“HO DETTO ALLE MIE FIGLIE CHE ANDAVO A DIFENDERE LA LORO LIBERTA'”: UNA TESTIMONIANZA DA PARIGI
“NON AVRETE LA NOSTRA LIBERTA’, NON AVRETE NULLA, ABBIAMO VINTO NOI, SIAMO TUTTI CHARLIE, SIAMO TUTTI FRANCESI, SIAMO LA VITA, SIAMO INARRESTABILI”
Dov’era finito il mio Paese? Dove ci eravamo persi per strada? L’incubo per tutti noi francesi è iniziato mercoledì.
Per la mia famiglia, in realtà , è stato un ripido scivolare dal paradiso all’inferno in una settimana.
Siamo tornati a Parigi da poco, dopo lunghe peregrinazioni in Europa e gli ultimi 3 anni in Messico per il lavoro di Dario, mio marito.
Con noi le nostre gemelle, Luna e Margo, cinque anni e, loro malgrado e nostra fierezza, simbolo proprio di una multiculturalità senza confini.
Nate da una parigina e un napoletano, “costrette” sin dalle prime parole a parlare almeno tre lingue: quelle dei genitori e quella del posto dove si sono ritrovate in base ai nostri spostamenti.
Il rientro a Parigi è stato il sogno: pochi giorni prima della follia eravamo finalmente entrati nella nostra nuova casa a sud-ovest della Capitale.
La nostra prima, vera casa: ero e sono finalmente a Parigi, la mia città adorata.
Ero e sono in Francia, il mio paese amato. E qui sono finalmente tornata a vivere con le “pupine”, come amiamo chiamarle con quel vezzeggiativo in italiano che di generazione in generazione si sono passate le donne della famiglia di mio marito.
E proprio grazie a loro, dopo anni all’estero, il “ritorno a casa” mi ha fatto sentire ancora più fiera della mia cultura.
Orgogliosa di trasmetterla alle mie bimbe in un posto unico dove etnie, generi e religioni che popolano le strade si mescolano naturalmente.
Un posto che emana da tutte le strade di questa città gli “odori” della Repubblica: laicità , libertà , uguaglianza. L’odore e l’umore di una terra di accoglienza.
E poi l’incubo. Dov’era finito il mio paese? Dove ci eravamo persi per strada?
Ma solo oggi, dopo tre giorni di sangue e oblio sentimentale, ho trovato di nuovo l’esprit di Parigi.
L’ho sentito prima dentro di me, uscendo da quel nichilismo che ha distrutto e logorato le nostre coscienze così poco abituate all’orrore che vince sulla ragione.
L’ho trovato quando ho detto a Margo e Luna: «Mamma va a una manifestazione, ci vediamo dopo».
Hanno domandato cosa volessi dire. Ed è stato quello il momento in cui, guardando i loro occhi curiosi in attesa di una risposta, ho finalmente capito dove era il mio Paese, dove non ci saremmo affatto persi per strada.
Ho spiegato loro: «Mamma va a difendere la vostra libertà : quella di crescere e andare a scuola, studiare, giocare, pensare, ridere. Vado a difendere l’uguaglianza, perchè tutti possano avere opinioni diverse e le possano esprimere senza paura. Vado a difendere la libertà : quella di vivere in un mondo privo di pregiudizi e aperto a tutti». E dopo tutto è stato semplice, anche lasciarsi andare nella marea umana.
Scesa di casa, raggiunta la metro per andare, già mi sentivo meno marcia, triste, cupa. E via via che velocemente si riempivano le carrozze, riprendevo sempre più speranza, catturata da un’onda di unione collettiva.
Una sensazione che mai prima nella mia vita avevo vissuto.
E ho persino iniziato a sorridere, senza vergognarmene, talmente era bello tutto quello che succedeva intorno a me.
Ecco dove è finito il mio Paese: per le strade della mia Parigi, dove ha sempre avuto la forza di combattere.
Nei volti di vecchi e giovani, famiglie e single, bianchi e neri.
Negli occhi di tutti coloro che urlavano: «Siamo tutti ebrei, musulmani, cattolici e laici».
In quei milioni di corpi l’uno accanto all’altro che dentro pensavano tutti la stessa cosa: non avrete la nostra libertà . Non avrete nulla. Abbiamo vinto noi.
Siamo tutti Charlie, siamo tutti francesi.
Siamo la vita, siamo inarrestabili.
Miranda Mavridis
(da “il Secolo XIX”)
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