Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
“NON VOGLIAMO MORIRE LEGHISTI”
La paura è un vento che arriva dal Nord: “Stella, non possiamo consegnarci così a Salvini, che facciamo
passiamo dagli schiaffi di un Matteo a quelli di un altro Matteo? Spiegacelo, se la linea la dà Salvini noi ce ne andiamo nella Lega”.
Stella è Maria Stella Gelmini, che oltre ad essere una delle berlusconiane più alte in grado è anche coordinatore regionale della Lombardia.
Il suo telefono bolle, nel primo giorno di opposizione di Forza Italia. Sindaci, coordinatori di Forza Italia delle province, consiglieri a Milano e al Pirellone sfogano la paura nella cornetta.
Lo stesso accade a Paolo Romani, nel suo ufficio a palazzo Madama.
Quello che una volta si sarebbe chiamato “il territorio” pensa che Berlusconi ha gestito la “svolta” con scarsa lucidità , perchè un conto è rompere il Nazareno, un conto è consegnarsi all’altro Matteo: “A questo punto — è il leitmotiv di giornata – andiamo direttamente nella Lega, almeno ci ritagliamo un ruolo lì invece di fare gli scendiletto qui”.
Perchè Salvini si muove con la stessa “arroganza” del Matteo a palazzo Chigi: “Nomi e linea — dichiara a metà mattinata — li diamo noi”.
Parole che hanno alimentano un’atmosfera surreale tra gli azzurri.
Nessuno lo sa con certezza, ma il sospetto è che Berlusconi domenica sera a cena abbia sbracato del tutto.
E oltre alle tre regioni gli abbia offerto la guida del centrodestra, o di ciò che ne resta. Matteo nel ruolo di “goleador”, Berlusconi in quello di regista.
Alla bouvette Daniela Santanchè prende un caffè senza zucchero.
Sorride: “Per fare il circo ci vogliono le tigri, non le gattine”.
Di ruggiti se ne sentono assai pochi.
Pure uno come Renato Brunetta, abituato ai toni alti e alle raffiche verbali, a un certo punto pare un moroteo: “Stiamo facendo opposizione selettiva”.
A tre metri di distanza, da un capannello esce la traduzione: “Selettiva? La verità è che il gruppo non tiene e ognuno vota come diavolo gli pare. Lucetta verde, lucetta bianca, lucetta rossa. Il voto tricolore. Siamo ridicoli”.
Ci sono almeno tre sottogruppi: quello di parlamentari che fa riferimento a Verdini, quello di Fitto e i berlusconiani nelle varie sfumature.
Lo spettacolo è surreale.
Alcuni votano scientificamente l’opposto di quello che indica la Centemero a cui è stato affidato l’ingrato compito.
Fabrizio Cicchitto parlando con un collega, fotografa così l’andamento: “Se la Centemero dice che piove, una parte del gruppo, vota contro dicendo che c’è il sole. Se dice che c’è il sole, quelli dicono che piove”.
Si vede che stavolta non è come le altre.
Un ruggito del capo e gli altri che si gettano nel combattimento. Gruppo frantumato, poche dichiarazioni contro Renzi. Preoccupazione per le camice verdi di Salvini.
Nel suo bunker Berlusconi pronuncia parole di fuoco verso il “ragazzo” che lo ha ingannato sul Colle.
Minaccia vendette. Fantastica battaglie epocali: “Quello è un pericolo per il paese, va fermato”.
L’ordine è recepito dagli house organ di famiglia, dal Giornale a Mediaset. In Parlamento più che ruggiti, direbbe Daniela Santanchè, si sentono miagolii.
Segno che neanche la presa di Berlusconi sui suoi è quella di una volta.
“Siamo al delirio” è la frase più dolce che dicono i suoi, ma a microfoni spenti. Salvini pone condizioni, già tratta Forza Italia come un cespuglio e il territorio esplode.
E Berlusconi, chiuso ad Arcore col suo cerchio magico, pare non rendersene conto. Gelmini, Romani, Gasparri e il grosso dei parlamentari cercherà di contenerlo in vista dell’assemblea dei parlamentari di mercoledì: “Tra un Nazareno meno supino a consegnarci a Salvini — è il loro ragionamento — c’è una via di mezzo. E c’è una via di mezzo pure nei toni verso Renzi. Due mesi fa il Giornale titolava Forza Renzi e oggi lo paragona a un sanguinario come Valentino Borgia”.
In parecchi, anche tra gli alti in grado hanno chiamato Denis Verdini, chiuso in un granitico silenzio nel suo ufficio a San Lorenzo in Lucina.
I nemici di una settimana fa diventano nuovi potenziali alleati.
È uno dei tanti paradossi. Spiegano i ben informati: “Il grosso del gruppo dirigente di Forza Italia, a partire da Romani, non voleva la rottura del Nazareno. Lavorava per un Nazareno dove non comandasse Verdini, non per andare in piazza con Salvini contro gli immigrati”.
Ad applaudire i suoi ruggiti.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
IL DECRETO FERMO ALLA CAMERA, LA RAGIONERIA VUOLE BLINDARE IL TESTO CON UNA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA
In teoria, il tempo è strettissimo.
Entro il 12 febbraio il Parlamento deve dare il via libera, non vincolante, ai primi due decreti attuativi del Jobs Act, approvati dal governo prima di Natale.
E mentre sul nuovo contratto a tutele crescenti il parere della Commissione Lavoro arriverà domani, sul decreto sugli ammortizzatori sociali è stallo.
Manca il via libera della Commissione Bilancio, che a sua a volta attende il semaforo verde della conferenza Stato-Regioni ma soprattutto la garanzia della Ragioneria Generale dello Stato su uno dei nodi più controversi, quello della clausola di salvaguardia sugli ammortizzatori sociali.
Nel proprio dossier, l’Ufficio Bilancio della Camera ha sollevato esplicitamente la questione. Tema che, coincidenza quasi beffarda, riguarda l’articolo 18 del decreto, che si occupa delle coperture finanziarie del provvedimento.
Per finanziare il nuovo sussidio di disoccupazione Naspi, As.Di (assegno di disoccupazione) e Dis.Coll (l’indennità per gli ex co.co,co), il governo ha previsto nella legge di stabilità risorse per 2,2 miliardi nel 2015 e 2016 e 2 miliardi per il 2017.
In sostanza, ha rilevato il dossier della Camera, perchè è stato posto un limite di capienza a un diritto che in teoria potrebbe essere esercitato da una platea superiore da quella stimata inizialmente dal governo?
La questione pare tecnica ma rischia di nascondere una brutta sorpresa.
Per assicurare che tutti possano beneficiare dei nuovi ammortizzatori sarebbe necessaria una clausola di salvaguardia che garantisca che anche in caso di utilizzo di tutte le risorse accantonate, il riconoscimento del sussidio sia garantito comunque.
Che siano nuove imposte, o tagli di spesa, o altro, è presto per dirlo.
Ma fonti parlamentari spiegano che la Ragioneria per dare il suo via libera definitivo chiederà la previsione della salvaguardia.
Il 3 febbraio scorso la Ragioneria di fronte a questi rilievi non ha risposto direttamente, lasciando aperta la questione, ma prima del via libera del provvedimento alla fine la clausola dovrebbe essere inserita.
Anche perchè soltanto per la cassa integrazione in deroga, i cui criteri di accesso sono diventati di fatto molto più restrittivi, lo scorso anno il governo ha speso circa 2,5 miliardi.
E se la nuova Naspi è destinata ad assorbire il vecchio strumento, estendendo comunque il numero di possibili beneficiari, le risorse messe da parte dal governo potrebbero non bastare.
Qualcosa quindi, il governo dovrà inventarsi.
Difficile, però, che possa agire sul fronte delle imposte dirette visto che sui prossimi tre anni gravano già delle pesantissime ipoteche, con aumenti programmati delle aliquote che potrebbero valere oltre 20 miliardi alla fine del triennio.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
E FA I NOMI DI NOCCARATO, DAVICO E CARIDI
“Vedo molte persone che sono preoccupate di sfangarla fino al 2018. Chi sono questi? Quelli che soffrono
per un eventuale scioglimento anticipato della legislatura”.
Così Vincenzo D’Anna, senatore di Gal (Grandi Autonomie e Libertà ), costola a Palazzo Madama di Forza Italia, annuncia nuovi passaggi a sostegno del governo Renzi.
A partire dai suoi colleghi di Gal, come “Naccarato, Davico e Caridi che già votano per il governo”.
Poi c’è il gruppo di Area Popolare (Ncd-Udc), nel quale — continua D’Anna — “c’è un nucleo duro di calabresi e siciliani, molto interessati al ministero del Sud che è una riedizione riveduta, peggiorata e scorretta della Cassa del Mezzogiorno”.
Gli ex M5S?
“Io — risponde D’Anna — ho parlato con alcuni di loro e li vedo molto preoccupati per la fine anticipata della legislatura”.
Poi il senatore campano, molto vicino a Raffaele Fitto, su Denis Verdini sottolinea: “E’ ovvio che, se il cerchio magico di Berlusconi vuole farlo fuori, si organizzerà per legittima difesa. Verdini è uno che ha trafficato per anni con le liste elettorali e qualche senatore e deputato, che io chiamo incappucciati, al momento opportuno li tirerrà fuori, come sono venuti fuori i voti per l’elezione di Mattarella”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
PER RENZI I RISCHI POSSONO ARRIVARE DALLA CRISI ECONOMICA E DAL CASO GRECO
Il rischio di scivolare da una subalternità all’altra è concreto.
Ma è ancora più vistoso il disorientamento che le oscillazioni di Silvio Berlusconi possono provocare tra militanti ed elettori di FI.
Passare in pochi giorni dal patto del Nazareno con Matteo Renzi ad un«patto di Arcore» con il leghista Matteo Salvini «per fermare il premier» è più di una giravolta. Sottolinea quanto sia stata dura la sconfitta dell’ex Cavaliere nella partita del Quirinale; e come la nostalgia delle vecchie alleanze possa portare Berlusconi nelle braccia di un populismo che lo indebolirà ulteriormente.
Anche perchè l’abbraccio con la Lega, che Il Mattinale, bollettino di FI alla Camera, definisce «a 360 gradi», viene invece accettato da Salvini con cautela.
È la prudenza di chi si sente in vantaggio, teme ripensamenti improvvisi, e vuole trattare da posizioni di forza.
La richiesta a Berlusconi di appoggiare candidati del Carroccio alla presidenza di tutte le regioni del Nord è il pedaggio da pagare.
In passato, bilanciava il primato dell’allora Cavaliere nel governo nazionale. Ora, potrebbe certificare il ruolo di FI come portatrice d’acqua di un’opposizione a guida leghista.
Per questo bisogna capire quanto sia definitiva la svolta.
Palazzo Chigi sembra considerarla tale. E prende le contromisure.
Il lungo incontro tra Renzi e il ministro dell’Interno e leader del Ncd, Angelino Alfano, è una sorta di controcanto alla cena di Arcore tra FI e Lega.
Mostra una collaborazione di governo che si rinsalda dopo le tensioni seguite all’elezione di Sergio Mattarella come capo dello Stato.
E bilancia il passaggio di Berlusconi all’opposizione dura, sebbene con qualche margine di ambiguità ; e il rifiuto di Salvini di presentarsi alle regionali accanto al simbolo «governativo» del Ncd.
Sono istantanee di un’area politica in via di disgregazione.
E conferme dei margini crescenti di manovra che Renzi può sfruttare.
Ormai, la riforma elettorale è al punto di arrivo, quella del Senato potrebbe cambiare; ma in entrambi i casi è il presidente del Consiglio ad avere il timone.
E può usarlo magari per venire incontro alla minoranza del Pd; o per attrarre nella propria orbita gli scontenti di FI o del Movimento 5 Stelle in Parlamento: voti che sarebbero ben accetti, in particolare al Senato, nonostante l’ombra di manovre trasformistiche.
I pericoli per il governo arrivano da fuori, dalla crisi economica europea.
Il fatto che una Grecia alla disperata ricerca di crediti abbia tirato in ballo l’Italia per indicare un altro Paese a rischio di bancarotta, è preoccupante.
Se la situazione greca dovesse avvitarsi quel giudizio maldestro potrebbe riaffiorare in Europa, e sovrastare i numeri del governo Renzi in Parlamento.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
E IN ALTRE ZONE D’ITALIA NON VA MEGLIO
Se un amico di Napoli vi confida che vuole emigrare in Polonia, non chiedetegli se è diventato matto: per
come vanno le cose l’idea potrebbe quasi avere senso.
Secondo i dati dell’ Istituto di statistica europeo, aggiornati al 2011, il reddito medio dei napoletani è ormai inferiore a quello dei polacchi.
Nei primi si ferma a 16.100 euro l’anno, mentre per i secondi è più alto di 300 euro. L’area d’Europa con il PIL più alto è invece la parte occidentale di Londra, cuore finanziario della Gran Bretagna, dove la media supera i 150mila euro.
Ma in Italia c’è chi è messo ancora peggio.
Nella provincia di Medio Campidano, in Sardegna, il reddito è di 11.200 euro l’anno: poco meno che in Bulgaria.
Seguono Caserta e Agrigento, intorno ai 13mila e qualche centinaio di euro in più rispetto a un abitante medio della Romania.
Resta forte la divisione nord-sud, anche se in quest’ultimo spicca la provincia di Catanzaro che supera i 20mila euro l’anno — fatto praticamente unico nel meridione —, mentre al centro si distingue Rieti; chi vi abita ha in media un reddito più basso di quello dei vicini.
Roma è un caso a parte. Essere il centro della burocrazia italiana, con il relativo carico di retribuzioni elevate, non può che portare a risultati maggiori: un elemento che in qualche misura sposta i redditi — ma non per forza quanto poi si produce davvero — verso l’alto.
Al nord invece i milanesi hanno un reddito medio di 45.600 euro, quasi il doppio della media europea.
Un valore senz’altro elevato, ma forse neppure troppo per quello che dovrebbe essere il centro della borghesia produttiva italiana.
Senza neppure arrivare a Londra, in cui i tanti stranieri della City finanziaria renderebbero il confronto poco sensato, basta andare in Francia o in Germania — a Monaco, Parigi o Bonn — per trovare diverse aree in cui il reddito si aggira o supera i 60-70mila euro a persona.
I dati non considerano solo quanto le persone producono, ma tengono in conto anche il diverso costo della vita.
Affitti più alti e beni più economici, servizi a buon mercato o meno: tutti fattori che nella vita concreta contano almeno quanto lo stipendio che riceviamo.
Si tratta del modo più accurato per capire qual è il reale tenore di vita delle persone in un regione piuttosto che in un’altra.
Come succede di consueto quando si calcola il PIL, è inclusa anche una stima (più o meno accurata) dell’evasione fiscale.
Eppure basta tornare qualche anno indietro per capire come i problemi italiani siano tutt’altro che nuovi.
La crisi non ha fatto che pesare su un sistema già affaticato — in alcune zone più che in altre.
Basilicata, Puglia e Calabria, per esempio, già prima della recessione del 2008 crescevano poco — meno dell’1% l’anno.
Emilia Romagna, Marche e Lazio avevano invece un ritmo più elevato, intorno al 2%. Il motore pare inceppato da tempo: già intorno al 2002-2003 in diverse regioni il reddito ha fatto un salto indietro, per poi calare a picco dal 2008.
In Molise la recessione ha fatto più danni: fino al 2011 l’economia è decresciuta in media del 2,9% l’anno; meno in Campania, con una caduta dell’1,8%.
Seguono Calabria (-1,7%), Sicilia e Basilicata (-1,6%).
Quando gli altri cadono — magra consolazione — anche restare fermi è un segnale positivo. È il caso di Lombardia e provincia di Bolzano, dove invece le cose sono rimaste stabili oppure la diminuzione è stata minima.
Guardando a come vanno le cose provincia per provincia abbiamo un quadro più dettagliato, ma anche meno recente — per il momento i dati arrivano solo al 2011.
Che napoletani e siciliani abbiano recuperato qualcosa, nel frattempo?
L’unico modo per farsi un’idea è guardare a come sono andati i paesi nel loro complesso.
Anche così, però, l’Italia resta quella che fa peggio. Non solo l’economia non recupera quanto aveva perso dall’inizio della recessione, ma continua a cadere ancora.
Nel 2012 e 2013 la crescita media è stata molto negativa: la Spagna arretra ma meno, Francia e Germania crescono — molto poco — mentre nel Regno Unito va abbastanza meglio.
Nulla di impressionante, certo, eppure nel regno dei ciechi l’orbo è re.
Dunque è ancora vero che i napoletani guadagnano meno dei polacchi?
Una cosa è certa: negli ultimi due anni questi ultimi sono andati avanti, mentre l’Italia è tornata ancora più indietro. Non solo il divario potrebbe essere rimasto, ma ci sono buone ragioni per pensare che sia aumentato
Chi più in fretta, chi trascinando i piedi, resta il fatto che diversi paesi stanno cominciando a uscire dalla crisi.
Molti, ma non l’Italia.
Chissà che l’amico napoletano non abbia tutti i torti.
(da “L’Espresso“)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
DA UN MESE AL VIMINALE OPERA UN NUCLEO DI 20 SPECIALISTI, OTTIMI CONOSCITORI DELL’ARABO
Un mese fa, la strage di Parigi. Dopo tanti segnali premonitori – in Gran Bretagna, in Belgio, in Olanda, nella stessa Francia – si materializza l’incubo del terrorismo islamista nel cuore dell’Europa.
Una cellula che si risveglia dal suo sonno apparente e uccide. Da quel momento è allarme rosso in tutte le Capitali europee.
E siccome è il web la prateria dove si dibatte e si lanciano messaggi, ecco che gli operatori del Servizio polizia postale e delle comunicazioni si ritrovano in prima linea.
Al Viminale da un mese è all’opera giorno e notte un nucleo di 20 specialisti, capaci di muoversi tra i siti Internet, ma allo stesso tempo ottimi conoscitori dell’arabo e pratici di ogni sfumatura che connota i gruppi jihadisti.
In questo lasso di tempo hanno identificato ben 400 tra siti, blog, forum, pagine di social network, video che inneggiano al jihad e che costituiscono una seria minaccia per il nostro Paese.
La rivista ufficiale della polizia italiana, “Polizia moderna”, ha potuto intervistare con garanzia di stretto anonimato un’operatrice della task force.
Racconta: «A parte il fatto che in pratica la mia vita si svolge davanti al pc, e che siamo arrivati a monitorare qualcosa come 400 piattaforme elettroniche, uno dei riflessi immediati è stato l’aumento esponenziale dei contatti e delle comunicazioni con Interpol e Europol: a volte basta alzare il telefono per scambiare un’informazione o comunicare un intervento da fare. Proprio in questi giorni attraverso Interpol, ad esempio, abbiamo avuto una serie di segnalazioni relative a Ask.fm, un social molto usato, perchè rispetto agli altri garantisce l’anonimato degli utenti. Ci hanno comunicato che diversi adolescenti di 14-15 anni postavano la presenza di ordigni in diverse città italiane, da Roma a Venezia da Milano a Reggio Calabria e Palermo. Quasi sicuramente si trattava di “ragazzate”, ma di questi tempi nessuna minaccia può essere trascurata e così attraverso il territorio, gli autori delle frasi sono stati rintracciati e convocati in questura assieme ai genitori».
Sono i social network uno degli ambiti virtuali più controllati, ma non solo.
«La tattica seguita dai militanti jihadisti – dice Roberto Di Legami, primo dirigente del Servizio polizia postale e delle comunicazioni – è quella di condurre una “guerra di percezione”, dove la politica e la propaganda occupano il primo posto, utilizzando il potere della tecnologia e di Internet per minare l’autorevolezza dei governi occidentali e per convincere gli utenti della Rete ad unirsi alla jihad.
E’ però da tenere presente che sulla Rete il terrorismo è un fenomeno molto dinamico, all’interno del quale i siti web mutano costantemente, appaiono all’improvviso e, di frequente, si trasformano per poi sparire rapidamente e riapparire ancora, con una url diversa».
Stante la caratteristica “molecolare” della minaccia, i cyber-poliziotti preferiscono seguire l’attività dei siti pericolosi piuttosto che farli chiudere.
Pare una scelta investigativa intelligente, forse anche obbligata.
«Fino a oggi – riprende il racconto dell’operatrice anonima – abbiamo oscurato una ventina di siti che avevano sede in ogni parte del mondo, anche negli Stati Uniti e in Russia. Due di questi erano perfino in lingua cinese».
Nel jihad virtuale in prevalenza si parla arabo, con le immaginabili complicazioni legate ai tanti dialetti.
«Una volta venuta alla luce una traccia da seguire, sarà compito della Digos svolgere le necessarie attività investigative, come nel caso dello studente turco Furkan Semih Dundar espulso dal nostro Paese nelle scorse settimane. E’ un compito delicato e il peso della responsabilità a volte diventa difficile da sostenere. Hai sempre paura che qualcosa ti sfugga, e il pensiero ricorrente è che magari nel momento in cui ti stacchi dal computer per andare via, proprio là , nel deep web si sta materializzando una nuova minaccia».
Francesco Grignetti
(da “La Stampa“)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
SFORBICIATE GRILLINE A MOLTE CONVENZIONI, REINTRODOTTA DOPO LE PROTESTE LA SOCIAL CARD CHE DUE MESI FA ERA STATA ELIMINATA, MA SOLO PER IL 50% DEI RICHIEDENTI
La “rivoluzione” della giunta di Livorno guidata da Filippo Nogarin fa discutere. 
Se da una parte infatti vengono reintrodotte le social card in favore dei poveri che due mesi fa erano state completamente tagliate, dall’altra si internalizzano servizi precedentemente affidati a associazioni del Terzo Settore e si sforbiciano diverse convenzioni.
L’accusa nei confronti della giunta da parte di alcune associazioni — tra cui Caritas e Arci — è infatti di aver recuperato risorse ai danni di quelle realtà storicamente in prima fila nel sostegno alle marginalità sociali: “E’ la prima giunta che taglia sui poveri” attacca la Caritas.
A dicembre il Comune aveva annunciato la necessità di tagliare completamente le social-card dei poveri (326mila euro) e le borse-lavoro (91mila) nell’ambito di un complessivo taglio del 4% (843mila) al sociale: ora l’assessore Ina Dhimgjini ha ufficializzato che tali contributi saranno in gran parte mantenuti.
I cardini della manovra sono reinternalizzazione e riorganizzazione di molti servizi, sforbiciate alle convenzioni, stop all’affidamento diretto dei servizi.
Le risorse non verranno più distribuite mediante social-card (300 in passato i beneficiari per un importo tra gli 80 e i 150 euro a carta) bensì tramite voucher (il servizio dovrebbe partire a aprile).
Le borse-lavoro in favore di 16-18enni a rischio di marginalità sociale saranno invece reintrodotte in parte grazie a un recente stanziamento di 50mila euro (a cui hanno contribuito con circa 4mila euro a testa Caritas e Amministrazione penitenziaria).
Ma nel frattempo il contributo in favore di Caritas (mensa, borse lavoro, formazione ai mestieri, accoglienza madri sole) passerà da 117mila euro a 58mila euro mentre quello al Cesdi (centro per senzatetto) da 19mila a 10mila euro.
Azzerati i 20mila euro all’Arci per lo sportello immigrati. Eliminato inoltre il servizio dei “nonni-vigili” (88 anziani coinvolti — secondo quanto riporta il Tirreno — per un costo di circa 100mila euro) impiegati nei parchi o davanti alle scuole in prossimità degli attraversamenti più a rischio.
La manovra non è piaciuta alla Caritas. Nei giorni scorsi la presidente suor Raffaella Spiezio aveva dichiarato: “C’è da chiedersi se si taglino i fondi al sociale perchè si è realmente convinti che questo faccia il bene della città oppure per un giudizio politico e morale sulla gestione dei servizi: rifiutiamo con fermezza l’accusa di corporativismo“. Dura annche l’Arci: “Per ridare ai poveri quello che l’amministrazione stessa aveva tagliato si è tolto a quelli che erano ancora più poveri”.
Sul sito internet di Arci poi si precisa: “Per il 2014 l’esborso per le social card ammontava a circa 428mila euro, sappiamo di quel che parliamo, visto che ne gestivamo l’erogazione: con i soldi ‘risparmiati’ è stata realizzata una copertura che arriva appena al 50%”.
Poi la conclusione: “Non c’e stata alcuna reinternalizzazione, solo taglio netto o riduzione della qualità dei servizi presenti”
David Evangelisti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
L’INTERCETTAZIONE DI ODEVAINE: “L’EX SINDACO COI CONTANTI IN VALIGIA”
Mafia Capitale: i magistrati chiedono collaborazione al governo argentino.
La rogatoria, sul punto di essere formalizzata, riguarda una presunta esportazione di valuta alla quale si sarebbe prestato l’ex sindaco di centrodestra.
Gianni Alemanno: sempre stando all’ipotesi, avrebbe passato la frontiera argentina con denaro proveniente dai consorzi di Salvatore Buzzi (accusato di corruzione oltre che di associazione mafiosa).
Apparentemente strampalata, l’ipotesi del sindaco «spallone» trova conferma nelle relazioni dei carabinieri del Ros, che hanno effettuato le intercettazioni per conto della Procura.
L’episodio viene raccontato da uno degli arrestati, Luca Odevaine, che, da dirigente della Provincia, avrebbe organizzato l’accoglienza degli immigrati a vantaggio delle coop di Buzzi.
«Per soldi se so’ scannati …»
«Per soldi se so’ scannati – dice Odevaine a Mario Schina (altro arrestato per il sodalizio)- ma sai che Alemanno s’è portato via … ha fatto quattro viaggi lui e il figlio con le valige piene de contanti.. ma te sembra normale che un sindaco…».
Odevaine avrebbe saputo dalla Polaria anche altri dettagli.
Che Alemanno, ad esempio, poteva contare su qualche sponda per varcare indisturbato il varco della frontiera.
Così aveva replicato l’ex sindaco: «Sono stato per pochi giorni, a Capodanno, con la mia famiglia, per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia».
Sta di fatto che, oggi, i funzionari di Buenos Aires possono fornire un riscontro e aiutare i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli a ricostruire questi passaggi oltrefrontiera.
A proposito di somme che transitavano dai conti delle coop di Buzzi a quelli di funzionari e politici capitolini, i giudici del Tribunale del Riesame hanno respinto l’istanza di dissequestro dei conti di Claudio Turella (Ufficio giardini) e della moglie Assunta Fortin (non indagata).
Il funzionario capitolino avrebbe involontariamente fornito la prova regina dell’attività corruttiva del duo Buzzi-Carminati.
Nell’intercapedine di una parete della casa di Turella il Ros aveva rintracciato circa 550mila euro riposti in sacchetti con il logo del Comune di Roma.
In seguito al suo arresto, una disposizione data dal carcere ai familiari ha portato la procura a chiedere un nuovo sequestro di conti correnti bancari per un totale di altri 355.877 euro.
«L’eredità in famiglia»
Turella si era difeso parlando di un’eredità in famiglia, ma scrivono i giudici, motivando il no al dissequestro: «Il riferimento alla successione ereditaria negli anni 2009 e 2010 è del tutto privo di riscontro. Non solo non è stato prodotto alcun documento che attesti che Turella ha beneficiato di proventi ereditari ma deve evidenziarsi che la documentazione allegata riguarda un giroconto tra banche della somma di 164.413 euro mentre il documento (prodotto dalla difesa, ndr) concerne la liquidazione di un sinistro per poche migliaia di euro».
E concludono: «E’ d’obbligo osservare che Turella percepisce uno stipendio mensile inferiore ai 3mila euro netti che appare ridicolmente sproporzionato all’entità delle somme portate dal conto, che alla data del 31 dicembre 2012 sono state quantificate in 188.847 euro».
Ilaria Sacchettoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 10th, 2015 Riccardo Fucile
PER ESSERE COMPETITIVA DEVE AVERE UNA LINEA CHE SAPPIA ANCHE INTERPRETARE ALCUNE ESIGENZE DI FONDO DELL’ELETTORATO DI SINISTRA… COME RENZI HA SAPUTO FARE CON QUELLO DI DESTRA
Se la Destra vuole tornare ad essere elettoralmente competitiva deve prefiggersi una linea che sia
riconoscibilmente alternativa a quella della Sinistra, naturalmente, ma che al tempo stesso sappia interpretare anche alcune esigenze di fondo dell’ elettorato di quest’ultima.
Tutto lascia credere che l’elezione del presidente della Repubblica, avendo mandato all’aria il cosiddetto patto del Nazareno, abbia posto fine a quella strategia dei «due forni» sulla quale il governo Renzi ha fin qui potuto contare: cioè l’uso di maggioranze parlamentari di volta in volta diverse, includenti oppure no Forza Italia, a seconda dei provvedimenti da votare.
Il che, tuttavia, non ha certo cancellato quello che è forse l’elemento chiave che nel nostro sistema politico nato nel 1994 assicura fisiologicamente, come un fatto abituale, un grosso vantaggio competitivo alla Sinistra rispetto alla Destra.
Beninteso, ve ne sono parecchi, di questi elementi fisiologici di preminenza: il fatto, tanto per cominciare, che la Sinistra ha dietro di sè settori della società civile più compatti e in certo senso più strategici (ad esempio i media e la cultura); che può contare in linea di massima su una maggiore motivazione, e quindi fedeltà , del proprio elettorato; che essa ha maggiore familiarità e conoscenze con personalità e circuiti politici internazionali.
Ce n’è uno però, come dicevo, più importante degli altri.
Questo: la Sinistra, quando è al governo, sa e può fare, pur se entro certi limiti e per intenderci alla buona, politiche sia di sinistra che di destra, dal momento che sa che anche in questo ultimo caso conserverà comunque i propri voti, e in più attirerà quasi certamente voti dal campo avversario.
La Destra invece no: essa sa e può fare (quando pure ci riesce) solo politiche di destra; e dunque al massimo può conservare il bacino elettorale suo proprio non potendo tuttavia sperare di ampliarlo di molto.
Nella Seconda Repubblica ha funzionato così.
Specialmente, come dicevo sopra, per effetto del diverso grado di fedeltà e di senso di appartenenza – o se si preferisce di «laicità » – che esiste in Italia tra il «popolo» di sinistra e quello di destra.
Anche se è vero che in compenso la Destra gode del vantaggio di partenza di rappresentare socialmente la maggioranza del Paese.
Sta di fatto che nel gioco politico iniziatosi nel ’94 mentre la prima riesce a disporre di due strade la seconda è sembrata sempre capace di percorrerne una sola.
Di tutto ciò, come ha mostrato su queste colonne Michele Salvati, l’azione finora svolta da Matteo Renzi è il massimo esempio – ma non il solo: negli enti locali i casi sono moltissimi – di quanto sto dicendo.
Pur con vari mal di pancia perchè di certo in contrasto con molte sue premesse, la Sinistra renziana, infatti, può fare liberalizzazioni, riformare la Costituzione, cancellare privilegi nel mercato del lavoro, prendere di petto i sindacati, invocare inchieste e castighi sui vigili fannulloni di Roma, dare un’immagine di sè insomma (non importa che poi la realtà sia talvolta un’altra) diversa da quella sua tradizionale, e così facendo ricevere un gran numero di consensi pure dal centro e dalla destra.
Che cosa è stata capace di fare invece di analogo in senso opposto nei suoi anni d’oro la Destra?
Certo, ha pesato molto la leadership berlusconiana, i cui limiti sono divenuti presto evidenti.
Specialmente la sua scarsa determinazione e la sua inettitudine a tenere insieme la maggioranza e a guidarne l’azione di governo.
Che infatti è apparsa fin da subito priva di un riconoscibile orientamento generale, di un qualunque disegno, sfilacciata in mille provvedimenti dettati dall’emergenza o da puri interessi particolari.
La conclusione è stata che nei loro lunghi anni di governo, Berlusconi e i tanti che erano con lui non sono riusciti a trasmettere al Paese l’idea di che cosa potesse voler realmente dire un programma politico di destra, quali principi – se mai c’erano – essa mirasse a realizzare.
Tanto meno – figuriamoci – Berlusconi e i suoi (anche quelli che poi lo hanno abbandonato) sembrano aver mai pensato di spingersi su una strada programmatica che potesse apparire «di sinistra».
Questo è forse il principale problema che il tramonto dell’ex premier lascia in eredità alla sua parte.
Se la Destra vuole tornare ad essere elettoralmente competitiva deve prefiggersi una linea che sia riconoscibilmente alternativa a quella della Sinistra, naturalmente, ma che al tempo stesso sappia interpretare anche alcune esigenze di fondo dell’ elettorato di quest’ultima.
Ciò sarà possibile, io credo, ma solo a una condizione.
Una condizione che si spiega con la storia particolare del nostro Paese e delle sue culture politiche.
Tra le quali quella liberal-democratica nei fatti si è sempre mostrata fragile, poco radicata e soprattutto incapace di sorreggere vaste ambizioni.
Altrove sarà diverso, è certamente diverso, ma in Italia – come del resto in molti altri Paesi dell’Europa continentale – una sostanziale contaminazione della Destra moderata con punti programmatici diversi dai propri, i quali guardino verso sinistra, è possibile solo se la Destra riesce a integrare dentro di sè, stabilmente – non già in modo estrinseco sotto forma di fragili accordi di vertice che lasciano il tempo che trovano – la cultura del cattolicesimo politico.
Berlusconi ha pensato che fosse sufficiente un’alleanza con le gerarchie ecclesiastiche all’insegna di una strumentale condivisione di «valori irrinunciabili» (a lui e al suo ambiente peraltro del tutto estranei).
Ma evidentemente non di questo si tratta.
Bensì di fare i conti con quel lascito di idee e di propositi che vengono da una lunga storia e che hanno alimentato un’esperienza che è stata decisiva per la vicenda della democrazia italiana.
Altrimenti, per una Destra che oggi miri a contrastare l’egemonia renziana l’alternativa è una sola: quella di puntare spregiudicatamente su un massiccio smottamento ideologico-emotivo delle masse (popolari e non) verso particolarismi anarcoidi, verso forme di xenofobia e di antieuropeismo radicali.
È la via attuale della Lega: una via tenebrosa e senza ritorno.
Ernesto Galli della Loggia
(da “il Corriere della Sera”)
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