Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
BANDO DA UN MILIONE DI EURO AL FINE DI “CAMUFFARE” LE INCOMPIUTE: 100 EURO A METRO QUADRO PER LE PEZZE
La gara d’appalto per il “camouflage” è partita proprio nel giorno dell’Expo-ottimismo, venerdì 13 marzo, quando Matteo Renzi ha compiuto una turbo-visita al cantiere dell’esposizione universale rassicurando: “Ce la faremo”.
“Camouflage” è un elegante francesismo per indicare i mascheramenti con cui nascondere ai visitatori le opere che il 1° maggio, quando si aprirà l’esposizione, non saranno terminate.
È l’ultimo bando indetto da Expo spa, mettendo sul piatto la bella cifra di 1 milione e 100 mila euro, più 54 mila di oneri di sicurezza: per “allestimenti di quinte di camouflage”.
Praticamente scenografie teatrali.
Il bando precisa che la fornitura sarà consegnata secondo le esigenze che via via si manifesteranno e che “gli interventi sono da realizzare in numerosi punti del sito Expo, la cui definizione è per ovvie ragioni dipendente dal verificarsi o meno di situazioni di necessità ”.
Insomma: bisognerà correre qua e là a coprire i buchi, a camuffare le incompiute.
Il costo per la fornitura delle pezze che si metteranno sulle zone non finite è stimato in 100 euro per metro quadro.
Se ne deduce, fatti i calcoli, che le aree da camuffare potrebbero essere di circa 11 mila metri quadrati.
Qual è, nel giorno della visita di Renzi (49 giorni prima dell’apertura), il reale stato di avanzamento lavori?
I giornalisti invitati ad ascoltare le rassicuranti parole del presidente del Consiglio non hanno potuto compiere con lui il giro del cantiere.
Non è più aggiornato il “cruscotto lavori”, che nel sito di Expo forniva i dati sullo stato di avanzamento delle opere.
Il reale stato del cantiere sembra diventato una faccenda top secret.
Chi vuol prendersi la briga di approfondire può però trovare alcuni dati, aggiornati al 12 marzo 2015, sui fogli di calcolo caricati all’interno dello stesso sito Open Expo, alla voce “dati cruscotto”.
I lavori risultano ultimati in due aree (il campo base, dove alloggiano le maestranze, e l’Expo center, porta d’ingresso all’esposizione): solo due, delle 24 in cui è suddiviso il cantiere.
La data di fine lavori per Palazzo Italia, l’edificio più importante dell’Expo, vetrina mondiale del Paese che ospita l’evento, è indicata al 18 aprile; la consegna del rivestimento era fissata per il 16 dicembre, ma gli operai stanno ancora mettendo in posizione i 920 grandi pannelli della copertura.
La realizzazione dei vari edifici del Cardo, luogo del Padiglione Italia e riservato alle eccellenze agroalimentari made in Italy, è prevista per il 30 aprile 2015: si può constatare che i lavori sono molto indietro.
Inquietante è poi il termine indicato per gli scavi e le fondazioni dei padiglioni esteri: consegna 1 agosto 2015, quando l’Expo sarà già iniziato da tre mesi.
Il 14 agosto, infine — tre mesi e mezzo dall’apertura — è la data fine lavori prevista per la Via d’Acqua, lotto Anello verde azzurro, il canale che corre attorno al sito e alimenta il laghetto detto Lake Arena, con al centro l’Albero della vita.
Ma niente paura, arriva il “camouflage”.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
IN SICILIA C’E’ CHI COSTRINGE I DIPENDENTI A RETROCEDERE PARTE DELLO STIPENDIO, ALTRIMENTI VENGONO LICENZIATI
Cosa siete disposti a fare per lavorare? Rendere una parte dello stipendio al vostro datore di lavoro può
sembrare un’idea assurda, eppure c’è chi lo fa. Tutti i mesi.
“Sono muratore da tanti anni ormai. Dieci ore al giorno, dal lunedì al venerdì, 1000 euro al mese. Anche se in busta sono un po’ più di 1300”, racconta Vito (nome di fantasia), 40 anni, della provincia di Trapani.
Che fine fanno gli altri 300 euro? “Li restituisco al mio titolare, era una clausola non scritta del contratto”.
Di truffe se ne conoscono tante: dall’uso improprio di partite iva e contratti a progetto, ai part time più fuori busta, fino al più classico lavoro in nero.
Qui però si parla di estorsione: un datore di lavoro che assicura un contratto regolare in cambio di una percentuale della cifra in busta paga.
“Prima di firmare – continua Vito – il titolare mi ha spiegato quali erano le condizioni: una volta riscosso l’assegno, avrei dovuto rendergli il disavanzo in contanti. Per colpa della crisi non poteva darmi di più, ha detto. È ingiusto e forse falso, ma è pur sempre meglio di niente. Sono sposato, con due bimbi piccoli e un mutuo da pagare. Non posso vivere di aria”.
Di denunciare non se ne parla, ribellarsi nemmeno: “Se rifiutassi verrei rimpiazzato, in un batter d’occhio la voce si spargerebbe nelle imprese circostanti e nessuno sarebbe più disposto ad assumere uno che non rispetta i patti”.
Secondo gli ultimi dati Istat nel quarto trimestre del 2014 la disoccupazione in Sicilia ha toccato quota 22 per cento, raggiungendo il 57 per cento tra i giovani.
“In una regione in queste condizioni è normale che il lavoratore accetti ogni sorta di ricatto. È l’anello debole della catena”, spiega Michele Pagliaro, segretario Cgil Sicilia. “Fare una stima di quante persone si trovino in questa situazione è praticamente impossibile: i controlli sono ridotti al lumicino e nessuno vuole rischiare quel minimo di sicurezza che ha trovato. Noi veniamo a conoscenza di queste irregolarità solo dopo che il rapporto di lavoro si è concluso. Non è un caso però che l’80 per cento delle vertenze che portiamo avanti riguardino retribuzioni date a metà o per niente”.
La pratica non è del tutto sconosciuta. Nel 2008 il tribunale di Nicosia ha condannato a 7 anni di reclusione Vincenzo Saitta, imprenditore di Regalbuto (Enna) e fondatore del gruppo “Francis Spa”, per estorsione continuata in concorso ai danni dei dipendenti. L’accordo tra l’azienda e i lavoratori prevedeva un taglio del 30 per cento dello stipendio in busta paga il primo anno di lavoro, del 20 il secondo anno e del 15 il terzo, con la minaccia di licenziamento per scarso rendimento per quelli che rivendicavano il salario pieno.
Ma nessuno ha imparato dalla condanna di Saitta e questo tacito accordo resta diffuso in Sicilia, specialmente nei lavori a bassa specializzazione.
Mimmo ha 22 anni e fa l’aiuto pasticcere in un bar del suo paese nel palermitano. “Ogni mattina mi sveglio alle 4 per guadagnare il minimo necessario per le mie spese, visto che vivo ancora con i miei genitori. 400 euro nel portafoglio, 900 nero su bianco, ma non ho quasi motivo di lamentarmi: ho amici che lavorano in nero per meno, o che non lavorano affatto. L’unico problema è nato quando mia madre ha fatto la dichiarazione dei redditi: con il mio stipendio ufficiale superavamo la soglia tassabile all’aliquota più bassa e abbiamo dovuto pagare più tasse. Peccato che siano sui 500 euro che ogni mese sono tornati direttamente nelle tasche del mio capo”.
Nonostante questo ‘inconveniente’, Mimmo non ha lasciato il suo lavoro. “Ho dei vantaggi anche io, me l’ha detto il titolare. Se dovesse licenziarmi potrei prendere la disoccupazione”.
Ai controlli fiscali i datori di lavoro risultano inattaccabili.
Contratti regolari, buste paga emesse, stipendi corrisposti tramite bonifico o assegno. Salvo intascare una parte dei compensi elargiti.
“L’estorsione, se accompagnato dalla minaccia di un male ingiusto, e la violenza privata non sono gli unici reati che commette l’imprenditore che utilizza questa pratica”, spiega l’avvocato giuslavorista Raffaele Nardoianni.
“C’è anche l’evasione fiscale: non paga le tasse sui soldi ricevuti in nero e deduce dei costi che effettivamente non ha. Se in più usufruisce di incentivi statali per l’assunzione dei dipendenti, abbatte ulteriormente il costo del lavoratore”.
Forza lavoro a costo zero, o quasi.
E i presunti vantaggi di chi accetta questo trattamento?
“Inanzitutto il dipendente – spiega ancora Nardoianni – paga delle tasse più alte, calcolate su un importo che non si riceve. Inoltre se prende la disoccupazione si profila un altro rischio: l’indennizzo viene erogato dall’ente previdenziale sulla base della busta paga, ma in questo caso sarà più alto rispetto alla cifra guadagnata realmente. Così il lavoratore diventa, nonostante il ricatto, compartecipe di una frode. È una truffa nella truffa”.
Tutti conoscono questa clausola non scritta.
Basta chiedere in giro per le strade siciliane, nessuno si stupisce.
“Ho lavorato in un ristorante diverse stagioni a queste condizioni. E io tutti i mesi mi affrettavo a rendere la differenza”.
Anche Antonio, a Messina, è stato vittima del ricatto. “Il lavoro scarseggia, quei soldi sono garantiti e ci sono delle sicurezze. Dopo anni di nero, mi sembrava addirittura un traguardo. Solo ora che ho trovato qualcosa di meglio ho capito che era un modo come un altro di pagarmi meno”.
Lo sfruttamento dei lavoratori non si ferma, nemmeno con la firma sul contratto.
Paola Rosa Adragna
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
“MAURIZIO DOBBIANO FARE UNA NOTA CONGIUNTA”… “NO SUSANNA, IO NON LA FIRMO”
“Maurizio, dobbiamo scrivere una nota insieme, chiarire che la manifestazione del 28 marzo non è una iniziativa politica”.
“No Susanna, io quella nota non la firmo, ti ricordo che è Renzi che ci accusa di voler fare un nuovo partito, non può farlo la Cgil…”.
Il vertice Camusso-Landini dura solo mezz’ora, e non certo perchè ci sia poca carne al fuoco. Anzi, la carne è troppa, e le posizioni restano sideralmente distanti.
E i due leader sindacali si lasciano con un nulla di fatto.
Mezz’ora a discutere di una nota congiunta, un po’ come nei fumosi vertici della prima Repubblica.
Una nota chiesta a gran voce da Susanna Camusso, per sgombrare il campo da quello che in Cgil molti temono: e cioè che la piazza Fiom del 28 marzo a Roma, al di là del piattaforma sindacale, si trasformi nel battesimo della nuova “cosa di sinistra”, che forse non sarà un partito, ma certamente ha già un leader: Maurizio Landini.
Un leader che negli ultimi mesi, al di là delle storiche divergenze tra Fiom e Cgil, sta diventando un po’ troppo ingombrante, e ormai non fa più mistero di voler rottamare liturgie e nomenclature di Corso d’Italia.
Camusso e Landini si vedono alle 10 di mattina.
Pochi convenevoli, del resto la nota della segreteria Cgil della sera precedente non lasciava spazio a dubbi interpretativi: una bocciatura netta della coalizione sociale lanciata dalla Fiom, “non è il nostro mestiere”, e un brusco richiamo a ricordare che il mestiere del sindacato è “diverso dalla costruzione di soggetti politici”.
Landini, nel breve faccia a faccia, non arretra.
Anzi, invita la Cgil e la sua leader a mettersi a capo della coalizione sociale, convinto com’è della “crisi delle organizzazioni sindacali”, che ora “devono cambiare attraverso una riforma democratica”.
L’unica strada, spiega, per ritrovare un ruolo, un protagonismo sociale.
Camusso insiste. Vuole che sulla piazza del 28 sia fatta piena chiarezza, vuole poterci andare senza imbarazzi, senza la sensazione di trovarsi dentro l’incubatrice di un nuovo soggetto politico, per di più chiaramente antagonista del Pd.
Ma non ottiene nessuna delle condizioni chieste. Neppure le minime rassicurazioni sulla scaletta del palco che, a detta della leader Cgil, dovrebbe essere rigorosamente sindacale: delegati, iscritti.
Landini, al fondo, non scioglie l’ambiguità sulla sua coalizione, che resta un ircocervo tra sindacato e politica, come del resto è nel dna della Fiom da anni.
E così all’uscita Camusso è molto dura: “Landini dicesse quello che pensa tutta la Cgil e cioè che non vuole diventare nè il sostituto nè il costruttore di nuovi movimenti politici, perchè il bisogno politico di Landini non può stravolgere la natura della Cgil”.
Secondo Camusso dunque, “bisogna chiudere la discussione in modo trasparente, dobbiamo lavorare sulla contrattazione, abbiamo tanto da fare senza inventarci dell’altro”. Landini respinge con sdegno l’accusa di voler costruire una forza politica.
La Fiom, spiega “è per un’autonomia e indipendenza del sindacato dalle forze politiche. Queste strumentalizzazioni, il tentativo di descrivere cose che non sono, sottolinea ancora, è un tentativo che capisco da parte del governo, delle forze politiche perchè non vogliono affrontare i problemi che noi stiamo proponendo. Le obiezioni sollevate dalla segreteria Cgil non hanno ragione di essere”.
Il leader Fiom non lo dice esplictamente, ma l’accusa è di fare il gioco di Renzi.
I due restano dunque molto distanti.
Come se l’autunno della pacificazione nel segno del no al Jobs Act fosse svanito.
E il clima dentro la Cgil tornato indietro di un anno, alla vigilia dell’ultimo congresso.
I due leader si lasciano in modo interlocutorio, ognuno convinto che la palla ora sia nelle mani dell’altro.
“Aspettiamo una risposta da Landini”, insiste la leader Cgil.
Ma il capo delle tute blu è fermo sulla sua posizione e si prepara alla manifestazione del 28. Con o senza Susanna.
Convinto di essere perfettamente dentro ai paletti fissati dallo statuto Cgil. Sul sito Fiom compare anche una lettera del segretario organizzativo Nino Baseotto (che fa parte della squadra di Camusso), datata 16 marzo, in cui si invitano “compagni e compagne” delle varie categorie a “favorire la partecipazione alla manifestazione, prevedendo una loro presenza”.
Un endorsment pieno alla piazza di Landini, che scatena un piccolo giallo, anche perchè ad alcune categoria la missiva non sarebbe arrivata.
Intanto, i segretari generali della Flai e della Funzione pubblica, Stefania Crogi e Rossana Dettori, vergano una nota di sostegno alle tesi di Camusso in cui ricordano che “il sindacato non ha mai abdicato alla propria funzione ed al proprio ruolo fatto di mobilitazione, negoziazione e contrattazione”.
“Tutto questo non può portare ad un sindacato che si sostituisce alla politica o che promuove dal suo interno formazioni politiche, poichè di questo si tratta, al di là delle alchimie delle parole, con la proposta della coalizione sociale avanzata in questi giorni”. L’accusa a Landini è chiara: giocare con le parole per nascondere le sue ambizioni politiche.
E del resto i nuovi giorni del gelo in casa Cgil si spiegano anche con un pensiero che da alcune settimane circola dentro il sindacato rosso, e non solo nelle categoria storicamente più a “destra” come chimici, edili e agroalimentare: e cioè che dall’autunno in poi Camusso abbia seguito eccessivamente la strada barricadera di Landini, anche sul referendum anti Jobs Act che molti temono possa essere un boomerang.
Di qui la richiesta di mettere un punto, che si è fatta sentire molto forte alla riunione della segreteria del 16 marzo, in cui più interventi da parte di varie anime (da Fabrizio Solari a Danilo Barbi) hanno chiesto una bocciatura netta delle iniziative di Landini.
Sullo sfondo, la conferenza organizzativa prevista per l’autunno, dove il leader Fiom intende proporre un drastico cambio nelle regole e nelle modalità del sindacato, come ad esempio l’elezione del segretario generale da parte degli iscritti.
Una sfida che in nuce vede già quella per la successione a Camusso, prevista per il 2018. Per ora la sfida è sulla piazza del 28 marzo.
Difficile, a questo punto, salvo una clamorosa retromarcia di Landini, che la leader Cgil possa essere presente di persona.
Ma anche uno strappo netto, come sarebbe l’assenza di un rappresentante della segreteria confederale, appare improbabile.
Lo step successivo è previsto per metà aprile, con la prima uscita pubblica in forma di seminario della coalizione sociale. La coabitazione dentro la Cgil sembra destinata a restare molto ruvida.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
IL 42ENNE LOTTA TRA LA VITA E LA MORTE IN OSPEDALE… IN QUESTO CASO SALVINI NON HA NULLA DA DIRE
È ancora ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni
Rotondo, dove i sanitari non hanno potuto sciogliere la prognosi, il cittadino marocchino di 42 anni vittima della brutale aggressione avvenuta due sere fa nei pressi del teatro comunale di San Severo.
Un episodio cruento ripreso dalle telecamere del servizio di videosorveglianza della città grazie alle quali la polizia è riuscita ad individuare e ad arrestare il presunto aggressore, Matteo Cercone, di 39 anni, già noto alle forze dell’ordine.
L’aggressione è avvenuta poco dopo che i due sono usciti da un bar: l’italiano ha prima preso in giro lo straniero e poi lo ha colpito violentemente con un pugno in pieno volto.
Nonostante il marocchino fosse a terra privo di sensi Cercone ha continuato a colpirlo.
Quando sono arrivati i poliziotti e gli uomini del 118 l’aggressore ha tentato di nascondersi tra i soccorritori, togliendosi anche il giaccone e cercando di praticargli il massaggio cardiaco.
Ma è stato tutto inutile: la polizia, infatti, ha seguito in diretta l’aggressione e Cercone è stato però individuato e arrestato.
Luca Pernice
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
UNA DEL PRESIDENTE, UNA COL SUO NOME E UNA DEI FARI…CON TOSI PROGETTO NAZIONALE, DESTRA SOCIALE E CENTRISTI
I veleni, certo. Le schermaglie, certo. Ma c’è una montagna da scalare. E allora: in rampa di lancio per le elezioni regionali del 31 maggio.
Per costruire tre liste (che potrebbero diventare quattro): una del candidato presidente, Flavio Tosi; una dei Fari e una della Lista Tosi, con amministratori.
E potrebbero allearsi i Pensionati, con una lista, e il Nuovo Centro Destra insieme all’Udc.
I potenziali candidati dunque, nove per lista (cinque uomini e quattro donne), sono in pieno fermento.
La «macchina da guerra» di Flavio Tosi, candidato alla presidenza della Regione con il suo progetto di centrodestra civico e moderato, è partito.
Il coordinatore della Fondazione Ricostruiamo il Paese Fabio Venturi è alla ricerca di una sede regionale, a Verona, per gestire i comitati elettorali delle sette province venete, dei «tosiani».
E quella centrale di Verona fungerà anche da sede per la sola Verona.
Intanto, sulla scia del colore giallo che contraddistinguerà la campagna di Tosi, dopo un sondaggio fra militanti e associati dei Fari è stato varato ufficialmente l’hashtag su Twitter «#TosiPresidente».
Per la sfida alla presidenza della Regione con il leghista uscente Luca Zaia (dopo la frattura con la Lega) ad Alessandra Moretti del Pd e del centrosinistra, a Jacopo Berti del Movimento Cinque Stelle, e poi a Sebastiano Sartori di Forza Nuova e ad Alessio Morosin di Indipendenza Veneta, l’organizzazione tosiana si fonda su due pilastri. Quello dei leghisti che hanno scelto di rimanere con lui (altro articolo): come il deputato veronese Matteo Bragantini, e poi la compagna di Tosi senatrice Patrizia Bisinella, trevigiana, il vicentino Luca Baggio, il trevigiano Leonardo Muraro, la deputata rodigina Emanuela Munerato e altri, come Giuseppe Stoppato di Verona, consigliere regionale.
Poi ci saranno i tosiani come Fabio Venturi, che pure è stato della Lega, e poi Andrea Miglioranzi, presidente dell’Amia, di Progetto Nazionale, l’ala destra della Lista Tosi. Loro faranno i registi.
Sul fronte dei candidati, la corsa si fa affollata.
E ha una particolarità : oltre al sindaco Tosi, si candideranno con ogni probabilità il vicesindaco Stefano Casali, dell’ala moderata-centrista della Lista Tosi – di cui fanno parte fra gli altri il presidente del Consorzio Zai Matteo Gasparato e il consigliere Salvatore Papadia – e anche l’assessore alle strade e giardini Luigi Pisa, che è della Lega ma sta con Tosi.
E potrebbe correre anche Barbara Tosi, sorella del sindaco e capogruppo della Lega in Consiglio comunale.
Per i tosiani in corsa lo stesso Miglioranzi, anche se il suo futuro (la sua presidenza dell’Amia scade il 31 marzo) dovrebbe essere la presidenza dell’Agsm, ora al leghista Paolo Paternoster, salviniano, da tempo in rotta con Tosi.
Se non dovesse candidarsi Miglioranzi l’ala destra tosiana potrebbe schierare il leader della Destra Sociale Massimo Mariotti, presidente di Acque Veronesi. O Vittorio Di Dio, vicecapogruppo della Lista Tosi in Comune, di Verona Sociale.
Le alleanze? Tosi spiega: «Stiamo ragionando anzitutto con gli amici, per fare le liste civiche, eventuali altre alleanze le vedremo. Fino a martedì scorso eravamo in Lega e si pensava di restarci. Ncd? Ci sono rapporti da sempre», aggiunge, «essendo io stato segretario e dirigente della Liga per tanti anni ho parlato con tanti».
Sempre di più si delineano però ricadute future nazionali, del «modello Tosi-Verona-Veneto».
Questo scenario, che Tosi definisce «imprevisto», modifica «assetti che si stavano determinando», aggiunge lui, «perchè Salvini ha trasformato la Lega in qualcosa solo di destra snaturando le origini federaliste e autonomiste del movimento, che aveva un bacino elettorale trasversale a tutta la società civile. Renzi prende il centrosinistra, e ora si muove la sinistra con Landini».
Quindi?
«Finalmente il centrodestra potrebbe colmare un vuoto, ricostruendosi per diventare una vera alternativa a Renzi».
Ma si andrà a votare prima del 2018, alle politiche?
Tosi: «Renzi è intelligente. Ha stravinto nel Pd, è premier con grande serenità . Se io fossi in lui…secondo me l’anno prossimo si va a votare».
Enrico Giardini
(da “L’Arena”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
IN ANDALUSIA IL PARTITO DI ALBERT RIVERA A QUOTA 22,5%, DAVANTI A SOCIALISTI E POPOLARI… LA NUOVA DESTRA SPAGNOLA: TRASPARENZA, LEGALITA’, DIRITTI CIVILI, LIBERISMO SOCIALE E DESTRA EUROPEISTA
Il suo colore è l’arancione, ma non ha nulla a che vedere con quel che fu la Rivoluzione civile di Antonio
Ingroia.
La prima volta che Ciudadanos appare nelle alte sfere delle politica iberica risale al 2006.
Il suo leader, l’allora giovane avvocato di 27 anni Albert Rivera, si era fatto fotografare nudo in una campagna per promuovere il suo movimento nei comizi elettorali della Catalogna.
Già , perchè Ciudadanos nasce a Barcellona come movimento regionale anti-indipendentista che fa della trasparenza e della legalità la sua bandiera.
Allora il motto era: “È nato il tuo partito. Ci importano solo le persone”.
Con questo messaggio Ciutadans per i catalani, Ciudadanos per gli spagnoli, riuscì ad entrare nel Parlamento della Catalogna con tre deputati.
Solo nel 2014 il movimento, che si definisce nè di destra nè di sinistra, ma che del pensiero di un centrodestra moderato, condito da forte europeismo e liberalismo sociale, si fa forza, ha deciso di mettersi in gioco e correre alle elezioni politiche generali di fine anno.
Da allora, il partito di Albert Rivera, oggi 35enne carismatico, sempre in giacca e cravatta, è responsabile insieme a Podemos della frammentazione di un panorama politico spagnolo che fin dagli anni Ottanta si è basato sul duello incontrastato tra il Partito popolare e il Partito socialista.
A dirlo l’ultimo sondaggio di marzo di Metroscopàa per il quotidiano El Paàs, che colloca Ciudadanos come quarta forza politica per intenzioni di voto (18,4%) ma a parità tecnica con il partito di Pablo Iglesias (22,5%).
Il Psoe ottiene un 20,2% e il Partito popolare dell’attuale premier Mariano Rajoy si ferma a un 18,6%.
Quattro partiti politici con poca distanza l’uno dall’altro che si dividono quasi l’80% dei voti. Il trend di Ciudadanos sembra crescere a ritmo pieno, tanto che per molti è diventato il controaltare di Podemos: se questi attirano l’elettorato deluso dai socialisti, Ciudadanos sembra una calamita per chi non sopporta più Rajoy e i popolari, soprattutto dopo gli scandali di corruzione che hanno investito a pieno il partito leader del Paese.
Tanto più che Albert Rivera, esperto di internet ed ex giocatore di pallanuoto, è uno dei politici più stimati nei sondaggi spagnoli.
Secondo gli analisti, il giovane avvocato piace perchè è una persona completamente nuova, che non proviene dai tradizionali circuiti della politica, e vive fuori dall’establishment: Rivera dice di rivolgersi soprattutto ad un elettorato moderato e di essere a favore dei matrimoni omosessuali.
Dai dibattiti televisivi su reti catalane, Ciudadanos ha abbandonato l’agone regionale per passare a quello nazionale con sempre più enfasi, tanto che perfino il Partito popolare comincia a preoccuparsi.
In vista delle elezioni in Andalusia del prossimo 22 marzo le critiche da parte del partito di governo non sono mancate: i dirigenti si sono scagliati contro il leader di Ciudadanos, avvertendo gli andalusi che votare per questo partito finirà per essere, in pratica, come dare il voto al Psoe e che l’Andalusia non può essere governata dalla Catalogna.
Il giovane Rivera non si è fatto intimidire: “Il Pp non ha capito che nella Spagna del XXI secolo non importa da dove vieni, ma cosa proponi” e ha aggiunto “invece di cercare colpevoli fuori, faccia autocritica sui tagli, sull’aumento delle tasse e sulla corruzione che dilaga nel partito” perchè “ci sono molti spagnoli che soffrono e non riescono a sopportare più superbia e incompetenza”.
Insomma Ciudadanos, per gli analisti, potrebbe essere “un gioco d’azzardo più sicuro” per far saltare il banco de Las Cortes.
E chissà , a fine anno, Podemos e Ciudadanos potrebbero occupare un numero di scranni tali da cambiare per sempre il volto politico di Madrid.
Silvia Ragusa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
ALLE PRIMARIE IL CAVALLO DEL PREMIER ORMAI VINCE SEMPRE MENO: L’ULTIMA PROVA È QUELLA DI VENEZIA… E ANCHE I SONDAGGI PARLANO DI CALO
“Sicuramente avevo l’apparato veneziano contro, ma guardando di più alla gente, l’apparato non mi interessa”. Un tempo era Renzi quello che scalava il Pd, con l’apparato contro.
Oggi a parlare così è Felice Casson, vincitore delle primarie di Venezia.
A dispetto delle truppe renziane che sostenevano soprattutto Jacopo Molina, ma in parte anche Nicola Pellicani, il verdetto è chiaramente a favore di un civatiano (tanto per usare un’etichetta) che il premier l’ha parecchio attaccato nella sua permanenza in Senato.
Passano gli anni, cambiano i tempi e le stagioni.
E va a finire che l’uomo renziano non scalda più il popolo dei gazebo.
E le primarie le vincono altri.
Strana legge del contrappasso per l’uomo delle primarie. I renziani non tirano, e i sondaggi sono in calo: ieri La7 dava il governo al 39%. Esattamente la somma di Pd e Ncd.
La storia degli ultimi mesi dice che il premier-segretario ha cercato di evitare le consultazioni. Come era accaduto in un primo momento in Emilia Romagna. Lì a vincere le primarie a novembre è stato Stefano Bonaccini.
Oggi non è schierato, ma schieratissimo con il capo. E prima di diventare governatore è stato il responsabile Enti locali del Pd di Matteo.
Ma fino alle primarie 2014 stava dall’altra parte. Con Bersani senza se e senza ma nel 2013. Antropologicamente vicino alla ditta per formazione, stile e modo d’intendere la politica.
Il renziano delle origini in quel caso c’era pure: Matteo Richetti. Ma s’era ritirato, una volta iscritto nel registro degli indagati per le spese dei consiglieri regionali.
In Calabria, sempre a novembre, non c’era neanche uno spruzzo di renzismo nel vincitore: Mario Oliverio era il candidato della minoranza.
Il renziano Gianluca Callipo perdeva senza appello.
In Veneto, Renzi lancia Alessandra Moretti. Che ormai è renzianissima. Ma che era arrivata in Parlamento grazie a Bersani, del quale era addirittura la portavoce nella battaglia per il Pd contro Renzi.
Ci ha messo un po’ per accreditarsi presso le truppe dei Rottamatori, poi la candidatura da capolista alle Europee ha dato il via.
“Ha i voti”, il mantra del premier e dei suoi.
In Campania è andata decisamente peggio: primarie rimandate più volte, summit continui tra i vertici renziani per trovare un candidato comune ed evitarle. Alla fine, stravince Vincenzo De Luca. Che andrebbe a decadere se eletto, causa la Severino.
Anche lui non esattamente renziano duro e puro.
Ma il premier non può farne a meno, causa gli accordi presi durante il congresso che l’ha visto vincitore. Severino o no, indagini o no.
Per la verità due renziani hanno vinto: Raffaella Paita, in Liguria, ma con tanto di accuse di brogli e uscita dello sfidante , Sergio Cofferati, dal Pd. E Michele Emiliano in Puglia.
Che però, più che renziano è un protagonista della vita politica pugliese di suo.
A proposito di paradossi, la Toscana: niente primarie, ricandidatura per Enrico Rossi. Saldamente uomo della ditta e pure con un rinvio a giudizio pendente.
Non c’era nessuno che volesse quella poltrona tra gli uomini del Presidente. Meglio non rischiare gazebo veri.
E allora, Renzi ha chiamato Casson: un’altra telefonata di sostegno e congratulazioni a qualcuno che non ha scelto lui.
La domanda sorge spontanea: il renziano trionfatore esiste da qualche parte?
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
COME AMMINISTRATORE DEL GRUPPO DUFERCO AVREBBE PAGATO TANGENTI AD ALCUNI FUNZIONARI DEL CONGO PER OTTENERE APPALTI
Antonio Gozzi, amministratore delegato della società siderurgica Duferco e presidente di Federacciai, è
stato arrestato lunedì sera a Bruxelles insieme al collaboratore e dirigente del gruppo Massimo Croci.
Gozzi, che è anche presidente del club calcistico di serie B Entella, è accusato di corruzione nell’ambito di un’inchiesta su presunte tangenti pagate in Congo ad alcuni ufficiali pubblici per ottenere appalti.
E’ stata la stessa Duferco a darne notizia in un comunicato in cui si legge che Gozzi e Croci sono stati convocati dal giudice istruttore della capitale belga Michel Claise per essere sentiti e poi, una volta a Bruxelles, sono stati fermati.
I due manager compariranno entro venerdì davanti al giudice della Chambre du Conseil per la convalida dell’arresto.
Secondo l’azienda, che esprime “stupore” e “deplora la privazione della libertà ”, “questa maniera di procedere non si può che interpretare come un mezzo di pressione inammissibile”.
La stessa indagine ha portato, lo scorso 24 febbraio, all’arresto del sindaco di Waterloo ed ex ministro dell’Economia Serge Kubla, dal 2009 consulente di Duferco. Che in quell’occasione aveva già negato di essere implicata.
Il Secolo XIX, citando alcuni quotidiani belgi, scrive che Gozzi e Kubla sono sospettati di aver escogitato un piano per diversificare le attività del gruppo in Congo nel gioco d’azzardo (l’uomo politico ha anche presieduto una società congolese del settore) e nel sito Metallurgical Maluku.
Kubla ha ammesso di aver dato 20.000 euro alla moglie del primo ministro congolese Adolphe Muzito durante una delle sue visite a Bruxelles, ma ha sostenuto che “si trattava del pagamento di una fattura”.
L’ex ministro aveva inoltre fondato a Malta la Socagexi Ltd, che ha ricevuto dalla Duferco un totale di 240.000 euro.
Le fatture fanno riferimento a un “sondaggio sulle prospettive commerciali in paesi africani (Congo, Guinea)” e “costituzione di una società in Congo”.
Duferco, basata a Lugano, dallo scorso anno è controllata dal gruppo cinese China’s Hebei iron and steel group.
La società in una nota dichiara “la totale estraneità del gruppo Duferco e dei suoi dirigenti a qualunque episodio di corruzione internazionale, nella Repubblica del Congo o in qualunque altro Paese” e specifica che “la vicenda, nell’ambito della quale Antonio Gozzi e Massimo Croci sono stati ascoltati, risale al 2009 e non riguarda direttamente società del Gruppo Duferco, ma società e interessi economici esterni al Gruppo e riferibili personalmente agli azionisti del Gruppo stesso. Si è trattato di un intervento di natura esclusivamente finanziaria in un settore esterno alle competenze tradizionali del Gruppo terminato, tra l’altro, con risultati economici e finanziari negativi”.
Gozzi e Croci, si legge, “se ne sono occupati su incarico degli azionisti, ma non sono mai stati in vita loro in Congo, nè hanno mai conosciuto politici o funzionari pubblici congolesi o altre persone di quel Paese capaci di aver peso o influenza nell’emanazione di atti amministrativi. Hanno quindi dichiarato al Giudice istruttore la loro totale estraneità ai fatti e confidano in un rapido accertamento della verità da parte della giustizia belga”.
Gozzi, 61 anni, è docente di economia e gestione delle imprese all’Università di Genova ma è soprattutto un esponente di riferimento del mondo dell’acciaio.
Ha gestito processi di rilancio di imprese siderurgiche in crisi e dal 1997 lavora in Duferco.
Il ‘professore’ ha anche la passione del calcio: dal 2007 è presidente della Virtus Entella, approdata in serie B al termine del campionato 2013-2014.
Il suo nome è comparso più volte nelle indiscrezioni sull’esistenza di un ghost buyer che ha portato la Sampdoria a passare dai petrolieri Garrone e all’attuale presidente Massimo Ferrero.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
PEROTTI DIRETTORE, RITENUTO COMPIACENTE, DI COMMESSE PER 25 MILIARDI DI EURO… LE ACCUSE, CANTIERE PER CANTIERE
Foto di gruppo con tangente.
Partendo dall’inchiesta sul tunnel sotto Firenze dell’Alta velocità ferroviaria, che il 13 settembre 2013 portò all’arresto, tra gli altri, della ex governatrice dell’Umbria Maria Rita Lorenzetti, la Procura della Repubblica di Firenze ha ricostruito in dettaglio il meccanismo corruttivo che gonfia il costo delle opere pubbliche.
Nell’ordinanza di custodia cautelare per Ercole Incalza, Stefano Perotti, Sandro Pacella e Francesco Cavallo, il gip Angelo Pezzuti spiega che all’origine di tutto c’è la Legge Obiettivo di Silvio Berlusconi e Pietro Lunardi, che nel 2001 introdussero le procedure semplificate per le grandi opere.
Tra queste la criminogena idea che il general contractor, affidatario dell’opera, si sceglie il direttore dei lavori, facendo venir meno la dialettica tra chi costruisce e chi controlla costi e buona esecuzione.
Scrive Pezzuti: “Un direttore dei lavori compiacente verso l’impresa esecutrice ha, quindi, consentito sistematicamente che l’importo dei lavori si gonfiasse a dismisura, assecondando ogni richiesta o ‘riserva’ e anzi svolgendo la propria attività nell’esclusivo interesse di tale impresa”.
Perotti ha ottenuto negli ultimi anni la direzione dei lavori di opere per un importo totale di 25 miliardi.
Per avere un’idea, la settimana scorsa il Sole 24 Ore ha scritto che negli ultimi 14 anni sono state completate opere per 23 miliardi.
Perotti, che avrebbe girato importanti cifre a Incalza, storico dominus del ministero Infrastrutture, e al suo braccio destro Pacella, è accusato di aver ottenuto i lucrosi incarichi perchè le imprese costruttrici sapevano di comprarsi così la benevolenza del ministero.
Nell’album di famiglia ci sono le maggiori opere in corso, e tra gli indagati nomi eccellenti come Vito Bonsignore, ex europarlamentare e grande elemosiniere dell’Ncd, o come l’ex sottosegretario ai Lavori Pubblici Antonio Bargone, un tempo dalemiano di ferro e oggi presidente della Sat, che sta costruendo la Livorno-Civitavecchia.
Ecco la lista delle opere e delle relative accuse.
Tav Milano-Verona.Novembre 2014.
Ercole Incalza avrebbe indotto i referenti del consorzio “Cepav Due”, che progetta e costruisce la linea, ad affidare la direzione dei lavori a Stefano Perotti.
Per i pm è la condizione per assicurarsi che non ci siano ostacoli burocratici e amministrativi ai proseguimento dei lavori.
Expo 2015, Palazzo Italia. Milano, dicembre 2013.
Sarebbe stata pilotata l’aggiudicazione della gara da 25 milioni per la realizzazione del Palazzo Italia, l’edificio destinato alla rappresentanza dello Stato e del governo italiano all’ Expo 2015 in favore della Italiana Costruzioni. Rfi (Fs), molatura binari per l’Alta Velocità . Novembre 2014.
Perotti e suo cognato Daniel Mor, referenti della società “Speno International sa”, avrebbero influenzato la definizione del bando di gara per la molatura, riuscendo a far inserire criteri favorevoli alla loro società .
Porto di Olbia.
Fino ad aprile 2014. Perotti e Mor, in accordo con Fedele Sanciu, commissario dell’Autorità Portuale del Nord Sardegna, e Bastiano Deledda, responsabile unico del procedimento per i lavori, avrebbero influenzato la stesura del bando di gara per i lavori del nuovo terminal del porto di Olbia.
Autostrada Salerno-Reggio Calabria
Giugno e settembre 2014. Perotti si sarebbe fatto promettere dal consorzio Italsarc la direzione dei lavori per l’ammodernamento di circa 20 chilometri. In cambio, forte delle sue connessioni con il ministro Maurizio Lupi (con la collaborazione di Francesco Cavallo, presidente di Centostazioni Spa), avrebbe favorito prima l’assegnazione dei lavori al consorzio, poi l’approvazione del progetto esecutivo, passato da 424.5 milioni (importo di aggiudicazione) a 600 milioni di euro.
Sede Eni, San Donato Milanese.
Novembre 2013. Stefano Saglia, ex sottosegretario per lo Sviluppo economico del governo Berlusconi, ottiene da Perotti una di consulenza semestrale per la costruzione della nuova sede dell’Eni. Saglia sarebbe intervenuto con alcuni ignoti dirigenti per favorire l’assegnazione del lavoro a Perotti.
Nodo Tav, Firenze.
Novembre 2014. Incalza avrebbe assicurato al general contractor Nodavia l’assegnazione dei lavori del sottopassaggio per l’Alta Velocità “in violazione dei doveri di trasparenza e imparzialità ”. In cambio, Nodavia ha dato alla Dilan Fi, società consortile riferibile anche a Perotti, l’incarico di direzione dei lavori per circa 22 milioni di euro. La Dilan si sarebbe sdebitata omettendo i controlli e lasciando che i prezzi si gonfino.
Tav Firenze-Bologna
Novembre 2014. Incalza, garantendo al consorzio Cavet il “tranquillo” svolgimento dei lavori della tratta, avrebbe ottenuto in cambio l’affidamento della direzione dei lavori alla società “Ingegneria SPM srl”, riferibile a Stefano Perotti per un importo di circa 68 milioni di euro.
Terzo valico Tav Genova-Tortona. Novembre 2014.
Incalza avrebbe garantito per il Consorzio Cociv (di cui fa parte anche il gruppo Gavio, connesso al genero di Incalza per passate prestazioni) un tranquillo iter amministrativo per il finanziamento dell’opera da parte del Cipe e ottenuto in cambio la direzione dei lavori per Perotti.
Autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre.
Anche in questo caso Incalza avrebbe assicurato al consorzio “Ilia Or-Me”, che fa capo a Vito Bonsignore, un esito positivo al Cipe, che destina al progetto 2 miliardi di denaro pubblico, in cambio della direzione lavori a Perotti.
Hub del Porto di Trieste. Agosto 2014.
Turbativa del bando di gara per il collaudo di una piattaforma logistica nel porto di Trieste. Indagati Incalza, Perotti, Saglia e Rocco Girlanda (ex segretario del Cipe).
Virginia Della Sala e Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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