la risposta del mondo alle stragi dei fratelli Cherif e Said Kouachi e di Amedy Coulibaly che hanno insanguinato la Francia. E il presidente Hollande, al termine del corteo dei capi di Stato, saluta i poliziotti e abbraccia i redattori sopravvissuti al massacro di Charlie Hebdo e i parenti delle vittime, che guidano la marcia.

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INTERVISTA A PAPA FRANCESCO: “AVERE CURA DI CHI E’ POVERO NON E’ COMUNISMO, E’ VANGELO”

Gennaio 11th, 2015 Riccardo Fucile

“IL NUOVO TESTAMENTO NON CONDANNA I RICCHI, MA L’IDOLATRIA DELLA RICCHEZZA”… “IL NOSTRO SISTEMA SI MANTIENE CON LA CULTURA DELLO SCARTO, COSI’ CRESCONO DISPARITA’ E POVERTA'”

Anticipiamo uno stralcio di «Papa Francesco. Questa economia uccide», il libro sul magistero sociale di Bergoglio scritto da Andrea Tornielli, coordinatore di «Vatican Insider», e Giacomo Galeazzi, vaticanista de «La Stampa». Il volume raccoglie e analizza i discorsi, i documenti e gli interventi di Francesco su povertà , immigrazione, giustizia sociale, salvaguardia del creato. E mette a confronto esperti di economia, finanza e dottrina sociale della Chiesa – tra questi il professor Stefano Zamagni e il banchiere Ettore Gotti Tedeschi – raccontando anche le reazioni che certe prese di posizione del Pontefice hanno suscitato. Il libro si conclude con un’intervista che Francesco ha rilasciato agli autori all’inizio di ottobre 2014.  

«Marxista», «comunista» e «pauperista»: le parole di Francesco sulla povertà  e sulla giustizia sociale, i suoi frequenti richiami all’attenzione verso i bisognosi, gli hanno attirato critiche e anche accuse talvolta espresse con durezza e sarcasmo. Come vive tutto questo Papa Bergoglio? Perchè il tema della povertà  è stato così presente nel suo magistero?
Santità , il capitalismo come lo stiamo vivendo negli ultimi decenni è, secondo lei, un sistema in qualche modo irreversibile?  
«Non saprei come rispondere a questa domanda. Riconosco che la globalizzazione ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà , ma ne ha condannate tante altre a morire di fame. È vero che in termini assoluti è cresciuta la ricchezza mondiale, ma sono anche aumentate le disparità  e sono sorte nuove povertà . Quello che noto è che questo sistema si mantiene con quella cultura dello scarto, della quale ho già  parlato varie volte. C’è una politica, una sociologia, e anche un atteggiamento dello scarto. Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si “scarta” quello che non serve a questa logica: è quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani. Mi ha impressionato apprendere che nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di giovani al di sotto dei 25 anni che non hanno lavoro. Li ho chiamati i giovani “nè-nè”, perchè non studiano nè lavorano: non studiano perchè non hanno possibilità  di farlo, non lavorano perchè manca il lavoro. Ma vorrei anche ricordare quella cultura dello scarto che porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto. Mi colpiscono i tassi di natalità  così bassi qui in Italia: così si perde il legame con il futuro. Come pure la cultura dello scarto porta all’eutanasia nascosta degli anziani, che vengono abbandonati. Invece di essere considerati come la nostra memoria, il legame con il nostro passato è una risorsa di saggezza per il presente. A volte mi chiedo: quale sarà  il prossimo scarto? Dobbiamo fermarci in tempo. Fermiamoci, per favore! E dunque, per cercare di rispondere alla domanda, direi: non consideriamo questo stato di cose come irreversibile, non rassegniamoci. Cerchiamo di costruire una società  e un’economia dove l’uomo e il suo bene, e non il denaro, siano al centro».
Un cambiamento, una maggiore attenzione alla giustizia sociale può avvenire grazie a più etica nell’economia oppure è giusto ipotizzare anche cambiamenti strutturali al sistema?
«Innanzitutto è bene ricordare che c’è bisogno di etica nell’economia, e c’è bisogno di etica anche nella politica. Più volte vari capi di Stato e leader politici che ho potuto incontrare dopo la mia elezione a vescovo di Roma mi hanno parlato di questo. Hanno detto: voi leader religiosi dovete aiutarci, darci delle indicazioni etiche. Sì, il pastore può fare i suoi richiami, ma sono convinto che ci sia bisogno, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate”, di uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E al tempo stesso sono convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste donne si impegnino, ad ogni livello, nella società , nella politica, nelle istituzioni e nell’economia, mettendo al centro il bene comune. Non possiamo più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà , per guarire le nostre società  da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. Servono programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso».
Perchè le parole forti e profetiche di Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno contro l’imperialismo internazionale del denaro, oggi suonano per molti — anche cattolici — esagerate e radicali?  
«Pio XI sembra esagerato a coloro che si sentono colpiti dalle sue parole, punti sul vivo dalle sue profetiche denunce. Ma il Papa non era esagerato, aveva detto la verità  dopo la crisi economico-finanziaria del 1929, e da buon alpinista vedeva le cose come stavano, sapeva guardare lontano. Temo che gli esagerati siano piuttosto coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai richiami di Pio XI…».
Restano ancora valide le pagine della “Populorum progressio” nelle quali si dice che la proprietà  privata non è un diritto assoluto ma è subordinata al bene comune, e quelle del catechismo di San Pio X che elenca tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio l’opprimere i poveri e il defraudare della giusta mercede gli operai?  
«Non solo sono affermazioni ancora valide, ma più il tempo passa e più trovo che siano comprovate dall’esperienza».
Hanno colpito molti le sue parole sui poveri «carne di Cristo». La disturba l’accusa di «pauperismo»?  
«Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i “pauperisti”, nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà . Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà  e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci dice qual è il “protocollo” sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo: di chi è povero, di chi soffre nel corpo nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone. È pauperismo? No, è Vangelo. La povertà  allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti. Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà  dei suoi averi ai poveri. Quello del Vangelo è un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all’altare dobbiamo riconciliarci con il nostro fratello per essere in pace con lui. Credo che possiamo, per analogia, estendere questa richiesta anche all’essere in pace con questi fratelli poveri».
Lei ha sottolineato la continuità  con la tradizione della Chiesa in questa attenzione ai poveri. Può fare qualche esempio in questo senso?  
«Un mese prima di aprire il Concilio Ecumenico Vaticano II, Papa Giovanni XXIII disse: “La Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. Negli anni successivi la scelta preferenziale per i poveri è entrata nei documenti del magistero. Qualcuno potrebbe pensare a una novità , mentre invece si tratta di un’attenzione che ha la sua origine nel Vangelo ed è documentata già  nei primi secoli di cristianesimo. Se ripetessi alcuni brani delle omelie dei primi Padri della Chiesa, del II o del III secolo, su come si debbano trattare i poveri, ci sarebbe qualcuno ad accusarmi che la mia è un’omelia marxista. “Non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poichè è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”. Sono parole di sant’Ambrogio, servite a Papa Paolo VI per affermare, nella “Populorum progressio”, che la proprietà  privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto, e che nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. San Giovanni Crisostomo affermava: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. (…) Come si può vedere, questa attenzione per i poveri è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla, come alcune volte è accaduto nel corso della storia. La Chiesa quando invita a vincere quella che ho chiamato la “globalizzazione dell’indifferenza” è lontana da qualunque interesse politico e da qualunque ideologia: mossa unicamente dalle parole di Gesù vuole offrire il suo contributo alla costruzione di un mondo dove ci si custodisca l’un l’altro e ci si prenda cura l’uno dell’altro».

Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi
EDIZIONI PIEMME Spa, Milano
(da “La Stampa”)

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