Destra di Popolo.net

MELONI A 37 EURO, SALVINI A 6 EURO: LE PROMOZIONI CONTINUANO

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

VACANZE LOW COST: A ROMA E VENEZIA CON TRENI VELOCI E CON LA MEMORIA CORTA

Il picco inarrivabile della vacanza low cost l’ha stabilito Matteo Salvini, che ha regalato ai suoi compaesani un viaggio a Roma con giro di monumenti e boutiques per appena 6 euro.
Ma anche Giorgia Meloni non voleva essere da meno.
E per chi aveva voglia di una vacanza a Venezia ad appena 37 euro tutto compreso («prenota subito fino a esaurimento!»).
E così la manifestazione nazionale di Fratelli d’Italia chiamata “Difendiamoci” è diventata un’ottima opportunità  per ammirare la città  lagunare, così come quella “Renzi a casa” lo era stata per respirare l’aria della Roma ladrona.
Caratteristica comune di entrambe le manifestazioni è stata quella di fare da megafono a due politici che, per anni al governo con Berlusconi, non sono riusciti a risolvere nemmeno uno dei problemi per i quali adesso dicono di avere una soluzione.

Alessandro D’Amato
(da “Nex Quotidiano”)

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VERDINI SPINGE PER L’ASTENSIONE: “NON FACCIAMO I FUORI DI TESTA”

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

“DOPO AVER COSTRUITO IL SI’, ADESSO DICIAMO NO?”

“Non possiamo fare i fuori di testa. Dopo aver costruito il sì, adesso diciamo ‘no e poi no'”. È lo sfogo del cerchio magico.
Non quello di Silvio Berlusconi, ma quello di Denis Verdini. Il quale dall’alto del suo Aventino osserva il voltafaccia di Forza Italia sulla riforma costituzionale, rimpiange i bei tempi del patto dei Nazareno e giudica il voto negativo, che gli azzurri daranno martedì alle riforme costituzionale, come un’assurdità  o peggio: un suicidio.
Martedì è il D-Day, la giornata cruciale.
Si intrecciano le due partite, quella politica del voto a Montecitorio e quella giudiziaria del verdetto della Cassazione sul processo Ruby1.
I due vasi sono comunicanti.
Se la sentenza del Palazzaccio arriva prima della votazione nel Palazzo e se sarà  contro Berlusconi, nell’emiciclo della Camera si scatenerà  l’inferno.
Se invece la Cassazione si pronuncia in favore dell’assoluzione ottenuta da Berlusconi nel processo d’appello, l’ala nazarenica di Forza Italia avrà  buon gioco nel dire che serve il dialogo e che occorre stare dentro il contesto nel quale la pregiudiziale anti-berlusconiana è finita come dimostra anche l’affermazione di Renzi molto cara e continuamente citata in queste ore da Verdini: “Berlusconi resta il nostro principale interlocutore e Verdini è una persona che capisce molto bene i rapporti di forza”.
Il voto sulle riforme si svolge in un quadro che, per quanto riguarda Forza Italia, vede il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, scatenato contro il governo, e il gruppo, che in parte lo asseconda e in parte resta perplesso di fronte al muscolarismo del presidente.
I fittiani sono sul piede di guerra e da una parte sostengono con forza il “no” alle riforme (come hanno sempre fatto) e dunque sono contenti della giravolta di Berlusconi ma dall’altra non vogliono passare dal “Forza Renzi” al “Forza Salvini”. C’è poi il grande “corpo molle” degli eletti forzisti che è disorientato e confuso, vive una situazione crepuscolare e chiede a Berlusconi, senza risposte: “Presidente, cerchiamo di essere coerenti su una linea che sia quella definitiva”.
Ecco, per esempio, come si esprime Laura Ravetto: “A fronte delle variegate dichiarazioni di alcuni colleghi ritengo quanto mai necessaria la convocazione congiunta del gruppo di Forza Italia di Camera e Senato prima del voto finale di martedì. Non credo sarebbe accettabile indirizzare noi deputati a un voto che potrebbe in futuro rilevarsi discrasico rispetto alla posizione dei nostri senatori”.
E infatti martedì una riunione di sarà  e sarà  quella dei deputati di Forza Italia, durante la quale potrebbe andare in scena la disgregazione o almeno lo psicodramma.
Quanto ai verdiniani, l’imbarazzo regna sovrano.
Vorrebbero mandare un segnale: puntano a convincere il resto del partito alla scelta dell’astensione.
Spiega Ignazio Abrignani, uno dei deputati più attivi in questa fase: “Speriamo in un ripensamento del gruppo di Forza Italia per il voto sulle riforme necessarie al Paese”. E ancora: “Martedì abbiamo la nostra riunione e vediamo che cosa succederà  ma dobbiamo comunque dare un segno di coerenza rispetto a tutto quello che è stato fatto finora”.
Intanto gli ambasciatori sono a lavoro e il “gruppo Verdini” ha, alla Camera, una serie di abili tessitori – da Abrignani a Gregorio Fontana, da Luca D’Alessandro a Massimo Parisi – e alcuni di loro stanno cercando una sponda di mediazione con Maria Stella Gelmini e Giovanni Toti.
Puntando all’astensione. E confidando nel fatto che Berlusconi, ora durissimo contro il governo Renzi, è pur sempre quello che così si autodefinisce: “Sono concavo e convesso”.

(da “Huffingtonpost“)

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RUBY IN CASSAZIONE, GHEDINI VERSO L’ASSENZA IN AULA

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

48 ORE FEBBRILI PER BERLUSCONI A CUI SERVE L’ASSOLUZIONE PIENA

Finisce, stasera a mezzanotte, una pena, quella per frode fiscale.
Comincia una nuova attesa, per martedì, in Cassazione, quando si attende il verdetto sul processo Ruby. Una nuova partita per cui però non è previsto pareggio.
Sono tre le opzioni sul tavolo: la Corte può confermare l’assoluzione in appello dell’unico imputato Silvio Berlusconi; può annullare con rinvio in appello entrambi i capi di imputazione (concussione e prostituzione minorile); può confermare l’assoluzione per una ma chiedere un nuovo processo per l’altra accusa.
Se restasse in piedi anche un solo pezzo del processo, per il Cavaliere equivarrebbe a una sconfitta.
Tornare in appello, rifare un processo nel merito dei fatti, potrebbe far entrare nel fascicolo delle prove tutto quello che in un modo o nell’altro sta prendendo sostanza tra Milano – dove è in corso l’inchiesta Ruby ter sulla corruzione dei testimoni – e Bari dove l’imputato Giampy Tarantini deve rendere conto di favoreggiamento della prostituzione a palazzo Grazioli e in Sardegna con molte delle ragazze che andavano anche ad Arcore.
La vittoria deve essere totale. Altrimenti è una sconfitta. Almeno nel medio periodo.
Silvio Berlusconi lo sa bene. Da venti giorni non pensa ad altro e non passa giorno che non incontri il fedelissimo avvocato Niccolò Ghedini per essere da una parte rassicurato. Dall’altra preparato.
In palio c’è la sopravvivenza politica che sembrava riconquistata negli ultimi mesi. Oppure una inevitabile marginalità .
Che nel pieno della trattative per le elezioni regionali vorrebbe dire far consegnare Forza Italia nella braccia di Salvini. Una resa politica in attesa di momenti migliori difficili però da immaginare.
Il processo all’imputato Berlusconi” è il ruolo n.4. della giornata di martedì.
La VI sezione non è – diciamo così – tra le “migliori” dal punto di vista dell’ex premier. La presiede Nicola Milo, relatore Orlando Villoni.
Si tratta di due ottimi giudici, autori di sentenza pregevoli, con grande esperienza nei reati contro la pubblica amministrazione, certamente hanno le idee chiare su concussione e induzione a dare o promettere utilità  (i due reati su cui balla la prima imputazione di Berlusconi, la più grave).
Ma non c’è dubbio che siano due toghe storiche di Md, la corrente di sinistra della magistratura. Gli avvocati hanno già  provveduto ad informarlo spiegando che si tratta “in ogni caso di giudici di ottima fama”.
Niccolò Ghedini, per la prima volta, potrebbe non essere in aula. Chi ha parlato con lui in questi giorni ne ha raccolto il dispiacere per il fatto di essere indagato nel processo Ruby ter (falso e corruzione in atti giudiziari) e l’intenzione di non essere in aula pur potendolo fare visto che si tratta di procedimenti diversi.
L’astensione sua e del collega Longo sarebbe da intendere come “un gesto di rispetto nei confronti della corte” che potrebbe invece leggere come una provocazione l’ipotesi contraria. Ruby e Ruby ter sono procedimenti diversi ma in futuro, se ci sarà  un rinvio, potrebbero tornare connessi. “Sarà  un processo semplice” dicono gli avvocati, “si apre e si chiude in giornata”.
Occorre qui sgomberare il campo da alcune letture che si sono fatte largo in queste settimane. L’inchiesta Ruby ter e il processo in corso a Bari sul giro di prostituzione organizzato da Gianpy Tarantini, spiegano i legali di Arcore, “non possono tecnicamente influenzare in alcun modo il giudizio sul processo Ruby: sono diverse ipotesi di reato e seppure esiste una continuità  nei fatti, riguardano procedimenti diversi. Impermeabili l’uno con l’altro”.
Quello che può succedere, semmai, è un condizionamento di tipo psicologico sul collegio dei giudici.
Territorio, questo, si cui non è possibile fare previsioni. L’inchiesta Ruby ter riguarda 44 persone, tra cui Berlusconi, tutte indagate per falso e corruzione in atti giudiziari poichè il Cavaliere ha pagato e ha continuato a pagare fino a pochi mesi fa le ragazze che andavano ad Arcore nonostante avesse detto pubblicamente che avrebbe sospeso i pagamenti.
Fiumi di danaro e altre utilità . La procura di Milano si chiede perchè lo ha fatto. Quale è, se esiste, il segreto motivo di queste dazioni.
Il collegio dei giudici deve quindi fare i conti esclusivamente con le 332 pagine delle motivazioni della sentenza che confermano l’esistenza del “sistema prostituivo di Arcore” ma in Appello hanno assolto Berlusconi (condannato in primo grado a sette anni) dall’accusa di concussione perchè “il fatto non sussiste”.
E da quello di prostituzione minorile perchè “il fatto non costituisce reato”. In poche parole, mancano le prove di entrambe le accuse.
Si riparte da qui. Nelle 60 pagine di motivi della procura generale di Milano si chiede l’annullamento con rinvio, la condanna per entrare le imputazioni.
Anche perchè le motivazioni sembrano andare verso un verdetto opposto a quello a cui sono arrivate. I giudici scrivono che “Berlusconi aveva un personale, concreto interesse” ad ottenere che Ruby venisse affidata a Nicole Minetti e non collocata in comunità  perchè “preoccupato del rischio di rivelazioni compromettenti” sulle serate ad Arcore.
Le telefonate hanno quindi avuto “effetto acceleratorio” perchè l’affidamento avvenisse prima dell’identificazione.
Ostuni, il capo di gabinetto della Questura, “ha mostrato la volontà  di soddisfare al più presto il desiderio del Presidente del Consiglio” e le telefonate “hanno inciso sulla tempistica e sulla modalità  di affidamento” e quindi risulta “provata sotto il profilo materiale l’efficacia causale dell’intervento di Berlusconi”.
A questo punto della lettura ti aspetti che la concussione (art.317 cp) o il suo reato minore (319 quater, induzione indebita a dare o promettere utilità ) siano la logica conseguenza di tali condotte. E invece no.
Il movente di Berlusconi, scrivono i giudici, è dimostrato ma i suoi metodi non sono stati “nè intensi nè persistenti”. Mai si trova “un accenno a minacce o coartazioni di sorta”.
Da parte di Ostuni c’è stato semmai “un eccesso di ossequio e di precipitazione”, ha eseguito per “timore reverenziale dovuto alla carica istituzionale dell’interlocutore”.
Del resto,i poliziotti non sono mai stati indagati dalla procura e non si sono neppure costituiti parte civile.
Non solo: i fatti accertati “si pongono al di fuori del perimetro di rilevanza penale tracciato dalla autorevole pronuncia delle Sezioni Unite sia con riferimento al reato di concussione che al reato di induzione indebita a dare o promettere utilità ”.
Una precisazione che serve a chiarire che la legge Severino (che nel 2012, a processo iniziato, ha diviso in due il reato di concussione) non ha influito su questo giudizio.
E che Berlusconi sarebbe stato assolto in ogni caso.
Per quello che riguarda la prostituzione minorile, è vero che “c’era un sistema prostituivo”, che “c’è stato sesso con Ruby”, ma l’imputato Berlusconi “non sapeva che la ragazza era minorenne”.
Anche la difesa ha presentato una memoria di circa 60 pagine.
“A mera confutazione dei motivi dell’accusa” spiegano i legali. “Su concussione e induzione – aggiungono – il timore è che i giudici della Cassazione giudichino non sufficientemente motivata la decisione dell’Appello. Ma noi ribadiremo che i dirigenti della questura, tanto Ostuni quanto la Iafrate, hanno escluso qualsiasi interesse privato nel dare seguito a quelle telefonate. Ricorderemo la testimonianza della dottoressa Iafrate che in aula disse come avesse deciso per la consegna di Ruby in piena autonomia”.
Anche sulla prostituzione minorile il rischio è che venga contestato “un mancato approfondimento”.
Soprattutto per quello che sta venendo fuori dal Ruby ter. Ma l’assoluzione di Emilio Fede su questo specifico punto, gioca a favore della difesa.

(da “Huffingtonpost“)

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A DE LUCA IL TAR PIACE SOLO SE GLI DA’ RAGIONE

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

SI RALLEGRA SE ANNULLERA’ GLI EFFETTI DELLA SEVERINO, MA SI INDIGNA SE PERMETTE AGLI AMBIENTALISTI DI RICORRERE CONTRO I SUOI PROVVEDIMENTI

Vincenzo De Luca ha una visione double face del Tar e di quel che rappresenta in un sistema di equilibri di poteri dello Stato.
Il Tar è garanzia contro “una legge demenziale” quando provvede ad accettare il suo ricorso sulla legge Severino e consentire il (temporaneo) reintegro, ieri a sindaco di Salerno, domani, chissà , a Governatore della Campania.
Il Tar è complice invece dell’Italia “della cialtroneria, del parassitismo, della sottocultura della mummificazione” quando si permette di dare ascolto una delle 77 associazioni ambientaliste giuridicamente riconosciute per legge, e ne accoglie il ricorso contro la realizzazione del Crescent, il colosso edilizio che stravolge il lungomare di Salerno, per il quale è finito sotto processo.
Ospite a In Mezz’Ora su Rai Tre per un’intervista a tutto campo su Pd, Renzi e legge Severino, il vincitore delle primarie del centrosinistra in Campania dice di aver scovato associazioni riconosciute dai nomi più curiosi: “Associazione Giubbe Rosse, Associazione Giubbe Verdi, l’associazione Radici e Germogli, l’associazione Umana Dimora che pensavo fosse una ditta di pompe funebri”.
In precedenza la conduttrice Lucia Annunziata aveva ricordato che il ricorso al progetto del Crescent porta la firma di Italia Nostra. De Luca risponde: “Italia Loro”.
E’ un uomo del fare, De Luca, e lo ha ribadito in diretta.
A condizione che sia lui a farlo, come insegna la vicenda del termovalorizzatore di Salerno.
Favorevole, fino a quando ne è stato commissario su designazione del governo Prodi e mise in piedi la struttura che avrebbe dovuto predisporre il bando di gara.
Contrario, non appena il governo Berlusconi ne trasferì la competenza alla Provincia di Salerno, e da sindaco di Salerno preparò una modifica al piano urbanistico comunale per modificare la destinazione dei suoli dove avrebbe dovuto sorgere. Ovviamente il termovalorizzatore fa capolino in trasmissione perchè la nomina del project manager dell’impianto è la ragione della condanna per abuso d’ufficio che gli impedirebbe, salvo Tar, di insediarsi a Governatore: “Sono stato condannato per una questione linguistica, per aver scritto project manager invece di coordinatore di progetto. Una demenzialità  giuridica”.
La Annunziata sottolinea che lui nominò il suo capo staff per cui c’è una questione di sostanza.
Ma il botta e risposta non decolla, il tempo è tiranno, è un peccato che i telespettatori non siano edotti che l’accusa della Procura di Salerno non era grammaticale, ma circostanziata: l’aver nominato una persona priva dei titoli per ricoprire quel ruolo, peraltro non previsto dalla legge commissariale.
Sulla legge Severino, De Luca ripete concetti già  espressi nel post vittoria: “Quando scatta la legge immediatamente interviene il Tar che ripristina le funzioni dell’amministratore decaduto. La Severino deve avere due obiettivi: cacciare i ladri e garantire le persone perbene. Ma attualmente presenta un problema: il comma 64 è ad personam, perchè viene applicato per gli amministratori pubblici. Io sto rispettando tutte le leggi dello Stato, sono candidabile ed eleggibile. Che poi alcune leggi siano fatte in modo demenziale non è responsabilità  mia”.
Perchè il Parlamento non dice nulla? “E’ invigliacchito”.
Sull’opportunità  di candidarsi da condannato quando in altre regioni candidati Pd si sono ritirati da semplici indagati, De Luca risponde: “Mi sono mosso dentro il Pd e dentro il suo codice etico, non ho imbarazzo, ho voluto che si entrasse nel merito e si accendesse un riflettore”.
Renzi? “Ha fatto bene a non esporsi sulla Severino, spetta al Parlamento”.
De Luca afferma di stare con Cantone: “Ha detto che l’impianto della legge è buono e   qualcosa va corretto”.
Ma la cambieranno prima delle amministrative? “Secondo me non faranno niente”. Renzi imbarazzato? “Non ci sono problemi, mi sono sentito con lui e la sua segreteria”.
Ma l’unica dichiarazione del premier sul caso De Luca è stata: “Se fai le primarie devi accettarne il risultato, io ho lasciato libero il partito di fare come voleva, ognuno fa quel che gli pare, anche troppo, dicono i miei”.
Sembra un modo di prendere le distanze dall’accaduto. “E le pare poco? Renzi ha espresso fiducia totale nei cittadini e nei militanti”.
Ma così non rischia di sentirsi solo? “Io da solo sono in buona compagnia”.
Perchè è passato, due anni fa, da Bersani a Renzi spostando tutti i voti a suo favore nelle primarie 2013?
“La classe dirigente del Pd era diventata sclerotica. Renzi ha fatto bene a rottamarla”. A domanda sull’appello astensionista di Roberto Saviano, l’ex sindaco di Salerno parte all’attacco: “Ha invitato i campani a non votarmi? E’ un errore dare un’immagine generalizzata di camorra in Campania. Deve anche imparare a fare sempre nomi e cognomi”.
Tra borsettate in faccia durante i controlli antiprostituzione e le ronde per stanare chi conferisce i rifiuti senza rispettare le regole (“senza repressione non arrivi al 72% di differenziata in una grande città ”), inevitabile una domanda sulle similitudini tra lui e Salvini: “Non trovo offensivo il paragone ma io sono tutt’altra cosa rispetto al sistema dei valori e al tema della solidarietà  e della sofferenza dei popoli condannati alla pulizia etnica o allo sterminio. Ma la sinistra deve imparare a governare il tema della sicurezza in maniera seria e non ideologica, altrimenti faremo un grande regalo a Salvini e alle spinte reazionarie e razziste”.
Chiusura di nuovo sulla legge Severino: “Per me può essere impacchettata con la nocca”.
Fine delle trasmissioni.

Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SALERNO-REGGIO CALABRIA, UNA SPLENDIDA CINQUANTENNE

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

PER SISTEMARE L’AUTOSTRADA SI SPENDERA’ QUATTRO VOLTE DI PIU’ CHE PER COSTRUIRLA

L’autostrada (si fa per dire) A3 Salerno-Reggio Calabria, chiusa nei giorni scorsi dopo gli ultimi crolli e la morte di un operaio rumeno isolando mezza Calabria, ha compiuto 50 anni l’anno scorso, insieme a Monica Bellucci, Sabrina Ferilli, Isabella Ferrari, Michelle Obama e qualcun altro.
Iniziata nel 1964, fu completata nel 1974, al ritmo di 40 chilometri all’anno e al costo di 5,6 milioni di euro di oggi al chilometro (contro i 4 che erano bastati per l’Autosole). All’inaugurazione si scoprì che, più che un’autostrada, era una statale di 443 km (altri la definirono “il corpo di reato più lungo d’Italia”): sia per le uscite ogni 9, sia per le due corsie per ciascun senso di marcia, per giunta molto strette e senza quella di emergenza.
Così, come raccontano Stella e Rizzo ne La Deriva, “poco più di un decennio dopo l’inaugurazione, il governo Craxi doveva già  stanziare mille miliardi di lire per sistemare un mucchio di opere incompiute e correggere errori progettuali. Era solo l’inizio di un tormentone infinito”.
Da allora di anni ne sono trascorsi altri 30, si sono susseguiti i governi Fanfani, Goria, De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi-1, D’Alema, Amato, Berlusconi-2, Prodi-2, Berlusconi-3, Monti, Letta e Renzi.
E i cantieri sono sempre aperti, o chiusi per camorra (primo tratto) o per ‘ndrangheta (secondo tratto) o per tangenti ai politici (tutti i tratti) o per fallimento delle imprese, che poi è la stessa cosa.
Con incidenti da record, d’auto e sul lavoro.
Con le macchine che, quando riescono a correre e non sono bloccate negli ingorghi, fanno lo slalom fra i birilli.
Eppure non c’è ministro delle Infrastrutture, dal 1985 a oggi, che non abbia annunciato il completamento dell’A3 “fra un anno”, al massimo “fra due”.
Nel 1997 i ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paolo Costa e Claudio Burlando, promettevano giulivi la fine dei lavori “nel 2003”. Buonanotte.
Nel 2001 arrivò Pietro Lunardi, l’uomo del fare: “L’autostrada sarà  pronta nel 2004-2005”.
Nel 2002 aveva già  cambiato idea: “Per i lavori ancora in fase di progettazione o affidamento il completamento previsto entro il 2006”.
Nel 2005, quando doveva mancare davvero poco, sparò: “I lavori saranno conclusi nel 2009”. Balle.
Ma ecco Monti, col superministro Corrado Passera, altro uomo del fare. Ma soprattutto del dire: “Metto la faccia in tanti posti, la metto anche qui. Dobbiamo assicurarci che entro la fine del 2013 tutti i cantieri della Salerno-Reggio siano completati. Il governo segue i lavori mese per mese perchè questo accada” (2012). Certo, come no.
Intanto il conto dei costi saliva: almeno quanto la saliva dei giornalisti al seguito, sempre pronti a rilanciare le balle dei ministri.
Non è il caso di Stella e Rizzo: “Nel 1987 la Salerno-Reggio poteva essere sistemata con 983 milioni di euro. Dieci anni più tardi la cifra si era già  impennata a 4 miliardi. All’inizio del Terzo Millennio, mentre la Fillea Cgil denunciava che di quel passo i lavori sarebbero finiti nel 2040, stavamo a quasi 7.
E su, su, su fino alla stima attuale: 9 miliardi. Cioè 52 euro per ogni cittadino.
Fate i conti: 20 milioni abbondanti a km. Vale a dire che per sistemare l’autostrada si spenderà  quasi quattro volte di più che per costruirla”.
Il tutto per produrre, quando e se mai sarà  finita, una ciofeca: “Dei 443 km, solo i primi 53 saranno a tre corsie più quella d’emergenza. Gli altri 390 rimarranno a due corsie, come oggi. Nonostante sia percorsa da tremila tir al giorno”.
Ora c’è Renzi, che naturalmente non ha colpe in questo mezzo secolo di vergogna. E, siccome è anche furbo, non azzarda nuove date di scadenza.
Si limita ad annunciare fantomatici “sblocca-Italia” che sbloccano solo cemento inutile, invece di bloccarlo e di completare le opere utili.
Oltre all’A3, ci sarebbe fra l’altro la Metropolitana C di Roma, iniziata nel 2007 e ancora ridotta a un gruviera pieno di buchi, immortalato da una memorabile scritta anonima: “Ma la state scavando o la state cercando?”
Molto meglio delle battute del premier sulla Salerno-Reggio: “È costata più della sonda spaziale Curiosity, ma c’è una differenza: la sonda è andata nello Spazio invece la Salerno-Reggio no… La sonda l’ha creata la Nasa e l’autostrada l’Anas, che è tutt’altra cosa”.
Infatti all’Anas c’è il solito Pietro Ciucci, il terzo bronzo di Riace ma un po’ meno bello degli altri due, che ancora l’anno scorso osò dire restando serio: “La nuova Salerno-Reggio non è l’autostrada della vergogna, ma è il più grande progetto economico-finanziario infrastrutturale italiano e costituisce un motivo di vanto e di orgoglio per il nostro Paese”.
L’ambulanza della neurodeliri tentò di raggiungerlo fra un cantiere e l’altro dell’autostrada, ma non arrivò mai a destinazione: la stanno ancora cercando.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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TOSI, LA SCISSIONE E’ PRONTA

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

SUBITO ALMENO CINQUE PARLAMENTARI LO SEGUIRANNO, A RISCHIO IL GRUPPO DELA LEGA ALLA CAMERA

Potrebbero essere le sue ultime ventiquattr’ore da leghista.
Alla mezzanotte di domani scade l’ultimatum del “federale”, e Flavio Tosi deve scegliere.
Per restare dentro dovrebbe disconoscere la sua fondazione, che ha fondato due due anni fa per lanciarsi, con il consenso dell’allora segretario Maroni e di Salvini, nella corsa a ipotetiche primarie del centrodestra.
Una corsa con addosso la maglietta della Lega. Non andrà  così.
Alla premiership ora aspira l’”altro Matteo”, e nel Veneto è scoppiata «la guerra civile», che si concluderà  con la cacciata del sindaco.
Ma quello di Flavio Tosi non sarà  un addio solitario.
Tra i veneti di un qualche peso, (oltre a tutti i leghisti che amministrano Verona) lo seguiranno i consiglieri regionali Matteo Toscani, vicepresidente dell’assemblea, e Luca Baggio, presidente della Liga veneta, che hanno già  formato un nuovo gruppo consiliare.
E di sicuro l’assessore regionale Daniele Stival.
Poi c’è un plotoncino di parlamentari, tutti veneti. Almeno cinque, tra Camera e Senato, ma ci sono anche alcuni dubbiosi.
Non moltissimi, ma neppure pochi, se si considera che a Roma la Lega conta su 35 eletti. A Montecitorio sono 17, e quelli pronti ad andare con Tosi sono due: il primo è il vicepresidente vicario del gruppo, Matteo Bragantini; l’altro si chiama Roberto Caon.
Il gruppo parlamentare così è a rischio.
Seguiranno il sindaco anche due senatrici venete: Patrizia Bisinella, che di Tosi è la compagna, ed Emanuela Munerato, l’operaia che si una volta si presentò a Palazzo Madama con la tuta blu.
Se ne vanno anche loro perchè, come lui ripete esattamente da una settimana, contro il sindaco di Verona, e segretario ancora in carica della Liga veneta sono state poste delle condizioni «inaccettabili».
«Ma io non mi schiodo», aggiunge Tosi in tono di sfida.
Facendo capire che dopo 25 anni di militanza con la Lega è davvero finita. Resta da capire il come e il quando di questo addio che solo pochissimi “pompieri” – così chiamano la pattuglia di leghisti che si sta sbracciando per propiziare una ricomposizione ormai pressochè impossibile – si ostinano a non dare per scontato.
Sul come, restano pochi dubbi.
Tosi viene cacciato dallo stesso “consiglio federale” che lo ha commissariato da segretario del Veneto imponendo un commissario ad acta incaricato di comporre le liste in vista delle regionali.
Liste dalle quali verranno defalcati gli uomini fedeli al sindaco, che in questo modo perderebbe la possibilità  di condizionare Luca Zaia, sempre che il governatore uscente venga rieletto.
La sentenza è già  scritta: conflitto di interesse, il reprobo non può fare contemporaneamente il segretario regionale, il capo di una fondazione che ha «fini politici» e il leader della lista che porta il suo nome.
Lista che Tosi avrebbe voluto presentare alle regionali, la presenterà  lo stesso, ma con lui candidato presidente.
A quell’accusa il sindaco replica con toni durissimi: «Quella contro di me è una fatwa, e fa molto pensare il fatto che arrivi dopo più di un anno e mezzo di attività  della mia fondazione, di cui tutto il movimento sapeva, e proprio adesso che si parla di elezioni regionali».
Ma un paio di giorni fa Tosi ha detto anche un’altra cosa: se in via Bellerio non cambieranno idea, «potrei anche dimettermi da segretario per poi candidarmi alla presidenza della Regione ».
La novità  sta nell’accenno a possibili dimissioni (non nell’annuncio della candidatura).
In un caso o nell’altro – lo buttino fuori o se ne vada lui – c’è qualcosa di davvero surreale in questa partita a scacchi.
Tosi ha convocato per sabato prossimo il consiglio “nazionale” della Liga veneta, lo stesso che si era riunito giovedì sera a Padova per respingere a larga maggioranza l’ultimatum di via Bellerio.
All’ordine del giorno ci sono due punti: comunicazioni del segretario ed elezioni regionali.
La domanda è d’obbligo: se venisse già  espulso martedì mattina, a quale titolo Tosi parteciperebbe a quella riunione che ha addirittura convocato?
Nella storia della Lega questa stranissima convocazione è una cosa davvero senza precedenti.
Che però aiutare a rendere il clima incandescente, che si respira nel Veneto. Un leghista fedele del sindaco prima apre un piccolissimo spiraglio e poi sembra chiuderlo: «Se a Milano vogliono, in teoria c’è ancora margine per trattare; ma la teoria e la pratica ci passa il mare, e l’unica cosa sicura è che Flavio non farà  neppure un mezzo passo indietro».
In questi giorni ne ha fatti parecchi, di passi. È andato perfino al Viminale, dove sta Alfano, a trattare con il Nuovo centrodestra. E ha visto pure Brunetta.
Quello che sente più spesso è Corrado Passera, altro possibile partner dell’avventura. Che non a caso si dice «molto preoccupato per la radicalizzazione che Salvini sta dando alla Lega».

Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)

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INTERVISTA A HERTA MULLER: “PUTIN HA RIPORTATO LA RUSSIA AI TEMPI BUI DEL KGB”

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

IL NOBEL PER LA LETTERATURA: “I SERVIZI SEGRETI SONO TORNATI A FAR FUORI GLI AVVERSARI POLITICI, IL PAESE E’ DI NUOVO IL REGNO DELLA PAURA”… UN QUADRO DEL NUOVO MITO DEI FINTI-DESTRI NOSTRANI

Ero preoccupata all’idea di intervistare Herta Mà¼ller, premio Nobel per la letteratura.
La immaginavo chiusa, diffidente.
Noi giornalisti possiamo dare l’idea di essere invadenti, ostili, pur senza esserlo minimamente. L’intervista quindi è anche un atto di fiducia tra persone che non si conoscono. Ma la scrittrice è venuta, ha visto e ha parlato.
Ancora un assassinio politico in Russia e Putin promette che risolverà  il caso. La morte di Boris Nemtsov per molti è segno chiarissimo che la Russia si sta avviando a tempi cupi. Avrebbe mai pensato che il nazionalismo populista rialzasse la testa?
«Che Putin intenda occuparsi personalmente del caso e che abbia assegnato a uno dei suoi fedelissimi la guida delle indagini è in effetti la conferma ufficiale che a Mosca non esiste una giustizia indipendente, oltre a indicare che il movente dell’omicidio è inquinato da falsi indizi. Far fuori gli avversari politici è di nuovo un ferro del mestiere dei servizi segreti russi in patria e all’estero. Le morti di Natalja Estemirova, Alexander Litvinenko e forse anche di Boris Berezovskij, trovato impiccato, non sono state finora chiarite. Anche se Putin non ne è stato l’esecutore materiale questo omicidio è il risultato della sua folle propaganda nazionalista, sempre più sfrenata da quando ha dato il via alla guerra in Ucraina».
Putin recentemente ha dichiarato che in Ucraina orientale sarebbe in corso un genocidio ai danni dei russi.
«Non c’è limite all’assurdità  delle menzogne della propaganda del Cremlino. Oltre alla guerra contro l’Ucraina Putin conduce anche una guerra di propaganda contro l’Occidente. In certi casi le sue bugie sono sbalorditive: ma lo sa Putin che i soldati di Hitler della “Legione Condor“ sono arrivati in Spagna travestiti da turisti sulle navi da crociera dell’organizzazione ricreativa “Kraft-durch-Freude“ e quando hanno bombardato Guernica si sono staccati le mostrine dalle uniformi? A dispetto di tutti gli accordi di Minsk non credo proprio che Putin interromperà  la guerra. Gli serve Mariupol e l’accesso di terra alla penisola di Crimea. E poi farà  ancora una puntata in Transnistria. Putin non la finirà  mai con l’Ucraina — ha deciso di demolirla lentamente e progressivamente, è un progetto che ha nel cassetto. Nessun accordo di pace e nessun dialogo diplomatico cambieranno le cose. Putin non si darà  per vinto».
In che modo riuscirà  a ottenere quello che vuole?
«Perchè l’Occidente è impotente e lo manifesta costantemente. La soluzione all’aggressione di Putin non può essere militare, è naturale, ma non c’è mica bisogno di dirlo in continuazione! La gente dell’Europa dell’Est che ha vissuto per decenni sotto l’occupazione russa sa bene che i dittatori della risma di Putin rispondono solo alla forza. La ragionevolezza e il dialogo sono interpretate come debolezze. Eppure Angela Merkel conosceva la Ddr e il Kgb. La sua disciplina diplomatica agli occhi di Putin ha sempre una parvenza conciliatoria. Le sanzioni hanno quindi la massima importanza, sono attualmente l’unico strumento a nostra disposizione per mostrarsi decisi e prendere le distanze. Sarebbe bene prospettare a Putin sempre un ulteriore possibile inasprimento delle sanzioni. Invece non si fa altro che sottolineare l’intenzione di ristabilire al più presto i rapporti presistenti».
In che epoca vive l’Ucraina, nel passato o nel presente? E ha un futuro?
«Per Putin l’Ucraina appartiene a un passato che nelle sue intenzioni sarà  il futuro. Ha usato la stessa tattica per impadronirsi della Abkhazia, dell’ Ossezia e della Transnistria. Neppure l’Ucraina uscirà  da questa stretta. L’obiettivo di Putin è mandare in rovina l’Ucraina. Con vessazioni quotidiane, il blocco delle forniture di gas, la distruzione delle infrastrutture, la morte di migliaia di ucraini. È la punizione perchè l’Ucraina ha osato guardare a Ovest. Putin punisce l’Ucraina per tutto quello che è successo nei paesi esteuropei dopo il 1989»
E’ espressione di debolezza o di forza?
«Credo che in questo caso debolezza e forza non siano antonimi. Anche il culto della personalità  è espressione di forza e di debolezza. È un misto di diffidenza infinita e di potere infinito. E’ da lì che nasce il terribile potere assoluto la presunta onnipotenza. Lo conosco dalla Romania di Ceaucescu. Nessuno del suo entourage contraddice più il dittatore ».
Recentemente ha detto che Putin la fa star male.
«Sì. La sua politica mi fa star male. Mi umilia come persona. Offende la mia intelligenza. Offende ogni giorno l’intelligenza di noi tutti, sempre con la stessa faccia tosta. È già  stato smascherato centinaia di volte, ogni sua bugia viene scoperta, ma continua ugualmente a mentire. In questo modo mi offende. E’ come una presa in giro. E non ci si può far nulla»
Gli esperti non fanno che ripetere che la Russia esige rispetto. Vuole essere riconosciuta come grande potenza.
«Per Putin avere rispetto significa tremare, come in passato nell’ Europa dell’Est si tremava davanti ai russi. Ma a Putin non importa l’opinione che si ha di lui. Odia gli Usa e l’Europa e si rende conto di essere sempre più isolato. Mi fanno pena i russi, qualche anno fa hanno creduto di andare in direzione della libertà , ma subiranno una nuova delusione, torneranno a vivere gli incubi del passato, i tempi in cui si ha paura di dire ciò che si pensa. Siamo tornati ai tempi della fuga e dell’esilio».
Che cosa dobbiamo all’Ucraina?
«Non le dobbiamo nulla. Ma dovremmo prendere sul serio la nostra società  e fare il possibile perchè la gente in Ucraina possa vivere come noi. Non dobbiamo permettere che l’Ucraina venga distrutta. Non dobbiamo permettere alla Russia di impedirci di aiutare l’Ucraina. Tra l’Ucraina e la Ue deve instaurarsi uno stretto legame economico e politico».
Dovremo convivere con Putin ancora per qualche anno.
«Probabilmente. Non credo che Putin possa cadere alle urne. Credo che non gli servano neppure brogli elettorali, perchè una parte delle persone lo sceglie per vecchia consuetudine e un’altra parte è ammutolita da una paura nuova. Sono entrambe forme di opportunismo, un adeguarsi nella quotidianità  spinti dalla paura. E’ il ritorno del socialismo, anche se è un concetto che non si usa più. E la paura è stata l’unica produzione che nel socialismo ha realizzato il suo piano. Durante la Perestroika si sarebbe dovuto sciogliere il Kgb dichiarandolo organizzazione criminale. Così non avremmeo al vertice un uomo del Kgb, un Putin. Invece oggi i Servizi segreti governano l’intero paese».

Andrea Seibel
da “Die Welt”
traduzione di Emilia Benghi

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IL CONFESSORE DI ALDO MORO E IL SEGRETO DELLA REPUBBLICA

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

COSSIGA RACCONTO’: “MONSIGNOR MENNINI ANDO’ NEL COVO DELL BR DURANTE LA PRIGIONIA PER L’ULTIMA ASSOLUZIONE”

Chi sa se per monsignor Antonio Meninni è arrivato il momento della verità . Trentasette anni dopo “don Antonello”, padre spirituale e confessore di Aldo Moro, ha l’occasione per dire tutta la verità  sui suoi incontri con lo statista dc nel covo delle Brigate rosse.
Il nunzio apostolico del Regno Unito, domani si siederà  sui banchi della Commissione parlamentare sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro.
Un pezzo della storia tragica d’Italia che ha visto come protagonisti non solo gli assassini delle Br, ma uomini dei servizi segreti deviati, massoni della P2, amici e colleghi di Moro imbelli.
“Se devo essere sincero non mi aspetto particolari novità  dall’audizione di monsignor Meninni”, ci dice Miguel Gotor, senatore del Pd e membro della Commissione d’inchiesta, ma soprattutto studioso del “caso Moro”, “otto anni di studio matto e disperatissimo”, gli piace dire citando Leopardi.
“Intanto — chiarisce il senatore — ritengo importante e significativo che l’alto prelato abbia accettato di confrontarsi con noi, è stato un gesto positivo da parte del Vaticano. Per questa ragione spero che l’audizione sia pubblica, l’unico modo per evitare ricostruzioni fantasiose. Dopo trentasette anni la trasparenza è obbligatoria. Il tempo è passato e monsignore può avere l’occasione di chiarire molti aspetti legati al suo ruolo nella vicenda Moro. Di volta in volta viene indicato come il postino delle lettere che la famiglia Moro indirizzava al presidente, oppure come uno dei protagonisti della mediazione tra il Vaticano e le Brigate rosse”.
Trentasette anni fa, Antonio Meninni era “don Antonello”, viceparroco della parrocchia di Santa Chiara e amico della famiglia Moro.
Figlio di un altissimo dirigente dello Ior, la banca del Vaticano all’epoca diretta dal discusso monsignor Marcinkus, don Antonello svolge un ruolo significativo nei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro.
In quelle ore nella notte più nera della Repubblica, il viceparroco era in contatto col “prigioniero Moro”.
Fu Francesco Cossiga, all’epoca del sequestro ministro dell’Interno, a rivelare nel 2008 che Digos e Servizi tenevano sotto controllo i telefoni in uso al sacerdote: “Don Meninni raggiunse Aldo Moro nel covo della Br e noi invece non lo scoprimmo. Avevamo messo sotto controllo il telefono della parrocchia e sotto pedinamento tutta la famiglia e tutti i collaboratori. Ci scappò. Sono convinto che abbia incontrato Moro nella prigione delle Br per raccogliere la sua confessione prima dell’esecuzione dopo la condanna a morte. Seguendolo avremmo potuto ritrovare Moro”.
Nessuno seguì l’allora sacerdote che però ha sempre negato di aver varcato la soglia del covo brigatista dove lo statista fu rinchiuso.
“Magari avessi potuto incontrare Moro. Purtroppo non mi è stata data la possibilità  di offrire consolazione a una persona che mi onorava di affetto e di amicizia”, disse in una intervista rilasciata ad Antonio Padellaro per il Corriere della Sera nel 1979.
Dopo quella intervista don Meninni venne sentito dal pm di Roma Domenico Sica.
E non fu la prima volta, come rivela il sito cattolico Aleteia.org , che il prete fu ascoltato da autorità  giudiziarie e commissioni parlamentari d’inchiesta.
Tanti i misteri sul ruolo svolto dal prete in quei 55 giorni.
Era il postino della famiglia Moro? Secondo alcune testimonianze sì.
Qualcuno parla di una trentina di lettere affidate dalla moglie dello statista, la signora Norina, al sacerdote.
Che fine hanno fatto? Per Prospero Gallinari, capo delle Br, quelle missive furono bruciate insieme ad una serie di documenti privati, ritenuti dai brigatisti poco influenti e significativi, da lui personalmente.
Voci e indiscrezioni giornalistiche succedutesi negli anni, e che fanno parte della lunghissima teoria dei misteri sul caso Moro, parlano di vari incontri tra la vedova dello statista Dc e il prete.
La signora Norina chiese più volte se don Meninni avesse davvero incontrato il marito pochi giorni prima la sua barbara uccisione nel bagagliaio della Reault-4 rossa.
Il prete rispose di sì, opponendo però il segreto della confessione sui contenuti di quell’incontro.
Questa circostanza, come tantissime altre, non è stata mai del tutto verificata.
Giovane sacerdote, don Meninni sapeva muoversi.
“Stiamo parlando di un giovane uomo di 31 anni catapultato in una storia straordinaria — dice Gotor —, per capire certi atteggiamenti, e anche i silenzi, bisogna andare con la memoria al clima plumbeo dell’epoca”.
Il suo telefono era sotto controllo, le conversazioni erano criptiche.
“Beh si è fatto tutto quello che si poteva…”, gli dice un uomo mai identificato in una telefonata.
Don Meninni riattacca. Le bobine di quelle telefonate non ci sono più. Erano reperti importanti del caso Moro.
Sono sparite.

Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IL FRATELLO D’ITALIA HA TROVATO LAVORO: EX ASSESSORE ASSUNTO DA ENTE GUIDATO DALL’EX CAPO DELLA SUA SEGRETERIA

Marzo 8th, 2015 Riccardo Fucile

TROMBATO IN PIEMONTE ALLE REGIONALI, ROBERTO RAVELLO OTTIENE UN CONTRATTO AL FORMONT DOVE IL VICEPRESIDENTE E’ ROBERTO VAGLIO, EX AN E SUO EX BRACCIO DESTRO

Un ex assessore assunto dal suo ex collaboratore che siede ai vertici di un consorzio finanziato proprio dalla Regione.
Succede in Piemonte e più precisamente al Formont, un ente per la formazione dei mestieri della montagna.
L’ex assessore in questione è Roberto Ravello, politico di Fratelli d’Italia e componente della giunta di Roberto Cota con deleghe all’ambiente, alla montagna e alla protezione civile.
Rimasto fuori dal Consiglio regionale alle elezioni del 2014, è stato assunto come docente al Formont, dove il vicepresidente è Roberto Vaglio, ex politico di Alleanza Nazionale, assessore alla montagna dal 1995 al 2005 e capo della segreteria di Ravello.
Il compito del politico di FdI è quello di formare i volontari della Protezione civile, ma anche di insegnare italiano e storia nei corsi per i futuri professionisti della montagna nella sede dalla Formont a Oulx, in Val di Susa: “Ho un contratto da dipendente, lavoro otto ore al giorno, a volte anche il sabato, la domenica o la sera. Timbro il mio bel cartellino”, racconta l’ex assessore spiegando che non si tratta di un incarico fittizio.
“Non è stata l’amicizia a portarmi qui — aggiunge — può essere utile avere come formatore una persona che ha fatto per quattro anni un’esperienza d’alto livello in regione”.
Secondo lui non c’è stato nulla di irregolare: “L’inquadramento è assolutamente lecito. Immagino che la scelta sia stata portata all’attenzione del consiglio d’amministrazione e valutata. Inoltre non ho incarichi dirigenziali e non siedo in nessun Cda”.
Insomma, secondo lui non sarebbe stata violata la norma che vieta agli ex amministratori di avere cariche nelle società  che hanno attività  pubbliche per almeno tre anni dopo la fine del loro mandato.
Anche perchè, afferma, il Formont non è partecipato dalla Regione. Lo sostiene pure il vicepresidente Vaglio: “È una società  privata, una scarl, e ci muoviamo come meglio crediamo”.
Sì, però il consorzio è nato nel 1984 per volontà  della Regione Piemonte, che ancora oggi eroga molti soldi del Fondo strutturale europeo o del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
Inoltre la Regione finanzia l’Unione delle comunità , dei comuni e degli enti di montagna (Uncem Piemonte), che a sua volta finanzia il consorzio. (D’altronde il presidente di Formont, Lido Riba, politico Pd, è anche presidente dell’Uncem Piemonte).
Nessun conflitto d’interessi per Vaglio: “Le comunità  montane non esistono più, i comuni sono usciti e tra i soci abbiamo una scarl della Provincia di Cuneo, l’Uncem e alcuni associazioni professionali”; prosegue il vicepresidente.
Che anzi vuole precisare un aspetto : “Ci muoviamo con grande difficoltà  perchè la Regione e le province non ci pagano. Vantiamo un milione di euro di crediti”.
Per il capogruppo del M5S in Regione, Giorgio Bertola, la questione non è chiara e per questo chiederà  informazioni alla giunta di Sergio Chiamparino con un’interrogazione che verrà  consegnata nei prossimi giorni.
L’obiettivo è quello di capire se i ruoli di Vaglio e Ravello siano incompatibili e, soprattutto, quanti soldi l’ex assessore abbia concesso al Formont nella passata legislatura.

Andrea Giambartolomei
(da “il Fatto Quotidiano“)

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