VITA DA CYBER-POLIZIOTTO, A CACCIA DI JIHADISTI NEL PROFONDO WEB
DA UN MESE AL VIMINALE OPERA UN NUCLEO DI 20 SPECIALISTI, OTTIMI CONOSCITORI DELL’ARABO
Un mese fa, la strage di Parigi. Dopo tanti segnali premonitori – in Gran Bretagna, in Belgio, in Olanda, nella stessa Francia – si materializza l’incubo del terrorismo islamista nel cuore dell’Europa.
Una cellula che si risveglia dal suo sonno apparente e uccide. Da quel momento è allarme rosso in tutte le Capitali europee.
E siccome è il web la prateria dove si dibatte e si lanciano messaggi, ecco che gli operatori del Servizio polizia postale e delle comunicazioni si ritrovano in prima linea.
Al Viminale da un mese è all’opera giorno e notte un nucleo di 20 specialisti, capaci di muoversi tra i siti Internet, ma allo stesso tempo ottimi conoscitori dell’arabo e pratici di ogni sfumatura che connota i gruppi jihadisti.
In questo lasso di tempo hanno identificato ben 400 tra siti, blog, forum, pagine di social network, video che inneggiano al jihad e che costituiscono una seria minaccia per il nostro Paese.
La rivista ufficiale della polizia italiana, “Polizia moderna”, ha potuto intervistare con garanzia di stretto anonimato un’operatrice della task force.
Racconta: «A parte il fatto che in pratica la mia vita si svolge davanti al pc, e che siamo arrivati a monitorare qualcosa come 400 piattaforme elettroniche, uno dei riflessi immediati è stato l’aumento esponenziale dei contatti e delle comunicazioni con Interpol e Europol: a volte basta alzare il telefono per scambiare un’informazione o comunicare un intervento da fare. Proprio in questi giorni attraverso Interpol, ad esempio, abbiamo avuto una serie di segnalazioni relative a Ask.fm, un social molto usato, perchè rispetto agli altri garantisce l’anonimato degli utenti. Ci hanno comunicato che diversi adolescenti di 14-15 anni postavano la presenza di ordigni in diverse città italiane, da Roma a Venezia da Milano a Reggio Calabria e Palermo. Quasi sicuramente si trattava di “ragazzate”, ma di questi tempi nessuna minaccia può essere trascurata e così attraverso il territorio, gli autori delle frasi sono stati rintracciati e convocati in questura assieme ai genitori».
Sono i social network uno degli ambiti virtuali più controllati, ma non solo.
«La tattica seguita dai militanti jihadisti – dice Roberto Di Legami, primo dirigente del Servizio polizia postale e delle comunicazioni – è quella di condurre una “guerra di percezione”, dove la politica e la propaganda occupano il primo posto, utilizzando il potere della tecnologia e di Internet per minare l’autorevolezza dei governi occidentali e per convincere gli utenti della Rete ad unirsi alla jihad.
E’ però da tenere presente che sulla Rete il terrorismo è un fenomeno molto dinamico, all’interno del quale i siti web mutano costantemente, appaiono all’improvviso e, di frequente, si trasformano per poi sparire rapidamente e riapparire ancora, con una url diversa».
Stante la caratteristica “molecolare” della minaccia, i cyber-poliziotti preferiscono seguire l’attività dei siti pericolosi piuttosto che farli chiudere.
Pare una scelta investigativa intelligente, forse anche obbligata.
«Fino a oggi – riprende il racconto dell’operatrice anonima – abbiamo oscurato una ventina di siti che avevano sede in ogni parte del mondo, anche negli Stati Uniti e in Russia. Due di questi erano perfino in lingua cinese».
Nel jihad virtuale in prevalenza si parla arabo, con le immaginabili complicazioni legate ai tanti dialetti.
«Una volta venuta alla luce una traccia da seguire, sarà compito della Digos svolgere le necessarie attività investigative, come nel caso dello studente turco Furkan Semih Dundar espulso dal nostro Paese nelle scorse settimane. E’ un compito delicato e il peso della responsabilità a volte diventa difficile da sostenere. Hai sempre paura che qualcosa ti sfugga, e il pensiero ricorrente è che magari nel momento in cui ti stacchi dal computer per andare via, proprio là , nel deep web si sta materializzando una nuova minaccia».
Francesco Grignetti
(da “La Stampa“)
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