Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
I DATI UFFICIALI DELLA PREFETTURA SMASCHERANO IL LUOGO COMUNE: “NETTO CALO DEI REATI”
La Prefettura, durante l’ultima riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza, ha reso noti i dati relativi ai primi sette mesi del 2015 e li ha paragonati con quelli dell’anno scorso.
In base al raffronto si scopre che i furti sono calati del 12,6 per cento, le rapine dell’8,8 per cento e i reati contro la persona del 4,5 per cento.
Complessivamente c’è stata una riduzione di reati del 15 per cento (da 26.350 a 22.380)
«Il dato più importante – afferma la Prefettura riferendosi al totale della provincia – è il calo del 18,4 per cento dei furti in abitazione. Nel capoluogo invece, a fronte di una calo dei reati dell’8,8 per cento, si registra una flessione dei furti del 2,4 per cento, mentre le rapine restano invariate».
La Prefettura è tornata a ribadire che nelle zone dove sono ospitati i profughi, in particolare a Eraclea, i furti sono diminuiti del 25 per cento»
Nel corso di questi sette mesi, poi, l’attività contro il commercio ambulante abusivo ha portato al sequestro di merci contraffatte per un valore di 30 milioni e di prodotti non contraffatti per 150mila euro.
Bloccate merci destinate all’infanzia per un valore di 45mila euro.
Prodotti video e dvd hanno comportato un ammontare di 165mila euro e per arrivare a questi risultati sono state realizzate 79 operazioni che hanno dato vita a due arresti e a 88 venditori denunciati.
«A fronte del calo dei reati – aggiunge infatti la Prefettura – si registra un aumento di persone denunciate o arrestate».
Da qui, in vista dell’ormai imminente Ferragosto, scatta la decisone di incrementare i controlli in particolare nelle zona dove ci sono i siti e gli obiettivi sensibili visto che, fino alla fine dell’anno, è stato confermato un aumento del personale in divisa pari a sessanta unità .
La Prefettura, infine, ha assicurato che nei prossimi giorni saranno incrementati i servizi per prevenire i reati contro il patrimonio, in particolare borseggi, furti in abitazioni e negozi e rapine.
(da “il Gazzettino“)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DI BERTOLA E I DATI FALSI PER GIUSTIFICARE UN PENOSO AUTOGOL
A chi non è affetto da Alzheimer e conserva ancora qualche cellula cerebrale per le più basiche
sinapsi, il post del pentastellato consigliere comunale di Torino, Vittorio Bertola, contenente proposte politiche in tema di immigrazione, non avrà procurato neanche un minimo spostamento del sopracciglio destro.
Il post non rappresenta, infatti, nessuna novità circa le posizioni razziste, espresse da molti esponenti di tale movimento, sia prima che dopo l’alleanza europea con Ukip.
Un mix di ignoranza, di razzismo, di linguaggio da bar e di brama populista, mirante a togliere voti e simpatie a forze politiche più simili permea molte parole delle proposte del consigliere.
In altri tempi, soffermarsi a leggere — figuriamoci poi ad analizzare — testi simili sarebbe una palese perdita di tempo, anche perchè i ragionamenti (si fa per dire) contenuti nel testo costringono a scendere ad un livello molto basso della riflessione, ovvero impongono prima di ogni altra cosa lo smascheramento delle falsità delle informazioni: non c’è spazio per la discussione se non su un piano di verità .
Senza questa operazione primaria, ma essenziale, risulta molto difficile provare a smontare la retorica vuota che nasconde la struttura razzista del testo.
Ma chi produce e riproduce l’odio e il razzismo nei confronti dei profughi oggi in Italia conta molto su questa strategia comunicativa, che possiamo anche definire “shock and awe strategy” (“stordisci e sgomenta”).
Prima di proporre qualsiasi analisi o misura concreta da intraprendere, si forniscono dati “shock”, tutti falsi oppure abilmente intrecciati con pochi veri; poi, una volta ottenuto lo stordimento del (e)lettore, si introduce qualche finto elemento di analisi, qualche domanda retorica oppure si fa riferimento a qualche episodio di cronaca nera o giudiziaria (che poco o nulla c’entra con l’argomento, ma tant’è) per creare sgomento e spianare così la strada alla proposta concreta che arriva puntuale alla fine.
La proposta solitamente appare semplice (cioè semplicistica): “giro di vite”, “tutti a casa, anche a forza se necessario”, “niente ricorsi” etc, ma senza mai spiegare dettagliatamente il come e — non ne parliamo neanche — della fattibilità e dei costi.
Naturalmente, si inserisce qua e là qualche finta distinzione tra profughi buoni e profughi cattivi (“chi ha diritto e chi non ne ha”), anche perchè occorre pur sempre conservare un appeal istituzionale per rendersi interlocutori “credibili”.
Ciò che abbonda, fino alla nausea, è la contrapposizione tra “noi” e “loro”: “pagato da noi”, “ a spese nostre” e altre espressioni simili (senza mai andare a leggere i dati Istat sulla ricchezza prodotta dalle popolazioni straniere in Italia, ricchezze di cui lo Stato italiano si appropria e che solo in parte spende per loro).
Ora, io non so se il consigliere è consapevole di tutto ciò, oppure se riproduce inconsapevolmente strategie sviluppate da altri. Non è importante.
Potrebbe importare a coloro che vogliono conoscere il livello di acume del consigliere, ma a me non importa sapere ciò. La ritengo del tutto irrilevante.
Ciò che è importante qui è smascherare il razzismo delle sue proposte.
Nello spazio di un post, però, non si possono proporre analisi lunghe, bisogna essere sintetici ed efficaci.
Dunque, sono costretta a scegliere cosa dire e cosa non dire: mi limiterò pertanto a rivelare soltanto le falsità (e neanche tutte) delle cose scritte, il resto della decostruzione la lascio a chi legge e ha voglia di esercitarsi.
1. Solo l’Italia concede in massa permessi per motivi umanitari, afferma nel primo punto del documento il consigliere comunale (“Da noi quasi un asilo politico su due viene dato a persone che non ne avrebbero diritto secondo i trattati internazionali sui rifugiati, ma che noi accogliamo comunque per gravi motivi umanitari”).
Non è vero. Il permesso per motivi umanitari esiste in quasi tutti i paesi dell’Unione europea.
I dati forniti dall’Eurostat smentiscono poi il fatto che in Italia si faccia un abuso di tale titolo di soggiorno. Semmai, in Italia, si registra un minore riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria rispetto ad altri Paesi europei, nei confronti di persone e popolazioni provenienti dalle medesime zone di guerra e persecuzione.
E’ questo che ha denunciato l’Unhcr, ovvero l’Agenzia Onu che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo.
In ogni caso, affinchè sia chiaro, in Italia, tale permesso è rilasciato: a) quando la Commissione territoriale raccomanda al Questore di rilasciare tale documento quando ricorrono “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (eh, mi spiace, esiste ancora formalmente in vigore la Costituzione, che cosa possiamo fare?); b) quando ricorrano gravi motivi di carattere umanitario (come ribadito più volte dai Tar, noti centri eversivi in questo Paese — si veda, per tutte, la sentenza Tar Lazio n. 8831/2008); c) in caso di riconoscimento della protezione temporanea, ai sensi dell’art. 20 del Tu, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea; d) quando lo straniero è inespellibile ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs n. 286/98, perchè in caso di ritorno potrebbe rischiare l’incolumità propria e della famiglia (bazzecole, che vogliamo che sia mai?); e) quando si tratta di persone inserite in programmi di protezione sociale in favore delle vittime di sfruttamento.
Quindi, che cosa si sta proponendo, di cancellare la Costituzione e quelle poche norme umane che esistono a garanzia dei diritti inviolabili? E’ questa la proposta?
2 e 3. Chi non è riconosciuto come rifugiato deve essere spedito a casa “a forza se necessario” e, per di più, (si veda il punto 3 della proposta) non è da considerare soggetto degno di godere delle tutele giuridiche e processuali garantite agli altri individui che calpestano il territorio nazionale.
Sarò veloce su questi due punti: prima ancora di qualsiasi considerazione delle leggi in vigore, nazionali ed internazionali, bisognerebbe che qualcuno prenda sul serio queste proposte geniali (ma com’è nessuno ci aveva mai pensato?) e con una matita e una carta faccia i calcoli dei costi economici e finanziari di tale proposta.
Dopodichè, venga a dirci quante manovre finanziarie servirebbero per far fronte a simili operazioni.
Piuttosto, ciò di cui si sente fortemente il bisogno è sviluppare una seria riflessione collettiva per comprendere a chi giova davvero avere sul territorio masse di persone/lavoratori senza documenti.
Quanto alla proposta sui tribunali speciali per i profughi, posso solo segnalare che non è nuova nella storia, a cominciare dalla Magna Carta ad oggi, pertanto ulteriori commenti sarebbero superflui.
4. Sulla necessità di trasformare l’accoglienza in accoglienza custodiale, cioè in una prigione, ci sarebbe molto da scrivere, in termini sociologici e antropologici, cioè sul concetto di accoglienza nelle società odierne.
Mi soffermerò però soltanto sulla parzialità (e dunque la falsità ) dell’informazione data per giustificare la proposta del carcere per i profughi, ovvero la notizia che un profugo a Torino abbia commesso rapine mentre era ospitato in uno Sprar. Ebbene, senza voler contestare i fatti riportati nel testo del consigliere, e senza stare qui a dire che non tutti sono uguali (ancora a questo punto stiamo dopo decenni di immigrazione?) io riporto a mia volta altri dati: secondo le statistiche delle prefetture del Nordest “dove ci sono i profughi i reati sono in calo”. Allora, come la mettiamo?
Io chiudo qui.
Voi continuate a scovare le falsità del documento. Potrebbe essere un bel gioco sulla spiaggia.
Iside Gjergji
giurista e sociologa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
DA MUCCHETTI A SCALFARI LE CRITICHE ALL’EX PRESIDENTE
A sinistra è caduto un tabù.
E’ il tonfo si è sentito, perchè quel tabù si chiama Giorgio Napolitano.
Negli ultimi giorni l’ex capo dello Stato è stato apertamente criticato per la lettera al Corriere della Sera in cui intimava di non rimettere in discussione la riforma del Senato che porta il nome del ministro Boschi.
La stessa su cui, invece, la minoranza Pd sta conducendo la battaglia, forse definitiva, contro il segretario.
Da ultimi, ad attaccarlo, sono stati Massimo Mucchetti (prima con un editoriale al Fatto Quotidiano e poi con un’intervista ad HuffPost) e Rosy Bindi.
Ma le critiche sono arrivate anche da un insospettabile: Eugenio Scalfari.
E’ noto che il fondatore di Repubblica non provi simpatia per Matteo Renzi, ma altrettanto nota è la sua amicizia — ribadita anche nell’editoriale di oggi – con Napolitano.
Una lunga sintonia che ha cominciato a vacillare, almeno politicamente, proprio quando l’allora capo dello Stato ha ‘avallato’ la staffetta a palazzo Chigi con Enrico Letta.
Ma che oggi sembra diventata una vera e propria distonia. La convinzione del presidente emerito, ricorda Scalfari nell’articolo sul quotidiano, “non è certo una improvvisazione”, “è su questa posizione da molti anni ed ora gli preme più che mai vederla portata a buon fine da Renzi che di un appoggio così autorevole ha certo molto bisogno”: “ma su questo tema — sentenzia — sono in totale disaccordo”.
Se quello di Scalfari, in qualche modo, può sembrare il rimprovero di un amico, però, le critiche che arrivano da sinistra sono di un tenore diverso.
Già giovedì, giorno della pubblicazione della lettera di Napolitano, via agenzia, sono state sollevate dalla minoranza dem una serie di perplessità .
Alfredo D’Attorre dichiarava di “rispettare ma non condividere” i contenuti dell’intervento, Doris Lo Moro spiegava che avrebbe preferito che l’ex presidente della Repubblica “restasse fuori da questa vicenda”.
Più duro Franco Monaco che era arrivato a definire “sconcertante” la missiva.
La stessa Rosy Bindi aveva scelto di intervenire con una comunicato per dire di “non condividere affatto” il senso del ragionamento.
Niente a che fare, però, con l’escalation delle ultime ore.
In un’intervista al “Fatto quotidiano”, la presidente della commissione Antimafia, parla addirittura di intervento “inopportuno”.
“Proprio perchè conosce il peso delle parole — aggiunge — dovrebbe evitare di schierarsi. Non condivido il merito ma neppure il metodo”.
Parole che fanno il paio con quelle del senatore Massimo Mucchetti, secondo cui “Napolitano è intervenuto per aiutare Renzi” perchè “ha paura che non abbia i numeri al Senato sulla riforma”.
Insomma, parole che finora mai si erano sentite a sinistra. Nemmeno quando Napolitano, già nel ruolo di senatore a vita, si era premurato di offrire a Matteo Renzi un ombrello sull’Italicum, bocciando gli emendamenti della minoranza e sentenziando che la legge elettorale andava “bene così” com’era.
Anzi, la storia racconta che le critiche arrivavano sempre da destra – da Berlusconi e dai berlusconiani – e che al Pd toccava il compito di difendere l’inquilino del Colle. Evidentemente non questa volta: segno che la battaglia tra i democratici è arrivata a un punto di svolta.
(da “Huffigtonpost”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
IL CONTO NON PAGATO AL RICEVIMENTO PRO-ALLUVIONATI
Era una cena delle beffe e non lo sapevamo.
Il 24 ottobre 2014 il principe Alberto II di Monaco venne a Genova e nella città sconvolta 15 giorni prima da un’alluvione mortale si laureò “ad honorem” in Scienze del mare, raccolse soldi per la sua Fondazione, partecipò a una cena pantagruelica a Palazzo San Giorgio e disse una frase mai smentita: «Sarò generoso con Genova».
Oggi sappiamo che nemmeno un centesimo di quei soldi è finito nelle raccolte pro-alluvionati, che non c’era alcuna intenzione di farlo e che il conto della cena, 15 mila euro, non è mai stato pagato dagli affiliati italiani alla Fondazione Principe Alberto.
A garanzia dei lettori, vorrei raccontare un piccolo retroscena.
Alla vigilia della visita principesca, il Secolo XIX scrisse una lettera al console generale di Monaco a Genova, Domenico Pallavicino, chiedendo un aiuto per gli alluvionati in nome delle radici che uniscono la Liguria al Principato.
Benchè non si possa chiamarlo principe in base alla XIV disposizione finale della Costituzione repubblicana, Pallavicino si dimostrò degno del suo titolo donando graziosamente di tasca propria 10 mila euro alla raccolta organizzata dal Secolo XIX.
Gesto di valore, che riscattava una visita ingombrante per molti professori universitari e perfino per la corte monegasca, imbarazzata dal fatto paradossale che il sovrano di uno dei Paesi più ricchi del mondo battesse cassa per le sue ricerche marine in una città appena finita sott’acqua. In tutti questi mesi abbiamo aspettato un segnale, o meglio un bonifico.
Niente.
Ora, se foste nei panni di Alberto, che fareste?
a) Pagate senza fiatare il conto della cena anche se non vi spetta;
b) versate una cifra congrua alle imprese e ai cittadini alluvionati visto che vi siete fatti fotografare accanto alle magliette “Non c’è fango che tenga”;
c) restituite la laurea;
d) vi chiudete in un silenzio sdegnato e date così un contributo internazionale e chic al luogo comune sulla tirchieria genovese (i Grimaldi da qui vengono, dopotutto).
Se fosse una favola, il principe sceglierebbe la a), la b) o la c).
Ma non ci sono più i principi di una volta.
Alessandro Cassinis
(da “il Secolo XIX”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
GRILLO, YACHT ED EVASIONE FISCALE
In un post sul blog di Grillo del 5 giugno del 2010 dal titolo “Yacht ed evasione fiscale”, vevivano
definiti “furbetti dello yacht” coloro che intestavano le loro barche a società con sede alle Cayman e alle isole Vergini, evadendo il fisco per oltre mezzo miliardo di euro.
Lo riportiamo integralmente.
Lo dicevano già i nostri vecchi: “Chi più spende, meno spende!”. E allora cosa aspettate a comprare anche voi uno yacht da 60 metri con bandiera delle isole Cayman? Detassato alla fonte!
“Caro Beppe, l’Italia è un paese ingiusto. Il Governo chiede sacrifici a milioni di dipendenti pubblici, la Lega propone di tassare i venditori ambulanti. E sotto i nostri occhi, viene consumata un’evasione fiscale da oltre mezzo miliardo di euro. Basta andare al mare per vederla, basta camminare nei porticcioli turistici: oltre la metà degli yacht oltre i 24 metri batte bandiera dei paradisi fiscali. Sono i furbetti dello yacht, che spesso intestano le loro barche a società con sede alle Cayman e alle isole Vergini. E’ tutto permesso dalla legge, almeno sulla carta. Basta creare una società di noleggio, va bene anche in Italia, ma è molto meglio nei paradisi fiscali così la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate impazziscono. Ma se vai a vedere, pochi, pochissimi noleggiano le barche. Gli altri fanno contratti fittizi con fratelli e cugini. Risultato: così non si paga l’Iva sull’acquisto, sul combustibile, sulle riparazioni, sul posto barca. C’è chi riesce a scaricare lo champagne e il caviale facendoli risultare spese legate all’attività di noleggio. I conti sono presto fatti: i Paperoni italiani risparmiano quasi il venti per cento della spesa d’acquisto. Per uno yacht di 60 metri vuol dire sottrarre al fisco anche dieci, quindici milioni di euro. E’ soltanto l’inizio: ogni pieno di gasolio sono 120mila litri. I comuni mortali lo pagano più di un euro, gli evasori nemmeno la metà : senza Iva e accise vuol dire 60.000 euro risparmiati a botta. Il prezzo di una barca per una persona normale. Che dire poi dei contratti dell’equipaggio? Anche questi sono regolati dalle leggi delle Cayman. Un bel vantaggio per gli armatori, un pessimo affare per i marinai che restano senza tutele. Ogni anno, per la Finanza e l’Agenzia delle Entrate, i furbetti dello yacht risparmiano da 150mila a 500mila euro ciascuno. C’è perfino chi, registrando contratti di noleggio gonfiati, costituisce fondi neri alle Cayman, magari per pagare le mazzette ai politici. Ne abbiamo scritto sui nostri giornali, ma da chi governa non è arrivata una riga di risposta. Forse, però, Berlusconi era troppo occupato a godersi il sole su uno degli yacht della sua flotta. Del resto sono loro che hanno votato una direttiva paradossale: lo sconto sull’Iva per chi ha fatto un contratto di leasing è direttamente proporzionale alle dimensioni della barca. Insomma, più è grande la barca, meno si paga. Questa non è un’assurda battaglia contro gli yacht e chi se li può permettere. Fatti loro. No, è in gioco una questione elementare: la legge — anche quella fiscale — deve essere uguale per tutti. Allora oggi tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare, come diceva Giorgio Gaber. A guardare centinaia di Paperoni italiani che schiaffano in faccia a noi e alla crisi le bandierine colorate dell’evasione. Ma… perchè tutti insieme, quando incontriamo uno yacht con la bandiera delle Cayman, delle Virgin Islands o di Guernesey, non chiediamo a chi sorseggia un calice di champagne sul ponte di mostrarci l’atto di proprietà della sua nave? Vediamo se almeno, sotto l’abbronzatura, diventa un poco rosso.”
(Ferruccio Sansa, Marco Preve)
Pubblichiamo anche la foto di Beppe Grillo in vacanza in questi giorni in Sardegna su uno yacht con bandiera non italiana.
Che si sia camuffato come ospite a bordo per sincerarsi che non fosse una bandiera di comodo?
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
IL POTERE DI NCD NEL CUORE DI MAFIA CAPITALE… UNA GESTIONE CHE VALE 100 MILIONI E 400 IMPIEGHI
Una gestione che vale cento milioni di euro, un residence che frutta sette milioni di affitto all’anno, diecimila euro al giorno di indotto e quattrocento posti di lavoro che in tempi di elezioni si trasformano in una valanga di voti.
à‰ il Cara di Mineo, il centro richiedenti asilo in Sicilia finito coinvolto nell’indagine della procura di Roma su Mafia Capitale.
E sul quale anche le procure di Catania e Caltagirone hanno deciso di fare luce, indagando sulle assunzioni e soprattutto sulle gare d’appalto milionarie.
Nato subito dopo la primavera araba del 2011, sul centro di accoglienza si è allungato negli anni il simbolo del Nuovo Centrodestra, il partito di Angelino Alfano al quale appartengono tutti o quasi gli uomini della catena di potere di Mineo: dal sottosegretario Giuseppe Castiglione, all’ex ministro Maurizio Lupi, fino al sindaco del comune calatino Anna Aloisi e ai vari primi cittadini delle città vicine.
Castiglione, l’uomo del Cara diventato sottosegretario
Del Cara di Mineo ha cominciato a parlare in questi giorni Luca Odevaine, l’uomo cui il sodalizio di Mafia capitale si affidava per lucrare sugli immigrati, storico consulente del centro e membro della commissione che sceglieva a chi affidare la gestione milionaria dell’accoglienza.
I suoi verbali sono stati secretati dai pm, ma è un fatto che, nelle intercettazioni del Ros dei Carabinieri, l’ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni ha citato sopratutto un nome al vertice degli interessi su Mineo: il sottosegretario Castiglione, indagato dalla procura di Catania per turbativa d’asta, luogotenente di Alfano in Sicilia, genero del potentissimo senatore Pino Ferrarello, che ha abbandonato Berlusconi per seguire il genero nel Ncd.
“Castiglione fa il sottosegretario, però è il loro principale referente in Sicilia, cioè quello che poi gli porta i voti, perchè poi i voti loro li hanno tutti in Sicilia”, è la descrizione che fa di lui Odevaine, mentre la procura di Roma lo intercettava, nell’inchiesta che ha poi travolto la capitale.
Il ruolo del sottosegretario nel periodo in cui ha origine il Cara di Mineo è tratteggiato dallo stesso Odevaine, intercettato mentre parla con il suo commercialista.
”Praticamente venne nominato sub-commissario, del commissario Gabrielli, il Presidente della Provincia di Catania che era anche Presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione, il quale quando io ero andato giù … mi è venuto a prendere lui all’aeroporto … mi ha portato a pranzo … arriviamo al tavolo … c’era pure un’altra sedia vuota … dico: eh chi? … e praticamente arrivai a capì che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara”, è la ricostruzione dell’uomo di Mafia capitale.
È il 2011 quando Castiglione, da presidente della provincia di Catania, diventa ente attuatore del nuovo centro per richiedenti asilo.
Dopo un primo periodo di affidamento alla Croce Rossa, si bandisce una gara da 60 milioni per gestire il centro: la lettera d’invito a quel bando partirà il 6 agosto del 2011, un sabato mattina, dall’ufficio postale di Bronte, dove risiede la famiglia Castiglione — Firrarello.
I voti di Alfano? Stanno in Sicilia nei dintorni di Mineo
Le parole di Odevaine sul peso elettorale di Castiglione hanno bisogno di poche conferme: basta sovrapporle ai dati emersi dalle urne.
Il fortino elettorale di Ncd, infatti, si trova in Sicilia, nei dintorni del cara di Mineo. Una prova di forza è arrivata nel maggio del 2014: Giovanni La Via, ex assessore regionale all’Agricoltura di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, viene eletto europarlamentare con più di 56mila preferenze. È il primo degli eletti a Bruxelles nel partito di Alfano: prende addirittura diecimila voti in più rispetto a quelli raccolti dall’allora ministro Maurizio Lupi.
Per una curiosa coincidenza è proprio in un appartamento di proprietà di La Via, che Sisifo, il consorzio di cooperative che ha gestito Mineo per quattro anni, ha installato la sua sede a Catania.
Storico grande elettore di Ncd è Paolo Ragusa, anche lui indagato con Castiglione, ex presidente del consorzio Sol Calatino, un conglomerato di cooperative della zona componente dell’associazione temporanea d’imprese che gestisce il Cara: da una parte porta voti al partito di Alfano, dall’altra aveva un ruolo fondamentale nella catena di comando all’ombra del centro di accoglienza.
È una realtà importante il Sol Calatino, considerato leader nel settore dell’accoglienza, un vero e proprio asso pigliatutto nel business dell’immigrazione che nel 2014 ha affiancato la gestione del Cara di Mineo con quella dello Sprar di Caltagirone, un punto di accoglienza da appena 25 posti, ma che vale quasi mezzo milione di euro.
Il sistema del Cara di Mineo: lavoro, voti e appalti
Per gestire Mineo, Castiglione, allora presidente della provincia di Catania costituisce un consorzio formato dai comuni del circondario: è il Calatino Terra di Accoglienza, ente attuatore del Cara fino a poche settimane fa, quando la prefettura di Catania ha commissariato tutto. Secondo gli inquirenti siciliani, gli amministratori dei comuni intorno a Mineo avrebbero orientato le assunzioni al centro, ricevendo poi in cambio un massiccio sostegno elettorale.
Dal giugno scorso la procura di Catania ha iscritto nel registro degli indagati anche Marco Aurelio Sinatra, sindaco del comune di Vizzini, e Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorzio Calatino Terra di Accoglienza.
Il partito di Alfano è riuscito anche a prendersi la poltrona di sindaco di Mineo, eleggendo Anna Aloisi, ex collaboratrice del Cara, oggi a sua volta indagata dalla procura di Caltagirone per una presunta parentopoli tra gli assunti del centro.
Sono tutti uomini di Castiglione sul territorio, quelli che nei pressi del Cara prendono migliaia di voti, preferenze che si fanno sentire anche sul panorama nazionale.
Ed è per questo che, come dice Odevaine, “Mineo se glielo vai a leva’ quelli si arrabbiano perchè ovviamente è un meccanismo che crea non solo consenso ma crea occupazione, crea benessere: 4mila migranti che spendono 2 euro e mezzo al giorno, so’ diecimila euro al giorno”.
Da Cl a Legacoop al “favore” di Letta
Ma non ci sono solo i posti di lavoro da spartire e i voti da raccogliere in tempi di elezioni.
La gestione di Mineo infatti vale cento milioni di euro: l’ultima gara, quella bollata come illegittima dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, è stata bandita nel 2014, e nella commissione aggiudicatrice c’era anche Odevaine, chiamato già nel 2011 a fare da consulente al Cara per espressa volontà di Castiglione.
A vincere quella prima gara d’appalto saranno gli stessi che si aggiudicheranno tutti gli appalti successivi: una cordata a larghe intese che va dal consorzio Sisifo, iscritto a Legacoop, a la La Cascina, che si occupa della ristorazione ed è vicina a Comunione e Liberazione.
La Cascina “finanziava le campagne elettorali” dell’ex ministro Maurizio Lupi, perchè lui è vicino a CL, ha raccontato Salvatore Buzzi , considerato uno dei boss di Mafia capitale, che ha deciso a sua volta di rispondere agli interrogatori, senza aver fino ad oggi convinto i pm della sua effettiva credibilità .
“Lupi li mette in contatto con Pizzarotti, Poi c’avevano un rapporto diretto addirittura con il ministro Alfano”, aggiunge spiegando che Odevaine gli aveva anche fatto il nome di Gianni Letta. Sarebbe stato l’ex sottosegretario di Berlusconi ad attivarsi nel 2011 per fare “un favore” alla Pizzarotti di Parma, la società proprietaria delle 403 villette del residence degli Aranci, lasciate sfitte dai militari statunitensi e quindi destinate ai richiedenti asilo, al costo di 7 milioni di euro all’anno.
“Chi glielo fa questo favore?” chiede il pm. “Letta, Odevaine parlava sempre del sottosegretario Gianni Letta”.
Già nel suo primo interrogatorio, Buzzi aveva citato con fastidio il centro d’accoglienza siciliano, chiedendo agli inquirenti di spegnere il registratore: “Sul Cara di Mineo — aveva detto — salta il governo”.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
“INDIA AGGRESSIVA, MA NOI SIAMO DETERMINATI”: LA CORTE INIZIERA’ IL VAGLIO DELLA VICENDA
L’India ha manifestato “particolare aggressività “, ma noi “siamo estremamente determinati a far
valere le nostre ragioni” davanti al Tribunale internazionale del mare di Amburgo dove per la prima volta una corte internazionale vaglierà il caso dei due fucilieri di Marina.
A parlare all’Ansa è l’ambasciatore Francesco Azzarello, agente del governo italiano che domani esporrà in aula la posizione del nostro Paese sul caso dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, detenuti in India da tre anni con l’accusa di aver ucciso due pescatori durante una missione antipirateria.
“Sarà poi l’Itlos (il Tribunale, ndr) a decidere. La delegazione indiana, nelle osservazioni sottoposte al tribunale, ha manifestato particolare aggressività . Mi auguro però — ha detto il capo della delegazione italiana — che il confronto giuridico si mantenga nei binari della correttezza e della verità . Da parte nostra, abbiamo grande rispetto per l’Itlos”.
Domani in aula Azzarello esporrà per primo il punto di vista italiano ai giudici per poi lasciare la parola al team di avvocati internazionali.
Nel pomeriggio sarà la volta dell’India. Le repliche martedì.
L’Italia chiede che Salvatore Girone possa tornare in Italia e che Massimiliano Latorre possa restarvi per tutto il tempo della durata del procedimento arbitrale che si aprirà all’Aja.
Chiede inoltre che l’India cessi di esercitare qualsiasi tipo di giurisdizione sul caso che vede i due Fucilieri di Marina accusati di aver ucciso due pescatori indiani nel 2012.
La decisione della corte sulle misure cautelari urgenti richieste dall’Italia a tutela di Latorre e Girone non arriverà prima di due-tre settimane.
“L’Italia e l’India sono paesi tradizionalmente amici” ma la vicenda che ha coinvolto i marò “ha purtroppo provocato una controversia giuridica complessa, difficile ed estremamente delicata. L’Italia ha tentato in tutti i modi, attivando canali informali e formali, di trovare una soluzione concordata con l’India. La mancata intesa ha costretto il governo ad attivare una procedura arbitrale internazionale” ha concluso l’ambasciatore Francesco Azzarello.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
APERTURA DI FORZA ITALIA, MA LA MINORANZA PD RESISTE
Tra i senatori eletti «dai» consigli regionali (testo ddl Renzi-Boschi) e i senatori «eletti dai cittadini su base regionale in concomitanza con l’elezione dei consigli regionali» (emendamenti minoranza pd), c’è una terza via che a settembre è destinata a prendere forma con un emendamento della relatrice Anna Finocchiaro.
È un ibrido, un’«elezione semidiretta»: «Un punto di incontro a metà strada per non farsi male a vicenda», secondo una simmetria del sottosegretario Luciano Pizzetti. Un compromesso, insomma.
Che consentirebbe al governo di non arretrare su posizioni troppo remote mentre i 30-31 dissidenti dem potrebbero avanzare sì di qualche metro ma non strappare il suffragio universale per il nuovo Senato.
Tra i due estremi, elezione di secondo grado ed elezione diretta, salta fuori allora il «listino bloccato a scorrimento» che consente al cittadino di «concorrere» nella scelta dei consiglieri regionali destinati ad entrare nel nuovo Senato dei 100.
Compromesso
In pratica, quando l’elettore voterà per il consiglio regionale troverà sulla scheda i nomi già stampati dei candidati che, se eletti nell’ente territoriale, andranno a far parte del Senato.
Se il primo del «listino» non ce la fa, scatta il secondo e così via.
Fermo restando che l’ordine di partenza lo stabiliscono i segretari dei partiti.
La formula del compromesso ha molti ispiratori. La presidente Finocchiaro, il capogruppo Luigi Zanda, il sottosegretario Luciano Pizzetti e il ministro Maurizio Martina, Gaetano Quagliariello di Ncd.
Tutti nella veste di «pontieri» che non hanno mai chiuso il dialogo con la minoranza dem a patto che non fosse messa in discussione la «connessione» tra la figura del consigliere regionale e quella di senatore dell’assemblea delle autonomie territoriale.
Articolo 2
Per non correre il rischio di dover modificare l’articolo 2 del ddl Boschi-Renzi (quello che stabilisce la composizione e l’elezione del Senato), i fautori del «listino» pensano di aggirare l’ostacolo introducendo nell’articolo 10 della legge costituzionale (il procedimento legislativo) un principio secondo il quale sarà la legge ordinaria a stabilire poi come farà nel dettaglio il cittadino a «concorrere» nella scelta dei consiglieri regionali degni di varcare il portone di Palazzo Madama.
«Niente scorciatoie»
L’«elezione semidiretta», che bolle in pentola da tempo, non piace alla minoranza dem: «Sul Senato elettivo si scelga la via maestra e non inutili scorciatoie», avverte Federico Fornaro. Mentre Miguel Gotor spiega che «così i senatori saranno indicati dai segretari rafforzando la tendenza dell’Italicum che consentirà a chi vince il premio di maggioranza di eleggere anche organi di garanzia come il presidente della Repubblica e i giudici costituzionali».
Pure Nicola Morra (M5S) respinge l’elezione semidiretta.
Invece, la proposta Zanda-Finocchiaro si incastra con il lodo Quagliariello (Ncd) e non fa a cazzotti con gli emendamenti di FI e della senatrice Cinzia Bonfrisco (Progressisti riformatori). Dice l’azzurro Lucio Malan: «Siamo aperti a varie soluzioni».
Ma il nuovo lodo non spazza via il rischio di un voto sull’articolo 2 concesso in Aula che potrebbe unire la «strana maggioranza» pronta a minare la linea Boschi-Renzi.
Intanto, sono oltre 150 i dipendenti del Senato che hanno rinunciato alle ferie per occuparsi degli emendamenti. Il presidente Piero Grasso li ha ringraziati.
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
TENTATIVO DI BLINDARE IL PROVVEDIMENTO
La mossa del governo contro i 513 mila emendamenti alla riforma costituzionale è la blindatura del
provvedimento.
Quando a settembre riaprirà il Senato, si comincerà mandando un segnale alla commissione. L’intenzione di Matteo Renzi è quella di saltare l’esame nella Affari costitizionali e portare subito il testo in aula. Senza modifiche preventive.
«La strategia non cambia, non voglio che il voto slitti ancora, abbiamo già rimandato a dopo l’estate», spiega il premier ai suoi collaboratori
Gli emendamenti potranno naturalmente essere ripresentati in aula e secondo i tecnici, quelli studiati da Calderoli, dalle opposizioni e dalla minoranza Pd sono difficilmente “cangurabili” ovvero non possono essere accorpati.
Ma l’esecutivo non rinuncia, in queste settimane, a studiare un’altra blindatura quando il testo verrà esaminato dall’assemblea dei senatori.
Fatto salvo l’atteggiamento del presidente Piero Grasso e della burocazia di Palazzo Madama molto temuta a Palazzo Chigi.
Per il momento dunque Renzi segue la linea dettata dal ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, contraria a qualsiasi modifica e alla trattativa con i dissidenti.
La Boschi rifiuta anche il possibile compromesso su un listino di consiglieri-senatori da contrapporre al Senato elettivo predicato dagli oppositori.
«È una forma di elezione diretta — spiega il ministro — e va per forza inserita nella Costituzione, non si può rinviare a un’altra legge».
Il no è secco e del resto il livello di scontro ormai non prevede scorciatoie.
La via di fuga del listino infatti viene respinta anche dai ribelli.
«Sul tema del Senato elettivo si scelga la via maestra. Noi chiediamo che sia previsto in Costituzione che il Senato venga eletto dai cittadini», sentenzia il senatore Pd Federico Fornaro, uno dei più attivi tra i 28 colleghi che hanno firmato gli emendamenti dei democratici.
La pattuglia dei dissidenti toglie alla maggioranza e a Renzi i voti necessari ad approvare la riforma.
Il premier continua a essere convinto che non arriveranno al traguardo con gli stessi numeri e la stessa determinazione.
«L’altra volta erano anche di più, più di 30, e sono rimasti in pochi alla fine», è la sicurezza mostrata dai renziani.
Però gli ostacoli non mancano: il patto con Berlusconi saltato e solo in parte recuperato sulla Rai, la maggioranza sulla carta a favore del Senato elettivo, le prime parole di Grasso che giudica riformabile l’articolo 2 della riforma perchè non conforme nei precedenti passaggi parlamentari.
Ed è proprio l’articolo 2 quello su cui si combatte la battaglia del Senato elettivo.
Davanti alla prospettiva di un autunno pieno di appuntamenti, a cominciare dalla legge di stabilità e dal taglio delle tasse, a Palazzo Chigi escludono comunque un rinvio della riforma.
L’ipotesi finora non è mai stata presa in considerazione perchè il mantra renziano rimane uguale: «Abbiamo i numeri, li abbiamo sempre avuti e li avremo ancora».
Ma lo slittamento «è un’ipotesi che non mi sento di escludere», dice l’altro senatore dissidente Miguel Gotor.
«Mi sembra verosimile che il processo riformatore accompagni la durata della legislatura », aggiunge.
Questo significa che la minoranza vuole rimandare la resa dei conti e si accontenta di indebolire Renzi, allontanando un traguardo che il segretario ha fissato da tempo.
La sinistra pd è, anzi, sicura di avere oggi la carta vincente in mano.
«Di fatto — spiega un bersaniano — lui sta già adottando questa tattica dilatoria senza dirlo: la Camera aveva licenziato la riforma a marzo. Se avesse voluto avrebbero potuto portarla al Senato ad aprile. Invece…».
Dice anche Alfredo D’Attorre: «Se non si trova una soluzione condivisa a settemebre, il tempo può essere una risorsa per il presidente del consiglio».
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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