DISOCCUPAZIONE, DOVE SIAMO ARRIVATI: PAGARE PER LAVORARE
IN SICILIA C’E’ CHI COSTRINGE I DIPENDENTI A RETROCEDERE PARTE DELLO STIPENDIO, ALTRIMENTI VENGONO LICENZIATI
Cosa siete disposti a fare per lavorare? Rendere una parte dello stipendio al vostro datore di lavoro può sembrare un’idea assurda, eppure c’è chi lo fa. Tutti i mesi.
“Sono muratore da tanti anni ormai. Dieci ore al giorno, dal lunedì al venerdì, 1000 euro al mese. Anche se in busta sono un po’ più di 1300”, racconta Vito (nome di fantasia), 40 anni, della provincia di Trapani.
Che fine fanno gli altri 300 euro? “Li restituisco al mio titolare, era una clausola non scritta del contratto”.
Di truffe se ne conoscono tante: dall’uso improprio di partite iva e contratti a progetto, ai part time più fuori busta, fino al più classico lavoro in nero.
Qui però si parla di estorsione: un datore di lavoro che assicura un contratto regolare in cambio di una percentuale della cifra in busta paga.
“Prima di firmare – continua Vito – il titolare mi ha spiegato quali erano le condizioni: una volta riscosso l’assegno, avrei dovuto rendergli il disavanzo in contanti. Per colpa della crisi non poteva darmi di più, ha detto. È ingiusto e forse falso, ma è pur sempre meglio di niente. Sono sposato, con due bimbi piccoli e un mutuo da pagare. Non posso vivere di aria”.
Di denunciare non se ne parla, ribellarsi nemmeno: “Se rifiutassi verrei rimpiazzato, in un batter d’occhio la voce si spargerebbe nelle imprese circostanti e nessuno sarebbe più disposto ad assumere uno che non rispetta i patti”.
Secondo gli ultimi dati Istat nel quarto trimestre del 2014 la disoccupazione in Sicilia ha toccato quota 22 per cento, raggiungendo il 57 per cento tra i giovani.
“In una regione in queste condizioni è normale che il lavoratore accetti ogni sorta di ricatto. È l’anello debole della catena”, spiega Michele Pagliaro, segretario Cgil Sicilia. “Fare una stima di quante persone si trovino in questa situazione è praticamente impossibile: i controlli sono ridotti al lumicino e nessuno vuole rischiare quel minimo di sicurezza che ha trovato. Noi veniamo a conoscenza di queste irregolarità solo dopo che il rapporto di lavoro si è concluso. Non è un caso però che l’80 per cento delle vertenze che portiamo avanti riguardino retribuzioni date a metà o per niente”.
La pratica non è del tutto sconosciuta. Nel 2008 il tribunale di Nicosia ha condannato a 7 anni di reclusione Vincenzo Saitta, imprenditore di Regalbuto (Enna) e fondatore del gruppo “Francis Spa”, per estorsione continuata in concorso ai danni dei dipendenti. L’accordo tra l’azienda e i lavoratori prevedeva un taglio del 30 per cento dello stipendio in busta paga il primo anno di lavoro, del 20 il secondo anno e del 15 il terzo, con la minaccia di licenziamento per scarso rendimento per quelli che rivendicavano il salario pieno.
Ma nessuno ha imparato dalla condanna di Saitta e questo tacito accordo resta diffuso in Sicilia, specialmente nei lavori a bassa specializzazione.
Mimmo ha 22 anni e fa l’aiuto pasticcere in un bar del suo paese nel palermitano. “Ogni mattina mi sveglio alle 4 per guadagnare il minimo necessario per le mie spese, visto che vivo ancora con i miei genitori. 400 euro nel portafoglio, 900 nero su bianco, ma non ho quasi motivo di lamentarmi: ho amici che lavorano in nero per meno, o che non lavorano affatto. L’unico problema è nato quando mia madre ha fatto la dichiarazione dei redditi: con il mio stipendio ufficiale superavamo la soglia tassabile all’aliquota più bassa e abbiamo dovuto pagare più tasse. Peccato che siano sui 500 euro che ogni mese sono tornati direttamente nelle tasche del mio capo”.
Nonostante questo ‘inconveniente’, Mimmo non ha lasciato il suo lavoro. “Ho dei vantaggi anche io, me l’ha detto il titolare. Se dovesse licenziarmi potrei prendere la disoccupazione”.
Ai controlli fiscali i datori di lavoro risultano inattaccabili.
Contratti regolari, buste paga emesse, stipendi corrisposti tramite bonifico o assegno. Salvo intascare una parte dei compensi elargiti.
“L’estorsione, se accompagnato dalla minaccia di un male ingiusto, e la violenza privata non sono gli unici reati che commette l’imprenditore che utilizza questa pratica”, spiega l’avvocato giuslavorista Raffaele Nardoianni.
“C’è anche l’evasione fiscale: non paga le tasse sui soldi ricevuti in nero e deduce dei costi che effettivamente non ha. Se in più usufruisce di incentivi statali per l’assunzione dei dipendenti, abbatte ulteriormente il costo del lavoratore”.
Forza lavoro a costo zero, o quasi.
E i presunti vantaggi di chi accetta questo trattamento?
“Inanzitutto il dipendente – spiega ancora Nardoianni – paga delle tasse più alte, calcolate su un importo che non si riceve. Inoltre se prende la disoccupazione si profila un altro rischio: l’indennizzo viene erogato dall’ente previdenziale sulla base della busta paga, ma in questo caso sarà più alto rispetto alla cifra guadagnata realmente. Così il lavoratore diventa, nonostante il ricatto, compartecipe di una frode. È una truffa nella truffa”.
Tutti conoscono questa clausola non scritta.
Basta chiedere in giro per le strade siciliane, nessuno si stupisce.
“Ho lavorato in un ristorante diverse stagioni a queste condizioni. E io tutti i mesi mi affrettavo a rendere la differenza”.
Anche Antonio, a Messina, è stato vittima del ricatto. “Il lavoro scarseggia, quei soldi sono garantiti e ci sono delle sicurezze. Dopo anni di nero, mi sembrava addirittura un traguardo. Solo ora che ho trovato qualcosa di meglio ho capito che era un modo come un altro di pagarmi meno”.
Lo sfruttamento dei lavoratori non si ferma, nemmeno con la firma sul contratto.
Paola Rosa Adragna
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