Agosto 26th, 2015 Riccardo Fucile
“I CONTESTATORI SONO TIFOSI TERAMANI”: LA BATTUTA DEL PREMIER FA INFURIARE LA CITTA
Teramo si ribella a Renzi. 
Non è andata giù, infatti, ai teramani, la battuta del premier Matteo Renzi che parlando delle contestazioni che hanno accolto la sua visita a L’Aquila si è lasciato andare ad un “parte dei contestatori sono tifosi del Teramo in serie D”.
Una frase che oltre a scatenare le ire in città e sui social network, ha visto il primo cittadino Maurizio Brucchi chiedere ieri sera le dimissioni del premier dal suo profilo Facebook.
“Gravissime le dichiarazioni di Renzi sui tifosi del Teramo e sul Teramo calcio – ha scritto Brucchi – Ride e irride il Teramo e la sua delicata situazione. Questo per cercare di nascondere i suoi fallimenti e le tante contestazioni che rimedia ad ogni sua uscita. Chiederò come sindaco di Teramo le sue immediate dimissioni”.
Il Teramo è una delle società coinvolte nelle ultime vicende del calcioscommesse, insieme al Catania, al Savona e al Brindisi.
E il suo declassamento in serie D è legato proprio alle decisioni della giustizia sportiva. Sentenza alla quale la società ha fatto ricorso, ed è in attesa della sentenza d’appello.
Insomma: una ferita scoperta sulla quale il premier è intervenuto con il più classico dei falli a gamba tesa.
L’uscita di Renzi non è piaciuta nemmeno al Pd cittadino che questa mattina in una nota a firma dell’Unione Comunale e del gruppo consiliare del partito ha invitato il premier a chiedere scusa.
“Devi scusarti perchè la città sta vivendo mesi di grande tensione per le vicende legate alla squadra e all’obiettivo della serie B mai raggiunto in 102 anni di storia, un obiettivo dai risvolti non solo sportivi ma anche economici e sociali che sta sfumando sotto i colpi di una giustizia sportiva perlomeno approssimativa” scrive il Pd, che sottolinea come il giudizio sul Teramo sia ancora aperto e dichiara anche di prendere “le distanze dalla tua ‘leggerezza’ di ieri e ribadiamo ancora una volta che lintera comunità ha diritto alle tue scuse”, conclude il Pd.
(da “Huffngtonpost”)
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Agosto 26th, 2015 Riccardo Fucile
E A LUGLIO SOLO 47 POSTI STABILI
Nuovi dati e nuova confusione sul lavoro.
Il ministero certifica 135 mila contratti in più a luglio (saldo tra attivazioni e cessazioni). Sebbene di questi appena 47 quelli aggiuntivi a tempo indeterminato. Meglio di giugno, quando addirittura spuntò il segno meno nel saldo (-9.768), dunque quasi 10 mila chiusure di contratti stabili in più rispetto alle nuove firme.
Ma 47 è davvero un magro bottino, per un governo che punta tutto sul rilancio dell’occupazione
La sorpresa più eclatante però deriva dall’ultima pagina delle comunicazioni obbligatorie diffuse ieri dal dicastero guidato da Giuliano Poletti.
Laddove si mostra in tabella il consuntivo dei primi sette mesi.
Secondo il governo, da gennaio a luglio il saldo dei contratti a tempo indeterminato ammonta a 420.325, il 112% in più dell’analogo periodo del 2014.
Detto in altri termini, i contratti stabili sarebbero più che raddoppiati, grazie al Jobs Act e agli sgravi sul lavoro, in vigore da gennaio.
Ebbene non è così, se si riprendono le comunicazioni fatte dallo stesso ministero nei mesi passati e si sommano le cifre relative
Quel dato, il saldo tra gennaio e luglio, in base ai nuovi calcoli risulta fermo a 115.897, quasi quattro volte meno di quanto reso noto ieri.
Questo significa che i contratti a tempo indeterminato sottoscritti quest’anno fino a luglio non solo non sono raddoppiati. Ma sono crollati del 41%.
E con loro si sono inabissati di un terzo anche i tempi determinati: -36%, poco sopra il milione.
Rispetto al milione e 600 mila divulgato ieri dal ministero.
La differenza è sostanziale.
Se fosse così, il Jobs Act starebbe drenando contratti a termine, ma non creando sufficiente lavoro stabile. E nemmeno lavoro extra in generale.
Il governo, con i dati di ieri, invece racconta un’altra scena: i contratti a termine diminuiscono solo di poco (-1,5%), mentre quelli a tempo indeterminato addirittura volano: +112%, come detto.
Come mai questa distonia?
Interpellato, il dicastero fa sapere che «si tratta di dati di flusso, aggiornati progressivamente».
E che dunque ricalcolare, come abbiamo provato a fare noi, i dati dei primi sette mesi semplicemente sommando le cifre fornite dallo stesso ministero mese per mese è sbagliato.
Perchè quelle cifre vengono corrette nelle settimane e mesi successivi alla loro divulgazione tramite comunicati stampa.
«Fa così anche l’Istat, ma nessuno obietta mai», si fa notare. Tra l’altro, lo stesso dato fornito ieri è suscettibile di ulteriori variazioni, «perchè il mese di luglio deve essere ancora riclassificato».
È il prezzo da pagare, spiega ancora il ministero, «per aver voluto diffondere gli aggiornamenti una volta al mese, anzichè ogni trimestre».
Decisione che a questo punto sarà rivista a settembre, in scia alla proposta del presidente dell’Istat Allevi di unificare metodi e comunicazioni.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Agosto 26th, 2015 Riccardo Fucile
UN COMIZIO DA CL DOVE PARLA DI TUTTO, MA NON DI UNIONI CIVILI
Un figlio adottivo che si presenta ai nuovi possibili genitori. Indossando persino l’odiata cravatta. 
Così ieri Matteo Renzi ha varcato la soglia del Meeting di Comunione e Liberazione.
Con delicatezza, tra mille accortezze. Cercando di ammaliare un popolo politicamente orfano, il premier ha citato la “dignità umana” e altri concetti cari ai seguaci di don Giussani, lasciando fuori dalla Fiera di Rimini i temi delicati — unioni civili in primis —, toni duri e le battute a effetto. Ma l’abitudine è forte e una glien’è sfuggita: a lui, l’elezione diretta dei senatori ai voti, ricorda “il Telegatto”.
Ma appena lasciato il Meeting è tornato il Renzi di sempre, annunci e sfottò.
“Faremo un tour in 100 teatri d’Italia per raccontare l’opera compiuta dal governo”, “nel 2016 toglieremo Imu e Tasi”, “la ripresa c’è”, e via così: una giornata intera a parlare.
Prima a Rimini, poi a Pesaro infine a L’Aquila. Nella città abbandonata dopo il terremoto, Renzi è stato contestato e costretto ad annullare la prima delle due tappe previste.
Si è chiuso direttamente nel laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso dove dal palco ha concluso sei ore complessive di interventi con una sorta di slogan: “No agli annunci choc, no agli annunci show, no alla mediatizzazione de L’Aquila”.
La sintesi della giornata. Di un segretario di partito. Tra La Pira e Salvini
L’ingresso al santuario Per il premier il momento più delicato e atteso è stato entrare ufficialmente nel santuario di Cl. Aveva già partecipato al Meeting, nel 2008 insieme a Denis Verdini, ma ieri ha evitato di ricordarlo nei circa 40 minuti del suo intervento agli oltre cinquemila presenti in sala.
Le uniche poltrone libere sono in prima fila: due sedie con sopra un segnaposto con scritto “Maggioni”, la neo presidente della Rai ha disertato l’incontro.
Renzi ha tentato di conquistare la platea. Accarezzandola e ricordando due delle persone amate dai ciellini: Graziano Grazini, democristiano poi convertito a Forza Italia e grande estimatore di don Giussani, e Giorgio La Pira, il sindaco “santo” di Firenze. Conquistando applausi.
Poi, per non sbagliare, ha colpevolizzato un po’ tutti della situazione in cui si trova il Paese: “Berlusconiani e anche gli antiberlusconiani hanno pigiato il tasto pausa all’Italia per 20 anni”. Ha criticato Lega e sinistra, ma non frontalmente.
Scandendo parole capaci di creare consenso tra i presenti, come quelle sul dramma dell’immigrazione e sulle tesi leghiste anti barconi: “Anche se fa perdere qualche voto, noi continuiamo a salvare vite umane, è una questione di civiltà ”.
Poi il classico attacco alla sinistra sulla riforma di Palazzo Madama e l’elezione diretta dei senatori: “C’è chi si lamenta che manca l’elezione diretta ma non è che più voti più c’è democrazia, quello è il Telegatto. Serve che crei dei decisori politici, non è che moltiplichi le poltrone e moltiplichi democrazia. È una discussione incredibile”.
Insomma: nessuna modifica al ddl Boschi sull’elettività dei senatori. Non una parola invece sul ddl Cirinnà e le unioni civili, argomento decisamente sentito dal popolo ciellino.
Renzi lo ha evitato con cura. Anche con i giornalisti da cui si è tenuto a debita distanza per l’intera giornata.
Arrivato in Fiera alle 11 del mattino, il premier è stato accolto dal presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, dal deputato di Ncd ed ex presidente della Compagnia delle Opere Raffaele Vignali e dal sottosegretario Gabriele Toccafondi.
Poi il premier è stato scortato lungo un percorso tracciato tra due cordoni umani composti dai volontari in maglietta verde (sono 2.970, giovani e non).
Ha visitato lo stand dell’Emilia Romagna, poi quello della mostra del mobile e la mostra dedicata a piazza del Duomo di Firenze.
Incontro a porte chiuse e memoria di scout
Proprio qui, all’ingresso di quello che per Cl è un omaggio al premier, Renzi ha ricevuto una domanda da un visitatore: “Quando vi abbassate lo stipendio? Lei e tutti? Quando?”. Renzi ha farfugliato “chiedetelo a Toccafondi” e se n’è andato.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 26th, 2015 Riccardo Fucile
MA L’ANALISI SUL BERLUSCONISMO E’ SBAGLIATA
Non tutto il discorso di Matteo Renzi ieri al Meeting di Cielle è da buttar via.
Intanto non ha fatto il ruffiano,come di solito fanno tutti i politici che vanno lì in passerella a caccia di voti e, appena varcano i cancelli della Fiera di Rimini, si travestono da ciellini, devoti di don Giussani, fan sfegatati della “sussidiarietà ” e delle altre fisime della compagnia.
Anzi,ha fatto sapere alla folla plaudente di aver poco a che spartire con quel mondo (“abbiamo idee opposte su molte cose”) e di non amare l’applausite che in 25 anni di Meeting ha garantito standing ovation a chiunque — tutti e il contrario di tutti — passasse da quel palco.
Ha detto anche cose apprezzabili nei contenuti.
Per esempio quando se l’è presa con gli “imprenditori della paura” che soffiano sul fuoco del malcontento da immigrazione per qualche voto in più, e s’è detto disposto anche a perdere voti pur di continuare a “salvare vite” in nome dei valori di “umanità ”, che non vanno confusi con il “buonismo”.
Se avesse anche aggiunto come intende affrontare in concreto la piaga della clandestinità (magari con una legge più seria della Bossi-Fini, che penalizza i lavoratori e agevola i criminali) e soprattutto rafforzare le strutture dello Stato (forze dell’ordine in primis) per gestire al meglio un fenomeno di proporzioni bibliche, al di là delle consuete giaculatorie sull’Europa (il miglior modo di buttare la palla in tribuna), sarebbe stato perfetto: ma la perfezione non è di questo mondo, tanto meno di questo governo.
La retorica sull’Italia che ha “ripreso a correre”, ovviamente da quando c’è lui, fa parte del gioco:la propaganda è l’unica tassa che si paga regolarmente in Italia.
C’è però un passaggio del discorso di Renzi che in apparenza riguarda il passato e invece investe il futuro: il giudizio sul ventennio 1994-2014, quello dominato da Berlusconi e dal berlusconismo di destra e di sinistra.
Renzi ne parla al passato, come se fosse una parentesi definitivamente chiusa.
E questo è il primo errore: B. è — almeno politicamente — un rottame, ma il berlusconismo è vivo e vegeto.
Quasi tutte le riforme di Renzi sono copiate pari pari dai programmi di B. e, senza il Patto del Nazareno con B., probabilmente non ne sarebbe passata nemmeno una: nè il Jobs Act, nè la cosiddetta Buona Scuola, nè la nuova legge elettorale per la Camera (Italicum),nè la riforma costituzionale del Senato che sta per tornare a Palazzo Madama per la terza delle quattro letture previste.
E senza Verdini e i suoi voltagabbana, il suo governo rischia lo sfratto.
Il secondo e più grave errore però è un altro: dire che “la Seconda Repubblica è stata una rissa ideologica permanente che ha impantanato l’Italia in discussioni sterili mentre il mondo correva. Il berlusconismo e per alcuni aspetti l’anti berlusconismo hanno messo il tasto pausa al ventennio italiano, impedendoci di correre”.
Eh no. Troppo comodo, troppo furbo, troppo paraculo: berlusconismo e antiberlusconismo sono due cose opposte ed è il momento che il presidente del Consiglio e segretario del Pd dica non solo ai suoi elettori, ma a tutti gli italiani e anche all’Europa, che cosa pensa di Silvio Berlusconi e di ciò che ha fatto in questi vent’anni.
La sua opinione sui dirigenti del centrosinistra Renzi l’ha ripetuta in tutte le salse, specie quando voleva prenderne il posto all’insegna della rottamazione (salvo poi riciclare le vecchie muffe,a parte le poche che non sono corse a baciare la sacra pantofola).
Ma di B., che ci dice di B.?
Se lo ritiene un normale leader di centrodestra, da giudicare serenamente sul piano storico con i suoi pro e i suoi contro, come Kohl, Chirac, Sarkozy, Thatcher ecc, è un conto.
Se invece pensa che sia stato un male per l’Italia, anzi il peggiore dei mali della storia repubblicana, è un altro conto.
Che cos’ha da dire Renzi su chi ha cacciato dalla tv pubblica Biagi, Santoro e Luttazzi e con loro pezzi interi di società , di realtà e di verità , ha fatto destituire direttori di giornale a lui sgraditi, ha inquinato la vita pubblica con le sue pratiche corruttive e le sue amicizie piduiste e mafiose, ha spudoratamente favorito gli interessi delle sue aziende a scapito della concorrenza e del pluralismo, ha approvato decine di leggi su misura per i suoi interessi e i suoi processi, ha devastato la giustizia e l’etica pubblica praticando, predicando e santificando l’illegalità di massa, ha screditato la magistratura,l a libera stampa, la Consulta e infine la stessa Costituzione, cancellando dal sentire comune l’idea stessa che il potere debba essere controllato e arginato da contro-poteri indipendenti, picconando i fondamenti della democrazia liberale e dello Stato di diritto?
Se tutto ciò è accaduto, e sventuratamente è accaduto, come può Renzi mettere sullo stesso piano il berlusconismo e il suo contrario, cioè le poche voci che si sono levate nel deserto, anche con qualche rischio personale,per contrastare quello tsunami di merda?
Renzi dovrebbe domandarsi quanto sarebbe durato e fin dove si sarebbe spinto il berlusconismo, se non avesse incontrato ostacoli fuori dal sistema dei partiti, nella società civile.
E poi ringraziare chi aveva capito tutto fin dall’inizio e messo in guardia gli italiani, mentre lui sedeva sulle ginocchia di Verdini, o vinceva milioni alla Ruota della Fortuna, o andava in gita premio ad Arcore.
Se non vuole ringraziare i vivi, s’inchini almeno a chi non c’è più: Montanelli, Biagi, Bocca, Rinaldi, Sechi, Federico Orlando, Bobbio, Galante Garrone, Sylos Labini, Tabucchi, Luzi, Scalfaro, Monicelli, Franca Rame.
Questi sono i volti dell’antiberlusconismo: il meglio della cultura liberal-democratica, liberal cattolica, liberal socialista e progressista, ovviamente estranea alle greppie dei partiti che col berlusconismo hanno sempre banchettato e fatto a mezzo.
Equipararla al berlusconismo è come dire che fra il 1943 e il ’45 l’Italia fu paralizzata da una noiosa e sterile rissa ideologica tra i fascisti che volevano trasformare l’Italia in una dependance del Terzo Reich e gli antifascisti che lottavano per farne una democrazia, impedendoci di correre (al passo dell’oca, s’intende).
Si dirà : ma l’antifascismo nel Dopo guerra imbarcò orde di fascisti convertiti in articulo mortis (di Mussolini, però) e diventò per molti una lucrosa professione e un comodo ufficio di collocamento.
Verissimo: l’antiberlusconismo, invece, nemmeno quello.
Gli antiberlusconiani non hanno tratto alcun vantaggio neppure dopo la caduta di B.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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