Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA DICE NO A CANTONE: “E’ POCO CONOSCIUTO”
Matteo Renzi vuole piegare il veto di Silvio Berlusconi su Sergio Mattarella. Berlusconi gli ha risposto facendo i nomi di Pierferdinando Casini e Giuliano Amato, anche per conto di Angelino Alfano (che dietro ha i 75 voti di Ndc e Udc).
Nel mazzo con il quale gioca il presidente del Consiglio ci sono anche Anna Finocchiaro e Walter Veltroni, ma non si capisce al momento con quali speranze.
Ma per la prima volta il Pd fa ufficialmente il nome del proprio candidato: Sergio Mattarella.
Anche se una cosa è quasi certa: la prima votazione dei 1009 grandi elettori finirà senza un risultato perchè il Pd e Forza Italia confermeranno l’indicazione di votare scheda bianca.
Ma Renzi ha cercato di mettere a posto qualche tassello in vista degli scrutini in cui ci sarà un quorum più basso, dal quarto in poi.
Ha per esempio incassato l’appoggio su Mattarella di 25 ex Cinque Stelle, ma anche di Stefano Fassina che ha definito il giudice costituzionale e ex vicepremier di D’Alema una figura che “avrebbe tutte le caratteristiche per unire”.
Ma “la strada è ancora lunga” ha detto Pierluigi Bersani, un altro (come Casini, Alfano e Vendola) che Renzi ha visto in giornata.
Certamente il segretario del Pd vuole chiudere entro sabato 31, tanto che i capigruppo del Partito democratico hanno chiesto alla presidente della Camera Laura Boldrini di aggiungere una votazione venerdì (in modo da avere il quarto, il quinto e il sesto scrutinio tra venerdì e sabato).
Così il leader Pd eviterebbe il pantano della pausa domenicale.
Ma il giorno della prima votazione potrebbe essere importante in realtà per altri motivi.
Renzi e Berlusconi, infatti, si sono incontrati per due ore a Palazzo Chigi senza arrivare a un nome condiviso: “Saremo in consultazione permanente” ha detto l’ex Cavaliere ai 142 grandi elettori forzisti.
Con il leader del Pd si è limitato a fissare i paletti: niente “candidati poco popolari e poco noti” (l’esempio fatto sarebbe stato quello di Raffaele Cantone), ma anche a figure “radicate nel partito di sinistra”.
Piuttosto un identikit politico e non tecnico con incarichi istituzionali importante, conosciuto e popolare tra gli italiani, stimato nella politica internazionale, equilibrato nella politica e con buon senso, senza dichiarate inimicizie”.
Eppure qualche nome Berlusconi, a nome di un centrodestra riunito (Fi, Ndc e Udc), ha fatto i nomi di Casini e di Amato, il primo dei quali ha in verità poche speranze almeno sulla carta.
La cosa certa è che Renzi e Berlusconi si rivedranno domani, 29 gennaio, prima prima dell’assemblea dei 446 grandi elettori del Pd (programmata alle 13).
L’altro evento che può scombinare il copione seguito finora sono le Quirinarie del Movimento Cinque Stelle, in programma fino alle 14: ci sono 10 nomi quasi tutti destinati a diventare “di bandiera”, ma quello che può rompere i progetti di Renzi è uno solo, Romano Prodi.
Se il Professore vincesse le consultazioni online potrebbe spezzare l’asse del Patto del Nazareno.
Ma Renzi sull’intesa con Berlusconi è stato chiaro, parlando con i parlamentari del Pd: “Il capo dello Stato lo abbiamo fatto sempre con Fi ma questo non significa che prendiamo il loro nome. Con Fi abbiamo avuto un incontro civile, non vogliono qualcuno con una storia militante nel nostro partito. Ma non possiamo accettare veti”. “Il Pd parte dal Pd”, insomma, e “poi si allarga a tutti, senza esclusioni. Il presidente della Repubblica si fa con tutti: l’ho detto anche a Sel ieri. Nessun diktat, nessun veto. A prescindere da chi è in maggioranza”.
Intanto è tutta da leggere la strategia di Forza Italia.
Dietro le parole di responsabilità della delegazione dei berlusconiani che hanno incontrato Renzi e i vertici del Pd nelle consultazioni di largo del Nazareno, si moltiplicano infatti i retroscena come quello che vorrebbe Berlusconi interessato più di quanto dia a vedere della sorte giudiziaria se non sua, almeno dei suoi amici. Secondo Repubblica il leader di Forza Italia si aspetta subito un segnale dal nuovo presidente.
Un gesto di pacificazione sarebbe aiutare “gli amici in carcere”. Il riferimento potrebbe essere insomma a Marcello Dell’Utri, per dire, che ha perso 12 chili in carcere.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
PERICOLO PRODI SUL VERSANTE GRILLINO, I TEMPI STRINGONO
Sergio Mattarella. E’ il nome con cui Matteo Renzi questa mattina si è presentato all’assemblea con i
deputati e poi con i senatori del Pd sull’elezione del presidente della Repubblica.
E’ il nome che ha proposto a Pierluigi Bersani, quando a metà mattinata lo ha ricevuto a Palazzo Chigi.
Ed è il nome sul quale ha insistito anche con Silvio Berlusconi, quando lo ha incontrato a pranzo, sempre al palazzo del governo.
Ma non è Mattarella il nome che Renzi potrebbe indicare all’assemblea dei grandi elettori Dem convocata per domani alle 13.
Sì, perchè il premier sta lavorando alacremente per riuscire a fare quel nome al suo partito già all’assemblea di domani, prima dell’inizio del voto in Parlamento, proprio come promesso alla direzione del Pd la settimana scorsa.
Ma il nome, a questo punto, potrebbe non essere Mattarella. Bensì uno dei due ex segretari del Pd: Piero Fassino o Walter Veltroni.
Ci sono questi due nomi nelle retrovie delle trattative sul Quirinale. Ci sono nei sondaggi di Renzi tra i parlamentari Pd, anche se non in forma esplicita come sono stati nei giorni scorsi Mattarella, Padoan, Finocchiaro, Amato e altri.
Fassino e Veltroni sono rimasti più coperti e questo gli dà una marcia in più, quella determinante che li fa salire sul podio della finalissima.
Su Mattarella continua a pesare il no di Berlusconi, dicono i fedelissimi del premier. Anche se in realtà , l’ex Cavaliere oggi ha preso tempo sull’ex vice premier di D’Alema, il giudice della Corte Costituzionale, padre della legge elettorale che ha preceduto il ‘Porcellum’: il Mattarellum, appunto.
Berlusconi ha preso tempo, nel pomeriggio vede i suoi e poi rivedrà Renzi, tra stasera o domattina al massimo.
Da parte sua, nelle due ore con l’ex Cavaliere a Palazzo Chigi, il premier ha provato a convincerlo a chiudere un’intesa al più presto, usando anche l’argomento ‘Prodi’, la vera minaccia per Berlusconi.
Il ragionamento del premier è stato più o meno questo: dobbiamo chiudere al più presto perchè il M5s ha tirato fuori il nome di Prodi, il rischio è che possa essere votato nelle prime tre votazioni, che possa attrarre i voti della minoranza Pd, oltre che degli ex grillini e Sel.
Insomma, il rischio è il caos, il rischio è di arrivare alla quarta votazione sabato mattina con un Parlamento sfibrato dall’indisciplina in tutti i gruppi.
“Andare oltre il weekend sarebbe la palude…”, ha detto Renzi ai parlamentari Dem in mattinata: “Questo è un passaggio a viso aperto e con il vento in faccia in cui è in gioco leadership e credibilità del Pd”.
Per questo, l’assemblea dei grandi elettori del Pd è slittata alle 13 di domani, non più in mattinata.
Le ultime ore serviranno per incontri e trattative. Perchè Renzi ha l’esigenza di indicare un nome al suo partito prima della prima votazione, prevista per domani alle 15.
Nei primi tre scrutini, il Pd — e del resto anche Forza Italia, lo ha annunciato Berlusconi — voterà scheda bianca, ma avrà già il nome da votare in quarta votazione. Perchè “senza nome, le prime tre votazioni a maggioranza dei due terzi non le reggiamo…”, ammette un parlamentare renziano. Da qui il turbinio di incontri oggi e domani: chiudere in fretta, chiudere presto o i buoi scappano.
Il punto è che lo stesso Renzi non è del tutto convinto di Mattarella, con il quale il premier non ha contatti diretti ma solo tramite intermediari.
Insomma, Mattarella è personalità di altra epoca, un altro mondo: non renziano.
Il modo esplicito con cui questa mattina ha provato a convincere i parlamentari del Pd su questo nome, incassando tra l’altro larghi consensi, ha insospettito chi lo conosce bene. “Troppo esplicito su Mattarella, non è lui…”, sogghigna un fedelissimo alla Camera
In realtà , Renzi è pronto ad aprire il file ‘ex segretari del Pd’. Categoria che, declinata in chiave Quirinale, comprende solo Fassino e Veltroni, nei disegni del premier.
Con loro, Renzi ha contatti più che diretti.
Entrambi sono stati i primi e gli unici tra gli ex Ds ad appoggiarlo nella scalata al Nazareno. E’ vero: essendo ex segretari potrebbero risultare divisivi nel Pd, risvegliare i rancori delle correnti, un timore ben presente nei ragionamenti del premier con i suoi.
Ma se Mattarella non riscuote i consensi necessari per arrivare al Colle, in primis quello di Berlusconi, sono loro i nomi che verrebbero proposti al partito.
E Renzi scommette nel fatto che il Pd si acconcerà a votarli, per evitare insomma un altro ‘parricidio’ come è successo con Prodi nel 2013.
Su chi tra Fassino e Veltroni sia il più favorito a Palazzo Chigi, le interpretazioni divergono a seconda delle opposte tifoserie ampiamente schierate tra le fila del Pd in Parlamento.
Chi conosce bene il premier, scommette sul sindaco di Torino, figura meno ‘mediatica’ dell’ex sindaco di Roma, farebbe meno ombra a Palazzo Chigi.
Ma c’è anche chi scommette su Walter, il fondatore del Pd, primo teorico del partito a vocazione maggioritaria realizzato (quasi) dall’Italicum di Renzi, insomma padre ideologico dello stesso premier oltre che del partito.
Ma in questa storia poi contano molto le alchimie e i rapporti personali. E ora “siamo ancora alla tattica”, lasciano trapelare dall’entourage del premier.
Di certo, la riunione di stamattina con i gruppi parlamentari Dem è servita a Renzi per eliminare definitivamente la minaccia ‘Amato’, il candidato che piace a Berlusconi e che per una strana eterogenesi dei fini potrebbe pescare buoni voti anche nella minoranza Pd: in funzione anti-Renzi.
Il quale su Amato non ci sta. E lo ha spiegato ai suoi: “Uomo di tutte le stagioni, altra epoca…”. Proprio come Mattarella, dal quale si passa ‘obtorto collo’ per far digerire a tutto il Pd un ex segretario, insomma un figlio o padre, che dir si voglia, del partito. Con il benestare di Berlusconi.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
COLPISCE SOPRATTUTTO AL DIPARTIMENTO PER L’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA: IRROMPE NEGLI UFFICI, RUBA DENARO E INDUMENTI, COME LA SCIARPA DELL’ON. GRAZIANO
Allarme generale alla presidenza del Consiglio.
C’è negli uffici un ladro dalla mano veloce e scaltro al punto da essere riuscito sinora a sfuggire a tutti i controlli, tanto da richiedere la dislocazione di telecamere lungo i corridoi per tentare di mettere fine alle sue incursioni.
Accade al quarto piano del palazzo a Largo Chigi che ospita il dipartimento per l’Attuazione del programma, fino a poco tempo fa alle dipendenze dell’onorevole Giovanni Legnini, ora vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
Uno degli uffici ospita Stefano Graziano, consigliere nominato dall’ex premier Enrico Letta e confermato da Matteo Renzi.
Ultimamente a Graziano è capitato più di un inconveniente.
Deputato nella scorsa legislatura è stato praticamente fatto fuori alle primarie del Partito democratico del 2013 attraverso quelli che in molti non hanno esitato a definire “brogli”, per i quali sono corse denunce sia alla magistratura che agli organi di controllo del partito.
Alla riconferma in Parlamento ci teneva proprio, ma per evitare insanabili conflitti con i dirigenti regionali e nazionali e mettere in difficoltà il Pd, Graziano ha rinunciato alle sue rivendicazioni ottenendo la presidenza del Partito democratico della Campania, la sua regione, e il prestigioso incarico di consigre a Palazzo Chigi.
Intorno a Natale, il fattaccio.
Graziano aveva una sciarpa. Una sciarpa in cachemire “da 500 euro” che un giorno, uscito dall’ufficio, il ladro-manolesta ha rubato senza che nessuno se ne accorgesse. Graziano non l’ha presa bene. Anzi.
Ha cercato in tutti i modi di capire chi potesse essere stato rivolgendosi anche all’ispettorato di Pubblica sicurezza di Palazzo Chigi, peraltro già sulle piste del malfattore.
Prima di Graziano, infatti, il Fantomas della presidenza aveva portato a segno altri colpi di mano, non solo rubando oggetti e svuotando portafogli, ma irrompendo, pare, anche nella stanza del capo dipartimento delle Pari Opportunità . E sempre facendola franca.
E’ per questo che, dopo il caso che ha visto coinvolto l’onorevole Graziano e temendo altri blitz, alla presidenza hanno deciso di ricorrere alle maniere forti per evitare il peggio: l’utilizzo delle telecamere.
Ne sono state piazzate due nel corridoio, una delle quali proprio di fronte alla porta dell’ufficio di Graziano.
Sinora l’occhio vigile delle telecamere ha funzionato. Fantomas non è riuscito a mettere a segno altri colpi.
Ma consiglieri, dirigenti e impiegati, fidandosi poco anche di esse, non escono più dagli uffici senza portarsi dietro borse, cappotti e, naturalmente, portafogli.
Primo Di Nicola
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
PICCHI DI INTOLLERANZA, MISOGINIA E ODIO CONTRO LE DONNE IN LOMBARDIA, FRIULI E CAMPANIA
Oltre un milione di messaggi che prendono di mira donne, le offendono e denigrano, quasi sempre con
insulti di natura sessuale.
Sono quelli (1.102.494 per la precisione) registrati in otto mesi, tra gennaio e agosto dell’anno scorso, da Vox Osservatorio sui diritti, che per la prima volta analizzato il social network Twitter per costruire una mappa dell’odio e dell’intolleranza in Italia. E indagare quali sono i presupposti culturali della violenza di genere.
Ne emerge che la misoginia, l’odio contro le donne, è la forma di intolleranza più diffusa, in tutta Italia, ma con con picchi in Lombardia, Friuli, Campania, tra il sud dell’Abruzzo e il nord dell Puglia e il Salento.
Molti, oltre centodiecimila, anche i messaggi contro gay e lesbiche: la regione più omofoba su Twitter è la Lombardia, seguita da Friuli e Campania.
I ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, della Sapienza di Roma e dell’Università di Bari le hanno costruite dopo aver raccolto oltre due milioni di tweet che prendevano di mira donne, gay, immigrati, disabili ed ebrei, scorporando quelli geolocalizzati (circa 43 mila, il 2,3% del totale, in linea con analisi analoghe effettuate dalla Humboldt University negli Stati Uniti) e usandoli per stabilire tra l’altro dove si concentravano statisticamente i messaggi misogini e omofobi.
Gli insulti che ricorrono più spesso passano (quasi) sempre per la dimensione sessuale e corporea: corpi sessualizzati, deformati, mutilati, mortificati.
È il presupposto a livello psicologico della stessa mentalità che porta alla violenza materiale, ai corpi picchiati o violentati.
Quando si offende una donna, anche all’epoca del web 2.0, si rinfaccia la «colpa» di sempre, quella di essere sessualmente troppo disponibile.
L’omofobia esplicita, invece, si rivolge quasi esclusivamente ai gay maschi, per ridurli a un mero atto sessuale, considerato di per sè denigratorio, privandoli della loro umanità e accostandoli a ciò che suscita più disgusto.
«Il tweet misogino od omofobo replica la logica del bullo in versione 2.0 – spiega Vittorio Lingiardi, psichiatra, professore di Psicologia alla Sapienza di Roma e uno dei consulenti scientifici della ricerca di Vox –: il debole incapace di affrontare la propria debolezza si trasforma in prepotente e fa il forte con chi percepisce come ancora più debole».
Il comune denominatore dell’intolleranza è spesso il machismo: «Gli insulti sono mirati sulle donne e “usano” il corpo come luogo di umiliazione e dileggio perchè sono un modo sbagliato di reagire a mutamenti sociali che mettono in discussione le supposte certezze del maschio vecchia maniera – aggiunge Lingiardi – Sono saltate le opposizioni tradizionali maschio/femmina, forte/ debole, attivo/passivo. Si è attaccano gli altri perchè si è incapaci di fare fronte a queste trasformazione. O come diceva Cesare Pavese: “si odiano gli altri perchè si odia se stessi“».
Elena Tebano
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
I MOVIMENTI DI IGLESIAS E SYRIZA HANNO LO STESSO PROGRAMMA, MA A MADRID IL SALVATAGGIO E’ STATO PIU’ SOFT
Partiti anti-sistema o anti-euro. Stanno ridisegnando la mappa politica dell’Europa assieme alla crisi economica.
Il trionfo di Syriza è coerente con quanto si è visto alle europee di maggio e potrebbe avere ripercussioni in altri Paesi, a cominciare dalla Spagna, prima puntata di un’inchiesta che si occuperà anche di Gran Bretagna e Francia.
Il Regno Unito andrà alle urne in maggio e l’ascesa di Ukip, il partito anti-europeista di Nigel Farage, rischia di trasformare il voto in un referendum anticipato sulla permanenza o meno di Londra nell’Unione europea.
La Francia non ha scadenze elettorali più importanti, ma è il Paese nel quale un partito della destra radicale e anti-euro, il Front National di Marine Le Pen, è stabilmente in testa nei sondaggi dalla scorsa primavera.
Davvero può accadere? Davvero Podemos può riuscire a conquistare il governo in Spagna?
Il movimento che ha raccolto la rabbia degli indignados sparsa nelle piazze spagnole può davvero replicare il trionfo di Syriza in Grecia?
I sondaggi di oggi dicono che i numeri ci sono, che Podemos, dopo aver conquistato a sorpresa l’8% alle elezioni europee, è diventato la prima forza del Paese con oltre il 28% delle intenzioni di voto.
Conservatori e socialisti seguono staccati, con poco più del 20 per cento: dopo trent’anni di alternanza alla Moncloa, rischiano di essere travolti dalla protesta anti-casta, dalla voglia di rinnovamento, dalle rivendicazioni democratiche di cittadini stremati dalla crisi economica e frustrati dalle conseguenti, odiatissime misure di austerity introdotte dal governo del popolare Mariano Rajoy e ancora prima da quello di Josè Lusi Zapatero.
«Più persone e meno banche, la rivoluzione è già iniziata. La vittoria di Syriza in Grecia – dice Pablo Igleias, 36 anni, leader di Podemos – è un messaggio molto chiaro per il governo di Rajoy : tic-tac, tic-tac, è iniziato il conto alla rovescia, presto conquisteremo il governo».
A fine marzo si voterà in Andalusia, la più grande regione del Sud, da sempre guidata da giunte di sinistra: lì si giocherà il futuro dei socialisti di Pedro Sanchez, il nuovo segretario, 42 anni, una sorta di Renzi di Spagna, meno gigione ma non meno deciso nel mandare a casa la vecchia guardia del suo partito, o di quello che del Psoe era rimasto.
Il 27 settembre le urne si apriranno in Catalogna per una consultazione che avrà tutto il sapore e il senso politico di un nuovo referendum per l’indipendenza della comunità autonoma più ricca del Paese.
Sarà uno scontro – anche personale, quasi fisico, probabilmente decisivo – tra il governatore catalano, Artur Mas e il premier Rajoy.
E lì si decideranno in un solo colpo le sorti della Catalogna e il futuro stesso dei popolari, almeno come partito di governo.
Le amministrative di due regioni chiave come Andalusia e Catalogna, daranno molte indicazioni nella lunga campagna elettorale che porterà alle elezioni di novembre per rinnovare il Parlamento nazionale.
La Spagna che a metà del 2012 si è salvata dal default grazie soprattutto alla stabilità del proprio sistema di governo, oltre che al prestito di 41 miliardi dell’Unione europea, deve ora affrontare una nuova, se possibile, più turbolenta stagione politica.
Per popolari e socialisti l’avversario da battere è Podemos.
E questa già è una mezza vittoria per gli indignati.
«Le false promesse non possono risolvere i problemi del Paese, finiscono per generare nuove tensioni sociali», spiega Rajoy parlando di Syriza perchè Podemos intenda. «Siamo noi la vera alternativa a Rajoy. Cambiare tanto per cambiare è spesso dannoso», ripete il socilista Sanchez marcando le differenza tra la Grecia e la Spagna.
Nel governo di Madrid, dopo anni difficilissimi, cresce la sensazione che sarà qualcun altro a godere dei benefici del «lavoro sporco che qualcuno però doveva fare», come dice un influente advisor del governo.
«È strano constatare – dice lo stesso consigliere, vicino a Rajoy – come questi movimenti di protesta contro i partiti tradizionali e contro il nostro governo che trovano la loro origine nelle difficoltà che la gente ha dovuto affrontare nella lunga crisi economica e si nutrono di promesse e populismo, stiano montando porpio ora che i fatti ci danno ragione, ora che la ripresa nel Paese si sta rafforzando più che in ogni altra economia europea».
Rajoy e i suoi hanno introdotto riforme profonde come quella del mercato del lavoro, hanno dovuto ristrutturare il sistema bancario, risanare il bilancio pubblico.
Ora, in questo anno elettorale si aggrappano ai dati economici, alla ripresa che è finalmente arrivata e si fa sentire anche nell’occupazione, nella vita delle famiglie. Dopo essere cresciuta dell’1,7% nel 2014 la Spagna potrebbe andare anche meglio nel 2015.
«Per quest’anno abbiamo previsto un aumento del Pil del 2% ma se petrolio e cambi rimangono a questi livelli, avremo una crescita aggiuntiva di 0,5 punti. È una stima prudente, potremmo arrivare al 2,5 per cento», ha spiegato ieri il ministro dell’Economia, Luis de Guindos.
Per il lavoro il 2014 è stato di certo l’anno della svolta: si è chiuso con quasi mezzo milione di disoccupati in meno e un tasso di disoccupazione del 23,7%, ancora altissimo ma oltre due punti percentuali più basso rispetto ai picchi della crisi.
Perfino dal settore immobiliare, che con lo scoppio della bolla speculativa è stato una delle principali cause del travaglio spagnolo, arrivano segnali incoraggianti: riprendono i lavori, gli investimenti e si torna a cercare manodopera: 40mila i nuovi addetti nel 2014 dopo sette anni di tagli agli organici.
La Spagna non è la Grecia – sono tutti d’accordo su questo, popolari, socialisti e anche Podemos – ma sono ancora quasi cinque milioni e mezzo gli spagnoli senza lavoro.
La ripresa c’è ma le conseguenze della recessione sono ancora più forti, più evidenti.
I socialisti potrebbero essere già stati superati nel processo di rinnovamento. Mentre i popolari di Rajoy – sempre fedeli alla linea dettata da Bruxelles su indicazione di Angela Merkel – temono di essere puniti in nome dell’Europa, la loro migliore alleata negli ultimi anni, dalla quale avevano accettato anche un salvataggio soft, una presenza continua ma discreta della troika.
Quell’Europa «delle banche e senza democrazia» – secondo la definizione di Iglesias – che molti spagnoli, come molti greci, vogliono cambiare.
E giorno dopo giorno Podemos sta alimentando la speranza che «sì, si può fare». Resta da stabilire come.
Luca Veronese
(da “il Sole24ore”)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
“IL PROCESSO DE LUCA E’ UNA FOLLIA GIUDIZIARIA”
Marco Revelli, piemontese, torinese, anti Tav, è storico, sociologo, autore di centinaia di pubblicazioni.
Docente universitario. Un intellettuale, insomma.
Contrario al Tav, anche lui.
“Sì”, dice al Fatto, “anche io oggi mi sento sotto processo, proprio come Erri. Credo che quella contro di lui sia una follia giudiziaria, un fatto di costume, se vogliamo. È una brutta pagina, quella che si apre. E indica il decadimento di una città , Torino, di una regione, il Piemonte, e di un’intera popolazione, quella della Val di Susa, che è obbligata a disobbedire. Non ha scelta, deve difendersi”.
Anche lei Revelli fa sue le parole per le quali De Luca oggi va a processo?
Assolutamente sì. Mi sento alla sbarra, come e con lui. L’ho espresso anche io tante volte quel concetto. Il concetto di disobbedienza civile, come Gandhi ci ha insegnato. Ma non solo Gandhi.
Cosa avrebbe fatto contro la legge Erri De Luca?
Non lo so. Lo dobbiamo capire. Aspettiamo il processo anche per capire chi sono coloro che avrebbe istigato.
È stato un errore?
No. L’errore lo hanno commesso i magistrati.
Lei le ripete quelle parole?
Certo che sì, sono anche mie. Ma le ho ripetute più volte, in altre sedi, forse in altri termini, ma con lo stesso fine di Erri.
Tutti gli intellettuali oggi sono a processo?
Tutte le persone che usano l’intelletto per aprire la mente di quelli che sono più pigri o semplicemente disinteressati. Di quelli che non sanno. Questo è il mestiere dell’intellettuale e questo è quello che ha fatto De Luca
Se venisse condannato sarebbe un brutto precedente?
Io vado addirittura oltre, dico che non può nemmeno essere un precedente il fatto che sia stato messo sotto inchiesta perchè il Tav è un’aberrazione non ripetibile. Non potrà accadere.
Ma l’istigazione è sempre stata reato.
Ma non è istigazione quella di Erri. Non c’è stata nessuna istigazione. Ha invitato la gente a difendere la loro terra, è lo Stato che si è cacciato in un tunnel dal quale non riesce a uscire. E questa tormenta è finita col travolgere anche le parole molto sensate che ha espresso De Luca. Perchè ha invitato alla disobbedienza, anche militare, contro un’opera che appartiene a un’altra epoca, che è contro gli interessi di tutti, da quelli della gente che lassù vive a quelli economici del Paese, per finire agli interessi dell’ecologia, dell’ambiente. Non stiamo facendo una battaglia contro lo Stato in quanto tale, ma contro un’opera che i governi hanno voluto. Questa è una differenza fondamentale
Non è un cattivo maestro?
L’insegnamento cattivo, e mi dispiace dirlo, oggi arriva dalla parte opposta, dallo Stato. La Torino-Lione è nata in un mondo e in un tempo che non esistono più. Indifendibile.
Proviamo a pensare a una condanna nei confronti di De Luca
Spero proprio che non sia così. Che a un certo punto si faccia strada la ragione. Erri non ha mai detto ‘armatevi e andate all’attacco’. Non ha detto niente di tutto questo. Ha invitato legittimamente a difendersi la gente da un grave errore che cammina sopra le loro teste. E questo è il suo mestiere di scrittore.
De Luca stesso, in un’intervista al Corriere della Sera, ha usato un paragone molto forte, ha detto “non è che Reinhold Messner, che istigava con il suo lavoro a scalare le montagne, è responsabile di tutte le morti in alta quota”. Concorda?
Sì, credo sia semplificata e pacata come risposta. Io sarei andato anche oltre.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
DECINE DI ARRESTI TRA LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA
Il sindaco di Mantova Nicola Sodano, eletto per il centrodestra, è tra gli indagati della maxi operazione contro la ‘ndrangheta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e Brescia in collaborazione con la Procura di Bologna.
Le indagini riguardano le infiltrazioni della criminalità organizzata in Emilia e Lombardia: 46 gli arresti in Lombardia, almeno 7 nel Mantovano (in città e nell’hinterland, Curtatone e Borgo Virgilio) e in provincia di Cremona; 117 i fermati in Emilia.
Tuttora in corso sequestri e perquisizioni.
I reati contestati sono associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, reimpiego di capitali di illecita provenienza, riciclaggio, usura, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, porto e detenzione di armi.
I carabinieri sono rimasti a lungo nell’ufficio del primo cittadino, accusato – pare – di favoreggiamento.
«Il sindaco è sereno — spiega il portavoce Alessandro Colombo —. Dai documenti prelevati dai carabinieri sembra che le indagini, per quanto riguarda il Comune, si stiano concentrando sulla lottizzazione Lagocastello, che abbiamo ereditato dalle amministrazioni precedenti».
Tra i fermati c’è proprio l’imprenditore Antonio Muto, il costruttore edile che sulla sponda del Lago Inferiore di Mantova voleva costruire 200 villette e un albergo, un progetto che aveva mosso i primi passi nel 2005, all’epoca della giunta Burchiellaro, ma che poi era stato avversato dal suo successore Fiorenza Brioni e fermato dal Consiglio di Stato nell’estate del 2012.
Non conferma nè smentisce il capo della Procura di Brescia Tommaso Buonanno: «Nello specifico non entro, ma le indagini riguardano lottizzazioni, lavori edilizi, subappalti».
A quanto pare anche lavori legati alla ricostruzione post terremoto in Emilia, che gli arrestati avrebbero estorto a privati ed enti pubblici.
Sabrina Pinardi
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
CERIMONIA FUNEBRE CONGIUNTA PER CANDIDARE VITTORIO FELTRI ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA…BONTA’ LORO: “MA POI FORZA ITALIA PUO’ VOTARE IL CANDIDATO DEL NAZARENO”
La Lega e Fratelli d’Italia candidano Vittorio Feltri alla Presidenza della Repubblica, “spirito libero,
indipendente, un po’ anarchico”.
Quindi, se fosse vero, l’opposto di loro, verrebbe da annotare, notoriamente da oltre 20 anni a libro paga della politica e al servizio per anni chi di Fini, chi di Bossi.
Ed entrambi maggiordomi di Berlusconi.
Lo annunciano in una conferenza stampa il segretario del Carroccio Matteo Salvini e la presidente di FdI Giorgia Meloni.
Prima la profonda analisi politica di Salvini: “Non mi piace la scheda bianca, non ci piace – dice Salvini – chi decide di non decidere”.
Si guarda attorno, ma l’applauso non arriva.
Ci si aspetta un nome di rottura, magari un giovane intellettuale padano alfabetizzato.
Il sistema-mogli insiste: “occorre un segnale di speranza, di ricostruzione, una alternativa seria a Matteo Renzi, un segnale a chi vive fuori dal palazzo”.
Il giovane rottamatore da votare prende quindi corpo e sembianze: si tratta di Vittorio Feltri, una vita al servizo e a stipendio del Cavaliere, appena 72 anni, esperto in falsi clamorosi e nel metodo Boffo, a sua tempo radiato (pena poi convertita in censura) dall’ordine dei giornalisti, nel 2010 nuovamente sospeso per sei mesi dall’ordine, una serie di condanne infinite per diffamazione (celebri le cause perse contro Di Pietro), un via vai continuo tra Libero e il Giornale a seconda degli imput del Cavaliere (per la sua nota indipendenza, ovvio….).
Aggiunge la Meloni: “Mi chiedo come Berlusconi e Alfano possano preferire Pier Carlo Padoan o Giuliano Amato a Vittorio Feltri”.
In effetti anche noi ci chiediamo come possano aver preferito lei come ministro rispetto a tanti altri esponenti del centrodestra con ben altre capacità , ma fa nulla.
Silenzio, ecco che riprende la parola il grande stratega olfattivo (quello che sente controvento il puzzo dei napoletani): “A Berlusconi non chiediamo di abbandonare il solenne patto del Nazareno, ma almeno nelle prime tre votazioni voti Feltri, non metterebbe in discussione il suo accordo con Renzi. Contiamo sul voto compatto del centrodestra, che dalla quarta votazione potrà mantenere gli accordi con Renzi”.
In pratica Salvini si piega a 90 e chiede a Forza Italia solo di convergere sul bergamasco Feltri per le prime tre votazioni, poi possono pure votare con Renzi, con il suo gentile permesso.
Che mirabile ideologo, che uomo coerente, il “comunista padano”: dai Silvio, cassa Martino che non ha condanne e quindi non si addice a Forza Italia, e vota tre volte Feltri agratis.
Tanto puoi sempre detrarre il disturbo dallo stipendio che gli paghi.
E almeno fai felici due caratteristi della comica-destra nostrana in perenne cerca di scrittura.
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
UN PARTITO CON UN TERZO DEI VOTI DEGLI AVENTI DIRITTO DOMINERA’ IL PARLAMENTO DEI NOMINATI
La nuova legge elettorale modifica profondamente il nostro sistema politico trasformandolo in qualcosa che non ha precedenti nelle democrazie europee. S
arà utile simulare ciò che accadrà all’indomani delle prossime elezioni politiche svolte con l’Italicum.
La sera delle elezioni potremmo avere un partito che, toccando la soglia del 40% dei voti, avrà il 55% dei seggi (340 deputati) dell’unica Camera legislativa
Se, invece, nessuno dovesse toccare quella soglia, si andrebbe al ballottaggio tra i due partiti maggiori.
Il partito che dovesse prendere nel ballottaggio la maggioranza avrebbe sempre il 55% dei seggi.
Per dirla in parole povere, il governo dell’Italia in questa maniera viene consegnato per sempre a una minoranza che rappresenterebbe, nel migliore dei casi, il 40% dei votanti (in caso di grande affluenza, tipo 70%, quel partito rappresenterà meno del 30% del Paese) diversamente, dopo il ballottaggio, ancora meno visto che nel secondo turno l’affluenza si riduce drasticamente.
Ma non è finita.
Quel partito che rappresentando poco meno o poco più un terzo del Paese avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi, avrebbe anche un gruppo parlamentare a immagine e somiglianza del proprio segretario politico che da venti anni, in tutti i partiti, è il padre padrone che nominerà almeno cento deputati visto che i capolista sono nominati e non votati.
Non sfugge a nessuno che ciascun segretario politico nominerà i suoi fedelissimi che dovranno a lui e non ai cittadini lo status di parlamentare.
Per concludere, un partito, minoranza nel Paese, sarà maggioranza assoluta nell’unica Camera rimasta con una selezione cortigiana dei deputati e sarà governato da un uomo o da una donna che sarà premier e segretario di partito diventando così padrone del governo e dell’Aula parlamentare e che nominerà da solo tutte le autorità di garanzia, compreso il presidente della Repubblica.
Non sfugge a nessuno che il presidente della Repubblica non potrà più essere un arbitro ma dovrà gestire i suoi poteri in maniera più ficcante a cominciare dalla nomina dei ministri.
Ma se il presidente della Repubblica sarà stato scelto in solitudine dal premier-segretario difficilmente lo potrà fare perchè dovrà «servire» il dominus del Paese. Questo sistema, che non ha eguali in una Europa nella quale non c’è un premio di maggioranza del 15% e i cui governi sono per la stragrande maggioranza dei Paesi governi di coalizione, produrrà autoritarismi crescenti che porterà l’Italia ad essere ancora una volta un Paese a rischio.
I fan di questo sistema enfatizzano la governabilità , ma se questo fosse l’obiettivo vero, la cultura politica offre una soluzione democratica, un sistema presidenziale con un parlamento largamente rappresentativo della società come contrappeso del potere presidenziale, un contrappeso che nell’Italicum non esisterà più.
I prodromi di questa involuzione autoritaria sono tutti presenti nell’ultimo ventennio con la nascita dei partiti personali e la qualità della politica si è progressivamente dissolta con risultati che sono sotto gli occhi di tutti e che non possono non essere visti dai tanti democristiani, socialisti e liberali che pure hanno costruito la democrazia politica in Italia e che oggi sono colpevolmente silenti.
Un ultimo suggerimento ai lettori.
Oggi assistiamo all’eterna tentazione dell’uomo, l’autoritarismo: cambia spesso vestito a secondo delle stagioni e qualche volta viene scambiato per modernità .
Cirino Pomicino
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: denuncia | Commenta »