Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
VERDINI E LOTTI ALL’OPERA PER IL CONTROLLO DEL VOTO
Nel Nazareno, inteso come patto del Nazareno, è scattata l’ora del terrore. Del “controllo” totale dei
parlamentari.
Quando, due giorni fa, Raffaele Fitto ha convocato la sua la conferenza stampa, ha chiesto ai suoi di essere presenti in sala: “Fatevi vedere — ha spiegato a chi lo chiamava — perchè dobbiamo dire ‘eccoci”, metterci la faccia di fronte alle pressioni che stiamo ricevendo. Vogliono farci rientrare con le buone e con le cattive”.
Più di un parlamentare gli ha raccontato che Denis Verdini si è rimesso a lavorare per portare deputati alla Causa, come ai tempi delle grandi conte per far cadere governi o compensare scissioni interni.
Dall’operazione Sergio De Gregorio a quella “responsabili” con Razzi e Scilipoti.
Un lavoro che terminerà con la compilazione di una “Nazareno’s list”, così è stata ribattezzata dagli oppositori, frutto dell’incrocio dei dati di Verdini e quelli di Luca Lotti, il braccio destro del premier incaricato a compilare l’elenco dei buoni e dei cattivi.
Nel Palazzo in molti hanno visto la sua mano dietro la pubblicazione, sul Foglio, di “una lista importante che gira a palazzo Chigi, piena di numeri, di appunti, di calcoli su quella che sarà la sfida delle sfide, l’elezione del presidente della Repubblica”.
Verdini e Lotti si incontreranno lunedì mattina ed è l’appuntamento nell’ambito della trattativa tra Renzi e Berlusconi.
Perchè consentirà ai due, quando si incontreranno il giorno successivo nella sede del Pd, di identificare il candidato e la strategia — eleggerlo alla prima o quarta votazione — in base a numeri certi.
Ecco perchè in queste ore si è intensificata la caccia all’incerto, all’opportunista, al timoroso.
Sul Fatto, in un articolo di Fabrizio D’Esposito, è riportato lo sfogo di un parlamentare dem, a proposito di come avviene il controllo del voto: “Il premier scatenerà l’Armageddon minacciando le elezioni anticipate se non votiamo il presidente del Nazareno. E a chi verrà comprato di noi, con la promessa di una ricandidatura, sarà chiesta la prova di fedeltà ”.
Sempre secondo il Fatto, la prova di fedeltà sarebbe uno scatto del voto col telefonino, nel segreto dell’urna presidenziale.
Sia come sia è chiaro che il timore di molti è che la lista di “sicuri”, in “bilico”, “persi” sul Quirinale coincida con le prossime liste elettorali: sicuramente candidati, in bilico, fuori dalle liste.
Insomma, l’aria è pesante. P
ier Luigi Bersani è tornato a casa per il week end. Ma il suo telefono è bollente: “Al momento — ha detto a uno dei suoi — non vedo da Renzi segnali di apertura reale”.
Al netto delle rassicurazioni a parole (“Si partirà dal Pd”), nei fatti l’interlocuzione fondamentale resta con Berlusconi.
E l’ex segretario del Pd si è convinto che “Matteo” non ha cambiato lo schema originario: un Avatar al Quirinale da eleggere con Berlusconi, in cambio della “salva-Silvio”.
Non è un caso che l’incontro con Berlusconi, martedì, è stato fissato alle sette di sera, quanto il voto al Senato sull’Italicum sarà terminato.
Significa che Berlusconi non ha intenzione di alzare la posta neanche un po’ usando il suo potere negoziale sul Senato. E che c’è quella “profonda sintonia” sbocciata anche all’incontro di un anno fa.
L’Avatar può essere anche del Pd. L’importante è che sia Avatar. Anzi starebbe proprio qui la malizia dell’operazione.
Ci sono dei nomi che si prestano al tempo stesso a non “oscurare” il manovratore e a dire, alla minoranza: “Come fate a dire no?”.
I nomi in questione, sono: Graziano Delrio, Paolo Gentiloni, Sergio Chiamparino, Piercarlo Padoan. Soprattutto Graziano Delrio. Stimato nel Pd, mite, ottimi rapporti con sindaci e autonomie (ovvero i componenti del nuovo Senato) compirà 55 anni ad aprile. È uno spot perfetto: il più giovane presidente della Repubblica italiana nell’era del più giovane presidente del Consiglio.
Per lo spot serve la sicurezza dei numeri.
Al momento i voti sicuri di Forza Italia, su 130 grandi elettori, sono un’ottantina. Dentro il Pd, secondo il Foglio, i voti sicuri sono 275 voti sicuri, 99 a rischio, 41 persi.
Sulla carta la platea elettorale del “patto del Nazareno” è di 758 grandi elettori.
Per affossarla sono necessari 253 franchi tiratori. Senza il recupero dei “parlamentari a rischio” ci sono.
L’ora del terrore è scattata: “Controllate i parlamentari”.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
I DUE TOSCANI DIETRO IL NEGOZIATO
Poi, alla fine, arriverà il tramonto di martedì: e Silvio Berlusconi varcherà , per la seconda volta, il portone di largo del Nazareno.
Ma le ore in cui si decide tutto sono queste
È un lavoro diplomatico e politico complesso. Occorrono astuzia e cinismo, sveltezza, freddezza e cattiveria. Molti millantano, giurano d’essere dentro ai giochi. Bluffano.
Per rinnovare gli accordi di base del celebre patto e stabilire chi possa essere il nuovo presidente della Repubblica, buttare giù qualche candidatura più credibile e solida di altre e quindi trattare, ricattare e promettere a nome e per conto del Cavaliere e del premier, sono in queste ore al lavoro due sole persone.
Soltanto due. Luca Lotti e Denis Verdini (in rigoroso ordine alfabetico).
Provate ad avvicinarvi a Lotti e a chiedergli quanto si senta potente: vi prenderà sottobraccio, i boccoli biondi con dentro uno sguardo gelido, e vi spiegherà con parole dolci e il tono persuasivo che non bisogna mai andare dietro a ciò che scrivono i giornali, i giornalisti inventano, lui è solo un semplice sottosegretario alla Presidenza, certo la sua grande amicizia con Matteo Renzi gli permette forse di sapere qualcosina in più e così, lentamente, proprio perchè sei tu, mezza parola qua, mezza là , comincerà a fingere di rivelarti in via eccezionale qualche informazione riservata.
Chi gli crede, va a sbattere regolarmente.
Fate la stessa domanda a Verdini. Quanto si sente potente? Coraggio, non faccia il modesto. Il senatore Verdini ti osserverà immobile come il personaggio d’un film di Sergio Leone e resterà muto, lo sguardo che è un miscuglio di compiacimento e disprezzo, un uomo di potere che non nega di avere potere, ma che non proverà neppure per un istante a dimostrare di esserti amico; lo vedrai allontanarsi nel corridoio e ti resteranno impressi i suoi mocassini di camoscio blu con le nappine e il suo orologio d’oro massiccio.
Lotti ha 32 anni, Verdini 63. Entrambi sono toscani: Lotti di Montelupo, Verdini di Fivizzano.
Detestano partecipare ai talk-show, rilasciare interviste, essere contraddetti (un mese fa, a Palazzo Grazioli, fecero appena in tempo a togliere dalle manone di Denis il terrorizzato Brunetta. Che, però, gli aveva anche detto: «E non sputare quando parli!»).
Verdini ha un controllo quasi militare del suo esercito (una volta, durante un voto, ordinò a Cicchitto di restare in Aula e trattenere la pipì), conosce a memoria tutti i fittiani ribelli e, in tanti anni, ha sbagliato una sola volta: quando spiegò al capo che Alfano se ne sarebbe andato con quattro gatti, e quelli invece furono abbastanza per tenere in piedi il governo Letta al Senato.
Lotti, che ha meno esperienza, s’aiuta ancora con i foglietti: questo è renziano, questo fa il furbo, questo è bersaniano, con questo ci parlo domani, questo lo faccio chiamare dalla Boschi.
Mentre Verdini lavora in totale solitudine, dopo aver mandato in frantumi il «cerchio magico» berlusconiano – sparita, da settimane, Mariarosaria Rossi; la signorina Francesca Pascale che posa solitaria su motociclette da dark-lady; Capezzone ormai d’osservanza fittiana: «Per caso viene anche Denis?» – ecco, mentre Verdini li ha limati via tutti, Lotti continua a collaborare, sul piano delle strategie, con il ministro Maria Elena Boschi.
Di lei, si fida. Ma solo di lei (quando Renzi entrò a Palazzo Chigi, il gruppo del «Giglio magico» era più folto: Delrio, Nardella, Bonafè…).
Come avrete intuito, nonostante uno possa essere il figliolo dell’altro, Luca e Denis hanno molto in comune: compresa, ovviamente, l’enorme ostilità della minoranza del Pd.
Ci sono bersaniani che parlando di Lotti usano termini irriferibili. Mettono su facce allibite, ti dicono che loro guidavano dicasteri mentre Lotti allenava la squadra di calcio femminile del suo paesino.
E, appena possono, ti raccontano il solito aneddoto (trovatene altri, please). «Sai come sono diventati amici lui e Renzi? Allora, era il giugno del 2006 quando Matteo, che all’epoca era presidente della Provincia di Firenze, manda un sms a un suo consigliere. Sull’sms, c’è scritto: “Quel Luca che m’hai presentato alla festa della ceramica, ha mica voglia di fare esperienza in Provincia? No, perchè se ha le ‘palle’, come mi hai detto, in poco tempo te lo formo a dovere”. Capito da che razza di scuola politica arriva Lotti?».
Commentando invece le vicende giudiziarie di Verdini – rinviato a giudizio nell’inchiesta P3 e per la gestione della banca Credito cooperativo fiorentino – una volta Rosy Bindi quasi si sentì male. «Scusate… se continuo a parlare, svengo».
Ultima cosetta: martedì, nè Verdini nè Lotti parteciperanno all’incontro del Nazareno.
Sublime, chicchissima dimostrazione di potere.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
VENDOLA LANCIA LA DOPPIA MILITANZA, MA GLI OSPITI DEM FRENANO
La “sala parto” di Milano non ha funzionato. 
Complice anche la vigilia delle elezioni per il Quirinale, la tre giorni “Human Factor” di Sel non ha partorito il nuovo partito di sinistra da schierare contro Renzi nel nome di Tsipras.
Ma, tanto per restare in ambito ginecologico, è difficile persino scorgere l’embrione della nuova sinistra, fortemente voluta da Vendola, uno dei potenziali genitori.
Mentre l’altro, la minoranza dem, ancora non se la sente. Troppo forte il cordone ombelicale con la vecchia Ditta Pd, anche se ha cambiato padrone e ragione sociale.
E così, i quattro moschettieri dem che arrivano sul palco della Permanente di Milano, Civati, Cuperlo, Fassina e Pollastrini, gelano subito le aspettative della folta platea (migliaia di presenze nel weekend), chiarendo che sì, il dialogo con Sel va ricostruito, Renzi non ne azzecca una, ma “calmi, io non lascio il Pd”, come afferma Civati, dopo aver illuso i compagni affermando che “io qui mi sento a casa”.
Il deputato di Monza spera di poter recuperare terreno dentro il Pd, e così “ricostruire il centrosinistra con Sel, che si è rotto quando non si è votato Prodi al Quirinale nel 2013”.
“Io non sono minoranza, facciamole le primarie tra la nostra gente per sapere cosa ne pensa del patto con Berlusconi, voglio vedere come vanno a finire…”, insiste Civati, che accoglie la critica di Rodotà alla somma di frammenti di partito e spiega: “Dobbiamo partire da un progetto di governo, cosa farebbe la nuova sinistra sui temi più rilevanti dell’agenda?”.
Anche Fassina e Cuperlo, pur attaccando Renzi a più riprese, escludono rotture del Pd, e si limitano ad auspicare una collaborazione con Sel “che ci porti a una piattaforma comune pur restando ognuno nel proprio partito”, dice l’ex viceministro.
Vendola, nel suo lunghissimo intervento conclusivo, lancia l’idea di un “coordinamento” tra i vari soggetti riuniti a Milano, una “doppia militanza” che parta da iniziative comuni “sui temi dei diritti”.
“Non sarà un rassemblement di come eravamo o la somma algebrica delle sinistre del passato”.
A febbraio, secondo il governatore pugliese, i militanti delle varie forze dovrebbero lavorare insieme nei circoli e sui territori, per poi arrivare a un nuovo appuntamento comune “a primavera“.
“Dobbiamo realizzare un rimescolamento dei popoli, spartire insieme il pane della buona politica”, propone il leader di Sel.
Ma Fassina e Civati nicchiano. “Lo vedo più come un discorso di ricerca e di analisi comune, anche con iniziative e campagne insieme”, dice il primo.
E Civati ricorda come, nei fatti, la collaborazione tra Sel e minoranza Pd sia già in atto, “anche in Parlamento”.
“La doppia militanza facciamola in modo intelligente, condividendo battaglie comuni, come abbiamo già fatto a dicembre con i 10 punti per un nuovo centrosinistra, firmati anche da Sel”, spiega Civati ad Huffpost.
“Dobbiamo stare leggeri, concentrati sui contenuti, evitiamo di eccedere con la burocrazia e i coordinamenti”.
“Good luck e camminiamo insieme”, chiude Cuperlo. “dentro il Pd c’è una comunità che intende battersi a viso aperto e che è capace di innovazione profonda”.
Sono quei circoli e quegli iscritti di cui parla anche Fassina. E che vengono citati da Giuliano Pisapia.
Il sindaco di Milano spinge Sel a mescolarsi con il popolo delle feste dell’Unità “che non ama le larghe intese e vuole allearsi con noi. Io credo che questa sia la vera maggioranza del Pd”.
E lancia alcune stoccate al suo partito: “L’Italia non è la Grecia, lì c’è stato un lavoro di anni e anni, qui veniamo dai fallimenti della Lista Arcobaleno, di Ingroia, e anche la lista Tsipras non è andata oltre il quorum”.
Di qui la frustata di Pisapia, l’invito all’autocritica: “Bisogna avere l’obiettivo di vincere e governare, non di superare il 4%, dobbiamo essere più innovativi”.
C’è anche una stoccata al leader, l’invito alla “rotazione degli incarichi” e a “cambiare cavallo”.
Più incoraggianti Landini e Cofferati, che mandano due messaggi.
“Continueremo a camminare insieme”, scrive il leader Fiom. “Un’altra storia è vicina”, dice l’ex leader Cgil uscito dai democratici pochi giorni fa.
A Vendola tocca la chiusura, durissima con Renzi, “giovane leader del populismo conservatore”, che “rispetto al Parlamento si comporta ancor peggio di Berlusconi”. “Non sciolgo Sel, ma ai miei dico che dobbiamo fare molti passi avanti”, sono le parole finali, per dire che “questi tre giorni non sono stati un episodio, ci rivedremo presto, non è stato il ballare di una sola giornata”.
Per ora è difficile pensare a un doppio tesseramento di massa. Più facile immaginare una cooperarazione rafforzata in Parlamento tra Sel e minoranza dem, dalle riforme ai dossier economici.
Ma il voto sul Quirinale può rompere tutti gli schemi, frenare o anche accelerare il nuovo processo a sinistra. In queste ore, alla vigilia dell’incontro di Renzi con i gruppi parlamentari (previsto per lunedì mattina), la minoranza dem punta le sue fiches su un accordo dentro il Pd per il Colle.
E per questo in parte schiva l’abbraccio di Nichi e compagni. “Voglio archiviare il passato e cercare una convergenza”, dice Fassina a margine dell’evento di Sel.
Solo due giorni fa aveva definito Renzi il capo dei 101. Il 29 gennaio si vota per il dopo Napolitano, non è il momento per strategie di lungo periodo.
(da “Hufffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
“NON SI RICOSTRUISCE GUARDANDO A LORO”
Mentre gli occhi sono puntati sul voto in Grecia, sulla tre giorni vendoliana a Milano e sulla “brigata Kalimera” ad Atene, il dibattito a sinistra in Italia ha anche altri protagonisti. Di peso, anche se ora in sordina
La testa pensante è Stefano Rodotà ma accanto a lui ci sono nomi del calibro di Maurizio Landini, Gino Strada, don Luigi Ciotti.
Mentre i “kalimeriani”, vendoliani, rifondazionisti, “tsiprasiani” più o meno doc, sperano di importare in Italia il soffio di Tsipras e mentre oggi a Human Factor Nichi Vendola, Pippo Civati, Paolo Ferrero, Stefano Fassina spiegheranno la loro idea di sinistra, quegli altri studiano altre strade. Senza strappi o scontri.
Senza divergenze sul ruolo catalizzatore che potrebbe avere la vittoria di Syriza. Ma con altre priorità .
Nichi Vendola, oggi, assicurerà che non ci sarà nessuna “ora X”.
Ma l’ora X è nelle cose e la decisione di Sergio Cofferati di abbandonare il Pd ha accelerato l’attesa e il vorticoso rito delle riunioni.
Tutti in cerca di un possibile rimescolamento dei gruppi dirigenti che si conoscono da decenni. Sotto traccia, però, la discussione è più complicata.
Il perchè lo spiega una intervista a Stefano Rodotà , già parte della “sinistra indipendente” quando c’era il Pci, candidatura illustre, per quanto snobbata, alla presidenza della Repubblica, che su Micromega espone una idea molto diversa dell’ipotesi assemblativa presentata finora.
“La sinistra italiana ha alle spalle due fallimenti” risponde Rodotà : “La lista Arcobaleno e Rivoluzione Civile di Ingroia. Due esperienze inopportune nate per mettere insieme i cespugli esistenti ed offrire una scialuppa a frammenti e a gruppi perdenti della sinistra”.
Qui il giudizio è spietato: “Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia. Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità interpretativa e rappresentativa della società . Nulla di nuovo può nascere portandosi dietro queste zavorre”.
Giudizi così sferzanti spiegano, forse, perchè Rodotà non sia presente alla kermesse milanese.
“Rifondazione è un residuo di una storia – continua l’ex candidato al Quirinale – Sel ha avuto mille vicissitudini, la Lista Tsipras mi pare si sia dilaniata subito dopo il voto alle Europee. Ripeto: cercare di creare una nuova soggettività assemblando quel che c’è nel mondo propriamente politico secondo me è una via perdente”.
Rodotà non rinuncia ad avanzare proposte: “Bisogna partire da quel che definisco “coalizione sociale”.
Mettere insieme le forze maggiormente vivaci ed attive: Fiom, Libera, Emergency – che ha creato ambulatori dal basso – movimenti per i beni comuni, reti civiche e associazionismo diffuso. Da qui, per ridisegnare il nodo della rappresentanza”.
La linea del professore ha un retroterra teorico nel suo ultimo libro, Solidarietà , il cui titolo è già un programma.
Ma si nutre anche dei rapporti con i soggetti indicati anch’essi assenti dalla tre giorni vendoliana.
La Fiom ha inviato alcuni suoi rappresentanti ma non Maurizio Landini che non vuole più vedere associato il suo nome, e quello del suo sindacato, alla ricostruzione della sinistra politica.
Ma anche Libera di don Ciotti non è presente e così anche molti dei costituzionalisti che avevano lanciato la manifestazione “La via maestra”.
La Fiom, ad esempio, sta riflettendo seriamente sulla tematica del mutuo soccorso quella che ha portato Syriza a realizzare mense autogestite o ambulatori popolari .
Ci sono già collaborazioni avviate in questo senso tra Libera ed Emergency e la stessa Fiom potrebbe realizzare qualcosa di simile.
Da segnalare, poi, il canale diretto aperto da don Ciotti con Beppe Grillo, incontrato due giorni fa e con il quale l’associazione che si batte contro le mafie, ma anche contro la miseria, sta pensando di predisporre una proposta parlamentare sul reddito di cittadinanza.
C’è quindi un altro racconto a sinistra. Parla più il linguaggio del “sociale” e non si appassiona molto alle riunificazioni di altri tempi.
Anche questa è una novità .
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
E IL PD A GENOVA LE DETTA LE CONDIZIONI
Con fatica il Pd ligure sta cercando di superare le lacerazioni aperte dalle primarie vinte da Raffaella
Paita contro Sergio Cofferati ma il percorso sembra disseminato di piccoli ordigni: l’ultimo a esplodere è relativo all’assunzione nel 2007 di Paita da parte di un’azienda di archiviazione dati molto vicina al partito, come riportato da alcuni giornali.
L’11 giugno 2007, un giorno prima di essere nominata assessore nella giunta del neosindaco di La Spezia, Massimo Federici, Paita viene assunta come impiegata dalla Sti spa, non lavora nemmeno un giorno e non percepisce alcuno stipendio ma da quel momento i contributi (5.000 euro) vengono – come previsto per legge – versati dal Comune.
Paita dopo nove mesi si licenzierà .
Le assunzioni di comodo per avere una copertura previdenziale a spese della comunità non sono una novità fra i pubblici amministratori ma Paita respinge questo sospetto: «Non avevo neanche trent’anni, quando ho visto che l’incarico di assessore era l’inizio di una carriera politica duratura ho dato le dimissioni – spiega –. Il mio è un esempio di onestà e coerenza».
Tuttavia la notizia intorbida un clima non ancora sereno. Non solo alcuni circoli genovesi hanno chiesto l’annullamento delle primarie dopo le accertate irregolarità ma i civatiani sono usciti dalla segreteria del Pd a La Spezia e ieri non hanno partecipato alla direzione del partito a Genova.
Direzione che si è conclusa con un documento votato all’unanimità la cui sintesi è un appoggio unitario ma condizionato a Paita.
Tutto il Pd con lei, quindi, ma impegnandola su una serie di punti, primo fra tutti «nessuna alleanza con forze e/o esponenti politici di centrodestra» e «condivisione nelle direzioni provinciali dei criteri per la composizione di eventuali liste civiche in coalizione col Pd».
Tradotto: non vogliamo ex Pdl mascherati in liste civiche.
Paita incassa l’appoggio e risponde con un più sfumato «no a partiti che si richiamino nel nome e nei valori alla destra».
La direzione genovese ricorda alla candidata che a Genova non ha vinto (il 35% contro il 65% di Cofferati) e che si deve «recuperare un rapporto di fiducia con l’elettorato».
Alla fine, l’abbraccio del Pd (civatiani esclusi) con Paita c’è stato anche se non molto affettuoso.
Resta sempre più isolato Cofferati: ieri al suo nome il Guardasigilli Andrea Orlando, che lo aveva sostenuto, ha letteralmente voltato le spalle.
Erika Dellacasa
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
CHI E’ IL SUO LEADER STAVROS THEODORAKIS
Alleandosi con Syriza, il partito di centro sinistra To Potà mi (il Fiume), marcatamente europeista, potrebbe rappresentare l’ago della bilancia nelle elezioni greche di oggi che hanno visto la vittoria del partito della sinistra radicale di Alexis Tsipras sul filo della maggioranza assoluta dei seggi.
Secondo gli exit poll, To Potà mi si è aggiudicato fra il 5,73% ed il 6% dei voti, diventando il terzo o il quarto partito del paese dopo Syriza (tra il 35,5% e il 39,5%) e Nea Dimokratia (centro-destra, tra il 23 e il 27%).
Il Fiume sarebbe così destinato a divenire il classico “ago della bilancia” per la costituzione di un governo di coalizione in questo cruciale momento della politica greca.
To Potà mi non ha neanche un anno di vita ma ha già bruciato importanti tappe: fondato il 26 febbraio del 2014 da Stavros Theodorakis, 52 anni, noto giornalista investigativo (divenuto popolarissimo con la trasmissione ‘Protagonisti’ condotta prima sulla Tv statale greca e poi sull’emittente privata Mega), alle europee ha ricevuto a sorpresa il 6,61% delle preferenze e ottenuto due eurodeputati aderendo poi al gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici.
Sin dalla sua nascita, To Potà mi si è presentato senza una netta caratterizzazione ideologica chiamandosi fuori dalla casta dei partiti tradizionali ed è apprezzato soprattutto dagli strati sociali più colti.
Il partito piace anche ai delusi del partito socialista Pasok che non si fidano più delle promesse di Alexis Tsipras, il leader di Syriza.
La piattaforma politica di To Potà mi propone la riduzione del numero dei parlamentari (che sono 300), lo snellimento della burocrazia e del sistema giudiziario, la promozione della cultura e del turismo, e il diritto di voto per gli immigrati nelle amministrative.
Tra le proposte di Theodorakis: rimanere nell’euro, fine del clientelismo e degli sprechi, incentivi fiscali per creare posti di lavoro.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
NON SOLO IL PADRE VICEPRESIDENTE, MA ANCHE LEI INTERESSATA ALLE QUOTAZIONI DELLLA BANCA…DOVEVA ASTENERSI, NON VOTARE LA RIFORMA DELLE BANCHE POPOLARI
Spunta un altro elemento nella brutta storia delle speculazioni che potrebbero avere accompagnato il
varo del decreto governativo sulla riforma delle banche popolari, il brutto affaire sul quale ora ha aperto gli occhi anche la Consob.
Una non secondaria curiosità che va a braccetto con le polemiche che hanno visto beneficiare di rialzi eccezionali anche la Popolare dell’Etruria e del Lazio, amministrata in qualità di vicepresidente da Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, ministro per le Riforme in carica.
Riguarda non il conflitto di interesse che vede coinvolta la Boschi per via dei suoi rapporti di parentela, ma quello che la chiama in causa direttamente come socio della banca e che, in quanto tale, avrebbe dovuto consigliarle di non partecipare alla riunione del Consiglio dei ministri che ha varato la riforma.
BUONE AZIONI
Il conflitto diretto della Boschi è contenuto nelle sue dichiarazioni dei redditi che ilfattoquotidiano.it è andato a spulciare.
Nella documentazione patrimoniale che il ministro ha depositato in Parlamento risulta infatti che è proprietaria di un pacchetto di azioni della stessa banca amministrata dal padre.
Si tratta di una piccola quota, ma che almeno sotto il piano dello stile (chi non ricorda le polemiche che accompagnarono i conflitti di interesse di Silvio Berlusconi?) avrebbe dovuto indurla ad astenersi dalla partecipazione alla riunione del governo del 20 gennaio scorso.
Vediamo cosa dicono le carte della Boschi.
L’ONORE DEL MINISTRO
Nella documentazione patrimoniale depositata il 4 giugno 2013 presso la Camera dei deputati e relativa agli introiti del 2012, «sul mio onore», insieme a un reddito complessivo lordo di 90 mila 031 euro e una «Mercedes classe B di 180 cv» immatricolata nel 2011, la Boschi dichiara di avere 10 azioni «Bcc Valdarn» e 10 azioni «Banca Etruria», la banca del padre. Questo per il 2012.
Nella denuncia di variazione datata 13 luglio 2014, quando per il 2013 dichiara 107 mila 734 euro lordi, si scopre che il numero delle azioni detenute dal ministro hanno fatto un balzo notevole: la Boschi, sempre sul suo onore, dichiara che «alla data odierna sono titolare di numero 1.557 azioni di Banca Etruria soc coop, per un valore complessivo pari a circa 1.100 euro».
Ilfattoquotidiano.it ha provato a raggiungere telefonicamente il ministro per chiederle un commento e per sapere se nel frattempo, dalla dichiarazione depositata alla Camera nel luglio 2014 e il famoso Consiglio dei ministri del 20 gennaio scorso, il suo pacchetto di azioni della “Banca Etruria” ha subito variazioni. Non è stato possibile. Ha risposto invece il suo staff: «Le azioni quelle erano e quelle sono rimaste. Come si può appunto vedere online, si tratta di 1.500 azioni da 0,74 per azione».
Primo Di Nicola e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
A TSIPRAS ANDREBBERO TRA 146 E 158 SEGGI (PER GOVERNARE NE SERVONO 151)… NUOVA DEMOCRAZIA TRA IL 26 E IL 28%… TERZO TO POTAMI, SOLO QUARTA ALBA DORATA
Syriza verso la maggioranza assoluta, seconda la Nuova Democrazia del premier uscente Antonis Samaras e Alba Dorata quarto partito.
I primi exit poll delle elezioni in Grecia consegnano la vittoria al partito di Alexis Tsipras.
“Ha vinto la speranza”, è il primo messaggio su Twitter dello staff mentre al quartier generale dello schieramento sono iniziati i primi festeggiamenti.
Dati ancora provvisori, ma la prima reazione è arrivata dal presidente della Bundesbank: “E’ nell’interesse del governo greco”, ha detto Jens Weidmann alla tv tedesca, “fare le riforme necessarie per risolvere i suoi problemi strutturali. La Grecia deve aderire alle condizioni del salvataggio”, ha aggiunto.
Alle 19.30 sono stati diffusi i secondi exit poll: Syriza, il partito di Tsipras, è in testa con il 36-38% .
Dimokratia sarebbe al 26-28% e al terzo posto “To Potami” (centrosinistra) e Alba Dorata (estrema destra) con il 6-7%.
Seguono il partito comunista Kke 5-6%, i socialisti del Pasok 4,2-5,2%; Greci Indipendenti 4-5%; Kinima 2,2-3,2%.
“E’ una vittoria storica. E’ la vittoria del popolo che si è mobilitato contro l’austerità ”, hanno commentato i responsabili di Syriza al quartier generale del partito.
Atene è tornata alle urne per un voto che potrebbe avere forti ripercussioni politiche ed economiche su tutta l’Unione Europea.
Syriza ha affermato con forza la sua intenzione di ridiscutere il debito greco e ha già annunciato che un suo eventuale governo riconoscerà gli obiettivi fiscali fissati dai trattati europei ma non le misure previste dagli accordi firmati dal governo precedente con i creditori della troika (composta da Bce, Commissione Ue, e Fmi).
“Oggi — ha detto Tsipras dopo aver votato — è un giorno storico. I greci devono decidere se domani la troika deve ritornare in Grecia per proseguire ciò che ha fatto con il governo Samaras, ovvero tagliare ancora stipendi e pensioni. Il popolo deve votare per difendere la propria dignità e per un governo che proseguirà dure trattative con i creditori internazionali”.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2015 Riccardo Fucile
IL BISCIONE PUO’ TENERSI TUTTE LE FREQUENZE
Periodo di manine, la settimana che va da Natale a Capodanno: oltre al goffo tentativo di ripulire la
fedina penale di Silvio Berlusconi con la norma del 3%, il governo ha consegnato un bel regalo a Mediaset.
Per adesso, s’accontenta la proprietà , e non direttamente il proprietario.
Con una postilla inserita nel decreto milleproroghe (adesso in Parlamento), un calderone che certifica le inefficienze italiane, Palazzo Chigi ha rinviato di un anno e mezzo l’immissione sul mercato di televisori (o impianti esterni) che ricevono trasmissioni in tecnologia Dvb T2, il digitale terrestre di ultima generazione.
Ha detto sì a una proposta di Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico. Poi nessuno se n’è accorto.
E pazienza se una legge di Mario Monti, che recepiva le indicazioni della Conferenza di Ginevra, avesse fissato la partenza per gennaio 2015.
La questione non è commerciale, ma puramente televisiva, e riguarda con prepotenza il Biscione.
Perchè l’esordio del Dvb T2 è necessario per avviare la riorganizzazione di un gruzzolo di frequenze, che Cologno Monzese utilizza, collocate su banda 700, una ridotta che l’azienda difende con qualsiasi mezzo e che va assegnata agli operatori telefonici.
Il passaggio a Dvb T2, che amplifica la capacità di trasmissione, è in grado di provocare un brutto danno al Biscione: i concorrenti potrebbero aumentare i canali e Mediaset li potrebbe perdere, un guaio per l’offerta a pagamento che occupa tantissimo spazio.
Fu proprio il governo di Berlusconi a spingere per il trasloco dal vecchio analogico al nuovo digitale per incassare una plusvalenza di reti e ottenere due risultati ancora preziosi: arginare i rivali del satellite e indurre la Rai a investire 500 milioni di euro senza apportare benefici agli indici d’ascolto.
Il digitale interessava al Biscione, non a Viale Mazzini, che sopravvive con la logica dei tre grossi riferimenti generalisti, Rai1, Rai2 e Rai3.
Più di una volta, i vertici di Cologno Monzese hanno intimato ai governi di non toccare la banda 700. I motivi: centinaia di milioni di euro sperperati; Canale 5 & C. non avrebbero l’agio di un vasto spettro e, detto senza perifrasi, a Mediaset conviene che il precario equilibrio televisivo rimanga immutabile.
“Almeno sino al 2030” ha suggerito Gina Nieri, consigliere d’amministrazione di Mediaset e dirigente di fiducia di Fedele Confalonieri.
La banda 700, destinata agli imprenditori telefonici, non deve essere sottratta agli editori televisivi per ritorsione o per penalizzare Mediaset, non è un provvedimento calibrato su misura contro Berlusconi: è vitale per incentivare internet veloce. Lo prevede la Commissione Europea e lo ripete la Conferenza di Ginevra.
Il giovane Matteo Renzi, campione di selfie, riprende massime che l’anziano ex Cavaliere ha ormai abbandonato: vuole la burocrazia espletata a casa, vuole che si dialoghi con la posta elettronica, vuole che internet sia accessibile ovunque, dai sobborghi di periferia ai più sperduti paesini di provincia.
Allora perchè Renzi ha accolto il comma Guidi, un ministro non immune alle costanti pressioni dell’Autorità di Garanzia Agcom sempre sensibile a Mediaset?
Il posticipo di un anno e mezzo imposto al Dvb T2 può benissimo ripetersi oppure no. L’ex Cavaliere è un uomo che va tenuto in sospeso, e il fiorentino l’ha capito.
Per Mediaset il favore è perfetto, dà margine per pianificare il futuro senza assilli.
Il momento è confuso, c’è da vendere Mediaset Premium, da recuperare un po’ di denaro per assorbire i 700 milioni spesi per la Champions League.
Ci sono i destini che s’incrociano con l’ex nemico Rupert Murdoch e l’agognata Telecom da sedurre.
E il governo smentisce se stesso: internet veloce non è una priorità .
Forse perchè non fu sottoscritta al Nazareno.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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